Negli ultimi anni, è diventato un classico di questo mondo calcistico pieno di (petrol)dollari: l'equazione soldi = successi sta prendendo sempre più piede nel mondo sportivo ed è sopratutto il pallone rotondo a non esimersi da questa possibile accoppiata. A dargli il via erano stati i soldi dei vari proprietari delle squadre calcistiche del mondo, alcune in grado di spendere grandi cifre per giocatori sulla cresta dell'onda: chi si scorda i 100 miliardi di lire sborsati dall'Inter di Moratti per avere Christian Vieri dalla Lazio nel 1999? Oppure, qualcuno si è dimenticato dei 150 miliardi di lire spesi dal Real Madrid nell'estate del 2001 per portare Zinedine Zidane da Torino, sponda bianconera, ai blancos? Certo che no.
E la vicenda del passaggio di Ibrahimovic e Thiago Silva non ha fatto altro che far pensare a queste follie economiche. Per molti politici francesi, in un periodo di crisi e di austerità forzata, le cifre di questo doppio trasferimento sono state definite "indecenti". Non a torto, ma va detto che il calcio è un business: immettere sul mercato somme simili in un momento di crisi mondiale non è certo illegale, ma è sicuramente immorale. Ma non bisogna neanche sembrare ingenui: non è la prima volta che viene spesa una cifra così importante e non sarà neanche l'ultima: basta dare un'occhiata alla storia del calciomercato degli ultimi anni..
Zinedine Zidane (40 anni) ai tempi del suo trasferimento dalla Juventus al Real Madrid.
Il rapporto tra soldi spesi in fase di mercato e successi alla fine della stagione non è sempre una garanzia, un'equazione perfetta; anzi, a volte può succedere che i soldi non portino ai risultati sperati oppure che i soldi non ci siano proprio e che l'enorme somma di denaro in arrivo è solo una gran farsa.
Vi sono casi di successo derivato dai soldi: non mi soffermo sui trasferimenti in sede di calciomercato da parte di potenze come Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco o Manchester United: queste squadre possono permettersi certe spese perché sono supportate da uno stadio di proprietà, da ricavi più ingenti rispetto a tante altre compagini nel mondo grazie ad un pubblico appassionato (il Bayern ha già finito gli abbonamenti da una decina di giorni..), ma sopratutto perché supportate da un marketing che non ha precedenti altrove e che porta molti soldi nelle casse di queste super-potenze del calcio.
Basti pensare al Chelsea, comprato da Abramovich nel 2003: prima di quella data, il Chelsea era una società di media classifica nel panorama inglese, nonostante negli ultimi anni fosse uscita allo scoperto grazie alla gestione italiana, prima di Vialli e poi di Ranieri. Dopo un'epoca di pochi successi negli anni '60, la rinascita era stata possibile grazie ai successi ottenuti sotto la guida dell'ex attaccante di Sampdoria e Juventus. Con Abramovich, cominciano le spese folli: nella sua prima estate come presidente, arrivano Glen Johnson, Geremi, Bridge, Duff, Joe Cole, Veron, Mutu, Crespo, Parker e altri per la cifra totale di ben 121 milioni di sterline, di fronte a delle entrate di quel primo calciomercato di ben 500mila sterline.. nonostante i tanti soldi spesi, al primo anno non arrivò nessun trofeo; anzi, la delusione fu doppia, con il secondo posto dietro l'invincibile Arsenal di Wenger e la semifinale persa contro il Monaco in Champions League. Esonerato Ranieri, arrivò Mourinho con tutti i successi che conosciamo: due Premier League, due Coppe di Lega, una Charity Shield ed una F.A. Cup. L'importantissima coppa d'Inghilterra è stata nuovamente conquistata anche sotto la gestione Hiddink e durante quella di Carlo Ancelotti, che in due anni di reggenza al Chelsea ha portato a casa anche una Premier League ed una Charity Shield.
