29.6.15

ROAD TO JAPAN: Tomoya Ugajin

Benvenuti a un altro numero di "Road to Japan", la rubrica che vi permette di scoprire i migliori talenti del calcio del Sol Levante. Oggi ci spostiamo nella prefettura di Saitama, dove gli Urawa Reds festeggiano la vittoria della prima fase della J-League 2015. Tra di loro, Tomoya Ugajin è una delle colonne del club, nonché un figlio della prefettura.

SCHEDA
Nome e cognome: Tomoya Ugajin (宇賀神 友弥)
Data di nascita: 23 marzo 1988 (età: 27 anni)
Altezza: 1.71 m
Ruolo: Esterno sinistro, terzino
Club: Urawa Red Diamonds (2009-?)



STORIA
Nato nel marzo '88 a Toda, nella prefettura di Saitama, Ugajin si potrebbe definire un figlio dei Red Diamonds, a Urawa boy. Fin da giovanissimo viene inserito nelle giovanili del club e si mette in mostra insieme a un trio di classe '87: Shunsuke Tsutsumi (oggi all'Avispa), Yoshiya Nishizawa (Tochigi) e Junki Koike (Yokohama F.C.). Nessuno di quei tre è rimasto poi al Saitama Stadium, così come Ugajin.
A diciott'anni, Tomoya abbandona gli Urawa Reds e si iscrive alla Ryutsu Keizai University, dotata di un'ottima squadra di calcio. Inizialmente schierato con le riserve, Ugajin diventa titolare nel quadriennio trascorso alla Ryu Kei Dai. L'università compete nella Japan Football League, la terza divisione nipponica. Sono anni di esperienza, che gli fruttano il ritorno all'Urawa come giocatore designato nel 2009. Anche l'Avispa Fukuoka e i Kashima Antlers lo vogliono, ma i primi non convincono e i secondi vireranno poi su Tomohiko Miyazaki (un errore ancora rimpianto oggi).
Partito in sordina, in realtà Ugajin si è preso il posto da titolare per poi non mollarlo più. Nonostante un paio di stagioni difficile da parte degli Urawa, a Saitama nessun allenatore ha mai messo in dubbio l'utilità del numero 3. Un infortunio ha bloccato un po' le sue prestazioni nel 2011, ma con l'arrivo di Mihailo Petrović sulla panchina dei Reds non ci sono stati più problemi. Troppo importante il ruolo di Ugajin nel 3-4-2-1 del tecnico serbo.
Ora è tempo però di vincere qualcosa: ok, è arrivata la vittoria nel primo stage della J-League 2015, ma io penso ancora che conti il primo posto complessivo. Ugajin ha all'attivo con l'Urawa quattro piazzamenti da secondo (uno in campionato, uno in supercoppa e due in J-League Cup). Al Saitama Stadium non festeggiano un trofeo da otto anni, da quando i Reds vinsero la Champions League asiatica e parteciparono poi al Mondiale per club, sconfitti in semifinale dal Milan di Ancelotti. Tempi diversi per Tomoya: ieri tifoso, oggi simbolo del club.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Dotato di un'ottima progressione (anche palla al piede), un buon dribbling e un discreto tiro (vedi gol allo Shonan), Ugajin ha avuto un enorme evoluzione tattica. Quando era nelle giovanili dell'Urawa, si pensava che sarebbe potuto diventare un ottimo ala sinistra. Ripensando a quei tempi, se le previsioni fossero diventata realtà, oggi Ugajin sarebbe tatticamente inutile per il club.
Invece, la forza del giocatore è stata quella di indietreggiare il suo raggio d'azione: da esterno d'attacco a terzino, fino a diventare un esterno che copre l'intera fascia. Non solo: con l'arrivo agli Urawa di un esterno mancino come Wataru Hashimoto, Ugajin si è adattato e gioca anche a destra. Un integralista del 3-5-2 come Mazzarri lo amerebbe all'istante.

STATISTICHE 
2006 - Ryutsu Keizai University F.C.*: 2 presenze, 0 reti
2007 - Ryutsu Keizai University F.C.*: 1 presenza, 0 reti
2008 - Ryutsu Keizai University F.C.*: 20 presenze, 3 reti
2009 - Ryutsu Keizai University F.C.*: 11 presenze, 3 reti
2010 - Urawa Red Diamonds: 32 presenze, 3 reti
2011 - Urawa Red Diamonds: 21 presenze, 0 reti
2012 - Urawa Red Diamonds: 31 presenze, 4 reti
2013 - Urawa Red Diamonds: 41 presenze, 1 rete
2014 - Urawa Red Diamonds: 36 presenze, 4 reti
2015 - Urawa Red Diamonds (in corso): 17 presenze, 1 rete
* = in Japan Football League

NAZIONALE
Strano a dirsi, ma Ugajin non ha mai rappresentato il Giappone in nessuna categoria. Neanche tra quelle giovanili. La sua storia ricorda da vicino quella di Fabio Grosso, un altro che ha vissuto una vita sulla fascia a varie latitudini (prima esterno, poi terzino) e che non ha mai giocato in nessuna Under prima di diventare campione del mondo. Difficile che Ugajin ripercorra la stessa traiettoria, ma la speranza è che Halilhodzic lo valuti per l'imminente EAFF Asian Cup. Il torneo tra Giappone, Cina e le due Coree sarà un'ottima occasione per vedere se Ugajin ha la stoffa da Nippon Daihyo.

LA SQUADRA PER LUI
Pur essendo esploso recentemente, a 27 anni ha tutte le possibilità per muoversi già da quest'estate. Un vantaggio potrebbe risiedere anche nel non esser mai stato convocato in nazionale: acquistarlo dovrebbe esser più facile e i concorrenti dovrebbero esser minori.

25.6.15

Captain Phil.

Le qualificazioni asiatiche al Mondiale 2018 hanno attirato molto interesse. Diverse le storie da raccontare: le imprese di Guam, le prime volte di Bhutan, il buon impatto di Timor Est. Ma se c'è una squadra che sta sorprendendo tutti per la crescita è quella delle Filippine, guidata da un capitano d'eccellenza come Philip James Placer Younghusband. O più semplicemente Phil.

Younghusband con la tuta del Chelsea: un decennio a Stamford Bridge.

