29.9.13

ROAD TO JAPAN: Daisuke Suzuki

Buongiorno, ragazzi, e benvenuti per un altro numero di "Road To Japan", la rubrica che vuole segnalarvi i migliori talenti provenienti dall'area del Sol Levante. Oggi mi soffermerò su un ragazzo che possiede già uina certa esperienza, nonostante un'età relativamente giovane. Gioca in un ruolo difficile per la nazionale, che fatica a trovare interpreti in quella posizione: sto parlando di uno centrali difensivi più promettenti della nazione asiatica, ovvero Daisuke Suzuki dei Kashiwa Reysol.

SCHEDA
Nome e cognome: Daisuke Suzuki (鈴木 大輔)
Data di nascita: 29 gennaio 1990 (età: 23 anni)
Altezza: 1.81 m
Ruolo: difensore centrale
Club: Kashiwa Reysol (2013-?)



STORIA
Nato nella grande area della capitale Tokyo nel gennaio del 1990, Suzuki iniziò a giocare a calcio grazie alla passione del fratello, contagiosa anche il giovane Daisuke. Nei primi anni nelle giovanili al Teihensu F.C., club della prefettura di Ishikawa, egli viene ritenuto un attaccante di ottimo livello; poi, a 15 anni, la trasformazione in difensore e l'arrivo della convocazione da parte dell'Under 15 giapponese. Altri due anni con il liceo Seiryo, di cui diventa capitano, e Suzuki entra nella lista dei giocatori designati per la J-League della stagione 2008.
La sua meta è Niigata, che ospita l'Albirex, una delle squadre dalla tifoseria più calda dell'intero panorama calcistico del Sol Levante. La prima annata è di apprendistato totale: Suzuki, appena 18enne, non scende mai in campo. Anzi, raramente riesce a presenziare in panchina. E non va molto diversamente nel 2009, quando il ragazzo riesce a collezionare solo una presenza in tutto l'anno: il suo esordio con la maglia dell'Albirex avviene nella Coppa dell'Imperatore contro il Nara Club. Solo nel maggio 2010 arriva la prima presenza anche in J-League, nella trasferta di Kobe contro il Vissel.
Il cambio tecnico in panchina - fuori Jun Suzuki, dentro Hisashi Kurosaki - vede il difensore maggiormente coinvolto nel progetto tecnico del club. Otto presenze e due gol nel 2010, Suzuki esplode definitivamente nel 2011: dopo tre anni ai margini, il 21enne centrale difensivo può imporsi nella formazione titolare. Arriva anche il primo gol in J-League, in casa degli Urawa Red Diamonds; purtroppo, l'Albirex non è più la buona formazione che si è vista sul finire degli anni 2000 e così il club deve lottare per non retrocedere. Nonostante sia un punto di riferimento per la squadra di Niigata, la compagine arancione rischia seriamente nel 2012 il ritorno in J-League 2: grazie anche al contributo di Suzuki e ad una rocambolesca vittoria all'ultima giornata contro il già retrocesso Consadole Sapporo, il difensore può salutare Niigata con un'incredibile salvezza last-minute.
Già, salutare. Perché Suzuki si è fatto conoscere con la maglia dell'Albirex e ormai altri club, più importanti, lo cercano. Per 500mila euro, nel gennaio scorso, si è concretizzato il passaggio del difensore al Kashiwa Reysol, che così bene ha fatto in quest'ultimo triennio, sotto la guida di Nelsinho Baptista. Tuttavia, scavalcare gli storici centrali della squadra, Kondo e Masushima, non è facile per il giovane Suzuki. Alla lunga, però, l'ex Albirex Niigata è stato in grado di far accomodare Masushima in panchina, giocando alcune volte anche quarto a destra della difesa dei Reysol. Insomma, ha conquistato Baptista; ora deve solo conquistare anche Zaccheroni.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Centrale di grande presenza fisica, Suzuki è capace di sfruttarla nonostante un'altezza non eccessiva - un metro ed ottantuno centimetri - che gli ha permesso di farsi conoscere nel calcio giapponese. A questo, Suzuki abbina un buon lancio dalla distanza, mentre potrebbe migliorare in fase di conclusione: cinque gol in sei anni di carriera magari sono pochi per un centrale difensivo.

STATISTICHE
2008 - Albirex Niigata: 0 presenze, 0 reti
2009 - Albirex Niigata: 1 presenza, 0 reti
2010 - Albirex Niigata: 8 presenze, 2 reti
2011 - Albirex Niigata: 28 presenze, 1 rete
2012 - Albirex Niigata: 32 presenze, 1 rete
2013 - Kashiwa Reysol (in corso): 30 presenze, 1 rete

NAZIONALE
Se nei club ha dovuto aspettare per giocare, Suzuki è sempre stato un punto di riferimento per le molte rappresentative giovanili del Giappone. Fin da quando lo convocarono in Under 15, il difensore non ha mai mancato un passaggio: Under 17, con tanto di Coppa del Mondo di categoria disputata; i Giochi Asiatici, dove Suzuki portò a casa la medaglia d'oro; infine, l'U-23 nipponica. Grazie al lavoro in questa selezione, il Giappone è riuscito a giungere al quarto posto ed il difensore è riuscito a farsi notare anche dal C.T. della nazionale maggiore, Alberto Zaccheroni. Nella Coppa dell'Asia Orientale, Suzuki ha esordito con la Nippon Daihyo contro l'Australia: un 3-2 sofferto, che ha lasciato poco di convincente tra lui e Chiba, che formavano la coppia centrale. Speriamo che ci possano essere altre occasioni: il Giappone ha terribilmente bisogno di interpreti nel ruolo di difensore centrale.

LA SQUADRA PER LUI
La maturazione di Suzuki sta continuando. E forse, per il momento, è meglio che continui all'interno del Giappone: i Kashiwa Reysol e Nelsinho Baptista sono un'ottima scuola nel panorama nipponico. Insomma, difficilmente si può avere di meglio per maturare ulteriormente. Quando poi sarà, un'avventura europea potrebbe essere l'ideale, fermo restando che i centrali giapponesi non sono rimasti nella storia per esperienze oltreoceano: Masami Ihara, Yuji Nakazawa, Marcos Tulio Tanaka sono tutti rimasti leoni in patria. Chissà se Suzuki, in un campionato come quello francese, ad esempio, non possa esplodere: se lo augura sopratutto Zac.



27.9.13

Chiamatelo pure San Walter.

E' presto per pontificare, ma c'è qualcosa che lascia sicuramente interdetti guardando la classifica di Serie A. Sì, la Roma impressiona, ma la base c'era; mancava solo l'amalgama ed un po' di testa sulle spalle. A guardare invece l'attuale posizione dell'Inter (seconda) e confrontarla con quella dell'ultimo anno (nona), viene quasi da ridere: l'autore del miracolo è Walter Mazzarri. Uno - parole sue - «mai stato esonerato in carriera».

Diego Milito, 34 anni: rientrato dall'infortunio, subito in gol contro il Sassuolo.

