3.10.13

Ditelo a bassa voce.

Non vorrei "tirargliela", ma sembra che a Roma - quest'anno - le cose vadano meglio. Sei vittorie consecutive, miglior attacco e miglior difesa del campionato. Tuttavia, certe cose a Roma andrebbero pensate e non dette: l'esaltazione è il peggior nemico di chi allena le squadre della capitale. Specie se quella compagine è di color giallorosso; comunque, sarebbe grave non sottolineare quanto sta facendo quel signore venuto dalla Francia e schernito dai più durante tutta quest'estate. Quel signore di nome Rudi Garcia.

Gervinho, 26 anni, una delle rivelazioni di questa Roma d'inizio stagione.

Diciamocelo apertamente: chi si aspettava un inizio del genere? Neanche il più ottimista dei romanisti avrebbe puntato un euro su 18 punti conquistati nelle prime sei gare di campionato. Personalmente, pensavo che Rudi Garcia avrebbe fatto un buon lavoro, ma non che avrebbe spazzato via qualunque paura dei tifosi giallorossi. Anche perché la piazza è difficile e chiunque conosca un po' di storia targata Roma negli anni 2000, sa come l'ambiente giallorosso mal digerisce le annate che vanno male. Ci furono contestazioni persino nell'anno dell'ultimo scudetto, quando un'eliminazione dalla Coppa Italia contro l'Atalanta causò l'ira dei supporters più vicini alla squadra; se sono riusciti a contestare Capello, figuriamoci cosa si è potuto organizzare contro i vari Ranieri, Luis Enrique, Zeman ed Andreazzoli. Quest'ultimo, per altro, è reo di aver perso (male) la finale/derby di Coppa Italia all'"Olimpico", con il gol di Lulic che ancora rievoca brutti ricordi nella sponda giallorossa della capitale.
A dar più fastidio ai tifosi, però, erano alcuni giocatori: i bersagli preferiti dell'estate sono stati Osvaldo, Pjanic e Balzaretti. Uno se ne è andato (e la Roma ha trovato anche il modo di guadagnarci, vendendolo al Southampton); il bosniaco sta giocando la miglior stagione della sua carriera; l'ex Palermo si è perlomeno ripreso, con il gol decisivo nell'ultima stracittadina (sebbene il ruolo di terzino nella difesa a quattro non gli calzi a pennello). Per rigirare la squadra, si è deciso di vendere e fare pulizia: molti non hanno capito le cessioni di Lamela e Marquinhos. Certi giocatori, seppur giovani e promettenti, andrebbero tenuti finché si può; tuttavia, Sabatini ha pensato che era meglio "guadagnare per reinvestire", in modo da creare un apparato di squadra più forte in ogni sua parte, piuttosto che avere l'asso della situazione. Così, via l'argentino ed il brasiliano per 60 milioni totali (senza bonus); via Stekelenburg, arrivato nella capitale come il salvatore ed uscito malconcio come molti portieri giallorossi prima di lui; via Osvaldo, preso a male parole più per il suo atteggiamento che per i suoi gol. In fondo, l'italo-argentino aveva segnato ben 28 reti in due stagioni. Via anche i pacchi Goichoechea e Piris ed i misteriosi José Angel e Tachtsidis.
A quel punto, la Roma è partita dalle certezze, che forse - vista l'età - costano anche meno: dentro De Sancits in porta, per cercare di evitare le carenze difensive viste durante tutto lo scorso anno. Dentro Maicon, acquistato rotto e ritrovato fenomeno, visto il campionato che sta disputando con la maglia giallrossa. Sopratutto, dentro quattro acquisti che stanno letteralmente facendo la differenza: Benatia, Strootman, Llajic e Gervinho per un totale di quasi 50 milioni (anche qui senza bonus) che sembrano non essere mai stati spesi così bene in un mercato del recente passato.

Una delle tante contestazioni furiose della scorsa stagione a Trigoria.

Il marocchino ed il serbo si conoscono: abbiamo imparato ad apprezzarli all'interno della Serie A già da un po' di tempo e sappiamo delle loro potenzialità. Anche se l'ex Udinese sta rendendo ben sopra ogni aspettativa, gol alla Maradona compresi. Per chi conosce bene il calcio internazionale, il nome di Kevin Strootman non è nuovo e c'erano anche qui pochi dubbi sul valore globale del centrocampista, che ha un futuro brillante di fronte a sé e che non ha fatto vedere ancora il 100% di quello che sa fare. Ma se c'è un nome che simboleggia la rivoluzione della Roma tra i componenti della compagine capitolina, è Gervinho: arrivato tra gli scherni di molti (onestamente, me compreso), l'ivoriano sembrava la tipica "pezza". Un giocatore voluto da Garcia - che lo aveva già avuto a Le Mans e Lilla - e nient'altro. Invece, si è capito perché il tecnico francese lo ha voluto con sé: l'ex Arsenal è un peperino e in una Serie A poco atletica, fa sfaceli. Inoltre, è molto più tagliato per il 4-3-3 che per il 4-2-3-1 di Wénger; liberato dai compiti difensivi, fa molto più male alle difese avversarie.
Infine, il vero uomo del momento è Rudi Garcia. Paragonato al "Sergente Garcìa" del famoso Zorro televisivo, l'uomo di Nemours è arrivato a Roma dopo una buona carriera. Se come calciatore non passerà alla storia, da allenatore ha portato il Digione in Ligue 2 con ottimi risultati e vinto un "double" con il Lilla, un club che non vinceva campionato o coppe nazionali da quasi sessant'anni. Un mezzo miracolo, insomma, ottenuto tramite un gioco d'alto livello. In Francia gli stimoli erano finito ed un ciclo stava finendo; così, arrivata la chiamata della Roma, Garcia ha detto sì. Nonostante i tifosi si aspettassero ben altro, il tecnico ha dimostrato di poter stare tranquillamente in A. E qui sta il punto del successo giallorosso: la Roma - nell'ambiente e nella sua squadra - deve basarsi sulla CONCRETEZZA. La fantasia e la ricerca del bel gioco a tutti i costi, sulla sponda giallorossa, provocano solo danni: Carlos Bianchi, Luis Enrique, l'ultimo Zdenek Zeman sono esempi di quanto dico. Forse solo Luciano Spalletti ha fatto eccezione, ma facendo un enorme gavetta prima di arrivare sotto il Colosseo. Quando il potere, invece, va alla concretezza, la Roma fa il suo: Capello, Liedholm, Ranieri sono esempi di quando il successo è stato sfiorato, se non centrato, con meno voli pindarici e più ragionevolezza.
Garcia fa parte di questa corrente e lo si vede dalle sue conferenze stampa, dal suo profilo basso, dal fatto di non voler piacere a tutti i costi ai tifosi: è un "nice man", ma non è un aizzatore di folle. Segue la squadra con passione, ma non ha bisogno di fomentarla a tutti i costi. Insomma, esattamente ciò che serve all'ambiente Roma. E chissà che a fine stagione, come ha detto recentemente, non si abbiano motivi per restare nella storia. Altro che sei vittorie su sei: si punta in alto. Tuttavia, cercate di dirlo a bassa voce: a Roma non si sa mai. Meglio volare bassi.

Rudi Garcia, 49 anni, l'uomo dei miracoli: sei vittorie in sei gare di A.

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