Oggi eroe degli Azkals, il giovane Phil ha una storia particolare. Ne è passato di tempo da quando viveva ancora a Londra e vestiva la maglia del Chelsea: insieme al fratello James (un anno più grande), l'attaccante di Ashford ha fatto parte delle giovanili Blues per otto anni. Poi per tre stagioni ha gravitato in orbita prima squadra: capocannoniere con giovanili e riserve, in realtà non ha mai esordito con la compagine di José Mourinho. Da lì, un prestito all'Esjberg (andato male) e la fine del contratto.
A quel punto, la carriera di Younghusband sarebbe potuta andare in pezzi come quella di qualsiasi altro giovane lasciato da un grande club. Tuttavia, a supportare la crescita dell'attaccante ci ha pensato proprio il popolo filippino, di cui Phil è un simbolo: Younghusband ha esordito in nazionale a solo 18 anni. Tutto merito della segnalazione di un utente anonimo di Football Manager, che ha scoperto che i fratelli Younghusband erano selezionabili per le Filippine e l'ha segnalato alla federazione asiatica.
Phil è tornato in patria e sembrava destinato a fare qualcos'altro rispetto al calcio. Poi è arrivata l'offerta del San Beda FC per lui e il fratello James. Una proposta che gli ha dato l'opportunità di ricominciare con il calcio professionistico. Cinque mesi e l'approdo nell'estate del 2011 al Loyola Meralco Sparks, club di cui ormai è vice-capitano e giocatore-simbolo. Merito di quattro anni dal grande rendimento: non solo nel club, ma anche in nazionale.
Le Filippine hanno sorpreso in molti nelle qualificazioni al Mondiale 2018. Nonostante sia una delle federazioni da più tempo attive nel panorama asiatico (primo match nel 1913!), gli Azkals non hanno mai raggiunto la fase finale di una Coppa del Mondo. Lo stesso discorso vale anche per le Olimpiadi o per la Coppa d'Asia. Tuttavia, con il secondo posto nell'Afc Challenge del 2014, le Filippine hanno sfiorato la qualificazione, poi andata alla Palestina. Questo è il miglior piazzamento delle Filippine in un torneo internazionale.
È andata meglio nell'ultimo mese: due gare giocate contro Bahrain e Yemen, due vittorie. In queste Younghusband non ha segnato, ma ha fornito un assist ed è stato il solito riferimento per la squadra. Non è un caso che il ct Thomas Dooley (in carica dal febbraio 2014) gli abbia dato la fascia di capitano proprio per la sua esperienza e la sua leadership sui compagni. Ed è sempre lui a trascinare le persone allo stadio, anche con appelli sul suo profilo Instagram.



Nelle Filippine, Younghusband è famoso sopratutto per le sue relazioni e per la sua faccia da modello asiatico. I suoi flirt sono stati oggetto d'attenzione più delle sue giocate in campo, ma la verità è che l'ormai 27enne attaccante è troppo importante per la sua nazionale. Se il suo account Twitter conta un seguito di 811mila followers, il suo score con gli Azkals è di 72 presenze e 42 reti. In ogni caso, conta il collettivo: «Finché la squadra vince, non è importante quanti gol faccia».
In più, il dato positivo è che il calcio è in crescita nelle Filippine. A confermarlo ci ha pensato proprio il capitano della nazionale: «Il calcio è cambiato parecchio qui. Negli ultimi quattro anni, ci sono stati diversi investimenti che hanno fatto bene al gioco e siamo stati in grado di prendere alcuni grandi giocatori. La qualità della squadra è molto, molto alta». Un cambio di marcia che ha risentito positivamente anche sulla qualità della nazionale.
Basti guardare i risultati delle Filippine: prima vittoria nelle qualificazioni al Mondiale nel cammino verso il 2014, secondo posto nell'Afc Challenge Cup dell'anno scorso e terzo nell'edizione precedente del 2012. Ora si sogna anche la vittoria nell'AFF Championship dell'anno prossimo, torneo da giocare in casa. Le due vittorie contro Bahrain e Yemen sembrano una sorpresa, ma non lo sono. E ora si punta alla qualificazione diretta alla Coppa d'Asia 2019: con sei punti in due gare, non è un sogno impossibile. Nulla è impossibile con Captain Phil.

Phil Younghusband, 27 anni, capitano e stella delle Filippine.
(© Icko de Guzman)

21.6.15

El but-ero.

Un finale a sorpresa. Il suo addio all'Olympique Marsiglia era atteso (con tanto di discorso d'addio dopo l'ultima di campionato), ma nessuno si aspettava che André-Pierre Gignac potesse scegliere a 29 anni una meta così originale. Manca poco all'ufficialità, ma l'attaccante sarà un nuovo giocatore dell'UANL Tigres in Liga MX.

Gignac ha concluso la sua avventura con l'OM: 186 partite, 77 gol.

Un esito del tutto inaspettato persino per gli operatori del calciomercato. Ricordiamo come si parli sempre di un signore che è stato capocannoniere della Ligue 1, che viene da una stagione straordinaria e che ha giocato un Mondiale con la nazionale francese. Eppure Gignac ha scelto di ripartire dal Messico: a memoria non ricordo un francese che abbia calcato i campi della Liga MX. Se non è una prima volta, poco ci manca.
E che prima volta! Gignac ha una carriera alle spalle di tutto rispetto, nonostante spesso mi abbia dato la sensazione del "sopravvalutato", di un giocatore che ha avuto più di quello che si meritava. Tuttavia, scorrendo le sue stagioni, si nota come sia andato in doppia cifra solo quattro volte. La prima è stata nel 2008-09, quando Gignac stravince la classifica cannonieri della Ligue 1 con la maglia del Tolosa. Da lì, le prime due annate con la maglia dell'Olympique Marsiglia sono state difficili.
Dopo appena 14 gol in due stagioni, Gignac si è ripreso. Criticato spesso perché preso come giocatore-simbolo delle scelte sbagliate da Domenech con la Francia la Mondiale 2010, l'attaccante si è preso la sua rivincita. Quest'anno è stato devanstante sotto la guida del Loco Marcelo Bielsa: con lui, nonostante l'Om non fosse in Europa, ha segnato 23 gol stagionali, di cui 21 in Ligue 1. Solo Lacazette ha fatto meglio nel campionato francese. L'addio, per altro, è stato difficile: Gignac era in scadenza di contratto e ha deciso di non rinnovare, ma si è lasciato bene con i tifosi marsigliesi. Per altro, lui è uno di loro.
Del suo futuro si è parlato molto, accostando l'attaccante a Bologna, West Ham e Lazio. Alla fine, Gignac ha smentito tutti piazzandosi in Messico: il suo arrivo ha scatenato l'entusiasmo dei tifosi. Una buona scelta se non altro per un motivo: il Tigres è attualmente in Copa Libertadores e ha raggiunto una semifinale a sorpresa dopo una buona rassegna. Da ospiti, i club messicani non sono mai riusciti a vincere la Copa, ma hanno raggiunto due volte la finale (Cruz Azul nel 2001 e Guadalajara nel 2010). Che Los Tigres possano ripetere l'impresa? La semifinale di metà luglio contro i brasiliani dell'Internacional sarà un buon banco di prova per quest'ambizioso club.