Tuttavia, a deporre in favore di Mazzarri sono di più i risultati. Come se non bastasse aver riportato il Livorno in A, la Samp in Europa, il Napoli in Champions League ed aver salvato la Reggina con un fardello di undici punti di penalizzazione, il tecnico di San Vincenzo si sta inventando l'ennesimo miracolo. Quella che era una "bagnarola" ora è la seconda forza del campionato, insieme a Napoli e Juventus. Il tutto senza grossi aggiustamenti - sono arrivati solo Campagnaro e Taider tra i "titolari" - e con tanta, tanta rabbia. Un miracolo da confermare, ma intanto è già un enorme passo avanti.
Già, perché l'Inter uscita dalla stagione 2012/2013 era veramente a pezzi: posizione di classifica a parte, i nerazzurri erano stati schizofrenici. Partiti a razzo, a novembre 2012 erano l'anti-Juve; poi, la squadra di Stramaccioni - tra infortuni, prestazioni poco convincenti e l'Europa League - è crollata, fino ai 18 punti nell'intero girone di ritorno. Stramaccioni, in quanto a gioco e tenuta della squadra, ha convinto poco (vedi anche il caso Sneijder). In questo quadro, Mazzarri aveva deciso di lasciare Napoli dopo un bel secondo posto. Il motivo era semplice: i pochi stimoli rimasti, visto che il tecnico era conscio di non poter portare la squadra più in alto di così. A quel punto, le soluzioni erano due: Roma o Inter. Forse, dopo quattro anni in uno degli ambienti più caldi d'Italia, Mazzarri ha preferito Milano e la sua maggiore tranquillità, per quanto un ambiente possa essere quieto dopo una stagione da noni in classifica. Tuttavia, il tecnico di San Vincenzo ama le sfide difficili: sapete che bello potersi vantare di aver riportato l'Inter dal nono posto anche al quarto, in un campionato prestigioso come quello di quest'anno?
In fondo, però, quale rivoluzione c'è stata all'Inter non si sa. Il calciomercato non ha portato grossi cambiamenti, anche a causa dell'attuale situazione economica dei nerazzurri: se Moratti sta vendendo la società al primo indonesiano che passa, non è certo un caso. Tuttavia, gli arrivi di Campagnaro (a parametro zero), Rolando e Wallace (in prestito) non hanno fatto certo palpitare i tifosi; così come Icardi e Belfodil - pagati insieme 13 milioni per le loro metà - hanno finora fatto più panchina che altro. L'unico nuovo acquisto fortemente coinvolto nel progetto, insieme a Campagnaro, è Saphir Taider, che ha fatto sedere in panchina persino un certo Kovacic, molto atteso dai tifosi. In tutto questo, l'Inter ha lasciato partire i promettenti Caldirola e Donati verso la Germania, mentre Cassano è andato via sbattendo la porta, in direzione Parma. Insomma, tutto sembrava tranne che l'Inter potesse fare grandi miracoli in questa stagione. Tuttavia, la mano di Mazzarri si è visto subito: 3-0 al Catania, 2-0 al Genoa, il pareggio caparbio contro la Juve e la roboante vittoria in casa del Sassuolo per 7-0. Mettiamoci anche il 2-1 alla Fiorentina di Montella e si capirà come l'attuale situazione non sia certo figlia del caso. Al di là di come proseguirà la stagione, già questo è un miracolo targato Mazzarri, l'uomo che rivolta le squadre come un calzino.

Jonathan, 27 anni, è il nuovo miracolo di Mazzarri targato Inter.

Basta guardare la situazione di qualche elemento dell'Inter per capirlo. Juan Jesus sembrava ormai fuori da qualunque discorso nerazzurro, ora è uno dei capisaldi della difesa di Mazzarri; Alvarez era uno dei più beccati dal popolo interista, mentre ora pare la versione buona di Alvaro Recoba. Cambiasso è passato dallo status di "vecchietto indesiderato" a capitano coraggioso della nuova Inter, in attesa del ritorno di Javier Zanetti dall'infortunio. Anche Ranocchia sembra aver dimenticato i periodi altalenanti dell'ultimo anno. Ma il caso più eclatante è sicuramente quello di Jonathan: arrivato in Italia tra mille interrogativi, l'anno scorso era stato il giocatore-simbolo dell'Inter di Stramaccioni. Molle, indeciso e considerato scarso da tutti; ora, invece, Mazzarri l'ha rigenerato ed il brasiliano ha già segnato tre gol tra campionato e Coppa Italia. In più, con Nagatomo, forma l'attuale miglior coppia di esterni del campionato: una situazione totalmente cambiata. E pensare che il suo posto doveva essere di Wallace, giovane connazionale arrivato in prestito dal Chelsea. Mou l'aveva mandato a Milano per maturare; invece, ora scalda la panchina a Jonathan Cicero Moreira.
La catena di eventi è derivante dall'approccio di Walter Mazzarri, che è ormai una sorta di marchio di fabbrica: tanto agonismo, automatismi precisi ed una fede incrollabile nel 3-5-2, che l'ha reso temuto e famoso in tutta la penisola. Lo usa sin da quando era a Reggio Calabria e ha raramente cambiato idea. Inoltre, la cerchia dei "titolarissimi" è sempre in voga: ci sono 15-16 giocatori che ruotano, gli altri possono solo guardare dalla panca. A maggior ragione se si pensa che l'Inter non ha coppe europee quest'anno. Così, tanti saluti ad Ishak Belfodil, che non sta vedendo molto il campo, e a Mauro Icardi, che ha segnato contro la Juve, ma sembra destinato a lasciar spazio al rientrante Milito.
Ora ci si chiede dove i nerazzurri possono arrivare. Quattro vittorie ed un pareggio possono esser frutto di un caso o di un periodo di forma favorevole, ma l'apporto di Mazzarri esclude entrambe le cause. Intanto, tutto questo avviene mentre l'Inter sta facendo un passaggio di proprietà che potrebbe riportare i nerazzurri prepotentemente sul mercato. Sappiamo bene come il tecnico interista potrebbe chiedere qualche rinforzo: se glielo danno e s'integra nel suo sistema di gioco, il campionato potrebbe trovare una nuova contendente. Alla faccia dei pronostici e dei pensieri sotto gli ombrelloni d'estate. Nel frattempo, chiamatelo pur "San Walter", l'uomo dei miracoli. L'uomo che non sbaglia mai. L'uomo che potrebbe essere, ancora una volta, il migliore a fine campionato, anche senza aver vinto. Perché lui, a quanto pare, vince sempre.

Walter Mazzarri, 52 anni, uno dei migliori tecnici del panorama nazionale.

24.9.13

Gioie e dolori di Manchester.

Essere un tifoso del Manchester City, in questo momento, è probabilmente una delle migliori collocazioni in quanto a fans e supporters calcistici del mondo. I "citizens" hanno vinto tanto in questi ultimi anni, ma il 4-1 nel derby di domenica contro i rivali cittadini dello United sembra aver spazzato qualunque dubbio che era rimasto: quest'anno ci si divertirà parecchio con Pellegrini. Di tutt'altro umore gli appassionati targati United, ancora addolorati per l'addio di Ferguson e con Moyes in difficoltà nel dare continuità al progetto tecnico tutto "made in Scotland".

Derby di Manchester: Rooney sta per segnare il gol della bandiera dello United.

Giugno sembra lontano: all'annuncio di Pellegrini come nuovo tecnico del City nello scorso giugno, qualcuno era ancora ferito dall'addio forzato a Mancini. L'italiano, fautore di molti successi, era un concreto, uno di quelli che al bel gioco non guarda per nulla; per questo, Mancini aveva pagato tale concretezza in Europa, dove conta anche il bel calcio e, infatti, era uscito per due edizioni consecutive della Champions nella fase a gironi. Ben diverso il cammino di Pellegrini nella sua carriera, che può contare su risultati eccellenti con formazioni di gran lunga meno forti. Se Mancini faticava a raggiungere gli ottavi con Inter e City, il cileno ha portato in semifinale il Villareal e ai quarti il Malaga. In entrambi i casi con dei rimpianti. Chiaro che la storia non si fa con i "se" e con i "ma", però il rigore sbagliato da Riequelme nel ritorno del "Madrigal" ed il gol irregolare di Felipe Santana al "Westfalen Stadion" sono bocconi pesanti da mandar giù.
Così, quest'anno, Pellegrini ha l'opportunità di riscattarsi della grande occasione mancata al Real Madrid: gli comprarono Kakà e Cristiano Ronaldo, ma lui - nonostante quasi 100 punti fatti - mancò la Liga a fronte del Barca di Pep Guardiola, vincitore di sei trofei in quel 2009. Adesso, le cose vanno meglio: al City hanno fatto tutto a sua immagine e somiglianza. 4-3-3, giocatori spagnoli e Liga permeante l'intera squadra, come dimostrano anche gli acquisti estivi di Jesus Navas, Alvaro Negredo e Martin Demichelis. In più, ci sono anche Fernandinho e Stevan Jovetic: sembrano finiti i tempi degli acquisti a tutti i costi di giocatori forti, ma inutili al sistema di gioco dell'allenatore. Il City continua a spendere tanto - 108 milioni di euro nell'ultima estate - ma perlomeno lo fa in modo sensato. In più, si è liberato anche di qualche peso finanziario, come Kolo Touré, Maicon, ma sopratutto di un Carlos Tevez non più benvenuto al City.
I risultati si sono visti sul campo: tolto qualche passaggio a vuoto in trasferta (la sconfitta di Cardiff lo potrà confermare), il nuovo City targato Pellegrini sembra più vivace, più armonioso e sopratutto diverte. Cosa che Mancini ha raramente mostrato nei suoi anni a Manchester. Il derby dell'ultima domenica sembra averlo dimostrato in maniera lampante: i gol di Aguero, più quelli Nasri e Yaya Touré, hanno dato una bella mazzata ai rivali e ora il City è pronto ad affontare il resto della stagione con più consapevolezza dei propri mezzi. In Champions, si è partiti bene nella trasferta di Plzen: un obiettivo non proprio scontato, visti i precedenti degli ultimi due anni. Ora si attendono impegni più grandi: già il match del 2 ottobre, contro il Bayern Monaco campione d'Europa, sarà un bel test per la squadra di Pellegrini. Una compagine che deve continuare sulla strada intrapresa sinora. Insomma, ci si può godere un giocattolo di tutto rispetto: un giocattolo che vince, ma che fa anche divertire i tanti tifosi che affollano l'"Etihad Stadium".

