30.7.15

ROAD TO JAPAN: Yuzo Iwakami

Buongiorno a tutti e benvenuti al settimo numero annuale di "Road to Japan", la rubrica che vi consiglia i migliori talenti da osservare nel panorama nipponico. Oggi ci spostiamo a Yamaga, la città che ospita una delle sorprese degli ultimi anni, ovvero il Matsumoto. Sostenuto da un grosso pubblico, una delle sue stelle è Yuzo Iwakami, centrocampista delle Ptarmigans.

SCHEDA
Nome e cognome: Yuzo Iwakami (岩上 祐三)
Data di nascita: 28 luglio 1989 (età: 26 anni)
Altezza: 1.70
Ruolo: Centrocampista centrale, trequartista
Club: Matsumoto Yamaga (2013-?)



STORIA
Nato a Koga, nella prefettura di Ibaraki, Iwakami sarebbe potuto diventare uno dei tanti talenti proposti dai Kashima Antlers in questi anni. Invece, il giovane Yuzo inizia a giocare a calcio con il fratello e cresce alla Maebashi Commercial High School di Gunma. Da lì, il trasferimento alla Tokai University, una delle più rinomate in terra giapponese. Iwakami rimane lì fino al 2011, quando viene scelto come "giocatore designato" dallo Shonan Bellmare, all'epoca militante in J. League 2.
Un profilo interessante il suo, tanto che l'allora difensore aveva giocato persino due gare di Emperor's Cup con la squadra della sua università. Una volta firmato un contratto per la compagine di Hiratsuka, le tre stagioni di Iwakami sono fatte di alti e bassi: il debutto, le maggiori presenze in squadra e poi il poco spazio una volta arrivato in prima divisione.
Così Yuzo - ormai quasi 24enne - prende una decisione fondamentale per la sua carriera: lasciare Kanagawa. Non c'è spazio per lui sotto la guida di Cho Kwi-Jea, tanto vale andarsene. E trasferirsi in un posto dove credono veramente nelle sue giocate. Quel luogo è Yamaga, dove il Matsumoto ha appena conquistato un posto in seconda divisione. Si trasferisce in prestito, ma ben presto la cessione diventa a titolo definitivo.
Inizialmente difensore, viene spostato nella posizione di centrocampista. Un cambio di campo che gli gioverà, visto che le sue prestazioni crescono anno dopo anno. Prima si inserisce in silenzio nei meccanismi del Matsumoto, poi ne diventa il leader tecnico (quello spirituale è indubbiamente Hayuma Tanaka, il 3 dopo Naoki Matsuda). Il tecnico Sorimachi lo schiera praticamente sempre (41 presenze su 42 partite).
In J. League 2, ha trovato persino il tempo di segnare il gol più veloce della storia del campionato giapponese: sette secondi per gonfiare la rete contro il Kamatamare Sanuki! A fine 2014 è arrivata la straordinaria promozione per una realtà che promette di poter restare a lungo in prima divisione. Quest'anno è stato il migliore in molte gare: Iwakami ha dimostrato che in J. League ci può stare. E chissà che non festeggi la salvezza a fine anno con i suoi compagni.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Centrocampista moderno, il grande vantaggio di Iwakami è che vede il calcio a tutto campo. Piede delicato, non disdegna la corsa: è il centrocampista che ha corso di più in J. League finora (226 chilometri!). Ciò nonostante, la quantità è abbinata alla qualità. Curiosità: è dotato di una gran gittata da rimessa laterale, quasi inusuale per un centrocampista come lui.
Iniziato al gioco come difensore, Sorimachi l'ha poi spostato a centrocampo, cambiando la carriera di Iwakami in maniera decisiva. Addirittura si è arrivati a vederlo sempre trequartista, se non addirittura seconda punta. Insomma, il buon Yuzo sa fare un po' tutto. Del resto, se lo chiamo "universale", non è un caso...

STATISTICHE
2011 - Shonan Bellmare*: 1 presenza, 0 reti
2012 - Shonan Bellmare*: 23 presenze, 5 reti
2013 - Shonan Bellmare: 13 presenze, 1 rete
2013 - Matsumoto Yamaga*: 15 presenze, 2 reti
2014 - Matsumoto Yamaga*: 42 presenze, 8 reti
2015 - Matsumoto Yamaga (in corso): 22 presenze, 1 rete
* = in J. League 2

NAZIONALE
Devo dire che mi ha stupito (e un po' dispiaciuto) non vederlo nella lista dei 23 convocati per l'EAFF Asian Cup, che avrà luogo tra qualche giorno. Speravo che Halilhodzic potesse dargli una chance, invece niente. Difficile che possa emergere nel panorama della Nippon Daihyo in questo momento storico: i Shibasaki e i Wataru Endo di turno avranno presto il loro spazio.

LA SQUADRA PER LUI
Se confermerà i suoi progressi, non sarà certo un caso. L'età impone di dare un'occhiata al giocatore immediatamente, perché il meglio del suo repertorio sta uscendo proprio in questa fase della sua carriera. A mio modo di vedere, il Matsumoto avrà la chance per restare in J. League e diventarne una forza stabile (15mila spettatori a partita fanno la differenza).
La scelta sta a Iwakami: se arrivasse un'offerta dal Vecchio Continente, sarebbe meglio provare l'esperienza europea o rimanere in Giappone per diventare una bandiera della città di Yamaga? A lui l'inquieto dilemma.

26.7.15

Ricominciare.

A volte ripartire da zero è la cosa migliore. Sembra così lontana l'estate del 2014, quella brasiliana e afosa. Un anno fa il Mondiale ci ha consegnato la sorpresa Costa Rica: tra i giocatori da guardare con attenzione, c'era l'elegante e ordinato Bryan Ruiz, capitano dei Ticos. Giocatore già affermato, ricomincerà dallo Sporting Lisbona dopo la disastrosa esperienza al Fulham.

Ruiz con la maglia del Costa Rica: un gran Mondiale per lui.

E pensare che questo classe '85 avrebbe potuto avere avuto di più dalla sua carriera rispetto a quanto ha ottenuto finora. Cresciuto nell'Alajuelense, Ruiz si è fatto conoscere presto in Costa Rica, quando aveva appena vent'anni e formava un ottimo attacco in patria. Soprannominato La Comandreja (la donnola, per il suo profilo facciale), con l'Alajuelense ha vinto anche una Champions League nord-centroamericana.
A quel punto, Ruiz si è poi trasferito nel 2006 in Belgio, precisamente al Gent. Dopo una prima stagione di apprendistato, il costaricense diventa persino il capitano del club. Non passa molto prima che lo noti il Twente, che lo porta in Olanda nel 2009. Costo dell'operazione di cinque milioni di euro, anche se lo Zenit era arrivato a offrirne persino otto.
Anche in Eredivisie l'impatto è devastante, più che in Belgio. Al primo anno col Twente diventa campione d'Olanda, segnando anche il gol d'apertura nella partita che regala il titolo. La sua è una stagione d'esordio fantastica: 24 gol e 18 assist. Meglio di lui fa solo un certo Luis Suárez, bomber dell'Ajax. Con il Twente ha vinto anche una coppa e due supercoppe d'Olanda.
Nell'estate del 2011 tenta il salto in Inghilterra: il Fulham lo paga otto milioni di euro, mentre lui gioca ma non convince come in Olanda. Quando gli infortuni cominciano a perseguitarlo e Martin Jol viene esonerato, la sua avventura ai Cottagers è virtualmente finita. Il prestito al PSV regala un nuovo giocatore, pronto per la Coppa del Mondo 2014.
Nel Costa Rica dello straordinario ct Pinto, Bryan Ruiz aveva una doppia possibilità: centravanti di uno schieramento più coperto o cerniera fra centrocampo e l'unica punta Joel Campbell. Due reti (una contro l'Italia, l'altra contro la Grecia) e tanto lavoro sporco che l'hanno reso uno degli elementi più interessanti della competizione.
Nonostante i quarti raggiunti con il Costa Rica, il ritorno al Fulham non l'ha aiutato: con il club relegato in Championship, a Londra hanno provato ad aspettarlo. Eppure lui è uno capace di segnare gol così. Ma il club ha vissuto una pessima annata, specie dopo un inizio disastroso di campionato. Si era anche deciso di lasciar andare il capitano costaricense, ma alla fine l'affare invernale con il Levante non è andato in porto.