Il francese ha voluto spiegare il perché di questa scelta particolare: «Voglio ringraziare l'Om per avermi permesso di realizzare il mio sogno di bambino. Mi ha permesso di sentirmi soddisfatto: ho provato orgoglio, gioia ed emozioni nel vestire questa maglia. Per le stesse ragioni, ho scelto questa nuova destinazione, che mi permetterà di perseguire la mia passione in un grande paese di calcio come il Messico. Questo è un club ambizioso, che mi permetterà di vincere ancora».
Molti hanno definito l'arrivo di Gignac in quel di San Nicolás de los Garza come l'acquisto più importante nella storia della Liga MX. Un acquisto che può esser spiegato anche tramite la presenza della Cemex, un'importante impresa del cemento che ha un patrimonio da 15 miliardi di dollari. Proprio questa ditta è la proprietaria del Tigres. Visti gli arrivi di Damn, Uche e Gignac, è possibile che la ditta abbia fiutato la possibilità di un grande successo, specie dopo l'ottimo cammino dei messicani in Libertadores.
Viene da chiedersi se il passaggio in Messico allontanerà Gignac dalla nazionale: un rapporto complicato quello con Les Blues, visto che l'attaccante è tornato quest'anno nel giro della squadra di Deschamps e forse può ancora puntare a un posto tra i 23 dell'Europeo casalingo. In ogni caso, l'avventura messicana di Gignac è tutta da seguire: chissà che non faccia la storia con la maglia del Tigres. El but-ero è pronto a vincere.

 André-Pierre Gignac, 29 anni, accolto dai tifosi del Tigres.

14.6.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Valery Luchkevych

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Under the spotlight", la rubrica che ci consente di scoprire i migliori talenti che si stanno mettendo in luce nel mondo. Oggi ci spostiamo in Ucraina e non in una squadra qualsiasi, bensì dai vice-campioni dell'Europa League. Vi parlerò di Valery Luchkevych, esterno di centrocampo del Dnipro Dnipropetrovsk.

SCHEDA
Nome e cognome: Valery Luchkevych
Data di nascita: 11 gennaio 1996 (età: 19 anni)
Altezza: 1.77 m
Ruolo: Centrocampista destro, terzino destro
Club: Dnirpo Dnipropetrovsk (2013-?)



STORIA
C'è da dire che il Dnipro ha il grosso merito di aver lanciato molti giocatori interessanti in questi anni: nella mia rubrica vi avevo già parlato di Konoplyanka (nel settembre 2012) e Giuliano (nell'ottobre 2013). Valery Luchkevych cresce in una famiglia calcistica, perché il padre Ihor è stato un giocatore discreto in Ucraina e ha lavorato come allenatore delle giovanili del FC Metalurh Zaporizhya, nel quale ha giocato per un decennio. Il giovane Valery, classe '96, cresce proprio nella formazione del padre.
Allevato dalle giovanili del Metalurh, Luchkevych alla fine rifiuta di firmare il rinnovo. Il centrocampista spiega perché: «Avvenne sopratutto perché non rinnovarono il contratto a mio padre». Su di lui ci sono le attenzioni del Dnipro, squadra d'alta classifica del calcio ucraino. L'accordo tra le due parti arriva nel dicembre 2013, ma Juande Ramos - all'epoca allenatore del club ucraino - non ha intenzione di lanciare un ragazzo così giovane. Del resto, il Dnipro arriva secondo a fine campionato: non c'è motivo di aver fretta.
Quando però lo spagnolo lascia l'Ucraina per paura della guerra civile, a lui subentra ben altro tecnico. Il sostituto è Myron Markevych, un vecchio volpone che ha fatto la sua fortuna in patria sulle panchine del Karpaty Lviv e del Metalist Kharkiv. Per sei mesi nel 2010 è stato anche l'allenatore della nazionale maggiore. Ora Markevych arriva al Dnipro ed è l'anno della consacrazione per un gruppo da tempo sulla cresta dell'onda nazionale ed europea, ma mai capace di stupire fino in fondo.
Tra di loro, c'è anche il giovane Luchkevych, fatto esordire alla prima di campionato. Partito all'inizio tra le riserve, in realtà Luchkevych è stato importante nel finale di stagione. Ha trovato anche i suoi primi gol, tra cui uno decisivo contro lo Shakhtar Donetsk: il 3-2 ai campioni di Ucraina lo firma proprio Luchkevych, sebbene non basterà al Dnipro per passare i rivali in classifica. In finale di Europa League, Markevych gli ha preferito Matheus: chissà se non se n'è pentito.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Giocatore dotato di una discreta velocità, la vera forza di Luchkevych sembra esser la capacità di leggere al meglio le situazioni. Nonostante abbia solo 18 anni, alla sua prima stagione da professionista ha dimostrato una notevole lettura del gioco. Inoltre, l'ala ha la fortuna di non eccellere tecnicamente in nessuna area, ma di non mancare neanche di qualche dote in particolare. I fondamentali sembrano buoni e può solo che migliorare.
Dal punto di vista tattico, il ragazzo è da formare: gioca come centrocampista destro, ma in Europa Markevych l'ha provato anche da ala e da terzino. Del resto, il giovane Valery non ha fatto problemi: «Penso che la posizione migliore per me sia da centrocampista esterno, ma giocherò dovunque ce ne sarà bisogno». Non c'è dubbio su una cosa: farà sicuramente più carriera del padre, che ha collezionato appena due presenze con la nazionale ucraina.

STATISTICHE
2013/14 - Dnipro Dnipropetrovsk: 0 presenze, 0 gol
2014/15 - Dnipro Dnipropetrovsk: 27 presenze, 2 gol

NAZIONALE
Già capace di esser un riferimento per l'U-17 e l'U-18 ucraina, ha disputato recentemente il Mondiale U-20 con la sua nazionale. Una squadra che ha fatto molto bene nel girone in Nuova Zelanda: sette punti, nove gol fatti e zero subiti. Poi negli ottavi contro il Senegal è arrivata l'eliminazione ai rigori, con Luchkevych che ha sbagliato il penalty decisivo. Tuttavia, la sua rassegna è stata ottima: contro Myanmar ha messo due assist e segnato anche un gol. Ora molti si aspettano la convocazione in nazionale maggiore, con l'Ucraina che ha qualche chance di esserci a Euro 2016.

