Bora Milutinović, 69 anni, l'unico C.T. che ha portato la Cina ai Mondiali.
L'arrivo del francese rilancia la grande speranza cinese: la capacità di imporsi a livello mondiale anche nel calcio. Se volessimo metterla giù in maniera semplice, basti pensare che parliamo di una popolazione da un miliardo e 350 milioni di persone; eppure non si trova un gruppo di giocatori in grado di creare un ciclo. Lo sanno bene in Cina, dove il calcio non è sbocciato fino alla metà degli anni '80, quando la tv cominciò a trasmettere incontri e il football spodestò il badminton e il tennis tavolo, gli sport nazionali. Intanto, la nazionale cresceva e ottenne il secondo posto alla Coppa d'Asia 1988, così come in quella casalinga di sedici anni dopo.
Come nel vicino Giappone, durante gli anni '90 nacque la prima lega professionistica, la Chinese Jia-A League: si sperava che l'impatto fosse lo stesso dei vicini nipponici, sebbene al campionato partecipasse persino l'armata cinese con una propria compagine. Tuttavia, la lega - dieci anni di vita, dal 1994 al 2003 - non riuscì a imporre dei criteri di ammissione tali da migliorare il calcio nazionale. Così si può spiegare il passaggio alla Chinese Super League del 2004: la federazione e il comitato della CSL applicarono norme più severe. Esse comprendevano la salute finanziaria dei club e la creazione di un vivaio adeguato, che portarono in Cina anche giocatori e tecnici del calcio europeo. Ciò nonostante, la media-spettatori si abbassò di molto: ci sono voluti sette anni per tornare ai livelli dell'ultima stagione della Jia-A League, ora ampiamente superati (anche se solo quattro club si attestano o superano la media dei 30mila spettatori).
La voglia di andare allo stadio è stata anche condizionata dallo scandalo delle partite "sistemate": nel 2010 scoppia la grana, che coinvolge non solo giocatori o dirigenti, ma persino tre vicepresidenti della federcalcio cinese. Partite truccate, ma anche scommesse illecite e violenza intimidatoria (in campo e fuori). Il governo è intervenuto e la questione è diventata di interesse nazionale, ma il ripulisti generale è servito a riavvicinare la gente alla CSL. Non solo gli spettatori, ma anche gli addetti ai lavori: molti calciatori sudamericani ed europei sono arrivati nel campionato cinese. L'ultimo è stato Alessandro Diamanti, che ha detto sì ai soldoni del Guangzhou Evergrande, così come fece Lippi un paio d'anni fa. Si sperava che ci fosse lo stesso affetto per la nazionale, che intanto ha attraversato diverse difficoltà: se si escludono il secondo posto alla Coppa d'Asia casalinga del 2004 o la qualificazione al Mondiale del 2002, la Guózú ha vissuto sopratutto di delusioni. Che non sembrano destinate a finire.
José Antonio Camacho, 58 anni, alla guida della Cina per due anni.
Già, perché mentre la CSL porta soldi e giocatori, la Cina continua a esser anonima e inconcludente. Dopo il Mondiale nippo-coreano, la nazionale ha vivacchiato. Qualificazioni alle fasi finali della Coppa d'Asia, le vittorie del 2005 e del 2010 nella Coppa delle Nazioni dell'Asia Orientale e le tre qualificazioni ai Mondiali mancate tra Germania, Sudafrica e Brasile. Ora si guarda al 2018, ma sopratutto si spera di creare un gruppo vincente. E' particolare notare come la Cina abbia un'ossatura basata su molti giocatori del Guangzhou Evergrande - club vincitore di tre campionati e dell'ultima Champions League asiatica - e non riesca comunque a cambiare il proprio destino nello scenario continentale. Lo stesso capitano della nazionale, Zheng Zhi, gioca nella squadra di Marcello Lippi e almeno una dozzina dei "Southern China Tigers" sono stati chiamati in nazionale. Eppure, niente da fare.
Uno scenario grigio quello del post-Mondiale 2002, nel quale la federazione le ha provate tutte. A cominciare dal ricorso ai tecnici di casa: prima Zhu Guanghu, poi Gao Hongbo. Quest'ultimo ha avuto la media di vittorie più alta come C.T. della Cina, eppure fu bruciato dopo non aver passato neanche la fase a gironi della Coppa d'Asia del 2011. Nell'agosto di quell'anno, è arrivato José Antonio Camacho. Non che fosse la prima volta di uno straniero sulla panchina della Cina (Arie Haan e Vladimir Petrović insegnano), ma l'ex Real Madrid arrivò per un progetto ben preciso: portare la Cina al Mondiale brasiliano e colmare il divario da Corea del Sud e Giappone. Il risultato è stato deludente: nonostante un ingaggio triennale per un totale di 30 milioni di euro, Camacho non ha risolto i problemi della nazionale. La Cina è uscita con un turno d'anticipo nelle qualificazioni al Mondiale 2014, ha ottenuto la sconfitta peggiore della propria storia (8-0 con il Brasile) ed è crollata al numero 109 del ranking FIFA (peggior posizione di sempre). Una sconfitta per 5-1 in amichevole contro una Thailandia-2 ha costretto lo spagnolo all'addio.
In questi ultimi mesi, Fu Bo ha fatto da traghettatore fino alla nomina di Perrin, che dovrà preparare la squadra cinese per la Copa America (dove la Cina ci sarà come paese invitato). Sarà dura per il francese, che ha sorpassato Lippi nella lista dei candidati al posto: del resto, l'italiano ha appena rinnovato con il Guangzhou fino al 2017. Come se non bastasse, la Cina ha rischiato di non prender parte alla Coppa d'Asia 2015: bastava un pareggio in Iraq, dove invece è arrivata una batosta per 3-1. Nel frattempo, il Libano ha stravinto 5-2 in casa della Thailandia. Al 70' delle due gare, la Cina era fuori. Un altro rischio, un'altra delusione sfiorata. E così le gioie sembrano sempre più lontane. Fun-fact: l'unico Mondiale disputato dalla Guózú è quello del 2002, nell'edizione nippo-coreana. La Cina fu portata in Coppa del Mondo dal mitico Bora Milutinović, che detiene un record particolare (condiviso con Carlos Alberto Parreira): il C.T. serbo ha allenato ben cinque squadre in cinque diverse edizioni della World Cup. Ora la Cina sogna di tornare in una fase finale dei Mondiali. Perrin tenterà di seguire le orme di Bora: sarà dura pareggiare i suoi miracoli.
Alain Perrin, 57 anni, è il nuovo C.T. della Cina: un compito duro per lui.
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