Bradley è stato ct degli Stati Uniti per cinque anni, dal 2006 al 2011.
Sulle prime, chiunque gli darebbe del matto: Bob Bradley come Carlo Ancelotti o Pep Guardiola, gente che ha messo insieme cinque Champions League? Ma stiamo scherzando? Tuttavia, non si può certo dire che la carriera di Bradley sia da buttare. Oggi relegato in Francia, il giramondo statunitense ne ha fatta di strada dagli anni '70.
La sua carriera è stata unicamente a livello collegiale, perché a quei tempi il calcio negli USA era rappresentato dalla NASL e da una serie di stelle andate a svernare negli States. Invece Bob è stato un giocatore per quattro anni dei Princeton Tigers, la squadra affiliata alla famosa università, nonché la squadra calcistica più antica degli Stati Uniti (nata nel 1869!).
Una volta smesso, il suo destino sembrava dirigersi verso la Procter & Gamble, ma Bob voleva rimanere nel calcio e così è entrato nel coaching program della Ohio University. A 22 anni, già allena i Bobcats dell'università, passando per diverse esperienze (tra cui il ritorno a Princeton). Tutto questo finché Bradley non incontra l'uomo che gli cambia la carriera.
Quella persona è Bruce Arena, leggenda del calcio USA: è stato per otto anni l'allenatore degli Stati Uniti (dal '98 al 2006), ma soprattutto ha portato con sé Bradley nello staff tecnico dell'U-23 nel '96. Quando si separa momentaneamente da Arena, vince due trofei con Chicago e viene nominato manager dell'anno in MLS.
Talmente intelligente e talentuoso da sembrare quasi furbo (nel 2003 sfrutta una regola confusa della MLS per sostanzialmente fregare gli avversari), Bradley incassa il licenziamento dai New York Red Bulls (allora MetroStars) e poi fa crescere il Chivas USA, finché non lo chiamano alla guida dell'U-23 degli Stati Uniti.
Arena lascerà la guida della nazionale dopo il fallimentare Mondiale del 2006 e il sostituto è proprio Bradley. In realtà quest'ultimo sarebbe dovuto essere un allenatore ad interim in attesa della firma di Jürgen Klinsmann, appena liberatosi dalla Germania e atteso negli USA. Il tedesco arriverà cinque anni dopo e Bradley diventa ct a tutti gli effetti.
I cinque anni di Bradley alla guida degli Stati Uniti sono un successo più grande di quanto si potesse immaginare. Vittoriosi alla Gold Cup 2007, gli Stati Uniti toccano il loro piccolo giocando una straordinaria Confederations Cup nel 2009, quando eliminano la Spagna in semifinale (chiudendo il loro periodo di invincibilità da 35 partite) e per poco non battono il Brasile in finale.
L'esperienza si è chiusa nel 2011, con la seconda sconfitta consecutiva in finale di Gold Cup contro il Messico a pesare sul suo destino, nonostante una buona Coppa del Mondo in Sudafrica.
Bradley non si è lasciato andare e in tre mesi ha trovato un nuovo lavoro come ct dell'Egitto. Nel Nord Africa ha fatto bene, tanto da ottenere apprezzamenti per la sua decisione di vivere in Egitto nonostante la Primavera Araba fosse in atto. Il 6-1 subito dal Ghana nel play-off per qualificarsi a Brasile 2014 ha chiuso un'altra esperienza.
Dopo gli States, Bradley ha allenato l'Egitto.
Dopo le esperienze con le nazionali, Bradley ha deciso di dedicarsi alla carriera di club. Ha iniziato subito dopo la fine dell'esperienza egiziana, accettando il lavoro che non t'aspetti: la panchina del neo-promosso Stabæk, formazione della prima divisione norvegese. Un'offerta che l'ha reso anche il primo allenatore americano a gestire un club europeo.
Il giramondo non si nasconde: «Se non pensi a obiettivi di un certo livello, non riuscirai mai a rendere alla grande». In effetti, il lavoro di Bradley è stato straordinario: in due anni altrettante semifinali di coppa nazionale, un nono posto da neo-promossi e un terzo nella stagione successiva, con tanto di qualificazione all'Europa League.
Lasciata Bærum alla fine del 2015, ci vuole una nuova sfida. Il giro del globo continua, stavolta fermandosi in Francia: bastano cinque giorni per trovare un nuovo impiego. Il Le Havre - club dalle giovanili fenomenali, che hanno prodotto Payet, Mahrez e Pogba - lo chiama per cercare di tornare in Ligue 1 dopo sette anni.
Arrivato al posto dell'esonerato Thierry Goudet, Bradley ha lavorato bene da subentrato. Il Le Havre era 15° quando l'americano si è messo al posto di comando, mentre a fine 2015-16 c'è stato persino da recriminare in Normandia, visto che il club ha mancato la promozione per poco. La differenza reti con il Metz è stata la stessa (+15), ma con due reti segnate in meno.
Dopo due giornate della nuova stagione, il Le Havre è l'unica squadra a punteggio pieno in Ligue 2. Intanto, il sito della rivista FourFourTwo ne ha approfittato per inserire Bob Bradley alla posizione numero 23 della top 50 dei migliori allenatori al mondo, persino davanti a gente come Blanc, Sampaoli, Berdyev, Rueda e Pellegrini.
L'americano ha una grande possibilità in questo 2016-17, confermando i progressi dei giocatori che ha fatto crescere la scorsa annata (come Bonnet, Ayasse, Duhamel e Fountaine) e sfruttando i nuovi arrivi estivi (Thuram-Ulien, Ferhat e Mana Dembélé).
Viene in mente quell'intervista iniziale: «Non dico di essere come loro [Guardiola e Ancelotti, ndr] - non ho avuto quel tipo di opportunità - ma credo che coloro che hanno giocato con me abbiano sentito come l'esperienza sia diversa. L'allenamento è una sfida e hanno imparato molte cose che li hanno resi atleti e uomini migliori». E allora buona fortuna, Bob.
Bob Bradley, 58 anni, prova a riportare il Le Havre in Ligue 1.
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