LA SQUADRA PER LUI
La verità è che per lui sarebbe meglio restare almeno un altro anno in Ucraina: al Dnipro gioca parecchio, Markevych ha fiducia in lui e la squadra è arrivata nuovamente ai gironi di Europa League. Luchkevych un sogno nel cassetto ce l'ha: «Mi piacerebbe giocare per il Barcellona. Ma per ora voglio solo vestire la maglia del Dnipro e fare bene con l'opportunità che mi è stata data». Gli auguriamo buona fortuna. Forse un giorno sarà un giocatore blaugrana. Magari con un destino diverso rispetto all'unico connazionale che ha vestito la maglia del Barcellona, quel Dmytro Chygrynskiy che al Camp Nou ha visto cambiare la sua carriera in peggio.

10.6.15

2015 Copa América - Dimenticare (P.2)

Ci siamo: quattro anni dopo l'edizione argentina e il trionfo dell'Uruguay, torna la Copa América. Sarebbe dovuta toccare al Brasile (l'ennesimo evento tra Mondiale e Olimpiade), alla fine sarà il Cile a ospitare l'evento. L'obiettivo? Per molte, è quello di dimenticare il traumatico Mondiale di un anno fa. Oggi ci concentriamo sul girone C e sui pronostici!

L'Uruguay è campione uscente della competizione.

Girone C - Brasile, Perù, Colombia, Venezuela

Vincere e vinceremo: non ci può essere altro imperativo per il Brasile di Dunga. Dopo la tragedia dell'ultimo Mondiale (mai convincenti, le ultime due gare sono state un disastro), l'obiettivo è rifarsi. Peccato che i verde-oro siano inseriti nel girone più difficile di tutta la Copa América 2015. Il valore di alcuni giocatori e un pacchetto difensivo fantastico consentiranno a Dunga di esser tranquillo almeno fino alla fase a eliminazione diretta. Peccato per l'assenza di Diego Alves (infortunato), autore di una stagione straordinaria a Valencia. Due i dubbi. Primo: Neymar sarà in forma per la prima gara con tutti i trasferimenti aerei e il fuso orario? Secondo: era proprio necessario lasciar fuori Felipe Anderson, Leandro Damião e Luiz Adriano per Everton Ribeiro, Robinho e Diego Tardelli? Ai posteri l'ardua sentenza.

Il Perù è forse la nazionale che arriva nella forma peggiore a quest'appuntamento. L'assunzione di Ricardo Gareca come ct è un segno d'incoraggiamento, ma c'è una crisi tecnica di notevole rilievo. Basti pensare che ancora una volta bisognerà affidarsi all'esperienza di Claudio Pizarro, Jefferson Farfán e Pablo Guerrero. Difficile, se non impossibile ripetere il terzo posto del 2011. Più facile cercare il terzo posto in questo girone. La squadra è parecchio autoctona, visto che 13 dei 23 giocano nel campionato di casa.

Insieme alle tre teste di serie, forse è la squadra che può pensare a un grande successo. Il potenziale c'era già quattro anni fa, ma mancava l'esperienza e così la Colombia uscì miseramente ai quarti contro il Perù. Ora è tutto diverso. Certo, c'è lo stesso problema di 12 mesi fa: se Radamel Falcao all'epoca non era arruolabile, oggi è fuori forma dopo un pessimo anno al Manchester United. Tuttavia è nell'elenco di convocati del ct Pékerman, nonché capitano del contingente Cafetero. Squadra mostruosa dalla cintola in su, esce comunque rinforzata in difesa dai miglioramenti di David Ospina e Santiago Arias. Un peccato per l'esclusione di tre nomi, tutti infortunati: Balanta, Guarin e Quintero.

Sarà dura, non c'è dubbio. Quasi impossibile per il Venezuela l'impresa di bissare il quarto posto ottenuto nel 2011, il miglior piazzamento della Vinotinto nella sua storia in Copa América. Il compito del ct Noel Sanvicente sarà quello di passare il girone. La manifestazione cilena sarà una palestra in vista delle qualificazioni Mondiali, che inizieranno da settembre. Ancora una volta ci si aggrappa alle spalle di capitan Juan Arango e del cannoniere Salomón Rondón. Esclusi un po' a sorpresa sia Orozco che Aristigueta. La sorpresa però è in porta: convocato Wuilker Faríñez, classe '98 (!), che viene considerato l'erede di Ronny Vega in nazionale.

Neymar, 23 anni, capitanerà il Brasile di Carlos Dunga.

Mi ripeto che fare i pronostici è difficile, ma ci provo sempre. Perché ci affascina cercare di capire come sarà il nostro futuro. In questo caso, il futuro del calcio sudamericano, perché questa Copa América potrebbe sancire nuovamente il dominio delle due superpotenze o aprire nuovi scenari in vista di Russia 2018. Volendo tentare il solito giochino, ricordo la solita regola: in grassetto sono evidenziate le squadre che passerebbero il turno. I quarti potrebbero essere così articolati:

Cile-Venezuela | Messico-Colombia
Argentina-Ecuador | Brasile-Uruguay

Da un lato, il tabellone diventerebbe molto favorevole al Cile, più che intenzionato a giocare l'intera manifestazione nello stadio nazionale della capitale Santiago. Dall'altro, il quadro dei quarti proporrebbe una probabile finale anticipata. Queste le semifinali:

Cile-Colombia | Argentina-Brasile

La verità è questa: penso che chi gioca in casa sia sempre favorito. E non mi riferisco a livello di arbitri o favori, bensì a livello psicologico. Hai una spinta fuori dal comune. Certo, a volte un sostegno così forte può trasformarsi in pressione e finire per schiacciarti (qualcuno ha detto Brasile?), però nel caso del Cile non dovrebbe accadere. Se c'è una cosa in cui la squadra di Sampaoli mi sembra più forte, è la capacità di avere la testa fredda nei momenti decisivi. Tanto cuore, ma il controllo dei nervi c'è. Penso che una finale Cile-Argentina sarebbe interessante e concentrerebbe molti sguardi la sera del 4 luglio dalle parti di Santiago.

Una chiusa finale, una sorta di post-scriptum: questa Copa América sarà anche una vetrina per il Pallone d'Oro. Nessuno mi toglie dalla testa che l'assegnazione del gennaio 2016 si giocherà dentro queste mese di gare. Da una parte Messi, dall'altra Neymar.

Fallire ancora in Copa América sarebbe fatale alla Pulga, che ha già toppato due volte (quattro anni fa in maniera clamorosa). L'ex Santos ha giocato una sola manifestazione, ma nel 2011 anche lui ebbe qualche minima responsabilità nel fallimento della squadra di Menezes.

