20.11.14

No more glory.

18 novembre 2009: l'Egitto perde lo spareggio per qualificarsi al Mondiale di Sudafrica 2010 contro gli acerrimi rivali algerini. Se escludiamo la gioia di qualche mese dopo - la terza vittoria di fila in Coppa d'Africa - da quel momento in poi l'Egitto ha vissuto un periodo di grandissima crisi. Tante delusioni: l'ultima si è concretizzata ieri, quando i Faraoni hanno perso 2-1 in Tunisia e hanno mancato (l'ennesima) qualificazione alla Coppa d'Africa. Un disastro su tutta la linea.

31 gennaio 2010: l'Egitto è campione d'Africa per la terza volta consecutiva.

E pensare che il passato recente è molto più che glorioso. Quasi prestigioso, grazie a tanti successi raccolti nell'ultimo decennio. Storicamente, l'Egitto è una squadra prestigiosa nel panorama africano: è stata la prima compagine del Continente Nero a qualificarsi per la fase finale di un campionato del Mondo (nell'edizione italiana del 1934). I Faraoni hanno partecipato solo a due Mondiali: sarà un caso, ma la seconda volta è stata sempre in Italia, seppur nel 1990. E il legame con il nostro paese non può che rafforzarsi, se pensiamo che il punto più alto della propria storia recente l'Egitto l'ha raggiunto quando riuscì a battere proprio gli azzurri nella Confederations Cup del 2009: un successo di portata planetaria, visto che l'Italia di Lippi era campione del Mondo uscente. Poi l'Egitto non ha superato il gruppo ed è uscito per mano degli Stati Uniti, ma il risultato è stato importante.
Quel punto - raggiunto dopo anni di lavoro - lo si deve sopratutto all'impegno di Hassan Shehata, commissario tecnico dell'Egitto dal 2005 al 2011. Lui ha costruito la squadra che poi ha vinto tre edizioni consecutive della Coppa d'Africa: nel 2006 in casa, nel 2008 in Ghana e nel 2010 in Angola. Con queste tre vittorie, l'Egitto ha anche stabilito la nuova striscia più lunga d'imbattibilità nella fase finale della rassegna continentale: 32 gare senza mai perdere. Non solo: l'Egitto è nella storia una delle due africane (l'altra è la Nigeria) a esser mai entrata nella top ten del ranking Fifa. Tutta farina del sacco di Shehata.
Dopo quello straordinario ciclo, però, l'Egitto ha sofferto un contraccolpo clamoroso. Lo stesso Shehata ha dovuto rassegnare le dimissioni e tornare al suo amato Zamalek. Motivo? La clamorosa mancata qualificazione alla Coppa d'Africa 2012, con l'Egitto eliminato in un girone con Sierra Leone, Sudafrica e Niger. Non è andata meglio nelle qualificazioni successive. Dopo l'arrivo di Bob Bradley in panchina (ex ct USA), i Faraoni hanno mancato anche l'appuntamento del 2013: nonostante la qualificazione si ottenesse tramite scontri a eliminazione diretta, l'Egitto ha perso contro la Repubblica Centrafricana. Anche nel cammino per qualificarsi al Mondiale brasiliano, è andata male: dopo aver dominato il proprio gironcino (sei vittorie su sei partite), l'Egitto è stato massacrato dal Ghana nel doppio confronto. Il finale è stato 7-3 in favore delle Black Stars, ma nella gara d'andata è finita 6-1 per il Ghana...
A quel punto, anche Bradley è stato cacciato e al suo posto è arrivato Shawky Gharib, che è stato assistente di Shehata nel periodo d'oro. Nulla però è cambiato neanche per le qualificazioni alla Coppa d'Africa del prossimo gennaio. La parziale scusante è che l'Egitto è stato inserito in un gruppo difficile: Tunisia e Senegal sono due buone squadre. Tuttavia, i Faraoni hanno perso tutte e quattro le partite contro queste squadre: un segnale di poca solidità. Sei punti pieni contro il Botswana, ma non sono bastati a qualificarsi neanche come miglior terza. Nemmeno avere un gran giocatore come Mohamed Salah, che è stato cercato e preso da un certo José Mourinho al Chelsea, è servito a raddrizzare la situazione.

Hassan Shehata, 65 anni, l'uomo che ha fatto vincere tutto all'Egitto.

Il problema può essere sviscerato su tre fronti. Primo: la squadra sembra meno unita di prima e i talenti non fioccano come una volta. Ci sono ancora i grandi vecchi, come Ahmed Fathy e Hossam Ghaly, ma i grandi sono ormai tutti fuori dal giro della nazionale. Essam El-Hadary, leggendario e istrionico portiere del grande Egitto, gioca ogni tanto, ma non può essere il titolare dei Faraoni a 41 anni. Ahmed Hassam, dopo lo storico record di 184 presenze in nazionale, si è giustamente ritirato nel 2012. Gedo, match-winner della finale della CAN 2010, non gioca e non segna. Amr Zaki, l'uomo che stregò Anfield con la maglia del Wigan, non ha nemmeno un contratto con una squadra, così come Mohamed Zidan. Mettiamoci anche che una leggenda non solo del calcio egiziano, ma di quello africano come Mohamed Aboutrika si è ritirato l'anno scorso. A questo punto, il quadro tecnico è completo.
Secondo: la violenza. Già, perché a guardare i risultati il calcio egiziano non sembra passarsela male: basti pensare che l'Al-Ahly sotto la presidenza di Hassan Hamdy - dal 2005 a oggi - ha vinto cinque Champions League africane e un'altra volta è arrivata in finale. Quindi il club ha partecipato alla FIFA Club World Cup cinque volte nelle ultime dieci edizioni. Nel 2006, l'Ah-Ahly arriva persino terzo, facendo soffrire in semifinale l'Internacional di Pato. Tuttavia, l'incidente del febbraio 2012 al Port Said Stadium è ancora ben fresco nella mente di tutti: 72 morti, più di 500 feriti. Cose che in una partita di calcio non dovrebbero mai accadere. E non è stato l'unico episodio, visto che i tifosi dello Zamalek hanno invaso il campo nella gara di ritorno dei preliminari della Champions League africana del 2011 contro il Club Africain, squadra tunisina. Il risultato è stato la squalifica del club dalla competizione.
Terzo: manca una guida forte. Quando l'Egitto gioca la Coppa d'Africa in casa nel 2006, i Faraoni affrontano in semifinale il Senegal. Shehata si consacra agli occhi dei tifosi in quella gara: decide di togliere la star locale Mido (sì, quello della Roma) e l'attaccante non la prende benissimo, insultando il suo ct. Il tecnico manda dentro Amr Zaki, all'epoca un perfetto sconosciuto. Ci vogliono pochi minuti prima che l'allora attaccante dell'ENPPI metta dentro il gol che porta l'Egitto in finale. Anche queste sono scelte di personalità. E senza quel carisma - che è necessario per vincere - difficilmente l'Egitto rivedrà la gloria molto presto.

Neanche il talento di Mohamed Salah, 22 anni, è bastato all'Egitto.

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