31.7.18

ROAD TO JAPAN: Koji Miyoshi (三好 康児)

Buongiorno a tutti e benvenuti al settimo numero di "Road to Japan", la rubrica che ci consente di scoprire nuovi talenti che si nascondono nella terra del Sol Levante. Oggi ci spostiamo a Sapporo, dove il Consadole si sta godendo - in prestito - un giovane molto interessante, cresciuto dal Kawasaki Frontale: si tratta di Koji Miyoshi, sgusciante folletto classe '97.

SCHEDA
Nome e cognome: Koji Miyoshi (三好 康児)
Data di nascita: 26 marzo 1997 (età: 21 anni)
Altezza: 1.68 m
Ruolo: Ala, trequartista
Club: Consadole Sapporo (2018-?)



STORIA
Originario di Tama-ku (un piccolo distretto nella città di Kawasaki, nella prefettura di Kanagawa, costeggiato dal fiume Tama, per l'appunto), Koji Miyoshi nasce nel marzo del 1997. Comincia a giocare a pallone spinto dall'influenza del fratello, ma non è un errore chiamare il ragazzo un "figlio del Kawasaki Frontale", perché la sua carriera è legata al club.
Non solo Miyoshi è nato sulle rive del Tama, ma dal 2007 - ovvero dall'età di 10 anni - viene inserito nelle giovanili del club nero-azzurro. Una lunga maturazione, che arriva fino al 2014, quando il 17enne viene ufficialmente inserito nei ranghi della prima squadra. Assieme a lui, c'è Shintaro Kurumaya, una colonna oggi per il club.
L'esordio arriva l'anno dopo: il 4 aprile 2015, al termine di una rotonda vittoria (4-1) in casa contro l'Albirex Niigata, il manager Yahiro Kazama manda in campo Miyoshi per un minuto, al posto dell'eroe locale Yoshito Okubo. Nell'ultima gara giocata in prestito per la selezione U-22 in J3, Miyoshi trova anche il primo da professionista contro il Fujieda MYFC.
Durante l'inverno 2015-16, il club si libera di diversi profili in attacco, tra cui Kenyu Sugimoto e soprattutto Renatinho, venduto a peso d'oro al Guangzhou R&F. A quel punto, Miyoshi ha molto più spazio nella seconda parte della stagione e trova persino quattro gol in appena 11 gare di J1 (tra cui il gol che illude il Kawasaki sulla possibilità di vincere il titolo).
Con il cambio di manager (da Kazama a Toru Oniki), le presenze di Miyoshi non sono salite, nonostante il club sia stato impegnato anche in una buona annata in AFC Champions League, chiusa con l'incredibile uscita ai quarti di finale sul campo dei futuri campioni degli Urawa Red Diamonds. Purtroppo, la corsa al titolo ha messo da parte Miyoshi.
C'è di peggio, perché di sole 13 presenze in J. League, solo sei di esse arrivano dal 1'. Nonostante il premio di miglior giovane in J. League Cup e l'eredità numerica della maglia di Yoshito Okubo (trasferitosi al FC Tokyo), Miyoshi ha preso la decisione di trasferirsi, seppur in prestito, per trovare più spazio.
Visto l'affollato reparto offensivo (Ienaga e Abe, senza contare il ritorno di Okubo e l'arrivo di Saito), il classe '97 è passato al Consadole Sapporo, bisognoso di giocatori fantasiosi nel reparto offensivo. La partnership con Chanathip Songkrasin è molto interessante, da vedere all'opera.

CARATTERISTICHE TECNICHE
La prima cosa che si può notare è la duttilità del ragazzo: ha giocato da ala, esterno di centrocampo, trequartista e seconda punta. Eviterei di schierarlo da prima punta, anche in emergenza, sebbene quest'epoca calcistica si presti sempre più agli esperimenti. In ogni caso, Miyoshi ha già giocato in differenti posizioni a vent'anni appena compiuti.
Con questa versatilità, rimane quasi il dubbio su dove sia meglio schierarlo. Personalmente mi piace molto la posizione che sta occupando al Consadole Sapporo: nel classico 3-4-2-1 di Mihailo Petrović, Miyoshi agisce come uno dei due trequartisti dietro il terminale offensivo (uno tra Tokura e Bothroyd). Qualora pensasse a un passaggio in Europa, il ragazzo dovrà necessariamente rinforzarsi dal punto di vista fisico.