Un peccato che manchi Suárez, che forse quest'anno ha mancato la chance più grande per portarsi a casa l'alloro più ambito. Ora lo scontro finale: amici nel Barcellona, rivali in Sud America. E se la spuntasse la Roja?

Radamel Falcao, 29 anni, capitano e top-scorer della Colombia.

9.6.15

2015 Copa América - Dimenticare (P.1)

Ci siamo: quattro anni dopo l'edizione argentina e il trionfo dell'Uruguay, torna la Copa América. Sarebbe dovuta toccare al Brasile (l'ennesimo evento tra Mondiale e Olimpiade), alla fine sarà il Cile a ospitare l'evento. L'obiettivo? Per molte, è quello di dimenticare il traumatico Mondiale di un anno fa. Oggi parliamo dei gironi A e B!

Il logo della Copa América 2015, che sarà disputata in Cile.

Girone A - Cile, Messico, Ecuador, Bolivia

La Roja di Sampaoli si gioca la grande occasione di vincere un trofeo in casa. Il girone è nettamente dalla sua parte: non dovrà affrontare favorite per la vittoria finale e il livello tecnico è nettamente dalla sua parte. In patria sentono molto l'evento, sanno che questa è una chance che passerà una volta nei prossimi trent'anni. Le amichevoli di marzo non sono state entusiasmanti, ma la forma di alcuni giocatori-chiave - da Arturo Vidal a Claudio Bravo, fino alla straordinaria stagione di Alexis Sánchez - fa ben sperare.

Alle prese con due tornei impegnativi nell'arco di un mese e mezzo, il ct Herrera ha portato una selezione tutta patriottica alla Copa America: 19 giocatori dei 23 convocati arrivano dalla Liga MX. Mancano molti big, solo Rafa Marquez farà parte della spedizione come omaggio alla sua carriera. La squadra non è male, specie se si pensa che ci saranno due talenti del calibro di Marco Fabián e Raúl Jiménez. E poi c'è Jesus Corona in porta, pronto a sorprendere ancora dopo l'oro alle Olimpiadi di Londra. Per il resto, gli altri sono stati risparmiati in vista della Gold Cup di luglio. Le chance di passare da miglior terza ci sono tutte.

L'Ecuador è tra coloro che son sospesi. Reduci dalla qualificazione al Mondiale brasiliano, gli Amarillos hanno partecipato a tre delle ultime quattro Coppe del Mondo. Il problema sta nel rendimento in Copa América, dove escono ai gironi da cinque edizioni. Inoltre, la squadra deve fronteggiare l'addio di Reinaldo Rueda, che ha detto basta dopo il Mondiale. Dopo l'interregno di Sixto Vizuete, al suo posto è arrivato Gustavo Quinteros, simbolo della Bolivia, di cui è stato giocatore e manager. Dopo aver fatto bene con l'Emelec (due campionati vinti), ora è pronto per l'Ecuador. Tra i 23 ci sono alcune assenze per infortunio: su tutte, quella del capitano Antonio Valencia e del bomber Felipe Caicedo. Toccherà a Enner Valencia trascinare una compagine dall'età-media molto alta (un solo U-21 convocato).

Chi avrà le minori speranze di fare un buon torneo è la Bolivia. Abituata a giocare ad alte quote, la Copa América in Cile sarà ben diversa. La squadra è allenata da Mauricio Soria, ex riserva di Trucco in nazionale durante gli anni '90. Dopo essersi fatto un nome in patria, ha prima assunto l'incarico di ct ad interim, poi gli è stato assegnato in modo definitivo da qualche mese. El Verde è la nazionale sudamericana che manca da più tempo al Mondiale (l'ultima comparsa nel 1954). Dopo la finale del 1997, la Bolivia è stata eliminata per cinque edizioni consecutive al girone. La squadra è sulle spalle di Marcelo Martins Moreno, il giocatore più di successo degli ultimi anni, che oggi gioca in Cina. Curiosità: tra i convocati, c'è anche Sebastián Gamarra, primavera del Milan classe '97.

Alexis Sánchez, 26 anni, stella dei padroni di casa e dell'Arsenal.

Girone B - Argentina, Uruguay, Paraguay, Giamaica



Dopo la grande delusione della finale persa al Maracanà, l'obiettivo è riscattarsi a tutti i costi. In Argentina ancora non è andata giù il gol di Götze al secondo tempo supplementare dell'ultima finale Mondiale. Così come l'eliminazione nell'ultima Copa América in casa dev'essere ancora digerita. Per farlo, ci vorrà un trionfo. Necessario per questa generazione di giocatori, arrivata all'apice del suo rendimento. Quattro anni fa Gerardo Martino arrivò in finale con il suo Paraguay, ma fu sconfitto dall'Uruguay: ora avrà qualche freccia in più nel suo arco. Anche per Messi è un esame (l'ennesimo?) per il Pallone d'Oro: vincere per dimostrare che il Barca non è un'isola felice e per conquistarsi l'amore del suo popolo. Non ci saranno Icardi e Dybala, ma sfido chiunque a convocarli con quei cinque là davanti.

I campioni uscenti forse arrivano nel momento peggiore a questa Copa América. La squadra sembra a fine ciclo: Forlan e Lugano si sono ritirati dalla Celeste, mentre Suárez è squalificato per il morso a Chiellini dell'ultimo Mondiale. Assenze pesanti, che mettono il peso delle responsabilità su Cavani: per lui è la sesta estate di fila impegnata (due Mondiali, una CC, un'Olimpiade e una Copa América). Il gruppo rimane quello storico, poche facce nuove: dei 23 convocati, 12 c'erano già nel trionfo del 2011 e 16 erano presenti all'ultimo Mondiale. Forse ci sarebbe bisogno di un rinnovamento generale, che potrebbe riguardare anche Óscar Tabárez: da nove anni alla guida dell'Uruguay, è l'ultima su un grande palco come la Copa?

Dopo quattro partecipazioni consecutive ai Mondiali, il Paraguay ha mancato proprio l'appuntamento sudamericano del 2014. Normale per una squadra che era alla fine del proprio ciclo e che ha chiuso il suo periodo migliore dopo il secondo posto nell'ultima Copa América. Anche qui il rinnovamento sembrerebbe necessario, ma è arrivato a metà. Ci sono facce nuove (come Derlis González e Bobadilla), ma ci sono anche tanti senatori: da capitan Villar a Santa Cruz, passando per da Silva e Valdez. Tra gli esclusi c'è a sorpresa Óscar Cardozo. Una faccia nuova è anche quella di Ramón Díaz, alla prima esperienza da ct.