Samir Nasri, 26 anni, esulta dopo il momentaneo 4-0 ai rivali cittadini.

Ci si diverte meno dalle parti dell'"Old Trafford", dove David Moyes forse non si aspettava così tante difficoltà. In questo caso, invece, la rotta va decisamente invertita. Il calendario non è stato clemente con il neo-allenatore dei "red devils": Chelsea, Liverpool e Manchester City tutte subito. Tuttavia, un punto in tre partite così importanti fa capire che qualcosa non va: è come se l'allenatore scozzese si fosse abituato a fare "le nozze con i fichi secchi" in quel di Liverpool, sponda Everton, e non riuscisse a fare di meglio a questo livello. Non è un caso se lo stesso Robin van Persie, in un'intervista di qualche settimana fa, rimpiangesse apertamente il sir Alex che ha fatto sognare tutta la Manchester rossa. 
L'olandese ha poi smentito, ma la verità è che l'attaccante ha solamente espresso un disagio vissuto da molti, se non tutti i tifosi dei "red devils": ricominciare dopo quasi un trentennio di continuità non è affatto facile. E' come esser lasciati dalla moglie dopo le nozze d'argento: da dove riparti non lo sai. E il Manchester United, in questo momento, si trova in questa condizione: il 4-2-3-1 del nuovo tecnico sta proponendo volti non proprio graditi - Young, Welbeck - per lasciare in panca giocatori che sembrano fuori dai piani di gioco di Moyes (vedi il movimento #freekagawa su Twitter, dato che il giapponese ha giocato pochissimo in quest'inizio di stagione).
La squadra ha convinto (e neanche troppo) solo contro il Crystal Palace e contro lo Swansea City. Due formazioni decisamente inferiori allo United. E domani, in League Cup, Moyes attende di nuovo Brendan Rodgers, stavolta all'"Old Trafford", per il secondo United-Liverpool di stagione. Mettiamoci anche il mercato a creare problemi: nonostante Moyes sia stato annunciato con grande anticipo rispetto alla stagione sportiva 2013/2014, l'unico arrivo tra tutti i nomi detti ed ipotizzati in estate è stato Marouane Fellaini, centrocampista che Moyes aveva già allenato per molti con l'Everton. Un acquisto lungamente cercato, forse pagato anche troppo - 32 milioni di euro (!) - e che va riempire una già folta mediana come quella dei "red devils". Infine, il caso Rooney non ha certo aiutato l'attuale situazione: proprio con Moyes l'attaccante della nazionale inglese esplose nel 2002, ma il rapporto tra i due non è mai stato idilliaco e le voci che vedevano "Wazza" in partenza per Londra l'hanno confermato.
Forse, lo strappo da sir Alex deve ancora rimarginarsi. La scelta di Moyes è sembrata giusta a molti: un po' perché è stato in grado di fare grandi cose con i "toffees", un po' perché è stato lo stesso "Fergie" a consigliarlo al board dello United. Forse tocca solo attendere tempi migliori e che i giocatori abbiano assorbito i dettami del gioco di Moyes. Intanto, però, sono dolori. E chissà che non ne arrivino di peggio tra coppa e campionato in questo lungo, folto mese d'ottobre. Cadono le foglie; l'augurio è che non cada anche Moyes.

Manuel Pellegrini, 60 anni, ha stravinto il confronto con David Moyes, 50.

21.9.13

Tra MLS e realtà.

Nelle narrazioni internazionali del football, la parola "Colombia" sembrava essere scomparsa. Da quel Mondiale disputato in Francia nel 1998, l'ultimo della nazionale sudamericana, i "cafeteros" erano stati dimenticati dal mondo del calcio. Poi, l'esplosione di una generazione di talenti, sopratutto davanti: l'ultimo della catena sembra essersi piazzato in Europa. No, non sto parlando di Duvan Zapata, neo-acquisto del Napoli, bensì di un altro colombiano, un po' più esperto e con diverse esperienze alle spalle.

Montero con la maglia dei Seattle Sounders: quattro stagioni insieme.

Già, perché non ci sono solo Muriel, Jackson Martinez, Pabon, Teofilo Gutierrez e Carlos Bacca ad allietare i tifosi sudamericani; per non parlare di Radamel Falcao, terzo (o quarto, per alcuni) giocatore più forte del pianeta dietro gli inarrivabili Messi e CR7. In quest'inizio di stagione, si sta segnalando la figura di un ragazzo di cui s'erano perse le tracce nella lontana America, intesa stavolta come Stati Uniti: Fredy Montero. Questo nome, a molti di voi, non dirà nulla; a meno che non abbiate un buon occhio e non vi ricordate di averlo visto in qualche partita giocata in un famoso gioco di calcio, Montero apparirà ai vostri occhi come un perfetto sconosciuto. Del resto, fino a qualche mese fa aveva calcato i campi del Sudamerica e della Major League Soccer, la lega professionista americana.
Eppure, questo ragazzo sembrava destinato a qualcosa di più ampio nella sua carriera: cresciuto nelle giovanili del Deportivo Calì ed esploso con la maglia dell'Atlético Huila, Montero aveva addosso gli occhi di alcune squadre europee, tra cui il Betis di Siviglia. Tuttavia, lui preferì ignorare tali offerte e si gettò nell'avventura a stelle e strisce. Per altro, non lo fece con una squadra dai grandi nomi, come i Los Angeles Galaxy o i New York Red Bulls; piuttosto che giocare accanto a Beckham o Henry, lui scelse Seattle. Dove i Sounders - così veniva rinominata la squadra del posto - era alla stagione inaugurale nella MLS. Per lui, nessun problema: rifiutò anche il Fulham e decise di concentrare le proprie energie nel portare il club il più in alto possibile.
Due anni ad alto livello hanno reso possibile, insieme all'acquisizione della cittadinanza statunitense, la sua permanenza in quel di Seattle, con il club che l'ha riscattato nel 2010 dal Deportivo Calì, che era ancora proprietario del suo cartellino. Inoltre, stipula un contratto che lo rende il giocatore dal salario più alto nella squadra: ben 375mila euro. Roba da far tremare i polsi a Cristiano Ronaldo, il giocatore più pagato del mondo da qualche giorno, che prende 48mila (!) volte in più del colombiano ai Saunders. Altri due anni e Montero conquista la MLS: alla fine del quadriennio a Seattle, il bilancio personale del calciatore racconta di 60 gol in 160 partite ufficiali con la maglia del club. Ciò nonostante, Montero sente che è ora di separarsi da quella realtà.
Così, il colombiano torna in patria, ma non nel club dove l'ha cresciuto: la sua nuova destinazione sono i Millionarios, dove va in prestito per sei mesi. Tuttavia, il ritorno in Colombia non soddisfa Montero: 10 reti in 27 presenze sembrano un buon viatico per rimanere, ma l'attaccante decide che è giunto il momento di provare quell'avventura europea così tante volte evitata. Quando arriva l'offerta dello Sporting Lisbona, il sudamericano accetta di buon grado e sbarca in Portogallo, definendo l'opportunità in terra lusitana come «un sogno che diventa realtà». Tuttavia, Montero sembra arrivato a Lisbona solo perché il club biancoverde non ha un soldo da spendere, a causa della grave crisi finanziaria che sta attraversando negli ultimi anni.



