30.1.15

ROAD TO JAPAN: Ryota Morioka

Buongiorno a tutti, ragazzi! Benvenuti nel 2015 e nel primo numero di "Road to Japan", la rubrica che vi permette di scoprire i migliori talenti del panorama nipponico. Oggi ci spostiamo in quel di Kobe, dove il Vissel promette di lottare per il titolo nella stagione che verrà. Se l'arrivo di Nelsinho Baptista in panchina è importante, sarà altrettanto fondamentale il rendimento del loro numero 10, il trequartista Ryota Morioka.

SCHEDA
Nome e cognome: Ryota Morioka (森岡 亮太)
Data di nascita: 12 aprile 1991 (età: 23 anni)
Altezza: 1.80 m
Ruolo: Trequartista
Club: Vissel Kobe (2010-?)



STORIA
Nato a Jōyō nella prefettura di Kyoto, Morioka è un classe '91 cresciuto nel Liceo Kumiyama, dove sviluppa le sue doti e viene dotato quando è appena un 18enne. Sia il Cerezo Osaka che il Vissel Kobe lo vorrebbero, ma Morioka sceglie la seconda alternativa. Nel 2009 inizia così la sua avventura in J-League, sebbene il ragazzo debba aspettare un anno per esordire: il suo tecnico Masahiro Wada lo lancia in prima squadra nonostante il club sia impegnato nella lotta per la retrocessione. Il 23 ottobre 2010 Morioka colleziona la prima presenza in J-League contro i futuri campioni del Nagoya Grampus.
Accortisi del suo talento, a Kobe hanno intenzione di dar più spazio a Morioka: dalle otto presenze del 2010 si passa alle 24 dell'anno successivo, dove arrivano anche le prime reti da professionista. In una settimana segna una tripletta alla Sanyo Electric Sumoto in Coppa dell'Imperatore, poi la prima rete in J-League contro lo Shimizu S-Pulse. Il sentiero è tracciato per la sua crescita, che però in qualche modo si blocca. Allo stesso modo, anche il Vissel Kobe fa fatica e nel 2012 arriva la retrocessione in seconda divisione per un solo punto: un boccone mal digerito per una società tra le più ricche in J-League.
A quel punto, cambia lo scenario. A Morioka viene affidato il numero 10 e il nuovo allenatore del club è Ryo Adachi, che aveva fatto da manager ad interim nel finale della stagione 2012. La scelta è giusta e il club risale immediatamente in J1, ma l'esplosione di Morioka tarda ancora ad arrivare. Nel finale del 2013, il contributo del trequartista però è fondamentale con cinque reti e otto assist. A fine anno il Cerezo Osaka ci riprova, ma Morioka decide di rimanere a Kobe.
La vera stagione di svolta è il 2014: tornato in J-League, il Vissel si affida un reparto offensivo ben fornito. Nel 4-2-3-1 di Adachi spuntano la velocità degli esterni Ogawa e Pedro Junior, più l'esperienza da centravanti di Marquinhos. Ma il salto più grande lo compie proprio Morioka: 41 presenze stagionali, 7 reti realizzate e sopratutto 10 assist. A fine anno, il ragazzo ottiene anche il Fair-Play Award ai J-League Awards.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Sembra incredibile, ma la somiglianza con Hiroki Yamada è straordinaria. Stesso numero, stesso capello lungo, stessa capacità straordinaria di giocare con entrambi i piedi senza problemi (anche se Morioka è mancino). Dal punto di vista tecnico, i due si prendono nonostante i tre anni di differenza con il numero 9 del Karshulhe. Se condividono molto nel dribbling, l'unica differenza si può trovare nello stile di gioco: Yamada è un finalizer, uno che trancia in due le difese avversarie con la palla al piede. Per Morioka è diverso: preferisce l'assist al tiro forzato.
Dal punto di vista tattico, invece, qualche differenza la si trova. Basti pensare al fatto che Yamada preferisce partire dalla fascia, mentre Morioka è il classico "10": trequartista centrale, dietro alle punte e niente eccezioni. Nonostante preferisca l'assist al tiro, non bisogna però sottovalutare il gran tiro di Morioka: il ragazzo è stato premiato dagli dei del calcio con una gittata niente male. Può giocare anche da centrale di centrocampo o come seconda punta.

STATISTICHE
2010 - Vissel Kobe: 8 presenze, 0 reti
2011 - Vissel Kobe: 24 presenze, 5 reti
2012 - Vissel Kobe: 26 presenze, 2 reti
2013 - Vissel Kobe: 19 presenze, 5 reti
2014 - Vissel Kobe: 41 presenze, 7 reti

NAZIONALE
Il 2014 è stato un anno di crescita ed esplosione per Morioka: Zaccheroni non ha avuto il tempo per notare i suoi progressi in chiave nazionale, in un ruolo dove per altro c'è una fioritura spaventosa. Così ci ha pensato il nuovo ct Aguirre a chiamare il talento del Vissel per le sue prime partite. Per Morioka è arrivato anche l'esordio con la Nippon Daihyo contro l'Uruguay. Due presenze che fanno ben sperare per il futuro, anche se conquistarsi dello spazio non sarà facile.

LA SQUADRA PER LUI
L'ideale sarebbe un altro anno di crescita a Kobe, dove il 2015 potrebbe essere un anno di ulteriore svolta nella crescita del ragazzo. Morioka è un classe '91, non ha il tempo a corrergli contro: giusto che continui a maturare in Giappone. Se a dicembre prossimo il suo rendimento fosse ulteriormente migliorato, allora un salto in Europa non sarebbe un'utopia.

28.1.15

Finché c'è Coppa non c'è speranza.

Triste il destino della Coppa Italia: in questi giorni si giocheranno i quarti di finale, ma come al solito né le società né gli spettatori hanno avuto voglia di seguirla allo stadio. Meglio la tv, anche perché la Rai ne ha l'esclusiva. Non bisogna però dare loro torto: per come è organizzata attualmente, la coppa nazionale è solamente un incubo. Mal gestita, con una formula incomprensibile e con quella voglia (neanche lontanamente soddisfatta) di assomigliare alla F.A. Cup.

Il modello da seguire è la F.A. Cup. Forse...

Le presenze di questi giorni sono deludenti. Ieri per Milan-Lazio allo stadio San Siro c'erano ben 9672 spettatori paganti. Uno scenario deprimente per una coppa che di strada ne ha fatta tanta. La Coppa Italia negli anni '80 e '90 ha rappresentato un momento importante di sviluppo per molte squadre. Penso al Parma dei Tanzi oppure al magico Vicenza di Guidolin. O alla Sampd'oro, che vinse tre coppe nazionali prima di lanciarsi nella conquista dello scudetto e nello stupire l'intera Europa (Koeman permettendo).
Oggi non è più così, perché la Coppa Italia è vissuta come un fastidio prima di tutto dagli stessi club. Ogni tanto qualcuno se ne esce con la frase: «La Coppa Italia è il nostro scudetto/la nostra Champions» (case in point), ma alla fine non è mai così. Questo è dovuto anche alla formula della competizione. Dal 2010-11 è solo la Lega di Serie A (e non più la Lega Nazionale Professionisti) a gestire la competizione. E non è un caso che le presenze stiano colando a picco da quando c'è stato questo cambio di management.
Gli unici cambiamenti positivi avuti nell'ultimo decennio sono stati l'inserimento delle squadre di Lega Pro e Serie D, nonché la creazione della finale unica con sede nella capitale (per altro presente in altre competizioni da parecchio tempo). Con la cancellazione della Coppa delle Coppe, la Coppa Italia ha perso però importanza: non sei più proprietario di un potere esclusivo, bensì solo una delle tante squadre che va in Europa League. Eppure si continua a blaterare di modelli esteri.
Il sogno è l'F.A. Cup, dove però giocano anche le squadre dilettantistiche. Dove delle volte le grandi vanno sui campi di periferia, cosa che invece qui non capita praticamente mai. Ce la vedete la Juventus a Bra o il Napoli a Torre Annunziata? Sembra impossibile in Italia. Anche in Spagna e Francia c'è questa pratica. Meno in Germania, dove però la DFB-Pokal regala qualche emozione. Ci sono delle sorprese: il Duisburg in finale nel 2010-11, il Wigan vincitore nel 2012-13 o i dilettanti del Quevilly che sfiorano il trofeo nel 2011-12. Invece in Italia la coppa non è uscita dal triangolo Napoli-Roma-Milano dal 2002, quando il Parma collezionò l'ultimo trofeo dell'epoca Tanzi prima di esser travolta dal crac Parmalat.