Vale lo stesso discorso del Messico per la Giamaica: gli occhi sono sopratutto alla Gold Cup di Luglio. Ma c'è in questo caso un importante differenza: Winfried Schäfer, ct giamaicano e allenatore giramondo, ha optato per chiamare i titolari. Non sarà solo un'esperienza, ma un vero e proprio training camp perenne in vista della rassegna nord-centro americana. Pochi giovani, pochi giocatori che militano in patria (solo tre!), i Reggae Boyz sperano nella tenuta della coppia centrale, formata da Wes Morgan del Leicester e Adrian Mariappa del Crystal Palace. I tempi di Francia '98 sono lontani, meglio farci l'abitudine.

Lionel Messi, 27 anni, alla caccia della sua prima Copa América.

7.6.15

Dinastia blaugrana.

Non potevano che esser loro i vincitori: il Barcellona conquista la quinta Champions League della sua storia (la quarta nell'ultimo decennio) dopo il 3-1 alla Juventus nella finale di Berlino. Un risultato sulla carta scontato, ma che ha rischiato di esser capovolto nel secondo tempo. Poi lo scarto tecnico ha chiuso qualunque sogno di vittoria bianconero.

Il tramonto di Berlino cinge la Champions e l'Olympiastadion.

A Berlino i pronostici del caso erano tutti per il Barcellona: spazzato via il Bayern, i blaugrana avevano convinto gli addetti ai lavori. E non solo per il MSN (il tridente Messi-Suárez-Neymar), ma per la solidità con cui hanno giocato durante tutto questo 2015. Dopo la conquista della Liga e della Copa del Rey, l'obiettivo era il secondo triplete in sei anni. Triplete che è stato anche il sogno della Juve, che sperava di eguagliare l'impresa dell'Inter nel 2010. Nelle formazioni, Luis Enrique ha rinunciato a Mathieu e Xavi, mentre Allegri ha dovuto sopperire all'assenza di Chiellini.
Pronti, via e vantaggio spagnolo: bellissima azione in transizione dei blaugrana, con Jordi Alba che vede l'inserimento in area di Iniesta. Il capitano serve Rakitić, tutto solo a centro area: il croato batte Buffon e firma immediatamente l'1-0. La Juve soffre per tutto il primo tempo il Barcellona, concedendo diverse palle-gol. Dal canto suo, i bianconeri si sono visti solo grazie a un paio di conclusioni di Marchisio. Una Juve nervosa, con poco possesso-palla e tanti falli commessi (Vidal ha rischiato più volte il rosso).
Diversa la ripresa, dove la squadra di Allegri ha iniziato con un altro piglio e ha persino trovato il pari con Morata: tacco di Marchisio per Lichtsteiner, cross in mezzo e Tevez prova a battere Ter Stegen col sinistro all'interno dell'area. Il tedesco para, ma la respinta finisce sui piedi dell'ex Real, che pareggia i conti. La Juve ha avuto venti minuti ottimi, in cui ha avuto persino la chance per portarsi in vantaggio. La Juve ha anche reclamato un rigore, che però non c'era. Poi però il Barca l'ha rimessa a posto con la sua abilità in contropiede: sinistro di Messi, respinta di Buffon e Suárez realizza il 2-1 a porta vuota.
Da lì, la partita non ha avuto più storia. I bianconeri hanno creato la loro chance più importante all'89', quando Marchisio ha chiamato Ter Stegen all'ennesima parata su una conclusione dai 25 metri. Ma la Juve ha raramente creato pericoli nel quarto d'ora finale. Allegri non si è neanche giocato bene i cambi, cominciando a inserire gente fresca solo all'80'. In contropiede, il Barcellona ha chiuso la questione al 96': contropiede guidato da Pedro, che serve Neymar all'interno dell'area. Il brasiliano controlla il pallone e batte Buffon per il 3-1 che chiude la contesa.
Tra i bianconeri, molto bene Buffon, Marchisio e Morata. Un po' in ombra Tevez, che ha comunque contribuito al pareggio. Malissimo Vidal, male anche Lichtsteiner e Pirlo. Pogba ha avuto qualche lampo, ma in generale è stato troppo lontano dalla porta per incidere. Nei blaugrana i migliori sono stati Jordi Alba, Rakitić e Iniesta (nominato man of the match). Il trio MSN ha avuto due giocatori su tre a segno, ma il migliore paradossalmente è stato proprio Messi: lontano dalla porta avversaria, ha creato comunque il panico e ha causato due gialli.

Gianluigi Buffon, 37 anni, alla seconda finale persa in Champions.

Da lodare la situazione di due giocatori nel Barcellona: Neymar e Ivan Rakitić. Non solo per i due gol, ma anche per qualche record. Il brasiliano diventa l'ottavo giocatore ad aver alzato sia la Champions League che la Copa Libertadores. Il croato, invece, può festeggiare un altro trofeo dopo aver conquistato (da capitano) l'Europa League con il Siviglia nel 2014. Non male per il numero 4 blaugrana, che aveva sollevato qualche dubbio quando venne acquistato l'estate scorsa per la cifra di 18 milioni di euro.
Con questa Champions League, c'è anche chi può salutare con stile: Xavi Hernández ha avuto una carriera straordinaria, ma in questa finale è partito giustamente dalla panchina. Luis Enrique, che è stato suo compagno a inizio anni 2000, l'ha dosato con astuzia durante tutto quest'anno. Il numero 6 ha giocato 44 partite, ma ha lasciato gradualmente spazio a Rakitić. In quest'ultimo atto di Berlino, ha raccolto la fascia da Iniesta e ha alzato la Champions, nonostante in campo non abbia completato nemmeno un passaggio. Ora per lui il futuro è all'Al-Sadd.
In casa Juventus, ci si può battere il petto per la buona prestazione del secondo tempo. Forse era difficile fare di più, visto lo scarto tecnico tra le due squadre. Ma a livello storico c'è da preoccuparsi. La Juve è alla sesta finale di Champions persa nella storia: con questa sconfitta, sopravanza il Benfica nel record di sconfitte all'ultimo atto (sei contro cinque). Un problema, anche perché queste sono arrivate in epoche diverse, con squadre e interpreti diversi. Le uniche due Champions vinte sono comunque quella del 1985 (quella dell'Heysel contro il Liverpool) e quella del 1996 (ai rigori contro l'Ajax). Troppo poco.
Chi ha aperto una dinastia è invece il Barcellona, che negli ultimi dieci anni si è portato a casa 22 trofei. Tra questi sei Liga e ben quattro Champions League. Non c'è dubbio che il Barcellona sia la squadra più vincente dell'ultimo decennio: una squadra capace di farlo con diversi modi di gioco e allenatori. In questo, il merito va anche a Luis Enrique: tre anni fa i tifosi della Roma lo presero in giro, dicendo che s'era liberato un posto al Barcellona. Ora lui è a Berlino ad alzare la Champions, mentre i tifosi della Roma devono accontentarsi del solito derby e del campanilismo perdurante. Perché le dinastie si aprono così: con visione, immaginazione e organizzazione. E il Barcellona ha tutto questo.