Un peccato che alla delusione di club si sia aggiunta quella della nazionale. Il Costa Rica si è presentato all'ultima Gold Cup senza Keylor Navas, Oviedo e Duarte, ottenendo tre pareggi nella fase a gironi. Passati solo per la regola dei terzi posti, i Ticos del ct Wanchope hanno tenuto il Messico fermo sullo 0-0 per 120 minuti, salvo capitolare sul rigore di Guardado.
Ora Ruiz può ricominciare con uno spirito più positivo. La Primeira Liga è un campionato che può mettere in risalto le sue enormi doti tattiche e tecniche. Condottiero silenzioso, il costaricense è quello che serve allo Sporting, che potrebbe perdere l'algerino Slimani, ma ha acquistato di recente il colombiano Teo Gutiérrez.
Per altro allo Sporting Lisbona si fidano ciecamente di lui, se è vero - com'è vero - che i Leoni hanno posto su Ruiz una clausola rescissoria di 60 milioni di euro. Un modo per cautelarsi finanziariamente, ma la strategia è quella giusta. L'attaccante ha firmato un contratto fino al giugno 2018, quando avrà 32 anni e sarà pronto (magari) per il prossimo Mondiale russo.
Intanto l'attaccante ha voglia di mettersi alla prova in Portogallo. Intervistato da A Bola, Ruiz ha espresso le sue sensazioni: «Sono un po' nervoso, ma in maniera positiva. Sono ansioso di iniziare quest'avventura. Lo Sporting è un grande club europeo, sono contento di avere questa chance. Dopo l'esperienza al Fulham, è il miglior trasferimento potessi ottenere». È tempo di ricominciare: Ruiz sarà uno dei giocatori da guardare nella prossima annata.

Bryan Ruiz, 29 anni, riparte dallo Sporting Lisbona e dal Portogallo.

23.7.15

Bomber di scorta a chi?

Domani riparte la Zweite Bundesliga, campionato che riserva un sacco di sorprese. Nell'ultima stagione Ingolstadt e Darmstadt sono saliti in Buli, ora qualcun altro dovrà tentare di tornarci. Il Friburgo proverà a farlo con un'arma in più: Nils Petersen è ormai un giocatore del club a titolo definitivo.

Petersen con la maglia del Bayern Monaco, vetta di una carriera di gol.

Dopo sei mesi ottimi in prestito all'Europa Park, la società ha pensato di riscattare il cartellino dell'attaccante dal Werder Brema. Il club del Weser l'ha riaccolto, ma quando Petersen ha visto l'acquisto di Ujah dal Colonia, ha capito che il club non avrebbe puntato su di lui. Molte squadre si erano fatte avanti - sopratutto l'Hannover, bisognoso di un bomber - ma alla fine l'attaccante ha scelto di rimanere a Friburgo, certo che avrebbe giocato.
Del resto, la sensazione è che Petersen possa render bene nei luoghi dove gli si dà fiducia. È stato così nel suo primo club che l'ha fatto esplodere, l'Energie Cottbus. Figlio del vivaio di una delle storiche squadre della Germania dell'Est (il Carl Jeiss Zena), Petersen si fa largo in Zweite a 23 anni. Quando il CJZ scende in 3. Liga, lui veste la maglia dell'Energie. Assaggia la Bundesliga a vent'anni, poi diventa fondamentale in Zweite. Nel 2010-11 è il capocannoniere con 25 reti. E molte squadre lo osservano.
Arriva così l'incredibile passaggio al Bayern Monaco per tre milioni di euro, con tanto di 9 sulle spalle. Nonostante il rinnovo con l'Energie fino al giugno 2014, Petersen passa ai bavaresi. All'epoca il Bayern contava nella posizione di centravanti su Mario Gomez, Ivica Olić e persino Thomas Müller in emergenza. Nonostante questo e il fatto che sia stato spedito ogni tanto nella squadra riserve, Petersen porta a casa quattro gol in 15 presenze in quella stagione (gli stessi del croato, che però giocherà il doppio delle partite).
Tuttavia, il centravanti capisce che Monaco è il posto sbagliato per crescere: così arriva il prestito al Werder. Dopo un'annata da 11 reti, il prestito diventa trasferimento a titolo definitivo. Ma l'idillio dura poco: sette gol nel 2013-14 e zero nei primi sei mesi dell'ultima stagione. Con il Werder in difficoltà in classifica, la situazione diventa insopportabile: se Dutt lo utilizzava con il contagocce, il neo-tecnico Skrypnyk neanche lo vede.
Messo ai margini, Petersen accetta l'offerta del Friburgo: prestito ai Breisgau-Brasilianer fino a fine stagione. Lui esordisce contro l'Eintracht Francoforte, entrando nella ripresa. In 45 minuti si prende subito un record: è il primo giocatore del Friburgo a segnare una tripletta in Bundesliga. A maggio il suo score è di nove gol in 12 gare giocate e segna persino al Bayern. Peccato che stia fuori un mese, nel quale il Friburgo fa solo quattro punti in cinque partite: è retrocessione. Ora l'obiettivo diventa risalire.


Non sarà comunque facile per il Friburgo, perché le avversarie sono tante. Basti pensare alle nobili decadute Kaiserslautern and Karlsruhe, vicinissime alla promozione nella passata stagione, senza dimenticare il Norimberga, reduce da un'annata deludente. Per non parlare di quella che secondo me è la favorita numero uno: il Red Bull Lipsia è pronto a prendersi anche la Bundesliga. Ma il Friburgo ha il materiale tecnico e umano per risalire.
Petersen ha spiegato perché ha voluto rimanere a Friburgo: «So che è una decisione insolita (quella di scendere in Zweite, ndr), ma anche altri sono rimasti. Io sono affezionato al club e sento delle responsabilità. Resto qui per risalire in Bundesliga: ci tornerò, ma col Friburgo». In fondo, anche Christian Streich - il tecnico storico, confermato nonostante la retrocessione (l'Italia prenderà mai esempio?) - ha confermato che Petersen è fondamentale per la risalita: «Sono contento che sia rimasto con noi».
Una gioia condivisa anche dall'account Twitter del club, ben felice di annunciare l'acquisto dell'attaccante. Petersen torna in Zweite dopo quattro anni, quando fu capocannoniere con la maglia dell'Energie Cottbus. Sono quattro stagioni in cui Nils è cresciuto molto e non si farà scappare l'occasione di esser dominante in seconda divisione.