Marek Hamsik, 27 anni, l'ultimo capitano ad alzare la Coppa.

Eppure qualche punto positivo c'è. La Coppa Italia è in grado di regalare qualche storia: anche nella formula che ormai regna da un decennio, è stata creata la rivalità Roma-Inter. Il Palermo e la Samp sono riuscite ad arrivare in finale, mentre il Napoli ha riabbracciato i trofei grazie alla competizione nazionale. E il derby romano del 2013 è stato un media event per il calcio italiano, con effetti che ancora oggi si fanno sentire: vivendo a Roma, ve lo posso confermare. Per cui la Coppa Italia ha effettivamente del potenziale.
Le soluzioni sono possibili, ma non sono in mano solo alla Federazione Italiana. L'Uefa dovrebbe innanzitutto riportare in auge la Coppa delle Coppe. Mi dispiace dirlo, ma l'Europa League così larga interessa fino a un certo punto. Qualcuno mi dirà: come si fa con la Supercoppa Europea? Ora si giocano il trofeo i vincitori dell'Europa League e quelli della Champions. La risposta è semplice: diventa un triangolare disputato in una sola serata con sede da stabilire ogni anno. Stile Trofeo Moretti, ma con un vero premio e con tre super-squadre (in teoria) a giocarselo.
Cosa può fare l'Italia? Qualcosa ci sarebbe. Innanzitutto è inutile parlare di F.A. Cup se poi certi scenari sono impossibili: bisogna cominciare a dare il vantaggio del campo alle squadre più deboli nel ranking del sorteggio. Un modo anche per far incassare più soldi alle società meno abbienti. Esempio: quest'anno c'è stata Lazio-Bassano Virtus al 3° turno nell'agosto scorso. Risultato: 7-0 per i biancocelesti. Paganti in tribuna: 9534. Pochini. Forse spostare la partita in casa del Bassano avrebbe portato una percentuale di presenze più alta. Certo, i supporters laziali stanno ancora protestando contro Lotito. Allora prendiamo come esempio - nello stesso turno - Virtus Lanciano-Genoa 0-1: con gli abruzzesi padroni di casa, 3116 presenze sulle 4600 che lo Stadio Biondi poteva contenere. Una grande percentuale di presenti.
Come ha riportato "La Gazzetta dello Sport" dopo il quarto turno, il dato sulle presenze è deludente. Perché gli stadi italiani sono vecchi. Perché le squadre non sono interessate alla competizione. E sopratutto perché la rassegna non è valorizzata affatto. Basta vedere il confronto con le cifre delle altre coppe nazionali (qui). Cosa resta da dire? Forse c'è da ricordare quello che disse un famoso allenatore del Milan nel gennaio 2008 dopo un'eliminazione con il Catania agli ottavi: «Sarebbe stato fastidioso andare avanti». Parole di Carlo Ancelotti, allenatore della squadra che all'epoca era campione del mondo. Siamo senza speranze.

Uno striscione dei tifosi Samp nello scorso dicembre.

23.1.15

Destini contrapposti.

Giorni di gennaio, d'inverno e calciomercato. Gli affari proliferano, i giocatori cambiano maglie e diverse operazioni sono state già messe a segno. A Roma e a Madrid hanno optato per la follia, seppur in due lati diversi della medaglia. I giallorossi hanno ceduto un promettente prospetto per un tozzo di pane (o sarà questo tra qualche anno), mentre i Blancos si sono buttati sul wonder kid del calcio norvegese.


Tin Jedvaj ha recentemente salutato la Capitale in maniera definitiva: dopo esser stato prestato al Bayer Leverkusen per un biennio, le Aspirine hanno approfittato della mancanza di prospettiva della Roma e della pausa invernale in Bundesliga per comprare a titolo definitivo il giovane difensore croato. Classe '95, la Roma l'aveva acquistato nell'estate del 2013 per cinque milioni di euro dalla Dinamo Zagabria: investimento pesante, che però non ha permesso a Jedvaj di sfondare in prima squadra, visto che Garcia non dà grossa fiducia ai giovani giallorossi.
Così il croato ha giocato l'anno scorso con la Primavera. Ricordo perfettamente di aver assistito a un Roma-Sampdoria dei giovani e di essermi chiesto perché non fosse in prima squadra. La risposta me l'ha data la stessa Roma qualche mese dopo, quando ha deciso di prestare il ragazzo al Bayer Leverkusen per due anni. Non a una squadra di Serie B tedesca, ma a un club che gioca la Champions. Da lì Jedvaj ha tolto il posto a Donati e si è imposto come terzino destro. Lo score stagionale è di 21 presenze e due gol con i tedeschi, mentre nel 2013-14 Jedvaj aveva giocato appena 97' in stagione, tutti contro il Genoa (7' all'andata, 90' al ritorno a campionato finito).
Logico che le Aspirine non si siano lasciate sfuggire l'occasione e abbiano acquistato il croato a sette milioni di euro più bonus. Per quanto riguarda il singolo caso giallorosso, l'impressione è che il d.s. Sabatini si diverta a giocare a Football Manager. Ha ragione quando dice che comprare giovani, valorizzarli e poi venderli è la miglior risorsa per crescere (i casi Marquinhos e Lamela insegnano). Diversa però è la bulimia da mercato, nella quale si comprano 10mila giovani per fargli mettere assieme tre presenze con la Roma e poi venderli al primo che passa.
Senza per forza citare Paredes, Ucan, Sanabria (dov'è finito), ma Jedvaj ha collezionato ben due presenze con i giallorossi. Poche, troppo poche per esser silurato con tanta leggerezza. Anche perché la Roma non ci ha neanche guadagnato economicamente con questa cessione, se pensate che il plus segnato a bilancio sarà di appena due milioni di euro in un anno e mezzo. Rimango convinto che tra qualche anno la Roma si mangerà le mani, perché non è con gli Astori e con i Castan che si diventa grandi. E in quest'operazione si capisce anche perché la Serie A soffre la Bundesliga: i campioni (reali o potenziali) glieli regaliamo. Tutto normale.

Tin Jedvaj, 19 anni, saluta la Roma e si accasa al Bayer.

E mentre a Roma avveniva questa follia di mercato, a Madrid ne aveva luogo un'altra. Per carità, al Real ci sono altre risorse economiche e altre possibilità (come la seconda squadra in Liga Adelante e non in Primavera). Tuttavia il passaggio di Martin Ødegaard in blanco mi ha un filino intristito. Nessuno nega il talento del ragazzo, che è sotto gli occhi di tutti, ma preferirei ricordare un paio di storie italiane e una internazionale sul profilo di quest'acquisto.
Vincenzo Sarno è un ala classe '88 che oggi gioca a Foggia, ma che a 11 anni venne comprato dal Torino per 110 miliardi di lire. Una somma ridicola, ma che ha gravato sulle spalle del ragazzo per tutta la vita: dopo un gran girovagare tra Lega Pro e qualche sprazzo di B, oggi è in Puglia. Per non parlare di Freddy Adu oggi è disoccupato dopo esser stato anche sulla copertina di Fifa. A 15 anni era un fenomeno, tanto da aver esordito con gli Stati Uniti al livello di nazionale maggiore. Dopo tanto girovagare europeo, un passaggio in Brasile e un'esperienza mediocre in Serbia, Adu è rimasto senza squadra. Insomma, l'esaltazione è un'emozione istantanea e passeggera.
C'è già chi esagera e chiama Ødegaard La Perla Noruega: quale perla? Si parla di un ragazzo di 15 anni, che ha ancora tutto da dimostrare, ma che forse sopratutto doveva esser lasciato crescere con calma. Rimanere allo Strømsgodset per un altro paio di stagioni, in una squadra dove tutti lo amavano, forse sarebbe stato meglio. E lo stesso Real avrebbe potuto comprarlo e lasciarlo in Norvegia per un biennio. Anche perché il ragazzo - trequartista classico - ha giocato appena una stagione nella Tippeligaen: un po' poco per dire che sia un fenomeno dal futuro assicurato, nonostante abbia già esordito in nazionale maggiore. Non posso che augurargli buona fortuna, ma l'esempio di Sergio Canales non ha portato bene.

Martin Odegaard, 15 anni e un presente al Real Madrid.

16.1.15

African Cup of Nations 2015 special: una nuova genesi (parte II).