Ma il sogno di Roman Abramovich è stato sempre uno: la Champions League. Ci è arrivato vicino in molte occasioni, con la finale di Mosca del 2008 ed il rigore sbagliato da Terry, scivolando sul prato bagnato del Luznhiki. Per non parlare delle tre semifinali perse (due contro il Liverpool ed una contro il Barcellona) tra il 2005 ed il 2009; insomma, sembrava una maledizione, nonostante i milioni di euro spesi negli anni per comprare i vari Torres, Shevchenko, Essien e Drogba. Nulla sembrava possibile. Invece, proprio nella stagione che sembrava essere fallimentare dopo il regno di André Villas-Boas, Roberto Di Matteo ha trovato il modo di far felice il proprio "chief" nella maniera più pazzesca che si potesse immaginare: semifinale con il Barcellona passata con una decina di tiri (neanche tutti in porta), finale sofferta contro il Bayern a Monaco di Baviera e vinta ai rigori con un cuore (ed una fortuna) straordinari.
Un felicissimo Roman Abramovich (45 anni) ha finalmente conquistato la Champions.
Quindi in fondo, i soldi portano risultati. Lo stesso esempio lo possono portare altre due realtà: la prima è quella del Manchester City. I "Citizens", la metà meno famosa dell'universo pallonaro di Manchester, non riuscivano quasi mai ad avere la meglio sui Red Devils di Sir Alex Ferguson e lo United ha portato a casa maree di trofei, mentre il City faceva l'ascensore (sopratutto negli anni '90) tra Premier League e First Division, giocando per una stagione persino in Second Division. Ma ciò non è contato nulla quando poi sono arrivati i nuovi proprietari: nel 2007, arriva Thaksin Shinawatra, business-man thailandese che compra la squadra 81 milioni di sterline; con lui, arrivano Rolando Bianchi, Petrov, Corluka, Elano, Caicedo e Bojinov ed in panchina viene preso Sven-Goran Eriksson. I risultati non saranno esaltanti: un nono posto in campionato, poco o niente nelle coppe nazionali. A quel punto, complici anche disaccordi con la guida tecnica, Shinawatra decide di cedere il Manchester City dopo appena una stagione, nella quale intanto il Manchester United ha vinto la Champions League e la Premier. Cede la proprietà della squadra allo Abu Dhabi United Group, capeggiato da Khaldoon Mubarak (eletto nuovo presidente) e comprato da questo conglomerato industriale per ben 200 milioni di sterline: una fortuna.
Non basta: quell'anno arrivano Jo, Kompany, Wright-Phillips, Bellamy, De Jong, Bridge e sopratutto Robinho dal Real Madrid. Anche qui, i risultati scarseggiano, visto il deludente decimo posto in campionato, parzialmente riscattato da un buon cammino europeo in Coppa UEFA, giunto fino ai quarti. Con l'arrivo anche di Roberto Mancini alla guida tecnica, dal Dicembre 2009, la squadra ha fatto il salto di qualità necessario, possibile anche grazie ad altri acquisti come quelli di Tevez, Dzeko, Silva, Balotelli (solo per fare alcuni nomi) ed alle maturazioni di Richards e Hart: nel 2011 è arrivata la vittoria in F.A. Cup, quest'anno quella in Premier League, nel più incredibile finale della storia della competizione, proprio ai danni degli odiati cugini dello United. Certo, a livello europeo il City deve ancora fare il salto di qualità, rivelando così ancora l'impossibilità da parte di Mancini di fare buone figure in Europa: un difetto, per altro, già palesato ai tempi dell'Inter. Vedremo se si migliorerà anche sotto questo punto di vista.
L'altro esempio che porto è un esempio "in fieri" da tempo relativamente minore: è quello del Malaga. La società andalusa venne rilevata nel 2006 dall'ex presidente del Real Madrid, Fernando Sanz, senza però grossi risultati; la svolta arriva poi nel Giugno del 2010, quando il Malaga viene comprato da Abdullah Al Qatari, investitore del Qatar con i famosi "petroldollari" a sostenerlo. Il Malaga non ha mai avuto una grandissima storia, è sempre stata una squadra a cavallo tra la Liga e la Segunda Division: anzi, nel 199?, il Club Deportivo Malaga si fonde con l'Atletico Malagueno (la squadra delle riserve) e diventa il Malaga Club de Futbol, costruendo la sua storia in maniera diversa dal club precedente, seppur simile per colori e basi della propria tradizione calcistica.