Nils Petersen, 26 anni, guiderà l'attacco del Friburgo in Zweite.

20.7.15

Rinascita.

Sembrava destinato al ritiro, tagliato ormai fuori dal giro non solo del calcio francese, ma in generale dello sport. Parliamo di uno dei prodigi del pallone transalpino, uno che stava per conquistarsi la nazionale. Eppure Yohann Pelé non si è mai arreso: il premio alla sua tenacia è arrivato quest'estate con l'approdo all'Olympique Marsiglia.

Dopo il quasi-ritiro, Pelé si è rilanciato con il Sochaux.

Formalmente si è preso il numero 1, ma in realtà Pelé farà il back-up di Steve Mandanda, capitano di lungo corso e rimasto per un altro anno al Velodrome. Soprannominato Albatross per la sua capacità di volo tra i pali, Pelé esordisce giovanissimo con il Le Mans. Passerà ben un decennio allo Stade Léon-Bollée, esordendo in Ligue 2 a vent'anni.
Un predestinato nelle serie inferiori, capace di portare il MUC 72 nella massima divisione francese. Rimasto a lungo in Ligue 1 con il club che l'ha fatto esordire (lo allenò anche un allora sconosciuto Rudi Garcia), nel 2009 Pelé viene acquistato dal Tolosa. Nonostante l'attrattiva di alcune offerte inglesi (si dice addirittura Arsenal e Manchester United), il portiere firma un contratto di quattro anni con Les Pitchouns.
Sotto la guida di Alain Casanova, Pelé diventa un titolare e aiuta il TFC a giocarsela persino in Europa League. Tuttavia, la delusione è dietro l'angolo: nell'ottobre del 2010, a Yohann viene diagnosticata un'embolia polmonare bilaterale. I tempi di stop si aggirano almeno sui sei mesi. Purtroppo quel termine - "almeno" - sarà più lungo di quanto tutti s'immaginano.
In appena due mesi, i tempi di recupero si allungano alla fine del 2011. Poi la tragica rivelazione del compagno di squadra, Mohamed Fofana: «Non credo che potrà più giocare a calcio». Così il Tolosa lo lascia a piedi e Pelé rimane fermo per un anno e mezzo. Fortunatamente, il portiere riceve l'autorizzazione per tornare a giocare.
A rilanciarlo è il Sochaux guidato da Hervé Renard, che ha bisogno di tutti i miracoli possibili. Tra questi, c'è proprio la rinascita di Pelé, che ricomincia a giocare in Ligue 1 (e bene). Nonostante la retrocessione, l'estremo difensore rimane in gialloblu: niente promozione con il Sochaux, ma viene nominato tra i migliori portieri della stagione di Ligue 2 appena conclusa (34 gol subiti in altrettante gare giocate).


Inevitabile l'attenzione di qualche grande club: l'Olympique Marsiglia è stata la più veloce ad assicurarsi il portiere, permettendo così di migliorare la squadra con un acquisto a parametro zero. Dal canto suo, Pelé potrà riassaporare l'Europa e un palcoscenico di prestigio come il Velodrome, uno degli stadi più belli di Francia.
Dopo aver firmato fino al giugno 2018, Pelé è sembrato felice della sua nuova destinazione: «Sono molto contento di esser qui: ho controllato le strutture d'allenamento e non vedo l'ora di iniziare. Quando l'OM s'interessa a te, sei felice per forza: è un grande club. Anche se ho una certa età, voglio continuare a migliorare qui». Per altro, il portiere è sembrato in forma già nel ritiro con la sua nuova squadra.
Ora Pelé è pronto a riconquistare tutto: la Francia, la Ligue 1, l'Europa e chissà, magari un posto in nazionale da riserva. Scrollare Mandanda sarà difficilissimo (sempre che la sua permanenza sia certa...), ma Yohann ha superato sfide più importanti di una semplice concorrenza in squadra. La sua rinascita è quasi completa: manca solo il tocco finale.

Yohann Pelé, 32 anni, riparte da Marsiglia in Ligue 1.

17.7.15

Sorprese lontane.

Una partenza con il turbo: dopo aver dato vita al primo giant killing della competizione (eliminando la Stella Rossa), i preliminari di Europa League continuano a stupire con la sorpresa Kairat FC. Il club kazako ha superato in scioltezza il primo ostacolo e ieri si è sbarazzato per 3-0 dell'Alashkert, aprendosi le porte alla qualificazione al turno successivo.


Ci sarebbero fiumi d'inchiostro da spendere sulla crisi del calcio serbo (ne ha parlato Nogometni qualche tempo fa), ma la verità è che bisogna concentrarsi sul panorama kazako. Inspiegabilmente annesso all'Uefa, il Kazakistan non sta facendo grossi passi avanti con le sue nazionali, ma sta invece progredendo con i suoi club. Basti ricordare come lo Shakhter Karagandy abbia sfiorato l'accesso alla fase a gironi della Champions League due anni fa, prima di esser eliminato dal Celtic.
Ben diversa la storia del Kairat Football Club, che ha un passato importante alle spalle. A lungo il top club del paese, è stato l'unico team kazako ad aver disputato una stagione nella antica Soviet Union League e ha persino vinto la seconda divisione sovietica. All'epoca, il Kairat FC faceva persino parte delle società sportive volontarie dell'ex Unione Sovietica, nella quale erano inserite le migliori strutture sportive e psico-fisiche.
A lungo sponsorizzato dalla compagnia ferroviaria nazionale (la Kazakhstan Temir Zholy) nel periodo post-sovietico, il Kairat FC ha dovuto affrontare l'abbandono di quest'importante sponsorizzazione nel 2007. Vincitrice di due campionati kazaki (nel 1992 e nel 2004), la società ha dovuto subire anche la retrocessione. Risalita nella Kazakistan Premier League, è iniziato un periodo di rinascita.
La rinascita è dovuta sopratutto all'arrivo di un allenatore come Vladimir Weiss. L'ex ct della Slovacchia (agli ottavi del Mondiale 2010 sotto la sua supervisione) ha fatto un ottimo lavoro e continua a guidare la squadra in maniera egregia, se è vero che il Kairat FC ha ottenuto due terzi posti, la vittoria della coppa nazionale nel 2014 e la sconfitta - solo ai rigori - nella supercoppa.
Attualmente il Kairat FC è quinto nella classifica all-time del campionato kazako, ma punta a scalare ulteriori posizioni e a crearsi un gran credito in Europa. Alla quinta partecipazione continentale, il club kazako ha iniziato col botto, eliminando la Stella Rossa con un complessivo 4-1 e una vittoria al Maracanà di Belgrado. Una vendetta, visto che proprio i serbi avevano eliminato il Kairat nella sua prima partecipazione europea nel 2002.

La gioia dei giocatori del Kairat dopo aver vinto la coppa kazaka nel 2014.