Non c'è la Nigeria campione d'Africa. Non c'è neanche il Marocco, che avrebbe dovuto ospitare questa competizione. La trentesima edizione della Coppa d'Africa parte con una grande confusione: ci sono almeno 3-4 favorite. Oggi parliamo della parte più forte del tabellone: il girone C può esser tranquillamente definito quello della morte, mentre nel D ci sarà da combattere. Ecco la seconda parte di questo speciale!


Girone C - Ghana, Algeria, Sudafrica, Senegal
 Quattro squadre che nei gironi A e B sarebbero passate tutte da prime (qualche dubbio giusto sul Sudafrica). Iniziamo dal Ghana, che è uscito deluso dal Mondiale brasiliano: il gruppo era alla portata ed è rimasto qualche rimpianto troppo. Il solo punto conquistato contro i futuri campioni del Mondo tedeschi dimostra che qualcosa di buono c'era. Poi la cacciata del ct Appiah e l'arrivo di Avram Grant, che si butta nel mondo dell'international managing. L'ex tecnico Chelsea e Portsmouth è tuttora anche d.t. dei thailandesi del BEC Tero Sasana, ma ha trovato modo di iniziare questa nuova avventura. Il Ghana è una squadra promettente, con sempre nuovi giovani che si affacciano in prima squadra (Baba, Acheampong, Amartey). Eppure i "vecchi" hanno al massimo 25-26 anni. Tuttavia, il riferimento rimane Gyan Asamoah: il capitano delle Black Stars è alla sua quinta Coppa d'Africa e stavolta vuole vincerla. Se passasse il girone, il Ghana ha delle buone possibilità, nonostante l'addio ai grandi vecchi (Essien e Muntari) e agli opportunisti (Kevin-Prince Boateng). Nelle top 4 nelle ultime quattro edizioni, il Ghana non vince la rassegna dal 1982.
Chi è uscito alla grande dal Mondiale è stata l'Algeria: il Mondiale della truppa di Vahid Halilhodžić è stato straordinario e le Volpi del Deserto sono state forse la squadra che ha fatto più soffrire la Germania nel suo cammino verso il titolo. Dopo il grande exploit brasiliano, è arrivato Christian Gourcuff, reduce dal miracolo Lorient. Il francese non ha cambiato molto, ha solo dato un gioco più spettacolare alla quadrata Algeria: risultato riuscito, visto il primo posto nelle qualificazioni e lo status di favorita principe. Anche qui il titolo manca dall'edizione casalinga del 1990. E nelle ultime cinque edizioni - se escludiamo il 4° posto del 2010 - ci sono state solo delusioni. Tempo di riprendersi perciò, tramite un gruppo solido e che può contare sul miglior giocatore africano del momento: Yacine Brahimi, che sta facendo meraviglie al Porto. Insieme a lui M'Bolhi, Ghoulam, Feghouli, Djabou, Slimani e Soudani. Insomma, un gruppo che promette bene.
 Il Sudafrica riparte forse con la compagine più rinnovata rispetto a due anni fa. Gli eroi che hanno fatto l'epoca del Mondiale e della Confederations Cup sono quasi tutti andati via: addio al bomber Mphela, al portierone Khune, al centrale Khumalo, agli esperti Tshabalala e Dikgacoi. Mettiamoci anche la morte di Senzo Meyiwa, storico portiere degli Orlando Pirates assassinato nell'ottobre scorso, e il quadro è completo. Solo tre dei 23 del Mondiale 2010 sono ancora in squadra. E il cambio nei Bafana Bafana è stato deciso dal suo nuovo ct, quell'Ephraim Mashaba che aveva già guidato la nazionale e che nell'ultimo quadriennio si era diviso tra l'U-23 e l'U-17. Nominato nel luglio scorso, ha fatto tabula rasa e ha avuto ragione: il Sudafrica ha eliminato la Nigeria e ora è a Malabo. Si punta sulle nuove leve e su un gruppo formato da giocatori militanti in patria (18 su 23). Il passaggio del turno sembra impossibile, ma sarà tutta esperienza guadagnata per il futuro.
 La quarta fascia regala anche il ritorno del Senegal in Coppa d'Africa: i Leoni del Teranga riabbracciano la fase finale della rassegna dopo tre anni, ma pescano l'ennesimo sorteggio ingrato. La squadra di Alain Giresse ha fatto un buon cammino di qualificazione, eliminando l'Egitto, ma arriva in Guinea Equatoriale senza due giocatori fondamentali. Il primo è il capitano Mohamed Diamé, infortunato; il secondo è Demba Ba, inspiegabilmente fuori per scelta tecnica. La compagine senegalese è forte e può vantare uno degli arsenali offensivi migliori di tutta l'Africa: Diafra Sakho, Mané, Diouf, N'Doye, Sow e sopratutto Papiss Demba Cissé, rinato negli ultimi tempi a Newcastle. La qualificazione rimane complicata, ma con un ottimo rendimento davanti tutto è possibile.

Yacine Brahimi, 24 anni, stella del calcio africano e dell'Algeria.

Girone D - Costa d'Avorio, Mali, Camerun, Guinea
 Questo è un altro girone complicato: tre squadre per la qualificazione, l'altra tenta il miracolo. La Costa d'Avorio si lecca ancora dal maledetto Mondiale di sei mesi fa: il suicidio contro la Grecia rimarrà impresso come esempio di auto-flagellazione calcistico. Dopo quella gara, Sabri Lamouchi si è dimesso e la federazione si è rivolta a chi di miracoli se ne intende: Hervé Renard ha vinto una Coppa d'Africa nel 2012 con lo Zambia e l'ha conquistata proprio contro la Costa d'Avorio ai rigori. Nelle qualificazioni ci sono stati un paio di passaggi a vuoto, ma chissà se non sia proprio il tecnico francese l'uomo giusto per spezzare la maledizione ivoriana in Coppa d'Africa. Detto addio a Didier Drogba, gli Elefanti ripartono con alcuni grandi vecchi e con un reparto avanzato di tutto rispetto (stile Senegal): non tutti hanno davanti Bony, Lacina Traoré, Doumbia, Gervinho e Salomon Kalou. Mettiamoci anche Yaya Touré ed è ovvio che siano tra i favoriti: va verificata la chimica di squadra.
 Il Mali viene invece da due terzi posti tra 2012 e 2013: il desiderio è di replicare il rendimento degli ultimi anni. Strano che una squadra così forte non abbia mai avuto una reale chance di andare ai Mondiali. Eppure il Mali ha rischiato di non esserci a questa Coppa d'Africa: senza lo 0-0 del Malawi (che invece avrebbe dovuto vincere) in Etiopia, le Aquile non sarebbero in Guinea Equatoriale. La compagine guidata dal polacco Kasperczak (già alla guida del Mali un decennio fa) si regge ancora sull'esperienza del capitano Seydou Keita e sui gol del duo Diabaté-Yatabaré.
 Il Camerun a giugno sembrava finito. Arrivata ultima al Mondiale brasiliano e penultima in quello sudafricano, la squadra era vittima di molti giochi di potere all'interno della federazione e dello strapotere nello spogliatoio di gente come Samuel Eto'o. L'attaccante dell'Everton è sicuramente uno dei migliori giocatori africani della storia, ma ha causato spesso gran trambusto dentro la sua nazionale. Quando c'è stato l'addio di Eto'o al Camerun quest'estate, è cambiato tutto. E questo è avvenuto nonostante Volker Finke sia rimasto al suo posto. Le qualificazioni sono andate benissimo e il Camerun torna in Coppa d'Africa dopo cinque anni. I Leoni Indomabili possono contare su un mix tra giocatori esperti (N'Koulou, Chedjou, capitan M'Bia e Choupo-Moting) e ragazzi giovani e terribili (Aboubakar, N'Jie e i catalani Ondoa e Bagnack). Saranno una squadra molto interessante da osservare.
 Infine, c'è la Guinea: chance di passare zero, ma c'è la felicità di esser tornati nella massima rassegna continentale. Il ct Michel Dussuyer è un esperto del calcio africano: ha portato il Benin alla Coppa d'Africa del 2010 e ha già guidato la Guinea in altre due esperienze continentali. Questo è il suo terzo mandato con i Syli Nationale e l'obiettivo è continuare a crescere. Lo si capisce dai convocati: ci sono ben sei U-21 e undici U-23. Le stelle sono facili da trovare: l'ex milanista Kévin Constant, Mohamed Yattara dell'OL e sopratutto Ibrahima Traoré del Borussia Mönchengladbach.

