Il Mondiale si avvicina e la tensione si alza. Si alza soprattutto perché ci si rende conto di quanto sia un'occasione irripetibile. E se molte delle nazionali - forse almeno la metà - può esser contenta di star lì in Russia, ci sono altre che devono "deliver", quindi far risultato. Tra queste, quattro favorite che non possono fallire: andiamo ad analizzarle.
Il Brasile vittorioso in Germania: la vera favorita per il Mondiale?
Due sono europee, due sono sudamericane. Due hanno avuto recentemente risultati più incoraggianti, ma devono comunque dare un segnale di qualità in Russia; le altre due, invece, devono necessariamente battere un colpo per non dare l'impressione di essere delle eterne incompiute nell'ultimo decennio.
Meglio partire dall'Europa, in un ordine crescente che possiamo ipotizzare in relazione a quanto Russia 2018 rappresenti una chance unica per queste nazionali. Di certo, tra le quattro che menzionerò in questo pezzo, l'Inghilterra è quella che ha meno da perdere, anche se la selezione guidata dal c.t. Southgate deve portare a casa qualcosa.
La nazionale dei Tre Leoni viene da un 2017 sorprendente soprattutto a livello giovanile: l'U-20 ha vinto il Mondiale di categoria, l'U-21 è arrivata a un passo da vincere l'Europeo (ha perso in finale contro la Germania) e l'U-17 ha incantato in India, trionfando al Mondiale organizzato a ottobre.
Questo dice molto sul futuro dell'Inghilterra, che può sorridere e sperare che il meglio debba ancora arrivare. Che i progressi tattici della Premier League - dovuti all'arrivo di alcuni tra i migliori tecnici del globo (Conte, Guardiola, Klopp, Pochettino, etc.) - si facciano sentire nei prossimi anni. Tuttavia, la generazione attuale deve reagire.
Già, perché l'Inghilterra viene da un'eliminazione senza vittorie al Mondiale brasiliano e da un'uscita indegna all'ultimo Europeo contro l'Islanda. Un segnale di reazione è necessario, che deve tradursi (credo) almeno in un'entrata nelle Top 8. Una semifinale sarebbe fantastica, ma non sembra essere un obiettivo realistico (a meno che il tabellone non sia favorevole).
E che dire invece della Francia? Lì la generazione d'oro è già in campo, tanto che i Galletti potrebbero contare su tre nazionali da mandare al Mondiale, tutte capaci almeno di un approdo ai quarti di finale. L'abbondanza, però, non è contata all'ultimo Europeo, giocato in casa e perso in una finale incredibile.
Se l'uscita ai quarti di finale del Mondiale 2014 è stata fisiologica - uscire contro la Germania, poi campione del Mondo, non è un disonore -, ora quella generazione è esplosa, tanto che alcuni di quegli elementi sono maturi. Varane, Umtiti, Pogba, Griezmann erano tutti in procinto di diventare grandissimi giocatori, ma non erano ancora lì.
E che dire di quei giocatori - come Mbappé, Dembélé, Kimpembe, Lemar, Kanté, Rabiot, Martial... e la lista potrebbe continuare - che nel 2014 non erano nemmeno rilevanti nei propri club? La Francia si presenta in Russia con (forse) il patrimonio tecnico più ampio. Più persino di Germania e Spagna, considerando l'età-media.
Questa generazione potrebbe durare fino al Mondiale 2026 e portare a casa nel frattempo un altro Europeo o - si spera in patria - un altro Mondiale. Tuttavia, già a Euro 2016 si è visto qualcosa che non va, ovvero la mentalità: questo gruppo può reggere la pressione? E soprattutto, come sarebbe visto un mancato approdo alla semifinale, che sembra un target possibile per questa selezione?