STATISTICHE
2015 - Kawasaki Frontale: 5 presenze, 0 reti
2016 - Kawasaki Frontale: 25 presenze, 4 reti
2017 - Kawasaki Frontale: 20 presenze, 3 reti
2018 - Consadole Sapporo (in corso): 15 presenze, 1 rete

NAZIONALE
Miyoshi ha avuto il merito di farsi tutta la trafila delle giovanili: ha giocato un Mondiale di categoria sia con l'U-17 nel 2013 (con Kento Misao e Taro Sugimoto) che con l'U-20 nel 2017 (con Yuta Nakayama, Ritsu Doan, Takefusa Kufo, Takehiro Tomiyasu e tanti altri). Non solo, perché Miyoshi sarà ancora in età nel 2020 per esser convocato per l'Olimpiade di Tokyo.
La nazionale senior potrebbe aspettarlo a breve. Penso che sia difficile vederlo in squadra prima della Coppa d'Asia di gennaio 2019, ma se continuasse a crescere - specie con l'aiuto del Consadole Sapporo e gli insegnamenti di Mihailo Petrović -, il neo-c.t. Hajime Moriyasu potrebbe dargli una chance.

LA SQUADRA PER LUI
Miyoshi è uno di quei giocatori che può crescere molto e può farlo all'improvviso. Penso che qualunque squadra europea - anche quelle di metà classifica dei campionati più prestigiosi - sarebbe fortunata a portare a casa un ragazzo del genere. Miyoshi è una delle gemme della prossima generazione e presto avrà le potenzialità per farcela anche in Europa.

23.7.18

UNDER THE SPOTLIGHT: Alphonso Davies

Buongiorno a tutti e benvenuti a una nuova puntata di "Under The Spotlight", la rubrica con la quale spaziamo nel mondo per scoprire i vari talenti sul globo. Con una puntata leggermente in ritardo (causa finale del Mondiale in Russia), ci spostiamo in Canada, dove un anno fa si è rivelato un potenziale crack: Alphonso Davies può rappresentare il nuovo che avanza.

SCHEDA
Nome e cognome: Alphonso Boyle Davies
Data di nascita: 2 novembre 2000 (età: 17 anni)
Altezza: 1.81 m
Ruolo: Ala, seconda punta
Club: Vancouver Whitecaps (2016-?)