Adesso, invece, l'avventura in Portogallo si sta rivelando un fantastico viatico per la sua carriera, nuovamente in auge. Del resto, già nel pre-campionato Montero si era rivelato abbastanza in forma: un gol alla Fiorentina di Montella, che infatti ne sa qualcosa. Poi, l'inizio di campionato travolgente: per ora, sono sei le marcature di Montero quando sono passate solo quattro giornate. Tripletta nella goleada al neo-promosso Arouca ed il gol a partita già decisa contro l'Académica. Sembra un fuoco di paglia, ma Montero sblocca sia il big-match contro il Benfica che la trasferta in casa dell'Olhanense. Tutte queste reti portano lo Sporting all'attuale secondo posto in classifica, con la squadra di Jardim dietro solo alla superpotenza Porto.
E così quello che sembrava un rincalzo, un acquisto di seconda mano è il capocannoniere della Liga Sagres: i suoi gol stanno permettendo allo Sporting di sognare un ritorno in Europa, non proprio scontato visto l'andazzo dell'ultimo campionato dei "leoni" di Lisbona. Tanto che Montero può sognare un ritorno in nazionale. Certo, visto l'elenco di attaccanti colombiani in giro per il mondo, le speranze non sono molte; tuttavia, il giocatore dello Sporting avrebbe espresso il desiderio di vestire di nuovo la maglia dei "cafeteros".
Ripeto: un desiderio difficile da esprimere, visto che gente come Ibarbo o Adrian Ramos rischia di vedere il Mondiale della Colombia dalla televisione di casa propria. Tuttavia, sognare non costa nulla: a quattro anni dall'ultima presenza con la maglia della propria nazionale, Montero ci spera.
Per tentare, l'unica possibilità è continuare a fare bene con lo Sporting. Possibile che la striscia continui: la Primeira Liga ha sempre accolto bene gli attaccanti sudamericani, specie quelli colombiani. Inoltre, la duttilità di Montero - capace di giocare da prima e seconda punta - lo rende applicabile in più modi. Se ci mettete anche che lo Sporting di quest'anno non vede la presenza di chissà quali attaccanti (van Wolfswinkel è volato a Norwich), il colombiano potrebbe monopolizzare l'attacco di una squadra rinata. Intanto, si comincia a ragionare anche se la punta rimarrà a Lisbona: lo Sporting ha appena acquisito trenta milioni di euro dalle cessioni e ha un'opzione per comprare Montero. Ma il colombiano si confermerà? Tutto da vedere. Montero ci proverà, tra la MLS e la realtà portoghese, che così tanto gli si cuce bene addosso.

Fredy Montero, 26 anni, ha iniziato alla grande con lo Sporting Lisbona.

18.9.13

Com'è lontano Happel.

Non è facile allenare dalle parti di Amburgo: se ne è accorto persino Thorsten Fink, appena cacciato dalla panchina degli anseatici dopo due anni di alti e bassi. All'allenatore è costato caro il 6-2 subito in casa dal Borussia Dortmund nella giornata di sabato: adesso, per l'Amburgo - storico club del calcio teutonico - si apre un nuovo capitolo, con la guida tecnica ancora da stabilire. Eppure, trent'anni fa, nella grande città si godevano ben altro spettacolo.

Hrubesch e compagni festeggiano la Champions vinta dall'HSV nel 1983.

Non per nulla, sono passati esattamente trent'anni dalla vittoria dell'Amburgo: fu l'apice di un'epopea straordinaria. La squadra, guidata sopratutto dal famoso manager Ernst Happel, trionfò sia in patria che in Europa a cavallo tra gli anni '70 e '80: tre Bundesliga, una Coppa delle Coppe e due coppe nazionali a conferma della bontà del lavoro svolto dalla compagine tedesca. In più, come detto, la Champions vinta contro la Juventus nella finale di Atene del maggio 1983, quando una parabola improvvisa di Magath fece vincere gli sfavoriti tedeschi. In un'epoca in cui le squadre teutoniche facevano la voce grossa, l'Amburgo c'era; trionfi che ben presto, però, sono diventati sbiaditi. Si è rischiato il fallimento, con la vendita di Thomas Doll alla Lazio ad evitare il peggio; i risultati sono diventati peggiori. L'HSV ha visto il succedersi di una marea infinita di allenatori, con alcuni riusciti però nell'impresa di rimanere più anni: tra questi, Frank Pagelsdorf, Thomas Doll e Huub Stevens sono quelli da ricordare, visto che - durante la loro presenza - l'Amburgo si è persino riaffacciato in Champions League.
Se in campionato il massimo raggiunto in questi trent'anni è rappresentato da due terzi posti, in Europa l'andamento è stato simile. Specie in Europa League, i rimpianti sono molteplici: non è stato possibile ripetere l'epopea di successi degli anni '80, anche perché quando l'Amburgo si avvicinava ad un'occasione storica, puntualmente la sbagliava. Basti pensare al biennio 2008-2010, quando l'HSV fece un ottimo cammino nella seconda competizione europea. Che si chiamasse Coppa UEFA o Europa League, poco importava: la compagine tedesca ha raggiunto due volte le semifinali e in entrambe le occasioni riuscì ad uscire. La prima contro gli acerrimi rivali del Werder Brema (con cui si giocano il derby del nord); la seconda, invece, fece ancora più male. Non tanto per l'avversario che li batté, ovvero il Fulham, bensì perché la finale di Europa League si sarebbe giocata proprio ad Amburgo, nel "Volksparkstadion" che ospita le partite casalinghe del club. Una beffa sulla beffa.
Insomma, su cosa si può vantare il successo in casa HSV? I risultati sono stati altalenanti, le vittorie scarne e l'unica cosa nuova dentro la bacheca del club è la DFB-Ligapokal del 2003. Questa, per altro, non è neanche un trofeo di qualche valore, visto che non equivale alla Supercoppa tedesca, bensì allo scontro fra le cinque migliori dell'ultimo campionato più la vincitrice della DFB-Pokal. Se poi si guarda al risultato di due stagioni fa - con il 15° posto e la retrocessione rischiata per tutto l'anno - si capisce come in casa Amburgo sia difficile guardare al futuro con successo. Si sperava di fare meglio quest'anno, anche grazie all'ormai consolidato ritorno di Rafael van der Vaart in città: l'olandese, già capitano e giocatore dell'HSV tra il 2005 ed il 2008, era tornato nell'ultimo giorno del mercato estivo del 2012. Il suo apporto è stato utile sin qui, ma non abbastanza per evitare un tremendo inizio stagionale per il club.

Thorsten Fink, 45 anni, è stato esonerato lunedì dopo due anni ad Amburgo.

Evidentamente, in questi anni di mancanze di trofei, non è bastato essere uno dei club più facoltosi dell'intero panorama calcistico mondiale: infatti, l'Amburgo ha generato - solo nel 2012 - un fatturato da 121 milioni di euro. Cose che qui in Italia molte società si sognano la notte; eppure, i risultati sono quelli appena descritti. E l'esonero di Thorsten Fink, che ha pagato le batoste con Hoffenheim e BVB, non fa che dare un altro colpo alle ambizioni degli anseatici, costretti probabilmente a vivere un'altra annata di sofferenza. Strano per l'unico club che non è mai - sottolineo: UNICO e MAI - retrocesso nella storia della Bundesliga, sin dalla sua fondazione nel 1963. 
Analizzando la storia recente dell'Amburgo, tuttavia, si ha veramente difficoltà nel capire il perché di tanta sofferenza sportiva: il club ha visto passare nelle sue fila alcuni giocatori interessanti. Qui ha avuto il via la leggenda di Hans-Jorg Butt, il portiere tira-rigori; da qui se ne è andato recentemente Son Heung-Min, talento sudcoreano comprato dal Bayer Leverkusen in estate. Forse è proprio qui il problema: ad Amburgo si fa fatica a costruire una squadra in grado di tornare ai vertici. Appena si prende un pezzo fondamentale del puzzle, questo parte o viene lasciato libero. O magari non ci si punta fino in fondo, come nel caso di Sidney Sam, passato al Bayer a cuor leggero. Inoltre, l'HSV non ha più lo stesso nome che aveva negli anni '80 e '90. Non è più una meta assoluta per i giocatori più interessanti, che si trasferiscono in Germania, ma lo fanno in club che hanno ormai un'appetibilità maggiore sul mercato: basti pensare al Bayer Leverkusen o al Borussia Moenchengladbach, ma anche allo Stoccarda o al Werder Brema, che vive un po' di rendita rispetto all'epoca Schaaf.
Insomma, ora ad Amburgo tocca ripartire: la classifica recita "quattro" alla voce "punti raccolti" dall'HSV, con la bellezza di 15 gol subiti. Non sappiamo chi potrà essere il successore di Fink al "Wolksparkstadion", ma dovrà necessariamente essere qualcuno con una certa grinta, piglio e capacità di guida. Altrimenti, la stagione del club anseatico rischia di essere la solita: stanca, logorante ed inconcludente. Tanto per essere in linea con l'ultimo trentennio, fatto di poche vittorie e di tante delusioni. E con l'indimenticato Ernst Happel nella testa.

Rafael van der Vaart, 30 anni, è tornato ad Amburgo l'estate scorsa.

14.9.13

UNDER THE SPOTLIGHT: Jóhann Berg Guðmundsson

E' settembre e siamo pronti per un'altra puntata di "Under The Spotlight", la rubrica che ci porta a conoscere i giocatori più promettenti nel panorama europeo. Oggi mi occuperò di un ragazzo pronto a sconvolgere l'Olanda intera: dopo qualche anno trascorso ad Alkmaar, sembra finalmente pronto al salto di qualità ed una partita giocata in quel di Berna sembra averlo dimostrato. Mi riferisco a Jóhann Berg Guðmundsson, giocatore dell'AZ e della nazionale islandese.