Vincent Aboubakar, 24 anni, attaccante principe del Camerun.

I pronostici sopra descritti formerebbero questi quarti di finale, con un paio di sfide molto, molto interessanti:

Burkina Faso-DR Congo | Camerun-Ghana
Capo Verde-Gabon | Algeria-Costa d'Avorio

Difficile predirlo, ma sono quattro sfide tutte equilibrate. In grassetto ho evidenziato quelle che secondo me potrebbero andare avanti. Il Burkina Faso conterebbe su uno spirito di squadra più grande, il Camerun sui suoi giovani terribili di fronte a un Ghana forte, ma non proprio coeso. Capo Verde è meno sorpresa di quello che sembri, se avete seguito gli ultimi due anni del calcio capoverdiano, mentre l'Algeria è più solida degli Elefanti di Renard. Queste le semifinali:

Burkina Faso-Camerun | Capo Verde-Algeria

A quel punto ci sarebbe la finale tra la squadra allenata da Christian Gourcuff e quella condotta da Volker Finke. Inutile dire che la Coppa d'Africa - tra le diverse competizioni continentali - è quella a più grande rischio di fallimento nelle previsioni. La ragione è semplice: non c'è mai stata (né forse mai ci sarà) una nazionale in grado di confermarsi al vertice per quarant'anni nel Continente Nero. Troppi cambiamenti, troppe difficoltà a livello nazionale (basta pensare al caso Egitto degli anni 2000). Ergo godetevi questa Coppa d'Africa: se qualcuno emergerà, potrebbe durare il tempo di una stella cadente.

Hervé Renard, 46 anni, spezzerà la maledizione ivoriana?

15.1.15

African Cup of Nations 2015 special: una nuova genesi (parte I).

Non c'è la Nigeria campione d'Africa. Non c'è neanche il Marocco, che avrebbe dovuto ospitare questa competizione. La trentesima edizione della Coppa d'Africa parte con una grande confusione: ci sono almeno 3-4 favorite. Oggi parliamo della parte più debole del tabellone, con i gruppi A e B che sono una sfida ai sorteggi moderni. Occhi sopratutto sul Burkina Faso vice-campione uscente e sulla possibile sorpresa Capo Verde. Ecco la prima parte di questo speciale!


Girone A - Guinea Equatoriale, Burkina Faso, Gabon, Congo
Da eliminati a padroni di casa della competizione, il passo è stato improvviso: la Guinea Equatoriale ospita la seconda Coppa d'Africa nel giro di tre anni grazie alle manovre del presidente Obiang. Tuttavia, per i Nzalang Nacional sarà una competizione difficile: la squadra arriva stravolta alla rassegna, visto che recentemente c'è stato anche il cambio di tecnico. Addio ad Andoni Goikoetxea, da due anni sulla panchina della nazionale e reo di non aver ottenuto buoni risultati. Per replicare i miracolosi quarti di finale di tre anni fa è stato chiamato Esteban Becker, argentino che fino a 15 giorni fa era il d.t. della squadra. Molto si poggia su due giocatori, i più in vista: Emilio Nsue del Middlesbrough e Javier Balboa, ex Real Madrid oggi all'Estoril.
 Diverso il panorama del Burkina Faso, la squadra favorita per la conquista del primo posto del girone. Anche la più rappresentativa dell'edizione del 2013: in mancanza dei campioni uscenti della Nigeria, toccherà a loro il grado più alto. Il ct è rimasto lo stesso, ovvero quel Paul Put che ha messo insieme il miracolo della finale di Johannesburg. Ci sarà Jonathan Pitroipa, MVP dell'ultima Coppa d'Africa e definito da qualcuno "il Giovinco africano" (davvero?!). L'ala dell'Al-Jazira è stata decisiva anche nelle qualificazioni, dove ha segnato in cinque delle sei partite disputate: ogni volta che il Burkina Faso realizzava almeno una rete, c'era la sua firma. In più ci sono il biondo Aristide Bancé (idolo) e i fratelli Traoré, con Bertrand in grande crescita. Il gruppo è solido e poco è cambiato: sono in forma e possono sfruttare un buon tabellone fino alle semifinali.
 Anche il Gabon arriva bene a questa rassegna. Les Panthères puntano al passaggio del girone e possono farlo grazie alla presenza di uno dei giocatori migliori della competizione, quel Pierre-Emerick Aubemeyang che sarà anche il capitano della squadra. L'attaccante del Borussia Dortmund è la stella di una compagine che gioca insieme da anni. Mario Lemina dell'OM era stato convocato, ma il centrocampista ha rifiutato la chiamata del Gabon per sperare in quella della Francia in un prossimo futuro. Il ct è dal 2014 Jorge Costa, ex difensore per un ventennio del Porto: ora il lusitano ha intrapreso la carriera da international manager. Curiosità: ci sarà l'ennesimo incrocio con il Burkina Faso. Sarà la quinta sfida col Gabon negli ultimi tre anni.
 La favola del Congo è sicuramente quella più bella. I Diables Rouges hanno partecipato solo sei volte alla Coppa d'Africa: nel 1972 hanno vinto, nel 1974 hanno ottenuto un onorevole 4° posto. Il Congo torna alla fase finale della competizione dopo 15 anni dall'ultima volta. E nel 2000 la squadra è uscita ai gironi dopo un punto e zero gol segnati: si dovrà e si potrà fare meglio. A ben pensarci, il Congo non avrebbe dovuto neanche esserci: la squadra era stata eliminata al secondo turno delle qualificazioni dal Ruanda, che però è stato squalificato per aver schierato irregolarmente un giocatore. Da lì la cavalcata è continuata e si è conclusa con l'eliminazione della Nigeria e il pass per Malabo. Il merito della qualificazione va sopratutto al francese Claude Le Roy, un personaggio da raccontare. Ha iniziato ad allenare in Africa dagli anni '80, quando ha portato il Camerun al titolo continentale nel 1988. Poi passaggi in Asia (sia nel sud-est che nel Medio Oriente), una capatina a Cambridge per aiutare un giovane Hervé Renard e il ruolo di advisor per il Milan nel 1996. Sarà anche alla sua settima Coppa d'Africa, ma lui non si è ancora stancato. La squadra ha anche una folta rappresentativa di giocatori in patria (8 su 23) ed è forse l'unica che può insidiare il duo favorito per il passaggio del turno.

Jonathan Pitroipa, 28 anni, MVP dell'ultima edizione e stella del Burkina Faso.