Xavi Hernández, 35 anni, alza l'ultima Champions da capitano.

5.6.15

Un muro di gol.

Forse nessuno ci avrebbe scommesso. Specie a inizio stagione, quando lui non aveva ancora giocato neanche una gara in Premier League. Eppure siamo a inizio giugno e lui ce l'ha fatta. Tra le convocazioni a sorpresa di Roy Hogdson per la nazionale inglese, il nome di Charlie Austin è il più meritevole e al tempo stesso sorprendente (so che James Vardy grida vendetta, ma...).

Austin ha segnato 18 gol nella sua prima annata in EPL.

Eppure non parliamo di uno che non ha mai segnato un gol in vita sua. La stagione appena portata a termine con la maglia del Queen's Park Rangers l'ha definitivamente consacrato alla "veneranda" età di 25 anni. Nonostante la retrocessione e due allenatori diversi (Redknapp e Ramsey), lui ha segnato ben 18 reti al suo esordio in Premier League. In quanto a gol fatti nelle migliori cinque leghe europee, Austin è al 19° posto. Saliamo addirittura in top ten se pensiamo alle reti realizzate di testa. Un ottimo risultato per il centravanti del QPR, specie se si pensa che ha tenuto alle sue spalle gente come Lewandowski, Giroud e Suárez.
Eventi inimmaginabili per il centravanti, perché fino a sei anni fa giocava nei dilettanti. Nel 2008 Austin fa il muratore e nel tempo libera gioca per il Poole Town. I risultati però non tardano ad arrivare: a 21 anni sforna un anno da 64 gol in 57 partite. A quel punto, il Bournemouth di Eddie Howe vorrebbe prenderlo, ma le Cherries soffrono lo stop al mercato. Così è lo Swindon Town ad approfittarne. Anche qui medie-gol straordinarie: 37 reti in 65 gare con i Robins, che non vorrebbero cederlo. Tuttavia, Austin ha voglia di mettersi alla prova in Championship.
Ci sarebbe l'accordo con l'Ipswich Town, ma alla fine il centravanti opta per il Burnley. Qui incontra nuovamente Eddie Howe e si mette in luce per la sua capacità realizzativa. Migliora con il passare del tempo e il suo rendimento non cala mai: segna per otto gare di seguito e ha un inizio d'annata nel 2012-13 che fa spavento (a novembre è già a 20 reti). Tuttavia, la Premier non arriva neanche con il Burnley e così c'è un altro trasferimento nell'estate 2013. È già tutto pronto per un accordo con l'Hull City, ma il centravanti fallisce i test medici. A sorpresa, il QPR si assicura le prestazioni del gigante di Hungerford.
Gli Hoops hanno beneficiato di un attaccante straordinario negli ultimi due anni. Così forte che ha toccato quota 100 tra i professionisti a Loftus Road. Fisico da bisonte, Austin ricorda il classico centravanti inglese degli anni '80, anche se negli ultimi anni si è migliorato tecnicamente. Quest'anno gli è riuscita un'impresa particolare: oltre ad aver segnato a Manchester City, Chelsea e Arsenal (due volte), ha fatto meglio nell'anno in Premier che in quello in Champions con il QPR (18 reti contro 17). Ha fatto così bene che già qualcuno a dicembre aveva ipotizzato una chiamata di Hogdson: in quel mese Austin era stato nominato giocatore del mese in Premier. Poi alla fine il ct inglese ha deciso di convocare veramente Austin, lasciandolo sostanzialmente senza parole.


La chiamata è arrivata il 21 maggio, quando il ct inglese l'ha incluso nella lista dei 24 convocati per le gare contro Irlanda e Slovenia. La seconda per altro sarà una partita ufficiale di qualificazione al prossimo Europeo. Certo, l'occasione ha fatto Hogdson ladro: con l'Europeo U-21 in contemporanea e diversi giocatori indisponibili (Berahino, Kane, Sturridge, Ings), il tecnico della nazionale inglese ha optato per Charlie Austin. Che, tra l'altro, ha segnato più di tutti i sopracitati (tranne Hurrykane).
L'allenatore ha motivato così la chiamata del centravanti: «Abbiamo sempre osservato Charlie, ma fino a questo punto non c'era spazio in squadra. Gli daremo ogni chance possibile». In fondo, negli ultimi l'Inghilterra ha chiamato giocatori che hanno storie simili alla sua (Rickie Lambert) o anche più scarsi (Darren Bent, Frazier Campbell, Jay Bothroyd).
Sul futuro? Dubitiamo che possa essere ancora in Championship. Il suo rendimento nella seconda serie inglese è straordinario: Austin ha segnato 63 reti in 113 partite della seconda divisione inglese. Nelle ultime settimane, però, Southampton e Tottenham si sarebbero fatte avanti per il centravanti. Difficile dire di no a una possibile chance in Europa League. Intanto Austin si è goduto una vacanza in Portogallo con i suoi bambini: se si guarda il suo profilo Twitter, si osserva un padre affettuoso e non la bestia che si è vista a Loftus Road in questo biennio.
Domenica potrebbe arrivare l'esordio con la maglia dei Tre Leoni. Un esordio da auspicare, visto che l'Inghilterra giocherà un'amichevole in casa contro la Lituania: il contesto adatto per testare se e quanto Austin possa servire alla nazionale. Sembrano così lontani i tempi da muratore: «Sveglia alle 5.30, al furgone alle 6 con otto blocchi di mattoni, guidavo fino a Shinfield, a 45 minuti di macchina. Iniziavo alle 7.30 e lavoravo fino alle 16.30 con due pause di mezz'ora. Costruivo case e montavo muri. Per 42 ore e mezza, mi davano 341 sterline alla settimana». Oggi ne guadagna molte di più, ma Austin quei muri non li dimenticherà mai.

Charlie Austin, 25 anni, chiamato per la prima volta dall'Inghilterra.

2.6.15

Esposizione rinviata.

L'Expo colora i cieli di Milano da ormai un mese a questa parte. Una manifestazione che andrà avanti fino a ottobre, un po' come i dubbi nel calcio meneghino. Milan e Inter sono fuori dall'Europa: decimi i rossoneri, ottavi i nerazzurri. Diverse le cause così come le soluzioni, ma il disappunto è lo stesso per le due tifoserie, abituate a ben altro.