SCHEDA
Nome e cognome: Jóhann Berg Guðmundsson
Data di nascita: 27 ottobre 1990 (22 anni)
Altezza: 1.86 m
Ruolo: Ala sinistra, ala destra, punta centrale
Club: AZ Alkmaar (2009-?)



STORIA
Nato in quel di Reykjavik, Guðmundsson cresce calcisticamente nel Breiðablik, club della prima divisione islandese, chiamata anche Úrvalsdeild. Rimane nelle giovanili della squadra locale per dieci anni, finché le compagini inglesi non cominciano ad accorgersi del suo talento, anche in concomitanza del trasferimento della sua famiglia in Inghilterra: è il Chelsea ad ospitarlo nella sua struttura giovanile addirittura per un anno; poi c'è il Fulham nel 2008. Tuttavia, Guðmundsson non se la sente di stare lontano da casa e torna al Breiðablik, dove il club lo fa esordire - appena 18enne - in prima divisione: 25 presenze e nove reti stagionali testimoniano come ci sia un campioncino in casa. Come se non bastasse, arriva anche la prima presenza in nazionale maggiore a confermarlo. L'Amburgo è vicino al suo acquisto, che però non si concretizza; c'è anche un interessamento del Coventry City, senza che però ne scaturisca nulla di definitivo.
Nell'estate del 2009, ecco lo svolta: lo preleva l'AZ di Alkmaar, appena diventato campione d'Olanda. All'"AFAS Stadion" non c'è più Louis van Gaal, bensì Ronald Koeman, che Guðmundsson non farà in tempo a conoscere, perché l'olandese viene cacciato nel dicembre dello stesso anno. Intanto, l'islandese gioca nelle giovanili dell'AZ e non scende mai in campo con la prima squadra per tutta la stagione 2009/2010; in quella successiva, finalmente è parte dell'AZ e ha modo di giocare parecchio. Tra campionato, coppa ed Europa League, le presenze diventano 34, con quattro marcature all'attivo. Un contributo sempre crescente, visto che l'AZ fa parecchia strada anche nell'Europa League 2011/2012 e l'islandese è presente in ogni modo.
Nell'ultima annata, poi, c'è stato il boom: non tanto nel rendimento, quanto nei risultati. L'AZ è andato incontro ad un campionato deludente, ma ha avuto modo di vincere la KNVB Beker, ovvero la coppa nazionale. Guðmundsson è anche andato a segno nella semifinale contro l'Ajax: è suo uno dei tre gol con i quali la squadra di Alkmaar vince 3-0 a domicilio nella storica "Amsterdam Arena". Quest'anno, insomma, potrebbe essere quello della consacrazione, sotto la guida di Gertjan Verbeek, alla quinta stagione con l'AZ. Rendimento in nazionale a parte, Guðmundsson è già andato a segno tre volte: due in Europa League (decisive per l'arrivo dell'AZ nella fase a gironi) e una in Supercoppa, dove la compagine di Alkmaar ha perso contro l'Ajax per 3-2.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Fisicamente ricorda Gareth Bale, ma ha un sinistro più liftato e meno potente di quello del gallese. A livello tattico, l'islandese può giocare nei tre d'attacco sia a sinistra - dove è più portato - che a destra; in emergenza, nell'AZ viene schierato anche come punta centrale in un 4-3-3. Il ragazzo, poi, potrebbe essere provato come esterno di centrocampo, anche se quel ruolo non è stato ancora testato dall'AZ, visto che in Olanda si tende naturalmente a giocare con un trio d'attacco. Grande corsa, Guðmundsson è dotato di un ottimo tiro dalla distanza e di una progressione niente male: può solo continuare a crescere e migliorare, come dimostrato dall'inizio di questa stagione. Il suo potenziale non è ancora stato del tutto sviluppato.

STATISTICHE
2008 - Breiðablik: 25 presenze, 9 reti
2009/2010 - AZ Alkmaar: 0 presenze, 0 reti
2010/2011 - AZ Alkmaar: 34 presenze, 4 reti
2011/2012 - AZ Alkmaar: 47 presenze, 6 reti
2012/2013 - AZ Alkmaar: 38 presenze, 6 reti
2013/2014 - AZ Alkmaar (in corso): 8 presenze, 3 reti

NAZIONALE
Non c'è alcun dubbio sul fatto che il ragazzo sia una delle colonne portanti della sua nazionale. L'Islanda, infatti, lo convoca regolarmente dal lontano 2008. Nello stesso anno, lo chiama prima l'Under 21, poi è la squadra maggiore a rendersi conto del suo talento: nella sua prima presenza - agosto 2008, appena 18enne - costruisce subito un assist in un'amichevole contro l'Azerbaigian. Nel 2011, è riuscito a far parte di quella "generazione d'oro" che riesce ad arrivare fino alla fase finale dell'Europeo U-21 e che tuttora è la spina dorsale dell'attuale nazionale islandese. Una nazionale nella quale lui si è recentemente reso protagonista di un piccolo record: nella gara di qualificazione al Mondiale contro la Svizzera, in quel di Berna, Guðmundsson realizza una tripletta e porta l'Islanda al rocambolesco 4-4 finale. E' la prima "hat-trick" di un giocatore islandese in 13 anni: ora i nordici sono vicinissimi alla possibilità di disputare i play-off per un posto in Brasile.

LA SQUADRA PER LUI
Indubbiamente, c'è un fattore importante che va considerato nell'attuale situazione di mercato di Guðmundsson: il ragazzo, infatti, ha il contratto in scadenza nel 2014. Con un po' di scaltrezza, è possibile portar via l'islandese dall'Eredivise a due spicci, con la possibilità di ritrovarsi un campione in casa a basso costo. Sarebbe molto interessante vederlo in Premier League, dove il suo connazione Sigurdsson ha fatto due stagioni a buon livello tra Swansea e Tottenham. Proprio nel 4-3-3 dei gallesi, Guðmundsson potrebbe dare il bianco insieme a Michu e Routledge. Anche la Bundesliga sarebbe un buon terreno per il giocatore dell'AZ. Inutile, invece, sperare nell'Italia: i d.s. nostrani difficilmente hanno intuizioni del genere.

12.9.13

Sorprese mondiali.

La settimana di sfide internazionali è conclusa e qualche verdetto può essere già tratto. Dieci sono le nazionali sicure della partecipazione alla prossima Coppa del Mondo; quello che non si è detto, però, è che ci sono già delle sorprese anche in senso negativo, più qualche squadra che ha messo in pratica il famoso "giant killing", termine spesso usato in Inghilterra nella F.A. Cup. Alcune compagini, date per probabili partecipanti al prossimo Mondiale, hanno già salutato la compagnia.

Sewnet Bishaw, classe 1952, C.T. dell'Etiopia: i "Black Lions" sono agli spareggi.

Un'eliminazione sorprendente - ma attesa, per come stava andando il girone - è quella del Paraguay. La nazionale sudamericana, giunta ai quarti nell'ultimo Mondiale (e diciamo pure ad un passo dalle semifinali), era reduce dall'addio del C.T. Martino, ora allenatore del Barca di Neymar e Messi. Già questo passaggio poteva rappresentare una difficile transizione, visto che il tecnico dei blaugrana era stato protagonista anche di una rocambolesca Copa America nel 2011, quando il Paraguay giunse in semifinale, pur non vincendo nessuna gara. Insomma, il maestro di una rocciosa difesa aveva fatto il possibile per la nazionale "rojiblanca". Quella difesa rocciosa non c'è più: nel girone di qualificazione al Mondiale, solo la Bolivia ha preso più gol del Paraguay (29 contro 28) e la "rojiblanca" galleggia in ultima posizione. La miseria di 11 punti la rende già eliminata da tempo, anche se l'ufficialità è arrivata da poco: niente Mondiale brasiliano, con la striscia di partecipazioni consecutive che si ferma a quattro, da Francia '98 a Sudafrica 2010.
Non che quest'eliminazione fosse inaspettata: dopo aver fatto solo quattro punti nelle prime otto gare, sembra chiaro a tutti come il Paraguay non avesse più la spinta per puntare alla quinta partecipazione consecutiva alla rassegna mondiale. Del resto, l'eco della "generazione d'oro" del calcio paraguaiano - con esponenti come Chilavert, Gamarra, Celso Ayala, Arce e José Cardozo - è finita da tempo. Tutti si sono ritirati e le nuove linee non hanno né la sostanza, né l'esperienza delle vecchie. Così come sono apparsi senza sostanza la sequenza di nuovi allenatori: prima Francisco Arce, ex storico giocatore della nazionale, durato appena un anno. Poi, Gerardo Peluso, l'uruguaiano che non è riuscito a dare una sferzata alla squadra.
Insomma, niente Paraguay al prossimo Mondiale. Niente Larissa Riequelme, la modella che attirò l'attenzione dei media nell'estate del 2010 con le sue foto. E niente rassegna per Roque Santa Cruz, ormai all'alba dei 32 anni, che era pronto a giocarsi il suo quarto Mondiale consecutivo, stabilendo una sorta di record per la nazionale. Il 2010 sembra così lontano, quando la "rojiblanca" - nelle eliminatorie per il Sudafrica - giunse ad un solo punto dal Brasile. Peccato, ma è stato giusto così: ora il Paraguay deve ricostruire, partendo da quel Victor Genes, nominato a giugno, che è stato anche C.T. dell'U-20. L'allenatore conosce al meglio i giovani che possono dare nuovo smalto al Paraguay, anche perché li ha portati anche alla Coppa del Mondo di categoria, svoltasi in Turchia nello scorso luglio.