Girone B - Zambia, Tunisia, Capo Verde, RD Congo
 Anche qui la testa di serie è la squadra più debole. Lo Zambia non è più lo stesso che ha vinto la Coppa d'Africa nel 2012. Non c'è più Hervé Renard in panchina. I Chipolopolo sono ripartiti dal suo assistente Patrick Beaumelle, ma quando poi Renard ha deciso di ripartire dalla Costa d'Avorio, Beaumelle ha lasciato la carica e alla guida si è issato Honour Janza. Lo Zambia sta rinnovando: dentro i giovani, addio ai grandi vecchi come Musonda, i fratelli Katongo (con il capitano Cristopher cacciato dal training camp a ottobre scorso e mai più chiamato), Chamanga o Mbesuma. L'età-media è molto bassa, con addirittura un solo over 30, l'eccentrico portiere Mweene (se gli gira, batte i rigori e li segna). L'obiettivo è far esperienza e ripartire dal 2017.
 Ben diverso l'obiettivo della Tunisia, che vuole evitare i fiaschi degli ultimi anni. I fasti della Coppa d'Africa vinta nel 2004 sono molto lontani e le Aquile di Cartagine mancano dal Mondiale del 2006. Insomma, c'è stato da lavorare. Forse però è arrivato il momento di raccogliere quei frutti: il ct George Leeskens viene da quattro anni deludenti tra Belgio e Club Brugge, però ha centrato la qualificazione facendo fuori l'Egitto e arrivando primo nel girone. A sorpresa mancheranno Ben-Hatira e Allagui, ma la squadra sembra esserci nonostante una mancanza d'esperienza: il più "presente" ha 46 apparizioni con la nazionale (pochine). Abdennour guiderà la difesa, mentre davanti c'è il materiale migliori: Khalifa, Khazri, ma sopratutto capitan Chikhaoui e l'asso Msakni. Se questi due ingranano, la qualificazione è alla portata. Più no che sì, ma vedremo cosa accadrà.
 Capo Verde è un'altra squadra che può puntare alla qualificazione, ma dovrà fare più fatica rispetto all'edizione di due anni fa. Li avevamo lasciati ai quarti di finale, dove avevano impensierito persino il Ghana. Il loro passaggio del turno a sorpresa era stato accolto con una grande festa in sala stampa e il merito di quel successo era firmato dal Lúcio Antunes, artefice della crescita del calcio capoverdiano. Poi l'addio e l'arrivo di Rui Águas, da tanto tempo fermo, ma voglioso di ricominciare. I Tubarões Azuis si sono qualificati da primi nel girone F e possono essere la mina impazzita non solo del girone, ma del torneo: giocano bene, hanno entusiasmo e hanno quel che serve. Al di là dei singoli, il gruppo sarebbe potuto essere a Brasile 2014: lo schieramento di un giocatore squalificato ne ha pregiudicato la presenza ai play-off contro il Camerun. Peccato, ma possono rifarsi subito.
 La squadra in quarta fascia potrebbe essere la migliore: la Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) si è qualificata come miglior terza e in realtà avrebbe meritato di più dell'ultima pot. Anche perché la squadra ha battagliato con Costa d'Avorio e Camerun nelle qualificazioni, quindi la sua presenza alla fase finale ha i tratti dell'impresa. Alla guida c'è Florent Ibengé, che ha preso la squadra dall'agosto scorso, prima che le qualificazioni iniziassero. La squadra ha qualche nome di rilievo e si fonda in parte sui giocatori locali. C'è Mongongu dell'Evian, la cerniera mediana composta da Mulumbu del WBA e Makiadi del Werder. Ma il bello è davanti: un tridente composto da Cedrick dell'Osasuna, Mbokani della Dinamo Kiev e soprauttto Bolasie del Crystal Palace. Anzi, il buon Yannick sarà una delle stelle di questa rassegna. Guardatevi qualche gara delle Eagles nel 2014-15 e capirete. Un maestro delle skills che ha imbarazzato Christian Eriksen e ha fatto questo in un'amichevole contro il Camerun. Un elastico vivente che deciderà le sorti dei Leopardi.

Yannick Bolasie, 25 anni, possibile MVP di questa Coppa d'Africa.

(continua domani...)

13.1.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Youssef Msakni

Buongiorno a tutti e benvenuti al secondo appuntamento del 2015 con "Under the Spotlight", la rubrica che vi fa scoprire i talenti in giro per il mondo. In questo gennaio, ci sarà un'eccezione: doppio appuntamento, vista la coincidenza tra Coppa d'Asia e Coppa d'Africa, che si disputeranno in questo periodo. Dopo aver parlato dell'Asia, è il turno dell'Africa: Youssef Msakni è un giocoliere tunisino dalla tecnica sopraffina che fa (o tenta di fare) le fortune della Tunisia.

SCHEDA
Nome e cognome: Youssef Msakni (يوسف المساكني)
Data di nascita: 28 ottobre 1990 (età: 24 anni)
Altezza: 1.79 m
Ruolo: Ala, trequartista, seconda punta
Club: Lekhwiya SC (2013-?)



STORIA
Classe '90, Youssef Msakni nasce calcisticamente nello Stade Tunisien. Dopo aver mostrato il suo talento già da minorenne, lo ingaggia l'Espérance, la migliore squadra del paese, nonché compagine della capitale Tunisi. I cinque anni trascorsi con il club sono stati notevoli: nel 2011, Msakni è uno dei migliori giocatori nella conquista della Champions League africana. L'Espérance può contare su di lui, autore di cinque reti: i suoi due gol nelle semifinali contro i sudanesi dell'Al-Hilal saranno decisivi per vincere la competizione. Nel 2012 è anche capocannoniere della Tunisian Ligue e miglior giocatore del paese.
Dopo quattro campionati vinti consecutiva e la conquista della Champions League africana, non c'è più motivo di posticipare il salto verso un'altra lega. Molti si aspettano che il ragazzo approdi in Europa. Magari in Francia, dove ci sono molti club che seguono interessati le sue vicende: Lorient, Monaco, Lille, ma anche il Paris Saint-Germain. Eppure Msakni sceglie l'offerta del Lekhwiya Soccer Club, squadra della Qatar Stars League: il costo complessivo del trasferimento è di 11 milioni di euro (!), mentre al calciatore sarà fornito un lauto stipendio.
L'avventura in Qatar è subito soddisfacente: Msakni non smentisce quanto fatto vedere e diventa già un fattore per il Lekhwiya SC, sia in campo nazionale che asiatico. Il suo rendimento è talmente buono che alcuni club inglesi monitorano la sua situazione e così il Lekhwiya alza il valore della clausola rescissoria. Nel 2014-15, la squadra di Msakni è in testa al campionato insieme all'Al-Sadd, ma il contributo del tunisino non è stato per ora quello delle altre due stagioni in Qatar.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Tecnicamente, il tunisino ricorda la fantasia e la discontinuità del più famoso Jérémy Ménez, ma senza lo scazzo che accompagna il francese del Milan. Lo si vede anche nei suoi gol: il pieno controllo della palla in corsa è forse il tratto più caratteristico del suo estro. Inoltre, ha un destro che non disdegna la legnata dai 20-25 metri per battere il portiere da fuori area.
Tatticamente, Msakni può partire da trequartista offensivo. Può giocare a destra o al centro, ma preferisce partire da sinistra. Il perché è facilmente comprensibile: essendo destro, il fatto di giocare sul lato mancino del campo gli permette di destreggiarsi meglio con il suo dribbling e di calciare immediatamente.

STATISTICHE 
2006/07 - Stade Tunisien: 10 presenze, 2 reti
2007/08 - Stade Tunisien: 18 presenze, 6 reti
2007/08 - Espérance de Tunis: ? presenze, ? reti
2008/09 - Espérance de Tunis: 30 presenze, 4 reti
2009/10 - Espérance de Tunis: 32 presenze, 6 reti
2010/11 - Espérance de Tunis: 35 presenze, 15 reti
2011/12 - Espérance de Tunis: 41 presenze, 21 reti
2012/13 - Espérance de Tunis: 1 presenza, 0 reti
2012/13 - Lekhwiya SC: 16 presenze, 8 reti
2013/14 - Lekhwiya SC: 30 presenze, 13 reti
2014/15 - Lekhwiya SC (in corso): 10 presenze, 4 reti

NAZIONALE
Nonostante la discontinuità che lo caratterizza, Msakni è forse uno dei giocatori più eccitanti del calcio africano negli ultimi anni. La Tunisia non sta attraversando un grande periodo storico né dal punto di vista politico, né da quello calcistico. Il paese ha rovesciato qualche anno fa il suo leader Ben Ali, mentre la nazionale non si qualifica al Mondiale dal 2006. E non va meglio con la Coppa d'Africa, dove il successo o la finale mancano da un decennio.
In questo panorama, l'estroso Youssef è stato uno dei pochi motivi per menzionare calcisticamente la Tunisia. L'esordio è arrivato nel gennaio 2010: un buon test perché Msakni si guadagnasse la convocazione per la Coppa d'Africa di quell'anno sotto la guida di Faouzi Benzarti. Nel 2011, quando ancora è all'Espérance di Tunisi, vince l'African Nations Championship con la sua nazionale: è una particolare versione della Coppa d'Africa, dove possono esser schierati solo giocatori che provengono dal proprio campionato.
Nel 2012 Msakni ci riprova ed è l'unica luce di una Tunisia arrivata fino ai quarti di finale: prima il fantastico gol per la vittoria contro il Marocco, poi lo slalom contro il Niger. L'anno successivo altra Coppa d'Africa, altro show: il suo destro all'incrocio nella gara d'apertura contro l'Algeria non solo decide la contesa tutta nord-africana, ma è anche la rete più bella del torneo. Poi la Tunisia - come lui - si spegne e le Aquile di Cartagine vanno fuori nella fase a gironi.

LA SQUADRA PER LUI
Il ragazzo è da osservare per tanti motivi. Non è solo la tecnica sfrenata e folle del tunisino a renderlo un possibile obiettivo di mercato, ma anche le vicende di mercato. All'apice, ha accettato i petroldollari qatarioti. Tuttavia, negli ultimi tempi si era parlato di un possibile ritorno all'Espérance de Tunis. La risposta del giocatore è stata negativa, perché Msakni aspetta l'occasione europea. E allora si spera che qualcuno ci provi. Magari con la voglia di investirci seriamente: la Ligue 1 sarebbe l'ideale.