La squadra punta a proseguire la sua crescita, specie dopo aver schiantato gli armeni dell'Alashkert nell'andata del secondo turno: un 3-0 che regala al Kairat il terzo round dei preliminari di Europa League. Mai questo club era andato così avanti in una competizione continentale, segno che i progressi del calcio kazako sono sotto gli occhi di tutti.
Anche la programmazione del board è notevole: qualche mese fa, il Kairat FC ha stabilito una partnership con lo Sporting Lisbona, top club della Primeira Liga portoghese. Un accordo che prevede diversi scambi: non solo di giocatori, ma anche di scouting ed esperienze, con qualche ragazzo del vivaio kazako che giocherà presso le strutture dei Leoni di Lisbona.
La soddisfazione è stata grande da parte del presidente del Kairat FC, Kairat Boranbayev: «Lo Sporting ha ottimi giocatori e ha la tradizione di una grande accademia di calcio. Questo è molto importante, come lo è il fatto che i portoghesi curano molto il calcio. Il Kairat guarda al futuro e vogliamo migliorare: ringrazio il presidente dello Sporting e mi auguro il massimo successo per questa joint venture».
Non sarà facile scavalcare giganti come l'Astana e l'Aktobe, ma la strada è quella giusta. Lo è anche perché attualmente il Kairat è secondo in campionato e al Central Stadium si sogna. Tra un gol di Gerard Gohou e la crescita del promettente Bauyrzhan Islamkhan, la squadra di Almaty piazza anche qualche colpo importante.
Si pensi all'arrivo di Anatoliy Tymoshchuk, che ha lasciato lo Zenit di Villas-Boas per provare l'avventura kazaka: il suo esordio in campionato è avvenuto persino con la fascia da capitano. C'è anche il caso di Bruno Gabriel Soares, un passato soddisfacente in Zweite Bundesliga e oggi colonna difensiva del Kairat. Non c'è che dire: le sorprese sono lontane, ma bisogna starci attenti.

Anatoliy Tymoshchuk, 36 anni, pronto per l'avventura al Kairat.

14.7.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Patrik Carlgren

Buongiorno a tutti gli appassionati e benvenuti a un altro numero di "Under the Spotlight", la rubrica che ci permette di scoprire i migliori talenti del panorama europeo. Con l'Europeo U-21 appena conclusosi, è giusto lasciar spazio a qualcuno dei nuovi campioni continentali della Svezia. Tra di loro, il portiere Patrik Carlgren ha certamente fatto un'ottima figura.

SCHEDA
Nome e cognome: Patrik Carlgren
Data di nascita: 8 gennaio 1992 (età: 23 anni)
Altezza: 1.88 m
Ruolo: Portiere
Club: AIK (2013-?)




STORIA
Classe '92, Carlgren nasce a Falun, città che per due volte ha sfiorato l'opportunità di ospitare le Olimpiadi invernali. Il giovane Patrick cresce nel Samueldals IF, poi esordisce con i grandi con il Falu FK, la squadra della sua città. Il club viene prima promosso in quarta divisione, poi rischia la retrocessione. Da lì passa all'U-19 dell'IK Brage, società di Borlänge. Il livello si alza, visto che il club milita in Superettan (la seconda divisione nazionale).
Proprio al Brage Carlgren gioca le sue prime gare: il ragazzo è titolare in coppa e viene lanciato in campionato sul finale di stagione. Quando sembra ormai aver preso i galloni da numero uno, il Brage precipita in classifica: nel 2013, l'IK retrocederà con soli 12 punti all'attivo. Tuttavia, qualcuno ha notato il ragazzo: l'AIK mette gli occhi su di lui e lo porta via nell'estate di quell'anno. Il destino di Carlgren, a quel punto 21enne, è la squadra giovanile.
Tuttavia, l'AIK ha bisogno di un nuovo portiere da lanciare: nell'Allsvenkan 2013 è arrivato secondo, ma solo dopo una lunga rimonta. E ai premi del campionato per l'estremo difensore, non c'è un rappresentante della più famosa squadra svedese. Così, l'anno successivo, il manager Andreas Alm lo lancia al posto del titolare Stamatopoulos in una partita contro l'Halmstads. Da quel momento in poi, rimarrà il numero uno.
Carlgren gioca ogni tanto con l'U-21, ma il suo destino ormai è in prima squadra. Ai premi del campionato svedese per il 2014, è tra i candidati per l'alloro come miglior rookie, ma perde a favore di Gustav Engvall. Gioca persino le sue due prime gare europee, ma l'AIK in Europa League esce subito per mano dei kazaki dell'FC Astana. Non c'è gioia neanche in campionato, dove l'AIK manca per l'ennesima volta la vittoria finale.
Nonostante il Malmö sia in crisi, l'AIK fatica anche quest'anno, dove però Carlgren sta permettendo alla difesa di essere meno permeabile. Incredibile l'impegno del portierino: due giorni dopo aver vinto l'Europeo U-21, era già in campo con l'AIK nel primo turno di Europa League. Stavolta è andata bene e ora gli svedesi affronteranno al secondo turno gli armeni dello Shirak. Un piccolo infortunio ai legamenti potrebbe impedire a Carlgren di esserci, ma chissà...

CARATTERISTICHE TECNICHE
Carlgren ha un non so che di "garelloso": come il famoso portiere del Napoli, se la cava bene con le parate di piede. Esplosivo e reattivo, sulle parate d'istinto sembra esser molto dotato. A volte esagerato in alcuni voli (fatti sopratutto per i fotografi), Carlgren in realtà ha un solo grosso difetto. Bloccare il pallone - invece che respingerlo in continuazione - non sembra il suo forte.

STATISTICHE
2010 - Falu FK
2011 - Falu FK
2011 - IK Brage: 0 presenze, 0 reti subite
2012 - IK Brage: 12 presenze, 17 reti subite
2013 - IK Brage: 12 presenze, 20 reti subite
2013 - AIK Stoccolma: 0 presenze, 0 reti subite
2014 - AIK Stoccolma: 28 presenze, 36 reti subite
2015 - AIK Stoccolma (in corso): 13 presenze, 17 reti subite

NAZIONALE
Sicuramente la vetrina più grande per il suo futuro. Se ci pensiamo, la Svezia attraversa qualche difficoltà nel ricambio generazionale. L'Europeo U-21 vinto in Repubblica Ceca qualche settimana fa arriva al momento giusto. Basti guardare l'attacco, dove la Svezia si regge ancora (obbligatoriamente) sulle prodezze di Zlatan Ibrahimovic, ma persino su due che hanno rovinato la loro carriera negli anni (Marcus Berg e Ola Toivonen).
Al tempo stesso, in porta c'è bisogno di un ricambio. Perché schierare ancora Andreas Isaksson nel 2015 è una sorta di malefatta contro gli dèi del calcio. La Svezia ha già un prospetto interessante in quel ruolo - Kristoffer Nordfeldt, preso dallo Swansea quest'estate - ma Carlgren può sfruttare l'eco delle sue prestazioni all'Europeo U-21 e provarsi a prendere il posto.
Del resto, Nordfeldt non è sicuro di giocare allo Swansea (Fabiański rimane il titolare), mentre Carlgren sarà il numero uno indiscusso dell'AIK di Stoccolma. Per lui è una grande occasione, anche perché non ha ancora esordito con la nazionale maggiore. In fondo, più di uno l'aveva proposto come l'uomo decisivo per la finale di Praga.