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Per le due sudamericane, invece, il discorso si fa ben più grave. Una sudamericana non vince il Mondiale dal 2002 - sono ben 16 anni: pausa lunghissima fra due vittorie targate Conmebol - e due delle ultime tre finali sono state tutte europee. E sebbene quattro delle otto squadre arrivate ai quarti nel 2010 fossero sudamericane, la crisi è un'onda lunga.
L'avevo menzionato in un articolo di un anno fa su L'Ultimo Uomo (qui), ma se per ora le altre confederazioni sono lontane, il Sud America è comunque a un appuntamento decisivo. Altro dato? Le due superpotenze del calcio latino non vincono la Copa América dal 2007: nel 2011 è toccato all'Uruguay, nelle ultime due - compreso l'orrendo marchettone del 2016 - al Cile.
Tuttavia, una differenza c'è tra Brasile e Argentina. Alcuni appassionati di calcio sudamericano se ne forse dimenticati, ma c'è. E non sta per forza nei risultati - comunque favorevoli ai verdeoro, sia nei club che a livello internazionale -, che sembrano essere più una conseguenza di quanto accade nei rispettivi movimenti (e federazioni: citofonare AFA).
Il Brasile è stata la prima squadra a qualificarsi al Mondiale di Russia, con ben un anno e mezzo d'anticipo. Normale quando domini il tuo girone di qualificazione e le altre si tolgono punti: still, un risultato impressionante per chi ha fallito in lungo e in largo dopo la Confederations Cup del 2013, che sembrava solo l'antipasto del Mondiale dell'anno successivo.
Molti ricordano facilmente il 7-1 subito con la Germania, ma i segni della vera crisi si sono visti anche dopo. Il Brasile che esce male dalla Copa América del 2015, dopo aver già perso quella del 2011 (sconfitta ai rigori dal Paraguay ai quarti, proprio come quattro anni dopo). O la pessima esibizione nella Copa América Centenario 2016, con l'uscita nei gironi.
Il nuovo ct, Tite, sembra però aver trovato la quadra: un gruppo in fiducia, giocatori con maggior prospettiva e una buona striscia di risultati. Rispetto al 2002 - anno dell'ultimo trionfo Mondiale - ci sono meno stelle. Forse Neymar e Marcelo sono (per ora) gli unici giocatori di assoluto richiamo globale, però ci sono molti profili solidi e altrettanti promettenti. E del Maracanazo sono rimasti gli indispensabili.
Discorso ben diverso per l'Argentina: sempre in riferimento alle ultime due Copa América, l'Albiceleste è arrivata fino alla fine, ma ha perso due volte, sempre contro il Cile. Sempre ai rigori, sempre da favorita. E se la sconfitta del 2015 è sembrato il giusto premio per i cileni, nel 2016 la sconfitta da iper-favoriti ha fatto malissimo.
Messi ha annunciato il ritiro, salvo ripensarci (malissimo: non è un bel segnale a livello mentale). E da lì l'Argentina è ripartita con l'uomo che ne aveva causato la prima ferita continentale, quel Jorge Sampaoli che non sta però bastando a metter le cose a posto. Il percorso nelle qualificazioni Mondiali dovrebbe bastare a raccontare il tutto.
Ne avevo già parlato cinque-sei anni fa, ma il confronto tra Cristiano Ronaldo e Messi sta clamorosamente voltando a favore del portoghese. Nessun giocatore supererà più il livello tecnico e mentale di Leo, ma l'asso del Real Madrid - ora persino reduce dalla vittoria nell'Europeo - sta dimostrando che le doti donate dal Signore non bastano.
E forse non basteranno nemmeno in Russia, visto il recente 6-1 incassato dall'Argentina in amichevole contro la Spagna. Ci sono nazionali molto più solide, ma Messi e soprattutto l'Argentina si possono permettere un altro fallimento? Un'altra finale persa? Altre lacrime? Forse no. Anzi, una parte nel quartetto da titolo fa male persino a loro.
Jorge Sampaoli, 58 anni, e Leo Messi, 30: l'Argentina è forse all'ultimo treno.
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