10.1.15

Lev, non sei solo.

Mi è giunta voce che tra due giorni si assegni il Pallone d'Oro. E che se la giochino i soliti due, come da sei anni a questa parte: da una parte Lionel Messi, dall'altra Cristiano Ronaldo. Dal 2010 solo in tre arrivano alla votazione finale, ma il terzo incomodo è sempre stato uno che non poteva competere con i due mostri. Ma stavolta non sarà così. Perché anche qualora non lo vincesse, Manuel Neuer per me è il Pallone d'Oro del 2014. E vi spiego anche perché in cinque semplici punti.

Un alieno a Praga.
  • Il passato
Tutto parte dal maggio 2010. Manuel Neuer è un portiere di buone prospettive, ma non è il mostro che conosciamo oggi. All'epoca il biondo estremo difensore era solamente il portiere della Germania U-21 campione d'Europa nel 2009: in quella squadra, giocavano anche Khedira, Boateng, Özil e Hummels. Al Mondiale sudafricano del 2010 lui ha il posto assicurato, ma come riserva. Neuer dovrebbe essere il terzo portiere, ma scala a secondo dopo il triste suicidio di Robert Enke, portiere dell'Hannover 96. E il titolare sarebbe René Adler, numero uno del Bayer Leverkusen, che però si infortuna a una costola e permette a Neuer di giocare il Mondiale da titolare.
Da quel momento in poi, Adler vede la nazionale con il binocolo, mentre per Neuer l'avventura sudafricana è un'iniezione di fiducia. Lo si nota nel 2010-11, la stagione post-Mondiale: Manuel diventa capitano e simbolo dello Schalke 04, con cui è cresciuto nelle giovanili e poi ha debuttato in prima squadra. I Königsblauen vincono la DFB-Pokal e hanno la stagione della vita in Champions League: nessuno si sarà dimenticato di un 5-2 rifilato all'Inter a San Siro e dell'annata d'oro di Raul a Gelsenkirchen. In semifinale finisce tutto contro il Manchester United, ma la prova mostruosa contro i Red Devils gli vale la chiamata del Bayern Monaco. Neuer ha il contratto in scadenza e l'accordo si trova per 22 milioni di euro (solo Gigi Buffon è costato di più nella storia del calciomercato riguardante i portieri).


  • A Sweeper-Goalkeeper
Parafrasando Abraham Lincoln: «Conosci tanti portieri bravi con i piedi, ma che in porta non se la cavano (Doni? Reina?). Conosci tanti portieri bravi tra i pali, ma che non hanno nell'impostazione la loro dote migliore (Casillas? Buffon?). Ma conosci un solo portiere capace di far entrambe le cose alla grande». Il nome lo sapete già. Se sei un avversario che gioca sulla profondità, con Neuer non puoi farlo: tanto esce e ti anticipa. E un altro così - nella storia del calcio - è difficile da trovare. Un paio di precedenti forse però si trovano. 
Il primo è Jan Jongbloed, portiere dell'Olanda '74. Quella squadra sfiorò il Mondiale, ma Jongbloed era diventato professionista con l'F.C. Amsterdam a 34 anni. Inoltre, Jan era titolare perché sapeva giocare il pallone e il ct Michels voleva una linea di difesa molto alta. Non certo per le sue doti di portiere. L'altro caso è più nobile e ci spinge all'altra grande compagine senza Mondiale, ovvero l'Ungheria del '54: Gyula Grosics è stato il prototipo di ciò che oggi è Neuer.
L'estremo difensore magiaro era alto solo 1.78 m, ma la sua velocità e il suo controllo di palla gli permettevano di accorciare con le uscite l'ampio spazio che c'era tra lui e la difesa a tre posta dal ct Sebes di fronte a lui. Se oggi Manuel viene chiamato lo sweeper-goalkeeper (il libero-portiere), il merito risale fino a quel signore ungherese che ci ha lasciato quest'estate. Strano, vero? Avrebbe potuto vedere la sua reincarnazione in campo vincere un Mondiale, invece non ha fatto in tempo. Purtroppo. Chissà cosa avrebbe detto riguardo quel signore biondo e teutonico.

  • Il presente
Il bello è che non parliamo semplicemente di un giocoliere: pur essendo alto due metri, Neuer ha i riflessi di un gatto. Se il Bayern ha preso solo quattro gol in Bundesliga e ha collezionato ben 13 clean sheets, il merito è anche e sopratutto del numero 1 bavarese. Mai Neuer era stato a questi livelli. Ma il 2014 appena concluso è stato l'anno di grazia non solo per il rendimento, ma anche per i trofei: non solo il Mondiale, ma un'altra Bundesliga e un'altra DFB-Pokal. In più ci sono i riconoscimenti personali: giocatore tedesco dell'anno, miglior portiere del Mondiale brasiliano. E sopratutto giocatore dell'anno per "L'Équipe": chissà se non sia un'indicazione in vista del Pallone d'Oro.
Poi ci sono gli endorsements: da Platini a Shevchenko, sono tutti per il tedesco. Persino Maradona ha girato le spalle ai vice-campioni del Mondo argentini e a Leo Messi. El Diez ha ammesso candidamente che Neuer è stato il miglior giocatore dell'ultimo anno e che proprio il portiere del Bayern Monaco meriterebbe il riconoscimento più ambito. Una certificazione mica male. E comunque nel 2014-15 Neuer non si è risparmiato: i tifosi romanisti stanno ancora bestemmiando per la parata del tedesco su Nainggolan in Bayern-Roma 2-0. Perché Neuer è così: ti lascia senza speranze.

Il Neuer-button: necessario quando giochi a FIFA o PES.
  • La personalità
Negli ultimi anni, il bello per chi guarda da neutrale (e il brutto per chi ci gioca contro) è che questo difficilmente ha fatto qualche errore. Neuer è talmente perfetto, intimidatorio e intrinsecamente teutonico che persino gente come Ter-Stegen o Leno è costretto a guardare la nazionale dalla panca o dalla tribuna per (almeno) i prossimi cinque-sei anni. Tanto che il ct Loew preferisce chiamare qualche vecchio come Weidenfeller o Butt per fare da chioccia piuttosto che umiliare i giovani in panchina.
Neuer è uno che - in una finale casalinga di Champions decisa ai rigori - si presenta per tirare un penalty contro un portiere di due metri e che ne ha appena parato un altro a un suo compagno durante i regolamentari. E lo segna! E poi si bulla anche del collega. Neuer è uno che, in un ottavo di finale (quindi partita a eliminazione diretta), esce con decisione sull'attaccante avversario per fargli un tackle a 30 metri dalla porta!
Il 2014 è stato anche un esempio utile per capire come un portiere possa impressionare uno come Gareth Bale, che non ha sottovalutato un Neuer di tacco a Francoforte.

  • Il futuro
Può Manuel Neuer migliorare? Questo è il bello: certo che può. Può esser ancora più dominante sul campo di gioco, può esser ancora più coinvolto nel gioco di una squadra come il Bayern, può diventare il capitano della Nationalmannschaft campione del Mondo (visto il ritiro di Lahm). E può giocare almeno un altro, se non due Mondiali. È un attimo che a Guardiola manchi Lewandowski davanti e il buon Pep punti sul falso nueve Neuer.
Se escludiamo una decina di nazionali, nelle altre potrebbe essere il titolare, ma in mezzo al campo! Attenti a voi: Neuer non molla. Perché se Buffon ha resistito fino a 38 anni e vorrebbe un sesto Mondiale, non vedo perché il buon Manuel dovrebbe mollare sul più bello. Infine, un dato da consegnare alla storia: l'unico portiere a vincere un Pallone d'Oro è stato Yascin nel 1963. Io non vedo l'ora di dire spiritualmente che no, Lev non è più solo.

Manuel Neuer, 28 anni, l'MVP indiscusso di questo 2014.

8.1.15

AFC Asian Cup 2015 special: Tokyo Attack (Parte II).

Domani parte la Coppa d'Asia e arriva la seconda parte dello speciale su questa competizione. L'Iran, vittima sacrificale del girone F nell'ultimo Mondiale, ha fatto un'ottima figura: prima il pareggio con la Nigeria, poi la tenace resistenza contro l'Argentina. In più ripartono dal ct Queiroz, trattenuto a furor di popolo. Il Giappone punta a confermarsi campione, nonostante l'addio a Zaccheroni e l'arrivo del controverso Aguirre. Pronti per i gironi C-D e il pronostico sulla Coppa d'Asia 2015?