LA SQUADRA PER LUI
Carlgren è un ragazzo da seguire con molta attenzione. La Svezia ha avuto raramente nella sua storia portieri molto buoni: basti pensare che il miglior della storia è probabilmente Thomas Ravelli, estremo difensore dei gialloblu che arrivarono terzi al Mondiale 1994. Oggi la situazione contrattuale di Carlgren spinge a osservare ciò che diventerà: il suo accordo con l'AIK scade nel dicembre 2016. Ci saranno almeno altri sei mesi per osservarlo, poi ci sarà l'occasione buona per prenderlo. Specie se confermerà i progressi visti all'Europeo di categoria.

10.7.15

Un romantico ad Amburgo.

Quest'articolo è dedicato a chi pensa che il romanticismo non esista più nel calcio. A chi non crede più nelle scelte di cuore ed è convinto che ormai solo i soldi dominino in maniera sovrana. Salvo (spiacevoli) ripensamenti, Marcell Jansen ha deciso di concludere la sua carriera a 29 anni: «Se non posso più vestire la maglia dell'Amburgo, meglio ritirarmi. Non voglio baciare un altro simbolo».

Jansen segna al Mondiale 2010 il momentaneo 2-2 nella finalina contro l'Uruguay.

Questa semplice considerazione vale di per sé moltissimo. In un calcio nel quale il cambio di maglia è vissuto come semplice necessità per crescere, migliorarsi o anche solo prender più soldi, Jansen - non ancora trentenne - decide di dire basta. E non parliamo di uno dei giocatori più scarsi della Bundesliga, il cui addio non si sentirà, bensì di un ragazzo che ha all'attivo anche presenze con la nazionale tedesca.
Una carriera cominciata a Mönchengladbach, dove Jansen è cresciuto con la maglia del Borussia addosso: undici anni nel settore giovanile, tre con la prima squadra, con cui ha esordito in Bundesliga nel lontano 2004. Fu Dick Advocaat - uscito malconcio come ct dell'Olanda a Euro 2004 - a lanciare il giovane Marcell, inserendolo gradualmente tra i grandi. Nonostante un esordio difficile, l'infortunio di Christian Ziege ha dato un'altra chance al laterale mancino, che così si è potuto imporre con il club della sua giovinezza.
Da lì, è stata una continua crescita per Jansen. I miglioramenti l'hanno portato in nazionale, ma sopratutto a vestire la maglia del Bayern Monaco: nell'estate del 2007, i baveresi lo acquistano per dieci milioni di euro. L'esperienza all'Allianz Arena sarà in realtà un incubo: è difficile assicurarsi un posto in squadra. Da terzino sta esplodendo Philipp Lahm, mentre l'ala sinistra è Franck Ribery. Un infortunio alla caviglia mette fuori gioco Jansen, ormai in difficoltà a Monaco di Baviera.
Il terzino viene messo in panchina da Jurgen Klinsmann la stagione successiva: secondo l'allenatore del Bayern, le prestazioni di Jansen sono state insufficienti a Euro 2008. E così Marcell capisce che è meglio trasferirsi altrove. Qui cambia la storia della sua carriera, perché l'Amburgo lo preleva per otto milioni di euro. Un Amburgo ben diverso da quello a cui siamo abituati oggi. Altro che lotte per la salvezza: era l'HSV che gravitava in zona europea e sfiorava finali casalinghe di Europa League.
In questo cambio, anche Jansen ha avuto i suoi benefici: da terzino si è trasformato in ala offensiva o esterno di centrocampo. Inoltre, all'Imtech Arena Jansen è diventato un'istituzione con il passare del tempo. Un punto fermo, nonostante il club abbia optato per nove allenatori diversi da quando Jansen è un giocatore dell'HSV (e ho lasciato da parte i cinque ad interim...). Il che forse spiega anche le due retrocessioni rischiate in altrettante stagioni.
Tuttavia, Jansen ha collezionato diverse presenze ad Amburgo e ha persino raggiunto la doppia cifra di marcature nel 2009-10 (dieci reti in 37 apparizioni). Gli infortuni, però, non l'hanno mai lasciato tranquillo. Così è arrivato l'annuncio dell'a.d. dell'Amburgo, Dietmar Beiersdorfer: «Abbiamo parlato con Rafael e Marcell: abbiamo annunciato loro che non vogliamo prolungare i loro contratti». L'ultima partita disputata con l'HSV è una sconfitta sul campo dello Stoccarda. Purtroppo, Jansen era infortunato durante lo spareggio contro il Karlsruhe.


Ci ha pensato, ma alla fine Jansen ha deciso di dire basta: «C'erano molte buone offerte, ma andar avanti per forza non è una mia opzione - ha detto alla Bild - Sono allenato. Potrei sfruttare la free agency e strappare ancora un ottimo contratto, ma preferisco rinunciare ai soldi. Negli ultimi anni mi sono affezionato molto all'Amburgo. Continuerò a vivere qui e amerò per sempre questo club. Una nuova squadra? Non voglio mentire: non posso baciare un altro simbolo all'improvviso. Non sarebbe giusto».
Una sincerità disarmante per chi ha comunque alle spalle più di duecento gare in Bundesliga, trenta in competizioni europee, nonché uno score di 45 presenze e tre gol con la Nationalmannschaft. Jansen ha partecipato a due Mondiali e un Europeo tra il 2006 e il 2010, rischiando persino di esserci nella rosa per il Mondiale 2014: è stato tagliato all'ultimo. Jansen è un simbolo per la città di Amburgo, impegnato in diverse iniziative (come l'"Hamburger Weg" e il "Mathe macht das Tor").
Questo è solo un altro colpo alle (poche) sicurezze dell'Amburgo. Gli anseatici hanno rischiato per due anni di fila la retrocessione, salvandosi con un colpo di coda nei play-out. Quest'estate hanno già perso Rafael van der Vaart (andato al Betis) e Heiko Westermann (con cui non si è trovato l'accordo per il rinnovo del contratto). L'HSV ha perso i suoi "tre capitani" e ora si ritroverà ad affrontare questo 2015-16 da capo.
Finora lo svizzero Johan Djourou - il candidato alla pesante successione - non si è dimostrato proprio un leader affidabile. Se da una parte potrebbe essere una mossa necessaria, dall'altra essere senza punti di riferimento non farà bene al club. In compenso, avranno un tifoso in più. Un romantico che ad Amburgo si trova benissimo.

Marcell Jansen, 29 anni, si ritira dopo l'addio all'Amburgo.

8.7.15

L'era dei ritorni.

Il calcio olandese continua a latitare in Europa: se la nazionale ottiene regolarmente l'attenzione di molti addetti ai lavori, i club non riescono più a imporsi. Costretti a vendere per sopravvivere bene, spesso puntano sui giovani. Questo non è bastato al Feyenoord, di nuovo fuori dalla zona europea dopo cinque anni.