STORIA
Buduburam non è una piccola città all'interno del Canada, bensì un campo di rifugiati aperto dall'UNHCR nel 1990. Si trova nel Gomoa East District, affacciato sull'Oceano Atlantico. Inizialmente il campo è stato aperto per accogliere rifugiati in fuga dalle guerre civili che hanno devastato la Liberia tra il 1989 e il 2003, ma è diventato altro.
Oltre ad accogliere ulteriori rifugiati - stavolta in fuga dalla Sierra Leone, anch'essa dilaniata dalla guerra civile durante gli anni '90 -, Buduburam è diventato il luogo di nascita di Alphonso Davies. Il campo ha chiuso le proprie attività nel febbraio 2011, ma nel novembre 2000 ha visto la nascita di questo ragazzino di origini liberiane.
I suoi genitori erano scappati durante la seconda guerra civile (durata dal '99 al 2003): solo quando Alphonso ha cinque anni, la famiglia decide di trasferirsi in Canada. La prima destinazione è Windsor, quasi al confine con gli Stati Uniti e non lontano da Toronto; poi il passaggio a Ovest e lo spostamento a Edmonton, prima di arrivare a Vancouver.
Nel 2015, i Whitecaps lo scoprono: i genitori sono già felici di quanto il Canada abbia cambiato loro la vita, ma indubbiamente approdare a Vancouver rappresenterebbe un'enorme opportunità. Nonostante non abbia nemmeno 16 anni, i Whitecaps inseriscono il giovane Davies nel pre-season tour dell'inverno 2016 e gli danno anche qualche chance in prima squadra.
Mentre Alphonso gioca con le riserve, il club si è già convinto: contratto fino al 2018, con possibilità di allungamento per le stagioni 2019 e 2020. Intanto, arriva anche l'esordio in prima squadra e la prima rete da pro, realizzata al Children's Mercy Park in CONCACAF Champions League per una vittoria allo scadere contro lo Sporting Kansas City.
In più, Davies è diventato il secondo più giovane di sempre a comparire in una gara di MLS: la sua entrata in campo contro Orlando City a luglio 2016 è seconda solo all'intramontabile record di Freddy Adu. La crescita è continuata gradualmente, fino ad arrivare a prestazioni pazzesche: ancora contro Orlando, stavolta due anni più tardi. Risultato? Tre assist e un gol, praticamente inarrestabile.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Per la sua conformazione fisica e atletica, lo scatto e la velocità insensata sono sempre state ovvie caratteristiche del calcio di Davies. Le si poteva vedere già nel 2016, quando i primi semi del suo calcio erano stati intravisti per i campi d'America. Tuttavia, a un gioco così veloce si accompagnava un controllo molto confusionario della sua corsa e potenza.
Oggi l'entropia assoluta ha lasciato spazio alla crescita e quindi a un calcio più ragionato, sia nelle scelte di gioco che (e non era scontato) nell'approccio difensivo. Sebbene le sue capacità tecniche sembrino ancora grezze, esse lasciano comunque intravedere un ottimo avvenire per Davies, visto che sulla tecnica si può tranquillamente lavorare. Specie se hai di fronte un ragazzo di neanche 18 anni.

STATISTICHE
2016 - Vancouver Whitecaps: 15 presenze, 1 rete / Whitecaps FC 2: 11 presenze, 2 reti
2017 - Vancouver Whitecaps: 33 presenze, 3 reti
2018 - Vancouver Whitecaps (in corso): 20 presenze, 3 reti

NAZIONALE
La sua storia con il Canada sembra avere le stimmate del predestinato: nato in Ghana, Davies ha dovuto passare un test di cittadinanza per giocare con la squadra senior del Canada. Dopo aver giocato per l'U-16 e l'U-20, l'ala dei Whitecaps ha esordito con il Canada nel giugno 2017, comparendo in un'amichevole contro Curaçao.
Dopo esser diventato il più giovane di sempre a giocare per il Canada, Davies è stato convocato - a sorpresa - per la Gold Cup del mese successivo. La scelta dell'allora c.t. Octavio Zambrano ha pagato: nonostante la giovane età, Davies ha segnato due gol nella gara inaugurale contro la Guiana francese e poi un'altra rete contro la Costa Rica. A fine torneo, sarà miglior giovane, uno dei capocannonieri e verrà incluso nella Top 11.
Con il Mondiale del 2026 ormai assegnato al trittico Stati Uniti, Messico e Canada - nonché pensando alla probabile automatica qualificazione della nazionale canadese -, che Davies possa essere il primo giocatore a segnare il primo gol di sempre per Les Rouges in Coppa del Mondo? Avrà solo 25 anni in quel momento per vendicare l'edizione in bianco del 1986.

LA SQUADRA PER LUI
Visti che la MLS sta salendo di livello e la sua giovane età, è giusto che Davies per ora rimanga in Canada. I Whitecaps sono un ambiente tranquillo per crescere, magari per un paio d'anni: all'inizio del 2020, se le premesse saranno state mantenute, allora si potrà pensare a un salto europeo, magari partendo da una lega di seconda fascia (Belgio, Olanda, Svizzera).
In questi giorni si parla addirittura di Bayern e PSG, chissà che questo passaggio non possa diventare realtà, anche a cifre importanti. L'importante è evitare di diventare un altro Julian Green, fermo restando che un'eventuale esperienza a questi livelli farebbe bene non solo a Davies, ma a tutto il movimento canadese.