Girone C - Iran, Emirati Arabi Uniti, QatarBahrain
 Gruppo interessante, ma anche qui due sono le favorite d'obbligo. L'Iran ha fatto un buon Mondiale e ha un gruppo solido alle spalle. Alcuni giocatori sono maturati e hanno fatto un salto avanti nel rendimento. Il portiere Haghighi sarà uno dei migliori della competizione e gioca addirittura nel campionato portoghese; capitan Nekounam è tornato all'Osasuna per provare a riconquistare la Liga, dove è arrivato anche l'attaccante Ansarifard. Ghoochannejhad si è tenuto in forma con un prestito di sei mesi all'Al-Kuwait, mentre Dejagah è andato a svernare in Qatar. C'è anche la stellina 19enne Azmoun, un presente al Rubin Kazan e un futuro promettente. Dietro di loro, la risorsa più importante: Carlos Queiroz, ct portoghese rimasto a furor di popolo nonostante manchino i soldi. Lui è forse il miglior tecnico della competizione.
 Dietro l'Iran, c'è una delle migliori squadre per spettacolo nell'Asia: le qualificazioni degli Emirati Arabi Uniti sono state un gran successo. Il tutto è dovuto innanzitutto alla scelta del tecnico: il ct Mahdi Ali ha una carriera di 27 anni tra campo e panchina con l'Al-Ahli, poi è passato a far parte dello staff tecnico della nazionale. Ha gestito tutte le rappresentative giovanili dall'U-16 all'U-23 olimpica: a Londra 2012 (esordio olimpico nel calcio), gli Emirati hanno fatto una buona figura anche contro l'Uruguay. Una volta finita la competizione, Ali è stato promosso a ct della nazionale maggiore. Nel 2013 è arrivata la vittoria anche nella Gulf Cup e nelle qualificazioni alla Coppa d'Asia la squadra ha dato spettacolo: 16 punti, +15 di differenza reti e primo posto davanti al più blasonato Uzbekistan. Ben 12 giocatori su 23 saranno forniti da Al-Ahli e Al-Ain. La stella - nonché capitano in assenza di Ismail Matar - sarà Omar Abdulrahman, un giocatore da osservare con attenzione per la sua classe (23 assist nel 2013-14).
 Il Qatar è arrivato ai quarti nell'ultima edizione casalinga della Coppa d'Asia, ma sarà difficile eguagliare lo stesso risultato. Nel girone di qualificazione ha incrociato il Bahrain, ma non ha avuto la meglio, giungendo secondo. Oggi il ct è Djamel Belmadi, algerino che ha ancora tanto da imparare. La stella - come per gli Emirati Arabi Uniti - è il numero 10 Khalfan Ibrahim: nonostante i suoi 26 anni, ha una carriera spesa con l'unica maglia dell'Al-Sadd. Giocatore asiatico del 2006, Ibrahim ha già 81 presenze e 22 gol con il Qatar.
 Il Bahrain è l'ultima squadra del girone, ma non è pronto a mollare così facilmente. Non è più la stessa compagine che arrivò a un passo dal Mondiale sudafricano, quando perse lo spareggio intercontinentale contro la Nuova Zelanda. Tuttavia, i Reds rimangono un cliente difficile, specie dopo le ultime amichevoli pre-torneo: la squadra allenata dal ct Marjan Eid arriva in un ottimo momento di forma. Il tecnico fa parte dello staff tecnico della nazionale dal 2007, ma è stato finora solo assistente e gestore ad interim della nazionale. L'occasione buona è arrivata un mese fa e lui finora non ha deluso.

Omar Abdulrahman, 23 anni, neo-capitano degli Emirati Arabi Uniti.

Girone D - Giappone, Giordania, Iraq, Palestina
 Dei quattro gironi della competizione, forse è quello più facile da pronosticare. Nonostante la sua forza, il Giappone esce da un Mondiale traumatico. La rassegna brasiliana doveva consacrare Zaccheroni e il suo team, ma in realtà è stata un'amara delusione. Il Giappone riparte con Aguirre come ct (anche se il caso scommesse con il Real Zaragoza pesa come un macigno...) e con un'intelaiatura simile a quella del Mondiale. Forse più 4-3-3 che 4-2-3-1, ma pochi sono i volti nuovi. Le colonne sono sempre le stesse: Hasebe, Honda, Endo, Kagawa, Nagatomo e Okazaki. Mancherà Uchida, infortunato: un'assenza pesante che Aguirre spera di non patire troppo.
 Diversa la situazione della Giordania, che invece si gode un periodo di crescita indiscusso. Già all'ultima Coppa d'Asia la performance era stata di buon livello, ma le qualificazioni al Mondiale brasiliano hanno certificato il miglioramento del calcio giordano. Si è arrivati persino allo spareggio contro l'Uruguay: dopo il 5-0 subito ad Amman, gli Al-Nashāmā hanno comunque strappato uno 0-0 a Montevideo. Ora contano sulla guida di Ray Wilkins - nuovo ct dallo scorso gennaio - per replicare i quarti di finale conquistati nelle due precedenti partecipazioni.
 L'Iraq invece ha dovuto fare tabula rasa dopo il 2013: squadra vecchia, ritiro di Younis Mahmoud e tanti risultati negativi. Via i tecnici stranieri, dentro i maestri autoctoni: se Shaker è stato colui che ha guidato questo gruppo alla fase finale, sarà Shenaishil ad allenarlo nella fase finale. Attenzione all'Iraq: ci sono sei ragazzi sono quelli che sono arrivati quarti nel Mondiale U-20 di due anni fa e l'età-media è molto bassa. Tra questi, c'è anche Ali Adnan. E in più lo storico capitano Younis è tornato (altro che ritiro!) ed è l'unico over-30 in squadra: possono passare il girone.
 Infine, la bellissima storia della Palestina: la vittoria nell'AFC Challenge Cup svoltasi nelle Maldive nel maggio scorso le permette di presenziare per la prima volta nella competizione continentale. Le amichevoli pre-torneo sono andate bene: sconfitta per 1-0 contro l'Uzbekistan e pareggio di prestigio a reti inviolate contro la Cina. Il gruppo è guidato ad interim dall'ex calciatore Saeb Jendeya, mentre la squadra si basa sopratutto su tre giocatori: il portiere e capitano Ramzi Saleh e la coppia di goleador Fahed Attal e Ashraf Nu'man. Il primo è recentemente tornato in nazionale, il secondo ha segnato il gol decisivo per la vittoria di maggio contro le Filippine. Nessuna pretesa di passaggio del turno per i Leoni di Canaan: l'importante è fare esperienza.

Keisuke Honda, 28 anni, MVP dell'ultima Coppa d'Asia.

A questo punto, le otto qualificate si scontreranno nei seguenti quarti di finale:

Australia-Uzbekistan | Arabia Saudita-Corea del Sud
Iran-Iraq | Giappone-Emirati Arabi Uniti

Sarebbero dei gran bei quarti. Specie le ultime due gare vedrebbero paradigmi calcistici diversi: la sfida tra Iran e Iraq vedrebbe l'organizzazione tattica del Team Melli contro la spregiudicatezza offensiva del nuovo Iraq. Il Giappone farebbe vedere il solito gioco fatto di tanto possesso e verticalizzazioni spettacolari contro una delle squadre che gioca meglio nel continente asiatico. In ogni caso, a quel punto l'esito di questi quarti di finali configurerebbe queste semifinali:

Australia-Iran | Arabia Saudita-Giappone

Nonostante le difficoltà che ogni tanto il Giappone soffre contro le squadre del Medio Oriente, credo che la finale sarebbe possibile per la compagine allenata da Aguirre. Diverso sarebbe il discorso per un'eventuale semifinale Iran-Australia: gli Aussies non sono più una squadra da palla lunga e pedalare, possono fare bene. L'Iran, come detto, ha in Queiroz il suo tesoro più grande. Diciamo che il mio pronostico si ferma qui, perché quella semifinale sarebbe troppo incerta da prevedere. Non posso che augurarvi una buona competizione: il mondo guarda l'Asia, cosa ci dirà la sedicesima edizione della competizione?

Carlos Queiroz, 61 anni, ct dell'Iran e forse miglior tecnico d'Asia.