Era dal 2010-11 che il Feyenoord non mancava l'entrata in una delle due competizioni europee. A esser sinceri, a Rotterdam non vedono la squadra in una partita della fase a gironi della Champions League da diverso tempo. L'ultima gara giocata nella massima competizione europea risale al 31 ottobre... 2001! L'ultimo trofeo vinto, invece, è la KNVB Cup del 2007-08. Sono passati sette anni e forse si spera di tornare a celebrare qualche alloro.
Tra le Big Three del calcio olandese, il Feyenoord ha vissuto alcuni anni di rinascita, con due terzi e un secondo posto tra il 2011 e il 2014. Merito di Ronald Koeman, che quest'anno ha dimostrato quanto fosse valido il suo lavoro anche in Premier League con il Southampton. Ma non è solo la partenza dell'allenatore ad aver creato qualche problema: nell'estate del Mondiale, il Feyenoord ha venduto Martins Indi, de Vrij, Janmaat e Pellè.
Troppe partenze per un'unica finestra di calciomercato, che hanno condizionato la stagione del Feyenoord. Un 2014-15 difficile fin da subito, con la quasi eliminazione dai play-off di Europa League per mano dello Zorya Luhansk e i soli cinque punti racimolati nelle prime sei partite di Eredivisie. Poi l'andazzo è migliorato con il passare del tempo (primi nel girone di Europa League), ma il Feyenoord non ha mai spiccato il volo.
A questo si sono aggiunti i guai di Roma-Feyenoord, quando nel pre-partita dei sedicesimi di Europa League i tifosi olandesi si sono scontrati con la polizia nel centro di Roma. Non è andata meglio al ritorno, dove i supporters hanno persino interrotto la partita. Il finale di campionato - due punti in cinque gare - ha reso impossibile mantenere il terzo posto e l'Europa diretta. I play-off persi hanno messo il punto su una pessima annata.
Per questo, l'era di Giovanni van Bronckhorst è iniziata persino prima del previsto. Inizialmente l'ex capitano degli Oranje avrebbe dovuto prendere la guida della prima squadra a luglio, ma l'esonero di Fred Rutten ha cambiato tutto e così GvB è subentrato in un finale di stagione scriteriato. Nel doppio play-off disputato contro l'Heerenveen, il neo-tecnico non ha dovuto far altro che sottoscrivere la fine e pensare al 2015-16.
L'esperienza di van Bronckhorst sarà fondamentale: lui ha vinto una Champions League con il Barcellona e potrà trasmettere una nuova mentalità alla squadra. Per altro, il salto era atteso: 235 partite giocate in otto anni al De Kuip, GvB è stato ha militato anche nelle giovanili per altri undici. Nello staff tecnico del Feyenoord per quattro anni, è tempo per l'olandese di dimostrare che vale anche come manager del De Stadionclub.


La nuova annata è iniziata da qualche giorno, con il Feyenoord in ritiro in Austria da lunedì scorso. La squadra affronterà diverse amichevoli di prestigio: il 23 luglio toccherà al Southampton, il 1° agosto all'Olympiacos campione di Grecia. Chiaro come l'obiettivo della nuova stagione diventi quello di riscattare l'annata precedente. Le prospettive, in questo senso, sembrano esser buone: il Feyenoord non ha subito nessuna partenza eccellente.
Le conferme son passate sopratutto dalla permenenza di due giocatori fondamentali: il giovane capitano Jordy Clasie (classe '91, presente all'ultimo Mondiale) e l'ala Jean-Paul Boëtius (classe '94). A loro si è aggiunta la conferma di Colin Kâzım-Richards, che si è rilanciato al De Kuip: 12 gol in 30 partite, più di quelli realizzati nelle ultime tre stagioni. Inoltre, l'arrivo di Marko Vejinović dal Vitesse per tre milioni e mezzo di euro è il segnale che la società è tornata a spendere.
Sarà sopratutto un'era di ritorni. Dirk Kuyt giocherà di nuovo per il Feyenoord dopo nove anni e gli 83 gol realizzati nel suo primo stint al De Kuip. Tra i due assistenti di van Bronckhorst, c'è Jean-Paul van Gastel, altro ex eccellente che faceva parte dell'ultimo Feyenoord campione d'Olanda. Patrick Lodewijks, che ha chiuso la carriera con questa maglia, oggi è l'allenatore dei portieri e il coach delle riserve. Per non parlare di Roy Makaay, che oggi allena l'U-13 del club. Insomma, una direzione made in Rotterdam.
L'8 agosto inizierà l'Eredivisie e a Rotterdam si spera di vedere una stagione diversa. L'esordio casalingo contro l'Utrecht dirà qualcosa sul futuro del club. Un'era di ritorni anche nel campionato olandese, visto che gli allenatori di Psv e Ajax saranno ancora rispettivamente Philip Cocu e Frank de Boer, due ex compagni di nazionale di GvB. A Rotterdam vorrebbero nuovamente alzare un trofeo: l'era dei ritorni sarà anche quella delle vittorie?

Giovanni van Bronckhorst, 40 anni, guiderà il Feyenoord nel 2015-16.

5.7.15

Alba Roja.

Indimenticabile. Credo sia l'unica parola per descrivere a pieno quello che avranno provato molti tifosi cileni nella nottata italiana, quando la Roja ha battuto l'Argentina ai rigori e ha conquistato la sua prima Copa América in 99 anni di storia. Un traguardo incredibile, ma sopratutto meritato. Per la Selecciòn, invece, è l'ennesima delusione.

Alexis Sánchez, 26 anni, ha segnato il rigore decisivo per il Cile.

Giusto fare un piccolo riassunto delle puntate precedenti: per una volta, ho preso un pronostico e ho azzeccato la finale. L'Argentina è stata spesso travolgente, a volte senza neanche forzare: nell'ordine ha battuto Paraguay, Uruguay, Giamaica e un'altra volta il Paraguay. Solo uno stop con la Colombia nei quarti, dove ha avuto la meglio ai rigori. Come l'armata rossa del Cile, che un piccolo ostacolo l'ha incontrato nel Messico-B, che l'ha costretto al pareggio. Poi vittorie con Ecuador, Bolivia, Uruguay e Perù.
I padroni di casa potranno non aver convinto in alcune gare, ma hanno sfruttato al meglio il fatto di giocare a Santiago e il loro gioco fatto di pressing e continue sovrapposizioni. Nebuloso durante l'intera Copa, Alexis Sánchez ha tenuto il meglio per l'ultimo atto. Magari sotto porta non è stato preciso (due occasioni mancate di poco), ma in mezzo al campo è stato devastante. Metteteci il cucchiaio per il rigore decisivo e avrete il Man of the Match.
Un applauso va anche a coloro che avrebbero dovuto essere delle seconde linee e che in realtà sono stati fondamentali per vincere la prima Copa América. Charles Aránguiz sarà pure transitato di passaggio a Udine, ma chissà se ha lasciato qualche rimpianto a Pozzo: in questa Copa, per me è stato l'MVP indiscusso. Dopo lo scorso Mondiale, è definitivamente cresciuto.
L'intera linea difensiva è stata encomiabile: tutti bassi, ma tutti bravissimi a saper cosa fare (persino Jara, furbo come una volpe). Claudio Bravo ha dimostrato a tutti perché il Barcellona lo scelse un'estate fa: non ha giocato una gara a eliminazione diretta in questa stagione, eppure al momento giusto c'è sempre stato, come quando ha parato il rigore di Banega. Infine, il mio amore va a El Mago Jorge Valdivia, che si appresta a tornare negli Emirati dopo aver deliziato tutti durante questa competizione.
Ma il plauso più grande forse va a Jorge Sampaoli: arrivato con il peso ingombrante di dover proseguire il buon lavoro di Bielsa e Borghi, ha fatto persino meglio. Diventato famoso con la U de Chile, ha conquistato l'alloro continentale nello stesso stadio dove aveva vinto la Copa Sudamericana del 2011. Irrequieto in panchina (mai una volta che un'inquadratura l'abbia beccato fermo), è il fautore di questa grande conquista.