16.7.18

Una giovane Restaurazione.

Come ricorderemo Russia 2018? Forse come il Mondiale delle occasioni sprecate, del gioco reazionario e difensivo, delle gare tirate e finite in gran parte con un gol di scarto (31 su 64, quasi il 50%. Aggiungendoci i 13 pareggi, arriviamo a 44 gare su 64!). Ma soprattutto sarà il Mondiale di una generazione d'oro, un'altra, che ha riportato il Mondiale in Francia a vent'anni dal primo.

Didier Deschamps, 49 anni, ha vinto il Mondiale da giocatore e allenatore: il terzo a riuscirci dopo Zagallo e Beckenbauer.

Molti hanno parlato di una finale spettacolare, riferendosi all'ultimo atto tra Francia e Croazia. Nei gol non si può certo smentire tale assunto (4-2, sei gol: l'ultima volta nel 1966), ma sul campo - soprattutto il primo tempo - sembra aver smentito il concetto. La Francia ha giocato come in tutto questo Mondiale, attendendo l'avversario e sfruttando Giroud o Mbappé per ripartire.
Paradossalmente nell'ultimo atto è mancato uno dei candidati al MVP di questo Mondiale, ovvero N'Golo Kanté: decisivo per arrivare in finale, il mediano del Chelsea è stato ammonito e persino sostituito dopo 55' da N'Zonzi. Poco male, perché a quel punto la finale aveva preso la strada giusta, nonostante un 2-1 sofferto nella prima frazione.
La punizione di Griezmann spizzata in porta da Mandzukic (con il dubbio del fuorigioco passivo di Pogba, che disturba il suo ex compagno), il pareggio straordinario di Perisic (con l'esultanza a-là-CR7), il contestato rigore del 2-1 trasformato ancora da Griezmann (parere personale: c'era): il tutto senza che la Francia abbia fatto un vero tiro in porta nei primi 45'.
Al ritorno in campo, la Croazia ha comunque creato un pericolo con Rebic, prima di arrendersi alla potenza contropiedista dei francesi. Prima Pogba ha sventagliato per Mbappé e dallo sviluppo dell'azione è stato lo stesso uomo del Manchester United a segnare il 3-1, poi è arrivata la staffilata di Mbappé per la quarta rete (che azione Lucas Hernandez).
Da lì, neanche l'unico errore di Lloris in questo Mondiale - un tentativo di tunnel con il piede debole su Mandzukic, conclusosi con il gol del centravanti della Juventus - ha veramente riportato la partita in un equilibrio di qualche tipo. La Francia ha amministrato, sfiorando persino il quinto in due occasioni. Alla Croazia è rimasto l'onore delle armi.
La pioggia ha poi avvolto lo scenario di Mosca, con capitan Lloris che ha alzato la coppa e Modric miglior giocatore del torneo, seguito da Mbappé (miglior giovane), Courtois (miglior portiere) e Kane (capocannoniere, seppure gli autogol siano stati il doppio delle reti segnate dal centravanti del Tottenham e della nazionale inglese).

Il momento in cui finisce la finale 2018: Paul Pogba segna il 3-1.