7.1.15

AFC Asian Cup 2015 special: Tokyo Attack (Parte I)

L'Asia riparte dopo il disastro del Mondiale brasiliano: è andata male, ma non tutto va buttato via. L'Australia ha tenuto testa all'Olanda e hanno Tim Cahill ancora in forma a 35 anni. In più, gioca quest'edizione in casa. Dall'altra parte, la Corea del Sud è uscita distrutta dall'ultima Coppa del Mondo e rischia di fallire ancora. Questa Coppa d'Asia può ridefinire certe gerarchie. Vediamo cosa e perché può cambiare nella prima parte di questo speciale (gironi A e B).


Girone A - Australia, Corea del Sud, Oman, Kuwait
Qui nessun dubbio sulle qualificate: ci sono due squadre nettamente più forti e solo un'altra in grado di giocarsi la qualificazione con loro. L'Australia è uscita ai gironi nel Mondiale, senza vittorie e con tre sconfitte. Ciò nonostante, la prova dei ragazzi del ct Ange Postecoglou è stata positiva e gli Aussies possono guardare con fiducia al futuro. Dopo il secondo posto di quattro anni fa, l'obiettivo è di vincere in casa. Non si può sognare scenario migliore, ma la pressione sarà alta. Sarà l'ultima chance per miti come Tim Cahill, che non credo si ripresenti nel 2019 per riprovarci. Il gruppo ha messo in mostra alcuni giovani interessanti all'ultimo Mondiale - Leckie, Ryan, Davidson - e dovrà fare a meno di gente come l'infortunato Nichols e del bomber Joshua "Jesus" Kennedy. Il primo posto pare alla portata.
 Accanto a loro, c'è la Corea del Sud: gli ultimi due anni sono stati traumatici. Dopo il bronzo conquistato dall'U-23 a Londra, la nazionale non ha fatto i progressi sperati. Il percorso verso il Mondiale brasiliano è stato pieno di difficoltà e sconfitte inaspettate; in Brasile, poi, sono arrivate due sonore sconfitte e appena un punto (merito di Akinfeev). Si pensava che Hong Myung-bo fosse l'uomo giusto per guidare la nazionale, ma ha fallito un'intera generazione, quella che Park Ji-Sung sperava fosse pronta. Forse sarebbe stato meglio scegliere Yoon Jong-hwan, appena liberatosi dal Sagan Tosu; invece, la scelta è ricaduta su Uli Stielike. Ok, grande giocatore. Sì, ha esperienza di nazionali (ha allenato la Svizzera e la Costa d'Avorio). Però non è la svolta che serve. Le stelle ci sarebbero anche, come Son Heung-min. Quel che manca è il gruppo. Il passaggio del turno non sembra a rischio, ma dopo chissà...
 L'unica rivale per il passaggio del turno sembra l'Oman, che viene da tre anni positivi: i Red Warriors sono arrivati a un passo dallo spareggio asiatico per il play-off intercontinentale del Mondiale, ma la sconfitta con la Giordania ha rovinato tutto. Intanto, però, sono arrivate diverse buone prestazioni e c'è il ritorno alla Coppa d'Asia dopo otto anni. Sarà la terza partecipazione e il merito va sopratutto al ct Paul Le Guen, tecnico spesso sottovalutato. Dopo una buona carriera con l'OL, i Rangers di Glasgow e il suo amato Paris Saint-Germain, il francese è diventato un international manager. Mai sotto il 40% di vittorie con i club, ha condotto il Camerun a un deludente Mondiale sudafricano. Poi la guida dell'Oman dal giugno 2011 e diversi risultati di prestigio: una vittoria e un pareggio contro l'Australia e una X sfiorata contro il Giappone. La stella è il capitano e portiere Ali Al-Habsi, l'unico componente della rosa che gioca all'estero.
 Infine, il Kuwait: anche qui parliamo di un gruppo con 22 giocatori su 23 che militano in patria, mentre l'unico "forestiero" gioca in Arabia Saudita. Guidati dal tunisino Nabil Maâloul, i Blue vengono da anni bui: dopo l'ultima Coppa d'Asia, il punto più basso si è raggiunto nello scorso novembre. Durante l'ultima Gulf Cup, il Kuwait è stato eliminato e umiliato proprio dall'Oman con un secco 5-0. Gli anni d'oro della partecipazione al Mondiale 1982 sono passati da un pezzo e non ci sono elementi per dire che quelle stagioni ritorneranno a breve.

Tim Cahill, 34 anni, all'ultima chance per vincere la Coppa con l'Australia.

Girone B - Uzbekistan, Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord
Sarebbe il girone più equilibrato di tutta la competizione, ma due squadre sembrano emergere dal mucchio. La prima è l'Uzbekistan, che viene dal quarto posto del 2011. Il ct è Mirjalol Qosimov, ex giocatore della nazionale e che è già stato alla guida dei White Wolves tra il 2008 e il 2010. Il ct conosce la stella e il capitano della squadra, ovvero Server Djeparov. Il centrocampista non sarà più quello che vinse il premio di miglior giocatore asiatico nel 2008 e nel 2011, però rimane un fattore in una rassegna come questa. Mancherà un'altra stella come Geynrikh, lasciato a casa dal ct. Il gruppo è solido e ha sfiorato il play-off intercontinentale con l'Uruguay nelle qualificazioni al Mondiale brasiliano.
 L'altra è l'Arabia Saudita, in condizioni pessime nel torneo di quattro anni fa: zero punti, José Peseiro esonerato DURANTE la competizione e appena un gol realizzato. La promessa rivoluzione targata Frank Rijkaard è finita male, con l'eliminazione dal secondo round di qualificazioni asiatiche del Mondiale brasiliano per mano dell'Oman. Ma qui è arrivata la svolta: con l'arrivo di Juan Ramón López Caro, i Green Falcons hanno lasciato alle spalle il momento negativo e i grandi vecchi, come Al-Shalhoub, Al-Qahtani e Noor. Inserita in un gruppo con Cina e Iraq, l'Arabia Saudita si è qualificata facilmente alla Coppa d'Asia da imbattuta. Poi l'addio al tecnico spagnolo e l'arrivo di Cosmin Olăroiu, nuovo ct da tre settimane (solo in Asia e in Africa certe cose...) e tecnico in Arabia da tempo. Le amichevoli pre-torneo non sono state incoraggianti, ma i verdi hanno dalla loro Nasser Al-Shamrani, nominato giocatore dell'anno della confederazione asiatica.
 La terza incomoda è la Cina. O meglio, lo è sulla carta. Nonostante la sua popolazione sia poco più di un sesto di quella mondiale, la terra Zhōngguó non riesce a produrre una squadra che giochi decentemente a pallone. L'unica partecipazione al Mondiale è del 2002 e l'ultima Coppa d'Asia non è andata benissimo: fuori nel girone per mano di Qatar e proprio Uzbekistan. Sebbene nella Chinese Super League siano passati tanti campioni, la Cina non cresce come nazionale. Dopo il disastro di Antonio Camacho (cinque milioni di euro d'ingaggio!) e un 5-1 subito dalla Thailandia-B, sulla panchina della Cina si è seduto Alain Perrin, un passato all'OL e tanta voglia di ricominciare (ne avevo parlato qui). La Guózú si è qualificata alla Coppa d'Asia solo come miglior terza e per un gol di più nella differenza reti rispetto al Libano. Le prospettive non sono delle migliori.
 L'ultima del gruppo è la Corea del Nord, a cui si legano due curiosità: nessun recapito per poter contattare la delegazione arrivata in Australia da Pyongyang e solo 22 convocati sui 23 disponibili. Dopo la qualificazione al Mondiale 2010, la squadra dallo spirito Chollima è uscita ai gironi della Coppa d'Asia quattro anni fa. Alla fase finale ci è tornata grazie al netto trionfo nell'AFC Challenge Cup del 2012. Intanto è cambiato l'allenatore: via Yun Jong-su (tornato all'U-23 e sospeso per un anno dall'AFC per insulti agli arbitri), dentro di nuovo Jo Tong-sop. Nell'ultima edizione della rassegna continentale, era lui il manager: ora promette di fare di meglio. I giocatori di punta sono il capitano e portiere Ri Myong-guk, il centrocampista Ryang Yong-gi (simbolo del Vegalta Sendai) e il giovane bomber Pak Kwang-ryong (di proprietà del Basilea).

Server Djeparov, 32 anni, capitano e stella dell'Uzbekistan.

(continua domani...)