Lionel Messi, 28 anni, all'ennesima delusione con la nazionale.

E l'Argentina? Sconfitta un'altra volta. Con questa beffa, la Selecciòn è diventata la squadra sudamericana con più sconfitte in finale di Copa América (13!). Un record bruciante, specie se si pensa che tutto era apparecchiato per la vittoria Albiceleste: la delusione del Mondiale, una squadra fortissima e un Messi finalmente stabile (seppur con un solo gol all'attivo).
Già, Messi. Personalmente lo vorrei criticare più da un punto di vista psicologico che tecnico. Contro QUESTO Cile, era chiaro che la sua partita sarebbe stata difficile. La Roja non ti aspetta, anzi, tiene il pallone: l'arma migliore per distruggere l'Argentina, che infatti ha avuto un paio di occasioni e basta. Ma Messi avrebbe dovuto far saltare il tavolo, cosa non successa. Sopratutto si è preso il primo rigore, come contro la Colombia: un modo per scansare le responsabilità. Cose che da capitano non si fanno.
Ci sono cose che non dovrebbe fare neanche Gonzalo Higuain, che forse ha toccato il punto più triste della sua carriera. Attenzione: più triste, non più basso. Perché lo score con il Napoli parla di 29 gol in 56 presenze stagionali. E in questa Copa non ha quasi mai giocato, ma ha realizzato due reti. Eppure, alla storia passeranno i suoi rigori sbagliati un po' ovunque. Faccio notare per altro come siano sbagliati tutti allo stesso modo: Higuain cerca sempre di piazzarla alta, ma mette troppa potenza e la palla finisce sulla luna.
Pessime anche le prove di altri interpreti. L'assenza di Garay è stata fondamentale: Edu Vargas non si è visto molto, ma Demichelis neanche. E che dire di Rojo, l'ignoranza fatta a essere umano? Giocatore utile e focoso, in quella posizione da terzino è adattato. Infatti non è stato quasi mai utile in fase offensiva e in difesa ha sofferto tantissimo le incursioni di un Isla in gran spolvero. L'infortunio di Di Maria ha fatto il resto.
Ora il Cile non ha conquistato solo la prima rassegna continentale della sua lunga storia, ma parteciperà anche alla Confederations Cup del 2017. I ragazzi di Sampaoli raggiungono le già qualificate Germania, Australia e Russia. La gioia cilena è stata strabordante: del resto, per come hanno giocato la competizione, tutto era apparecchiato per un loro successo. La prima volta non si scorda mai e l'alba, a Santiago del Cile, è Roja più che mai.

Il Cile in tripudio dopo la prima vittoria in Copa América.

3.7.15

2015 Gold Cup special: Stripes, but no stars (Part II)

Se c'è una federazione uscita alla grande dall'ultimo Mondiale brasiliano, quella è la Concacaf. Usa e Messico agli ottavi, Costa Rica ai quarti. Ecco perché la Gold Cup 2015 negli Stati Uniti sarà molto interessante, nonostante la mancanza di molte stelle: Donovan, Keylor Navas e Bengtson sono solo alcuni dei nomi che non ci saranno in questa rassegna. Oggi parliamo del girone C e dei pronostici.


Girone C - Messico, Guatemala, Trinidad & Tobago, Cuba

Con il ct Herrera arrabbiatissimo dopo l'eliminazione dalla Copa América (tanto da litigare con un giornalista), l'unico obiettivo per il Messico è vincere. Non ci sono scusanti, anche perché a differenza della rassegna sudamericana in squadra ci saranno i titolari. El Tri punta alla settima Gold Cup della sua storia portando i pezzi grossi in campo: è persino tornato in nazionale Carlos Vela. Due anni fa la Confederations Cup impedì questa scelta, adesso Herrera vuole stravincere. Tra loro, si attende al varco Javier Hernández: El Chicharito ha passato un altro anno in panchina e avrà una voglia matta di dimostrare perché a 27 anni merita di giocare in una grande da titolare. Ricordiamo che è stato anche MVP della competizione e campione nel 2011.

Il Guatemala arriva nel silenzio generale e nel ricordo di quella vittoria continentale ormai datata 1967. Tornati alla fase finale della Gold Cup dopo esser stati assenti nel 2013, Los Chapines non se la passano benissimo. Nell'ultima fase di qualificazione al Mondiale 2018, il Guatemala ha avuto la meglio solo per 1-0 in 180' contro Bermuda. Nella squadra guidata dal ct Iván Sopegno, Pappa e Cincotta sono due elementi interessanti. Ma ancora una volta il destino del Guatemala sarà sulle spalle di Carlos Ruiz, capitano, capo-cannoniere e uomo più presente con la maglia dei centro-americani. Sarà la sesta Gold Cup per El Pescadito: chissà se sta pensando di dire basta alla nazionale dopo 17 anni, dopo averlo già fatto due volte (e averci ripensato).

Trinidad & Tobago è rimasto nelle nostre memorie sopratutto per il Mondiale del 2006, quando si qualificò a sorpresa per la fase finale e riuscì anche a strappare un punto alla Svezia di Ibrahimovic. Ben diversa la realtà d'oggi, dove i Soca Warriors hanno ormai salutato anche gli ultimi eroi degli anni '90 e 2000. Tuttavia, la squadra sembra compatta: il ct Stephen Hart sta facendo un buon lavoro e si è rilanciato dopo il brutto addio al Canada. E sopratutto non mancherà Kenwyne Jones, capitano e bomber della squadra (40 gol in Premier in carriera). Curiosità: sarà assente Kevin Molino, stella degli Orlando City, la squadra dove gioca Kakà.

Cuba arriva alla Gold Cup 2015 con un record già ottenuto prima di giocare: la squadra è INTERAMENTE formata da giocatori locali. Tutti e i 23 i protagonisti provengono dal campionato nazionale, così come le loro eventuali riserve. L'obiettivo di raggiungere nuovamente i quarti di finale sarà difficile da ripetere, ma partecipare alla Gold Cup è un'ottima esperienza per i Leones del Caribe guidati da Raúl González Triana, tornato alla guida della squadra dopo due esperienze precedenti. Il momento, per altro, è difficile: un mese fa, Cuba è già uscita dalle qualificazioni al Mondiale per mano di Curaçao.

Javier Hernández, 27 anni, pronto a spaccare il mondo con il Messico.

Io con i pronostici continuo a provarci, nonostante l'ultima Copa América stia a testimoniare quanto poco riesca a prenderci. Resta comunque un gioco divertente da fare e quindi non molliamo, tentando nuovi previsioni anche per la Gold Cup. Questi potrebbero essere i quarti di finale, che avranno luogo tra il 18 e il 19 luglio (ricordo che in grassetto sono evidenziate le qualificate):

Stati Uniti-Canada | Panama-Costa Rica
Messico-Honduras | Trinidad & Tobago-Giamaica

A questi accoppiamenti seguirebbero le semifinali così elencate, che si disputeranno il 22 luglio:

Stati Uniti-Costa Rica | Messico-Trinidad & Tobago

Quindi sto prevedendo per il 26 luglio un ultimo atto in quel di Philadelphia tra Messico e Costa Rica. Senza gli United States, per altro padroni di casa. Lo so, la sto sparando grossa. Però credo che il Mondiale brasiliano non sia stato un caso. Il Costa Rica non è una squadra che è casualmente approdata ai quarti, ma ha fatto dell'organizzazione un mantra di vita.