Cosa rimarrà di questo Mondiale, quindi? Al di là di cosa accadrà nel suo futuro, Didier Deschamps ha creato una sua legacy: la Francia ha vinto due Mondiali e lui c'era in entrambi. Nel '98 era il capitano, oggi il commissario tecnico. Un allenatore contestato, a volte incomprensibile, ma che ha trovato in un assetto conservativo il miglior vestito per questa nazionale.
Dopo aver perso la finale dell'Europeo 2016 in casa, c'era timore che questa generazione di giocatori dovesse attendere per alzare un trofeo. Invece le aggiunte di Mbappé e Lucas Hernandez hanno completato il mosaico e ora la Francia si gode un titolo meritato, perché - in un Mondiale dal gioco reazionario - si è mostrata la squadra che si è adattata meglio allo scenario corrente.
La Croazia non ha vinto il Mondiale, ma ha saputo superare la classe del '98 e già questo è un miracolo, calcolando che a ottobre 2017 la squadra aveva ceduto la guida del suo girone all'Islanda e si giocava una sorta di primo spareggio in Ucraina. Poi l'arrivo di Dalic e la vittoria del play-off contro la Grecia ci ha condotto a questo momento.
La Croazia è stata la migliore squadra della fase a gironi, però mi è sembrata un po' mancare nella fase a eliminazione diretta. Paradossalmente, la Croazia sarebbe potuta uscire nelle gare in cui avrebbe anche meritato una punizione (contro Danimarca e Russia), mentre ha giocato al meglio la semifinale e il primo tempo della finale.
Se da una parte mi auguro che Luka Modric possa alzare il Pallone d'Oro a fine anno, dall'altra Belgio e Inghilterra hanno di che sorridere, seppur in modo diverso. La generazione d'oro del Belgio ha ottenuto il risultato tanto atteso (e forse Hazard sarebbe stato da MVP), mentre l'Inghilterra - seppur incompleta e ancora poco continua - può sorridere in vista di Qatar 2022.
Ma forse la lezione più importate di questo Mondiale è quella tattica. Se il 2006 è stato l'inizio di alcune tradizione (salida lavolpiana, primi semi del tiki-taka, i primi risultati del processo tedesco), questo 2018 potrebbe esser ricordato per le difese basse, i baricentri arretrati, le linee strette e l'attendismo. Che una Restaurazione sia in atto?

Antoine Griezmann, 27 anni, deus ex machina di una Francia da titolo.

3.7.18

Questa volta.

«Travolta dalle diatribe interne e da un vero ricambio generazionale (ci si aspettava qualcosa in questo senso), la nazionale giapponese ha staccato il biglietto per la sesta Coppa del Mondo consecutiva, ma non sembra avere le potenzialità per uscire dal girone. [...] Il rischio che Russia 2018 sia una brutta copia di Brasile 2014 è alto».

Questa la mia preview sul Giappone prima dell'inizio del Mondiale. Dopo ieri sera, però, forse qualcosina va rimesso in ordine.


Minuto 93: Chadli ha appena chiuso in gol il contropiede belga. Gli ottavi finiscono qui, così come l'avventura del Giappone a Russia 2018.

La realtà ha fatto più male di quello che si poteva pensare: l'eliminazione non è arrivata al girone, bensì a 30 secondi dai supplementari degli ottavi di finale, dopo aver condotto con un doppio vantaggio una gara che poteva essere decisamente gestita meglio. Il finale - 3-2 per un Belgio che è sembrato comunque vulnerabile - fa malissimo.
La partita ha ricordato per diversi tratti il 4-3 subito dal Giappone nella seconda gara del girone della Confederations Cup, quella giocata contro l'Italia. All'epoca, i nipponici andarono in vantaggio per 2-0 con i gol di Kagawa e Honda prima di esser scavalcati sul 3-2, rimontare sul 3-3 e infine perire per una rete di Giovinco nel finale.
In quella gara, nel caldo torrenziale di Manaus e sostenuto dal tifo di diversi brasiliani (in Brasile c'è la maggiore comunità nipponica in un paese estero), il Giappone mostrò tutte le sue forze e pecche. Un calcio scintillante, fatto di possesso e palla a terra, ma anche di distrazioni, mancanze di concentrazione e forse anche di cattiveria.
La gara contro il Belgio ha riassunto - seppur in un'epoca diversa - tutti questi punti: se dopo cinque anni i problemi rimangono gli stessi, vuol dire che la JFA non ha lavorato al meglio. Nonostante gli aggiustamenti, i cambi e le prospettive negative pre-Mondiale, quando si è in doppio vantaggio a mezz'ora dalla fine, la gara va portata a casa.
Anche perché "portarla a casa" avrebbe voluto dire giocare il primo quarto di finale nella propria storia a un Mondiale. E quanto avrebbe significato per una nazione che trent'anni fa non era neanche lontanamente vicino al Mondiale, anzi giocava la prima Coppa d'Asia di sempre? Tantissimo. Ma la gestione della partita è stata tremenda.
Dopo un ottimo game plan in campo, eseguito bene e senza grossi rischi (se escludiamo il palo di Hazard), Nishino avrebbe forse dovuto reagire all'entrata di Chadli e Fellaini a mezz'ora dalla fine. Un cambio sarebbe servito più di altri, ovvero inserire un terzo centrale e passare a un 3-5-1-1, inserendo Ueda al posto di Haraguchi.
Il centrale dei Kashima Antlers - molto forte nel gioco aereo - avrebbe permesso di respirare nei duelli aerei, che sono stati la chiave della rimonta belga. Una squadra super-spinta per il suo gioco e le sue stelle ha dovuto ricorrere alla forza bruta per rimontare, sfruttando l'ingenuità giapponese e i cambi tardivi di Nishino.