Come aveva fatto già notare "Il Sole 24 Ore", Milano si trova senza squadre in Europa per la prima volta dal 1956-57. L'Italia era diventata una Repubblica da un decennio, Helenio Herrera doveva ancora arrivare e Silvio Berlusconi era solo uno studente universitario nella metropoli meneghina. Un tempo così lontano da ingigantire ancor di più questo risultato negativo per la Milano calcistica: un fallimento logorante, ma sopratutto meritato. Perché la stagione delle due squadre è stata pessima, seppur per diversi motivi.
Il Milan ha sbagliato all'inizio. Invece che risolvere i suoi problemi, non ha fatto che aggravarli. Ha mandato via Seedorf, pagando l'ennesimo ingaggio a vuoto, per un altro neofita della panchina come Inzaghi. Super Pippo aveva dalla sua almeno la trafila negli Allievi e in Primavera (con cui ha vinto il torneo di Viareggio), ma la Serie A è un'altra cosa. Dopo i 14 punti fatti nelle prime sette gare, tutti i media l'hanno paragonato a Guardiola. Il caso Stramaccioni - solo di due anni fa! - non ha insegnato nulla a nessuno.
I rossoneri hanno poi racimolato appena nove vittorie nelle restanti 31 partite e sono finiti per cinque giornate nella parte destra della classifica. Il finale di campionato (tre vittorie nelle ultime quattro) è stato positivo, ma è arrivato quando Inzaghi sembra alla porta. Al di là dei movimenti societari (alla fine nulla di fatto), gli errori sono a monte. Seppur senza soldi, il mercato poteva esser diverso. Diego López, Bonaventura e Ménéz sono stati gli unici innesti convincenti, mentre gli affari Torres, Cerci e Bocchetti gridano vendetta per modalità ed esito finale.
Diversa la situazione in casa Inter. La base era il quinto posto dell'anno scorso, i gol di Icardi e le giocate di Kovačić. Mazzarri avrebbe dovuto fare il salto di qualità almeno in classifica, invece il gioco è peggiorato e il suo integralismo ha finito per condannarlo. In estate sono arrivati Dodô, Vidić, M'Vila, Medel e Osvaldo. Avrebbero dovuto rendere la squadra più forte, ma in realtà è probabile che nessuno di questi possa esser decisivo nell'Inter 2015-16. Quando poi Thohir ha deciso per l'esonero di Mazzarri, è arrivato Mancini. Che forse sperava (e spera) in ben altro.
In realtà, accusare il Mancio serve a poco: la squadra non è costruita sulle sue esigenze. Il mercato di gennaio ha anche rivoltato il progetto tecnico, ma nessuno dei nuovi arrivati pare certo di restare a Milano. Inoltre, alcune figure sono inaccettabili anche con le attenuanti: vengono in mente le gare del girone di ritorno contro Cesena, Hellas, Empoli e Genoa. Tre di queste hanno avuto luogo a San Siro, dove l'Inter ha fatto registrare un rendimento pessimo. Alla fine non è arrivata l'Europa League. E forse è meglio così, vista lo score europeo di Mancini.
In termini di carisma, la squadra ha sofferto gli addii di tre figure storiche dello spogliatoio: capitan Zanetti, Cambiasso e Milito. Ranocchia si è dimostrato inadatto non solo in campo (quanti errori...), ma anche come capitano della squadra. Più in generale, la maledizione del post-Mourinho continua. Gli unici ad aver vinto qualcosa sono Rafa Benitez e Leonardo. Nel 2010-11. Sono passati quattro anni e le cose non sembrano poter cambiare neanche per la prossima stagione. Non almeno a queste condizioni.

Filippo Inzaghi, 42 anni, e Roberto Mancini, 50: delusione meneghina.

In ogni caso, l'annata di Milan e Inter non è altro che il simbolo di questa Serie A: realtà che si sono sopravvalutate, che hanno ignorato i problemi. Come quella donna preoccupata che le piastrelle del pavimento siano di colore diverso quando il tetto le sta per crollare sulla testa. Del resto, credo che il manifesto del calcio milanese 2014-15 sia il calcio giocato nei due derby: due spettacoli inguardabili, specie lo 0-0 del ritorno. Al 19 aprile, la tua squadra ha la tua identità. Perciò nessuna scusante per i due tecnici.
Il futuro è diverso. Quello dell'Inter mi sembra onestamente più complicato. Al di là dei titoli entusiasmanti dei giornali, l'Europa non c'è e Thohir in due anni non ha dato una grossa svolta. Si parla di Yaya Touré e Benatia, ma si dimentica che l'Inter ha sul suo capo una procedura di infrazione economica da parte dell'Uefa. Il fair-play finanziario costringerà la società nerazzurra a pagare 20 milioni di euro di multa (sei subito, 14 in seguito): con quali soldi si faranno acquisti? Con quelli delle cessioni. Il futuro di Handanovic sembra lontano dall'Inter, quello del capocannoniere Icardi e di Kovačić è in dubbio.
Mi sento più ottimista per il Milan. Qui i soldi non ci sono, ma il patrimonio tecnico per ripartire non manca. Ci vorrà sicuramente un allenatore in grado di dare un gioco al Milan: si è parlato di Sarri e quello è il prototipo ideale che serve alla società rossonera. In campo, ci sono alcune certezze. E ci sono alcuni potenziali: Suso, Honda (da trequartista, però), Rami (solo 21 presenze), il ritorno di Niang. Senza dimenticare van Ginkel, Mastour e un Saponara rinato a Empoli. Il 4-3-2-1 sarebbe l'ideale per sfruttare i trequartisti. Solo che bisogna avere pazienza, quella che l'ambiente del Milan non sembra possedere in questo momento.
Inoltre, bisogna accettare un semplice fatto: la geografia calcistica in Italia sta cambiando. Si sposta dal nord verso sud, dalla metropoli alla provincia. Guardiamo gli ultimi quattro campionati. Li ha vinti la Juve, ma il Milan è andato in Champions solo per due stagioni, mentre l'Inter manca dal rigore segnato da Pazzini contro l'OM a San Siro nel marzo 2011. La Roma e il Napoli ci sono andate due volte, la Lazio si è qualificata ai preliminari, mentre due volte ci ha provato l'Udinese. La Fiorentina è sempre lì, mentre ogni tanto esce qualche favola per l'Europa League (Torino e Sampdoria). Milano non è più il centro del mondo, almeno nel calcio: non basta un Expo per sentirsi importanti.

Andrea Ranocchia, 27 anni, e Ignazio Abate, 28, i capitani dell'ultimo derby.