Roque Santa Cruz, 32 anni, non ci sarà al prossimo Mondiale.

Se ad Asuncion si piange, in altre parti del mondo non si ride di certo. Chi volesse dare un'occhiata alle qualificazione africane, troverà parecchi team mancanti all'appello. Le eliminatorie della CAF (la Confederazione Africana di calcio) sono giunte nella loro fase finale, con le dieci vincitrici dei rispettive gironi pronti a sfidarsi in gare di andata e ritorno per la conquista dei cinque posti che spettano al continente nero. Tuttavia, qualche nome stona per la sua tradizione calcistica, anche perché ci sono tre protagoniste ancora mai qualificate alla fase finale del Mondiale.
Infatti, all'appello sono presenti squadre come il Burkina Faso. Qualcuno dirà: dov'è la sorpresa? In fondo, sono pur sempre i vice-campioni d'Africa. Eppure, il Burkina era quasi spacciato un anno fa e non sembrava in grado di rimontare la leader del girone E, ovvero il Congo. Due sconfitte iniziali contro i nove punti dei congolesi nelle tre gare iniziali. Nonostante ciò, la nazionale di Paul Put ha fatto registrare quattro vittorie consecutive, superando il Congo al fotofinish. Un successo dovuto anche ai passi falsi degli avversari, incapaci di vincere sul campo del Niger, fanalino di coda del gruppo. E così, in un 2013 straordinario, la nazionale del C.T. belga può festeggiare un altro traguardo.
Le imprese del Burkina vengono però oscurate da due epiloghi ancor più rocamboleschi. Il primo è quello di Capo Verde, nazionale che rappresenta un popolo di appena 500mila abitanti, ma che è una realtà in grande crescita nel panorama del calcio africano. Recentemente, la nazionale ha partecipato alla sua prima Coppa d'Africa, giungendo addirittura ai quarti di finale. Tuttavia, il raggruppamento non aveva portato buone notizie: inserita nel gruppo B con Tunisia, Sierra Leone e Guinea Equatoriale, Capo Verde perde le prime tre gare e sembra già fuori. Poi, l'inaspettato: i punti della sfida persa contro la Guinea gli vengono restituiti, poiché gli avversari hanno usato un giocatore ineleggibile per la propria nazionale. A quel punto, arriva il miracolo: altre tre vittorie consecutive, tra cui il successo in Tunisia per 2-0 di qualche giorno fa, portano Capo Verde agli spareggi. Ora, la nazionale è al numero 37 del Ranking FIFA di agosto 2013: non è finito il tempo di sorprendere, grazie a Lúcio Antunes. Il 46enne C.T., nel 2010, ha dovuto lasciare il suo posto da controllore aereo per potersi dedicare al calcio a tempo pieno: ora se ne vedono i risultati.
Infine, la più incredibile delle storie conduce ad una terra martoriata: l'Etiopia. Dalle parti di Addis Adeba non se la passano bene: diverse guerre civili ed una forte crisi economica hanno colpito il paese africano nell'ultimo secolo. E le cose non vanno meglio nello sport, dove - atletica a parte - si fatica a costruire qualcosa. Nel calcio, però, la situazione sta cambiando: con l'arrivo di Sewnet Bishaw, C.T. dal 2011 e già responsabile nel biennio 2004-2006, la nazionale di calcio etiope sta dimostrando di esserci. Ritornata in Coppa d'Africa quest'anno dopo un'assenza di trent'anni, l'Etiopia è partita dal primo turno delle qualificazioni africane e dal numero 139 del Ranking FIFA nel luglio 2011. Dopo un 5-0 complessivo alla Somalia, i "Black Lions" si sono ritrovati nel girone A, con Sudafrica, Rep. Centrafricana e Botswana. Nulla di eccezionale, ma neanche un girone facile per gli etiopi, che però sono partiti bene: pareggio in Sudafrica, poi due vittorie, mentre i "Bafana Bafana" faticavano. Purtroppo, a causa dell'utilizzo di un giocatore ineleggibile, l'Etiopia perde la terza vittoria nel gruppo e così deve sudare. Tuttavia, la vittoria casalinga contro un Sudafrica in continua crisi ha permesso all'Etiopia di balzare in testa al gruppo. Non è mancata, però, una sofferenza finale: alla fine dei primi tempi delle ultime partite del gruppo, il Sudafrica era in vantaggio, mentre l'Etiopia perdeva a Brazzaville. Fortunatamente, il "giant killing" si è concretizzato nella ripresa, con la rimonta dei "Black Lions" e la vittoria per 2-1. Ora saranno spareggi: vuoi vedere che Drogba, Asamoah e compagni debbano tremare?

Lúcio Antunes, 46 anni: da controllore di volo a C.T. di Capo Verde.

9.9.13

La volta buona.

In principio, fu l'erede di Ronaldinho. Quando a Barcellona si sentì aria di cambiamento e l'asso brasiliano cambiò casacca, lui doveva essere colui che poteva sostituirlo. Intanto, però, sono passati diversi anni e l'atteso salto non è ancora arrivato. Tuttavia, questa stagione potrebbe essere quella buona: Giovani dos Santos sta finalmente volando ed il fantasista è decisivo per le sorti di quest'inizio di campionato del Villarreal, appena tornato in Liga dopo un anno di Liga Adelante. Fuoco di paglia o definitiva consacrazione?

Il giovane dos Santos alle prese con la maglia blaugrana: un amore mai sbocciato.

Prodotto del vivaio blaugrana, il messicano doveva essere l'ennesimo crack della "Masia", la casa dove risiedono i giovani talenti del Barcellona. Del resto, dos Santos - dal 2002 in Spagna - era molto amato da Frankie Rijkaard, il tecnico olandese che aveva riportato la Champions al "Camp Nou". Nel Barcellona stellare di allora, il giovane fantasista si era ricavato uno spazio: non è un caso se, al primo da professionista, il ragazzo era riuscito nell'impresa di giocare ben 37 partite, condite da quattro gol e sette assist. Se hai 19 anni e giochi nel Barcellona con quei numeri, il futuro è dalla tua.
Non fu così per dos Santos: non seguì né la strada gloriosa di Messi, né quella travagliata di Bojan. Anzi, il suo cammino con il Barcellona si interruppe bruscamente nell'estate del 2007:  sei i milioni sborsati dagli Spurs per portare via il messicano dalla Spagna, che potrebbero diventare undici in base al rendimento di dos Santos. Sembra un affare, ma in realtà si rivelerà un enorme illusione: il ragazzo non ripete quanto visto con la maglia blaugrana e con il Tottenham sembra più un peso che una risorsa. Forse la posizione di esterno destro lo penalizza, ma in ogni caso non convince: così, Londra diventa un ricordo lontano ed il ragazzo comincia a girare come una trottola in prestito tra diverse compagini.
La prima meta è l'Ipswich Town, che gioca in seconda divisione: il gap tra il livello medio ed il messicano è così grande che dos Santos mette a segno quattro gol in otto gare e la squadra di Jim Magilton può sfiorare i play-off. Tornato al "White Hart Lane", il messicano spera in una nuova chance, ma è deluso da Harry Redknapp, che non lo considera per il nuovo anno e non gli concede una tanto sperata "seconda possibilità". Così, dopo appena tre presenze in sei mesi, dos Santos prepara nuovamente i bagagli e si sposta in Turchia, dove lo attende il Galatasaray. Anche lì, però, non c'è verso di rendere la sua carriera in risalita: con il club di Istanbul gioca parecchio, ma non convince, tanto da non segnare nemmeno una rete.
Tornato per la terza volta a Londra, il tecnico Redknapp non fa che sottolineare come la carriera di dos Santos potrebbe esser diversa, se il ragazzo stesse lontano dalle distrazioni che la notte londinese offre. Un appello rimasto inascoltato, visto che il messicano spende l'ennesimo semestre in panca a Londra, prima che arrivi la terza partenza invernale: stavolta, è il Racing di Santander a richiederlo. Lì, finalmente, ritrova un po' di smalto, ritornando anche a segnare dopo due anni: 16 presenze con cinque gol certificano che quel ragazzo visto a Barcellona è ancora lì. Ha solamente bisogno di più serietà negli allenamenti ed una maggior fiducia da parte dell'ambiente. Fiducia che viene concessa a piccole dosi nel suo ultimo anno di Tottenham, quando gioca con maggior regolarità, sebbene 13 presenze non siano molte.
Così, dopo quattro anni, neanche Villas-Boas può (o vuole) evitare la partenza di dos Santos: un peccato, perché forse nel 4-4-2 messo dal portoghese, avrebbe potuto fare da vice-Bale. Invece, il messicano vuole andar via, anche perché il suo contratto scadrebbe nell'estate successiva. Sul ragazzo ci sono Inter, Siviglia ed Atletico Madrid, ma alla fine è il Maiorca a prenderlo per un milione di euro: il club delle Baleari retrocederà a fine anno, ma il messicano torna a buoni livelli (sei gol e sei assist stagionali).