Un momento bellissimo, il 2-0 di Inui. Poi il pata-trac e la rimonta.

Un trio difensivo con Ueda, Shoji e Yoshida avrebbe magari faticato in fase d'impostazione, ma con il doppio vantaggio dalla propria, poco sarebbe importato. E invece il gollonzo di Vertonghen - secondo me voluto dal centrale del Tottenham, complice anche la poca attenzione di Kawashima - ha cambiato l'inerzia della gara. Per sempre.
Guardate il 2-2: c'è qualcosa che il Giappone potrebbe aver fatto diversamente? No. Quello è forse l'unico dei sette gol subiti a questo Mondiale su cui i Samurai Blue non potevano far nulla. Fellaini è accoppiato a Hasebe, che gli rende più di 10 centimetri. E a parte Hazard (destinato a battere i corner), non era rimasto più nessun "piccolo" da difendere. 
Il finale è stato agonico, con la sensazione che il Giappone pensasse ai supplementari, ma che al tempo stesso potesse trovare un guizzo tramite il suo giocatore più iconico. Keisuke Honda è entrato e ha giocato appena 15', ma ha avuto due palloni pesanti sul suo piede per svoltare la gara, tra cui una splendida punizione da 30-35 metri.
Sventato il pericolo sul fendente del mancino nipponico, il Belgio ha raccolto la palla dal conseguente angolo e ha liberato i suoi centometristi. Kevin de Bruyne, limitato ottimamente da Osako e Kagawa per tutta la gara, si è ritrovato con campo libero e superiorità numerica: da lì, palla a Meunier e poi a Chadli, che ha chiuso la partita.
L'uscita è forse giusta, sia per le ingenuità che per le occasioni create. Ma sul 2-0 e con la situazione al 60', fa malissimo aver visto quanto successo ieri a Rostov sul Don. Il Giappone deve ripartire con la consapevolezza che c'è del materiale su cui lavorare e che la Coppa d'Asia è vicina, ma i rimpianti rimarranno. Così come sono rimasti per il 2010 e per il 2002.
E adesso? Adesso la JFA dovrà decidere cosa fare. Keisuke Honda pare aver optato per il ritiro dalla nazionale, così come Gotoku Sakai. Ma la scelta più importante sarà quella dell'allenatore: ho un'idea sul futuro e sul successore di Nishino (che ha comunque fatto un buon lavoro), ma c'è anche la possibilità che l'ex tecnico del Gamba Osaka veda il suo contratto rinnovato.
Il Giappone ha segnato i primi gol in un match della fase a eliminazione diretta. Ha segnato il maggior numero di gol mai fatti a un Mondiale. Ha raggiunto gli ottavi per la terza volta nella sua storia (prima asiatica a farlo), sfiorando un upset da capogiro. Ma ci vuole molto più per stabilizzarsi a questi livelli, è bene ricordar(se)lo.

Akira Nishino, 63 anni, ha fatto un lavoro deegno di applausi.