Un mantra che potrebbe superare anche la netta superiorità statunitense. E poi voglio credere che questa non sia una coppa a unico appannaggio di Stati Uniti e Messico, ma che ci sia una chance anche per qualche novità. Qualche stella manca, ma le sorprese ci saranno di sicuro: statene certi.

Carlos Ruiz, 35 anni, simbolo e anima del Guatemala.

2.7.15

2015 Gold Cup special: Stripes, but no stars (Part I)

Se c'è una federazione uscita alla grande dall'ultimo Mondiale brasiliano, quella è la Concacaf. Usa e Messico agli ottavi, Costa Rica ai quarti. Ecco perché la Gold Cup 2015 negli Stati Uniti sarà molto interessante, nonostante la mancanza di molte stelle: Donovan, Keylor Navas e Bengtson sono solo alcuni dei nomi che non ci saranno in questa rassegna. Oggi parliamo dei gironi A e B.

La Gold Cup sarà ospitata per l'ennesima volta dagli Stati Uniti.

Girone A - Stati Uniti, Panama, Haiti, Honduras


I ragazzi di Klinsmann si presentano da campioni uscenti e vorranno confermare il dominio continentale. La crescita dell'USMNT continua, se pensiamo agli ultimi successi in amichevoli ottenuti in Germania e in Olanda (entrambi in rimonta). Il dopo-Donovan procede bene e si va alla caccia del sesto trofeo nella nuova formula: così si raggiungerebbe il Messico nella classifica dei tornei vinti. Team USA lo farà con solo sei elementi confermati rispetto ai 23 trionfanti due anni fa, ma la nazionale è molto più forte rispetto al 2013.

Panama è forse il movimento in maggior crescita negli ultimi anni del calcio nella Concacaf. Los Canaleros hanno sfiorato il play-off intercontinentale nel 2013, quando un 2-1 sugli Usa avrebbe loro permesso di giocarsi la qualificazione al Mondiale 2014 contro la Nuova Zelanda. Poi l'incredibile rimonta Usa ha spento qualsiasi sogno. Arrivati in finale due anni fa, i ragazzi del ct Hernán Darío Gómez puntano a ripetersi. Sarà un buon girone per testare i loro miglioramenti. Le star sono Jaime Penedo (miglior portiere dell'ultima rassegna) e la coppia d'attacco formata da Luis Tejada e Blas Pérez (75 gol insieme in nazionale). Mancherà invece il capitano, Felipe Baloy.

Haiti riparte dopo il terzo posto dell'ultima Caribbean Cup e l'aggiunta di alcuni giocatori importanti per la nazionale. Les Grenadiers hanno poche possibilità in questo girone: le avversarie sono molto toste. Haiti ha in bacheca un trofeo continentale, risalente al 1973, quando la squadra si sarebbe poi qualificata al Mondiale tedesco dell'anno successivo. Tra i 23 convocati del ct Marc Collat, le stelle sono il capitano Johnny Placide e il centrocampista Jeff Louis. Particolare l'esclusione di Hervé Bazile, classe '90 che ha fatto benissimo con il Caen quest'anno. Curiosità: uno solo dei 23 convocati gioca in patria.

L'Honduras riparte da una delle garanzie più grandi, quel Jorge Luis Pinto che è stato il miglior ct dell'ultimo Mondiale, guidando il Costa Rica a un passo dalle semifinali. E pensare che La H ha rischiato di non qualificarsi: la squadra sarà presente negli Stati Uniti solo dopo uno spareggio contro la Guiana francese. Sconfitta 3-1 all'andata, vittoria 3-0 al ritorno. Sempre nella top-4 nelle ultime tre edizioni, l'Honduras si presenta (a sorpresa) senza Izaguirre, Espinoza e sopratutto Jerry Bengtson. Capitano sarà ancora l'esperto Noel Valladares, che ha un primato particolare: è forse l'unico giocatore che ha disputato Olimpiadi, Copa América, Gold Cup e Mondiale nella sua carriera. Più di mille gare giocate in carriera.

Noel Valladares, 38 anni, simbolo assoluto dell'Honduras.

Girone B - Costa Rica, El Salvador, Giamaica, Canada

C'è molta curiosità per il Costa Rica. Dopo l'ultimo Mondiale, Pinto ha lasciato il posto da ct ed è subentrato il suo assistente Paulo Wanchope, ex grande centravanti. Inizialmente ad interim, il coach è stato riconfermato dopo la vittoria nella Copa Centroamericana. Peccato che ai Ticos mancheranno molti giocatori per infortunio: Keylor Navas, Duarte, Tejeda e anche Oviedo. Spero di vedere all'opera sopratutto due giocatori. Il primo è José Campbell, anche quest'anno martoriato da una gestione scriteriata all'Arsenal. Il secondo è Álvaro Saborío: l'attaccante non c'era in Brasile, ma i suoi 35 gol in nazionale peseranno sul destino del Costa Rica in questo torneo.

El Salvador è la squadra più a rischio in questo girone. Arrivati ai quarti nelle ultime due edizioni, Los Cuscatlecos puntano a ripetersi passando un girone non impossibile, ma certamente difficile. La prima gara contro il Canada sarà quella decisiva per il prosieguo del torneo. Squadra molto giovane (un solo over 30!), si appoggerà sopratutto sull'attaccante Rafael Burgos, simbolo dopo gli addii forzati alla nazionale di 14 giocatori per l'aggiustamento di alcune partite. La vera curiosità, però, è in panchina: dopo anni da assistente di Rikjaard, Albert Roca è alla prima guida solitaria da ct di una nazionale.

Reduce da una Copa América disputata con i titolari (cambieranno solo sei elementi), ma senza vittorie o gol (tre sconfitte per 1-0), la Giamaica punta a riemergere dopo qualche anno di difficoltà. Dopo la reggenza Whitmore, è stato Winfried Schäfer - giramondo del pallone - a ridare un po' di speranza ai Reggae Boyz. Vittoriosa nell'ultima Caribbean Cup, la Giamaica vuole passare il turno e raggiungere di nuovo i quarti di finale. I giocatori provenienti dall'Inghilterra saranno utili, ma ci vorranno un'anima e una stella. La prima sarà il capitano Rudolph Austin, la seconda sarà Darren Mattocks. Attenzione anche a Micheal Seaton, uno degli unici due classe '96 presenti nella rassegna.

Sembrano lontani i tempi di due anni fa, quando il Canada perdeva in casa con Martinica e usciva dal girone della Gold Cup. Qualificata alla rassegna in automatico, la nazionale guidata da Benito Floro dovrà riprendersi ciò che ha perso in questi anni. Qualche segnale di ripresa c'è già stato sotto la guida dello spagnolo. Rispetto a Messico e Stati Uniti, non c'è storia. Tuttavia, il Canada ha l'obbligo di mandare qualche segnale di miglioramento al mondo calcistico: se i club arrivano lontano nelle competizioni continentali, Les Rouges non superano il girone dal 2009. Le speranze ricadono tutte sulle spalle dell'esperto capitano de Guzman e del trio d'attacco, composto da Ricketts, Akindele e Larin.

Paulo Wanchope, 38 anni: da eroe in campo al ct del Costa Rica.

(continua domani...)