dos Santos ha già 70 presenze con il Messico, nonostante sia un '89.

Tuttavia, si può dire che la carriera di dos Santos rimane un mistero. Certo, il ragazzo ha gironzolato per vari club e non ha convinto quasi da nessuna parte, se non nell'ultima stagione con il Maiorca. Però, il buon Giovani ha esordito nella nazionale del Messico nel 2007 e lo ha fatto da protagonista: al di là della crescita nel Barcellona, il suo curriculum parlava di una vittoria al Mondiale U-17. Per altro, non l'aveva vinto da sguattero, bensì da protagonista, grazie a tanti assist. Nonostante la scarsa forma nei club, la nazionale non ha mai rinunciato a lui: dos Santos ha disputato con la maglia de "La Tri" due Gold Cup (vinte), un Mondiale, un Olimpiade (con l'oro finale) ed una Confederations Cup. Mica male per un ragazzo classe '89, che può vantare - a 24 anni - già 70 presenze con il Messico.
Ora è arrivata una nuova sfida. Quest'estate, mentre il ragazzo era in vacanze post-CC, il Maiorca - conscio di vivere una crisi finanziaria difficile - ha colto la palla al balzo e ha accettato l'offerta del Villarreal, appena tornato in Liga dopo un anno di purgatorio. Sei i milioni di euro sborsati per andare nella Comunidad Valenciana: un'offerta accettata con entusiasmo da dos Santos, che non vedeva l'ora di misurarsi nuovamente con il massimo campionato spagnolo. Un'attesa ripagata, visto l'inizio del messicano: in tre giornate, dos Santos ha già realizzato due gol ed offerto due assist. Prestazioni che hanno permesso al Villarreal di tornare col botto in Liga: infatti, il "sottomarino giallo" è a punteggio pieno. Tre vittorie su tre, come Real Madrid, Barcellona ed Atletico Madrid.
Tutto questo è avvenuto per vari motivi. Innanzitutto, dos Santos sembra aver capito la lezione e si è adattato agli standard di allenamento che Redknapp chiedeva quando il messicano era al Tottenham. Secondo, la Liga è un campionato decisamente adatto allo stile di gioco veloce e rapido di dos Santos, che si trova a perfezione tra le maglie larghe delle difese iberiche. Terzo, il Villarreal cercava un profilo preciso: il sostituto di Giuseppe Rossi, lasciato andare alla Fiorentina a gennaio scorso. L'ha trovato in dos Santos, che non è più costretto a giocare da attaccante esterno, ma può finalmente stare più vicino alla porta, giocando da seconda punta. Cosa che non ha quasi mai potuto fare nei precedenti club e che, invece, fa regolarmente in nazionale, dove spesso giostra alle spalle del centravanti di turno. Ora, insomma, è la sua occasione: può finalmente dimostrare al mondo quanto vale. E quale momento migliore per farlo, se non nell'anno del Mondiale? Lui è pronto a giocare il suo secondo, sempre che il Messico - ora in difficoltà - ci arrivi. Starà anche a lui trascinarlo, sperando che sia la volta buona per vederlo crescere. Definitivamente.

Giovani dos Santos, 24 anni: il Villareal sarà il trampolino giusto?

4.9.13

Cento di questi milioni.

100 milioni di euro. A dirla così sembra facile, ma in realtà sono un'immensità: Gareth Bale è pronto a prendere un aereo per Madrid, che gli permetterà di vestire la "camiseta blanca" del Real. Un sogno voluto ed atteso lungo tutta un'estate, con Ancelotti che già si frega le mani per il trio potenzialmente devastante con Isco e Cristiano Ronaldo. Il Tottenham, invece, potrà consolarsi con la somma sopracitata, che ha già fatto il viaggio inverso: un buon modo per sostituire la mancanza del gallese.

Florentino Pérez, 66 anni, presidente Real e uomo dei grandi colpi.

A Gareth Bale va riconosciuta una cosa: in questi ultimi due-tre anni, è stato il giocatore che ha saputo migliorarsi di più sulla faccia del pianeta. Forse solo Radamel Falcao lo eguaglia per crescita e valore attuale. Tre anni, Bale conquistava il quarto posto con il Tottenham e si affacciava alla Champions League da terzino; grazie a Harry Redknapp prima e ad André Villas-Boas poi, è cresciuto tantissimo, cambiando almeno due volte il ruolo. Ora, è probabilmente il quarto giocatore più forte del pianeta (parere personale: Falcao > Bale) ed è nel club delle star mondiali.
Chi l'avrebbe mai detto che questo ragazzo, nato a Cardiff, avrebbe sfondato in tal modo? Forse qualcuno, ma non era facile che ciò accadesse realmente. Di giocatori che sembrano promettenti da giovani ne è pieno il mondo e non è detto che questi mantengano tali promosse. Bale era un semplice terzino di fascia, capace di esplodere a 18 anni con la maglia del Southampton, in Championship. Notato dal Tottenham, gli Spurs lo comprarono per la modica cifra di nove milioni di euro: a dirlo ora, sembra uno scherzo. Invece, Bale sembra addirittura pagato troppo per l'epoca: i primi anni a Londra non furono facili, senza la sicurezza del posto da titolare e con qualche infortunio di troppo a penalizzarlo. Poi, è arrivato l'incontro con Harry Redknapp, l'uomo che cambiato la sua carriera: quando Assou-Ekotto s'infortunia, il gallese rientra e riesce ad incidere sulle sorti del Tottenham. Per le sue prestazioni, diventa giocatore del mese nell'aprile 2010 ed è decisivo per la conquista della Champions. A quel punto, Redknapp ha un'altra intuizione: spostare il gallese più avanti, a centrocampo. Sarà il "game-changing" della sua carriera: Bale ha sempre detto di voler somigliare a Giggs e, con il nuovo ruolo, la somiglianza non è più realtà.
Sebbene Gareth si basi più sulla corsa, mentre il vecchio Giggs aveva la sua forza nel dribbling ubriacante, la forza di entrambi è abnorme. Nella nuova posizione, la differenza si nota subito: il Tottenham raggiunge i quarti di Champions anche grazie alle discese ubriacanti di Bale. Famosa la sera in cui gli Spurs batterono per 3-1 l'Inter al "White Hart Lane", quando i nerazzurri erano campioni d'Europa uscenti. Il duello Maicon-Bale era il clou di quella notte. Dopo la gara, Rafael van der Vaart, allora giocatore degli Spurs, commentò la prova di Bale così: «Tutti hanno paura di lui. Maicon è uno dei migliori difensori al mondo e (Gareth) l'ha distrutto».
Una crescita acuita ulteriormente da un altro passaggio di ruolo, concesso prima da Redknapp, ma definitivamente da Villas-Boas, che ha addirittura accantonato il 4-3-3 che lo rese famoso al Porto pur di dare spazio al gallese. Bale, così, si è trasformato in una seconda punta ficcante, capace di avere un rendimento straordinario nell'ultima stagione: i 26 gol dell'ultima annata lo hanno fatto eleggere MVP della Premier per la seconda volta dai suoi colleghi e l'attenzione del Real Madrid è stata solo la naturale conseguenza. Persino André Villas-Boas s'è dovuto arrendere alla fine: dopo un lungo tira e molla, il portoghese ha mollato il gallese, affermando come però «sia comportato scorrettamente nei confronti del suo club».