Dall'acquisto di Al Thani, la squadra ha cominciato a comprare giocatori a costi e prezzi ben superiori alla precedente proprietà; la prima mossa che ha dato una decisa sterzata è stata l'ingaggio di Manuel Pellegrini, reduce da un'esperienza non felice al Real Madrid. Il tecnico cileno, famoso per i suoi magici trascorsi al Villareal, ha reso il Malaga una buona squadra; se poi ci aggiungiamo gli acquisti di Maresca, Demichelis, Sergio Asenjo, ma sopratutto di Julio Baptista (decisivo nel calcio spagnolo, sulla falsariga di Ibra nella Serie A), la squadra ha cambiato decisamente registro. Ultimo alla fine del girone d'andata, il Malaga si salva a suon di risultati utili consecutivi e di partite straordinarie; a quel punto, l'estate successiva si punta più in alto, comprando anche Van Nistelrooy, Nacho Monreal, Mathijsen, Sergio Sanchez, Isco, Toulalan, Kameni e sopratutto Santi Cazorla. L'annata si conclude con un risultato sperato, ma comunque incredibile: la qualificazione in Champions League certifica il buon lavoro in quel di Malaga e la possibilità non di sorprendere Barcellona e Real Madrid, ma di potersi piazzare ogni anno dietro questo duo quasi irraggiungibile.
Kolarov (26 anni), David Silva (26), Yaya Touré (29) e J. Boateng (23):
quattro acquisti del City nell'estate 2010.
Vi sono anche momenti in cui i soldi servono a poco. Basta dare un'occhiata alla Championship inglese, ovvero l'equivalente della nostra Serie B: parecchi fondi d'investimento stranieri si sono buttate su squadre di categoria inferiore nel calcio inglese, in modo da costruirvi qualcosa per poi portare queste realtà nella massima serie e raggiungerci, perché no, anche l'Europa. Ma niente da fare: i malesiani hanno comprato il Cardiff City, salvandolo dalla bancarotta e dall'amministrazione controllata, senza però riuscire a portarlo in Premier League, nonostante sia regolarmente ai play-off ogni anno; i thailandesi hanno messo piede a Leicester, portando anche Sven-Goran Eriksson, che però ha fallito anche in quest'ulteriore avventura; il Birmingham, invece, è stato da un gruppo di investimenti di Hong-Kong, portandoli in Europa ma anche in Championship.. insomma, vicende contraddistinte da luci ed ombre non tipiche di chi porta molti soldi e, secondo alcuni, molti successi.
C'è poi chi, diciamolo volgarmente, "rimane fregato": è successo al Racing Santander, comprato da un investitore indiano - tale Syed Ali Ashan - nel Gennaio 2011, voglioso di rendere il Racing una delle squadre più potenti di Spagna.. salvo poi scappare qualche mese dopo insieme a tutto il CDA della società. Una vicenda che ha del grottesco e che dimostra come non sempre il benefattore, "the man with the money" è la soluzione a tutto.
Hector Cuper (57 anni), una brutta esperienza in quel di Santander.
Ora c'è l'avventura del PSG. Che ha portato già diversi giocatori al capezzale di Leonardo ed Ancelotti: Lavezzi, Pastore, Sirigu, Alex, Lugano, Menez, tutti pronti a vincere tutto con la casacca della squadra di Parigi. A loro, si sono aggiunti i due extra-terresti, Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva. Il buon vecchio Ibra ha avuto il coraggio - sì, coraggio - di definire la Ligue 1 un campionato in ascesa. Di certo, come la Germania nel 2006, l'organizzazione degli Europei del 2016 in Francia e la conseguente rimodernizzazione degli stadi porterà qualche vantaggio ai club francesi. Ma definire il calcio francese in crescita solo perché il PSG compra tutto il mondo calcistico pare leggermente fuori contesto, un'impossibile previsione da realizzare. Per altro, chissà se questo squadrone vincerà la Champions: sicuramente dominerà la Ligue 1 per diversi anni, a meno che il Monaco comprato dai russi non ritorni nella massima serie francese e dia filo da torcere ai parigini. O a meno che non esca "un altro Montpellier" sulla strada di Ibra e soci. Vedremo. Una cosa è certa: meglio attendere prima di sparare giudizi. I soldi sono sintomo di possibilità, non di certezze.
Un sorridente Zlatan Ibrahimovic (30 anni) all'ombra della Torre Eiffel.
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