Carlo Ancelotti, 54 anni, e Zinedine Zidane, 41, quasi impazienti di avere Bale.

La domanda che ci si pone dopo questo trasferimento è semplice: lecito spendere tutti questi soldi per un giocatore? Ahimé, ragazzi, il calcio è uno sport composto da società private e sono loro a fare il gioco della domanda e dell'offerta. Sì, forse sono tanti soldi, però non sono soldi pubblici, non sono soldi che i club utilizzerebbero certo per fare beneficenza e perciò è forse inutile porsi tali interrogativi. Intanto, nella classifica dei 10 trasferimenti più costosi della storia, il Real occupa l'intero podio (con Bale, Cristiano Ronaldo e Zidane); se allunghiamo l'occhio fino al settimo posto, i "blancos" occupano almeno cinque posizioni di questa classifica (vanno aggiunti Kakà e Figo).
Insomma, fare questi ragionamenti con il club che ha badato meno a spese nell'intera storia del calcio è purtroppo inutile. Di certo, Perez non si sveglierà domani mattina con la voglia di aiutare i bambini del mondo perché gli va; non è questo il suo ruolo, né la sua voglia, altrimenti l'avrebbe fatto da tempo. Inoltre, mi sento di dire che - per la prima volta nella storia - il Real fa registrare parecchie cessioni e delle entrate da urlo: strano per un club che ha solitamente speso molto in uscito, ma sempre svenduto in entrata. Se ci pensate, l'affare Bale è stato finanziato dalle tante cessioni: 119 milioni guadagnati con le vendite di Albiol, Higuain, Callejon, Pedro Leon e Ozil, più il premio di valorizzazione ricevuto dal City nell'acquisto di Negredo del Siviglia. Se ci mettete anche la rinuncia ad ingaggi pesanti come quelli di Ricardo Carvalho, Essien e sopratutto Kakà, capite come il Real si potesse permettere una spesa del genere. Il bilancio in passivo di 43 milioni sembra quasi un traguardo prestigioso, visti anche gli arrivi (costosi) di Illarramendi ed Isco, due che faranno parlare di sé nei prossimi anni.
Intanto, il Real si prepara ad una stagione potenzialmente magica con una squadra che potrebbe dominare nei prossimi anni. Sembra che ci sia l'amalgama giusto per interrompere l'era del Barcellona: Ancelotti è l'uomo giusto per vincere di nuovo. Bale-Isco-Cristiano Ronaldo sembrano un trio difficilmente arrestabile; lo sa pure Ozil, che pur di non perdere i Mondiali se ne è andato all'Arsenal. Khedira e Modric formano una buona coppia, anche se credo che Illarramendi presto prenderà il posto al croato. In difesa c'è qualcosa da aggiustare: Pepe ed Arbeloa sono i titolari con Marcelo e Sergio Ramos, ma Carvajal e Varane potrebbe crescere ed entrare nello "starting-XI" di Ancelotti. Infine, due situazioni diverse, ma spinose. La prima riguarda la porta: nessuno ha un coppia come Casillas e Diego Lopez, ma chi giocherà? La seconda concerne, invece, il centravanti: Higuain è andato via, ora Benzema finalmente dimostrerà che è l'unico, indiscusso titolare? Vedremo. Insomma, il potenziale per il "triplete" c'è tutto. Ora la palla passa ad Ancelotti, che potrà contare anche sul gallese, l'asso che tutti volevano. C'è da sperargli che non gli capiti nulla: cento di questi giorni. Anzi, di questi milioni.

Gareth Bale, 24 anni, è il giocatore più pagato della storia.

1.9.13

Noi speriamo che ce la caviamo.

L'ansia era molta, ma alla fine ci si può dire soddisfatti: i sorteggi di Champions ed Europa League regalano buoni accoppiamenti alle italiane, che potrebbero fare l'em plein nella qualificazione al prossimo turno. Tutto sta a loro e, per alcuni momenti, anche alla fortuna: ne sa qualcosa l'Udinese, eliminata dallo Slovan Liberec dopo una sfortunata gara d'andata. Intanto, ci si attende molto, specie nella seconda competizione europea, dove Lazio e Fiorentina erano in prima fascia.

La "coppa dalle grandi orecchie": Juve, Milan e Napoli sulle sue tracce.

Per quanto riguarda la Champions, c'era molta attesa: nella scorsa stagione, la Juve si era arresa solo ai quarti contro il Bayern campione, mentre il Milan si era dovuta piegare alla strapotenza del Barcellona. L'Udinese, invece, continuava la sua striscia negativa di preliminari, venendo eliminata al play-off contro lo Sporting Braga. Quest'anno, però, ci sono buone possibilità per le nostre squadre, a cominciare dai campioni d'Italia: infatti, la Juventus si è rinforzata, ma la forza della formazione di Conte è la solidità, la continuità nel gioco e negli uomini. L'organico è largo e gli 11 milioni entrati dall'affare Matri potrebbero consentire un ultimo ritocchino per una macchina già perfetta per l'Italia: ora bisogna vedere se potrà fare bene in Europa come l'anno scorso, quando eliminò il Chelsea campione uscente nel girone. Certo, il Real Madrid è un avversario tosto, ma i posti per passare sono due; inoltre, allo "Juventus Stadium" tutto è possibile. C'è un'altra trasferta danese per i bianconeri, stavolta contro il Copenhagen, e si spera di non perdere punti, come accaduto contro il Nordsjelland l'anno scorso. In verità, il vero ostacolo per la Juventus è il Galatasaray di Terim: anch'esso arrivato ai quarti nell'ultima annata, sarà un avversario ostico, specie nella trasferta di Istanbul. Ci si gioca tutto in quei due scontri.
E' andata meglio al Milan: sì, ha rischiato nel preliminare contro il PSV, risolto solo da un'ottima gara di ritorno. Sì, c'è un'altra volta il Barcellona, rinforzatosi con Neymar e al terzo scontro in quattro anni contro i rossoneri. Tuttavia, c'è da guardare il bicchiere mezzo pieno: Ajax e Celtic non sono avversari insormontabili già tuttora. Gli olandesi hanno venduto Eriksen al Tottenham, mentre gli scozzesi hanno detto addio sia a Hooper che Wanyama (e le difficoltà si sono viste nel preliminare); se poi arrivasse un regalino (magari in difesa o a centrocampo), il club di via Turati potrebbe guardare con fiducia al passaggio del turno. Anche perché Allegri ha dimostrato di avere polso: se è riuscito a passare il girone dell'anno scorso, in una situazione più complicata, ce la potrà fare anche quest'anno.
Infine, c'è il Napoli: l'arrivo di Benitez ed altri giocatori sembra voler affermare che i partenopei vogliano più lottare per l'Europa che per lo scudetto. Oppure, quanto meno, fare bella figura in entrambi, non dovendo sacrificare uno dei due obiettivi. Insomma, sarà un bel girone quello degli azzurri, di grande equilibrio: una super-potenza (il Borussia Dortmund) e due compagini alla portata del Napoli. Se i tedeschi sono arrivati in finale l'anno scorso e sono i favoriti d'obbligo del raggruppamento, ben diverso è il raffronto con Arsenal ed Olympique Marsiglia. Gli inglesi, allenati da Wengèr, non mi sembrano imbattibili, ma gli ultimi giorni di mercato potrebbero portare rinforzi di alto livello: meglio aspettare per giudicare. Invece, l'OM - vice-campione di Francia - è una squadra conservativa, che tende a basarsi su un meccanismo difensivo solido e a vincere le partite con pochi gol di scarto. Anche in quest'inizio di Ligue 1 il club francese non si è smentito: tre vittorie (1-0, 2-0, 1-0): insomma, superata l'ostica difesa, il Napoli potrebbe dilagare. In ogni caso, l'obiettivo minimo per tutte e tre pare il secondo posto, sufficiente a passare il turno e a dire di aver fatto una buona figura.

Marek Hamsik, 26 anni: sarà fondamentale per il Napoli in CL.

Diverso è il discorso per l'Europa League: l'Italia si ritrova nuovamente con sole due squadre, come già successo nel 2011/2012. Un peccato, perché il bel paese ha maledettamente bisogno di punti per il ranking e l'Europa League - con le italiane in prima o seconda fascia - può garantire un bel percorso almeno fino agli ottavi. L'anno scorso, l'Italia era rappresentata da Napoli, Udinese e Lazio: i friulani, nonostante una bella vittoria ad "Anfield", sono usciti subito. I partenopei, non interessati alla rassegna, si sono fatti umiliare dal Viktoria Plzen con un pesante 5-0 tra andata e ritorno; meglio è andata la Lazio. Merito dell'unico allenatore che si interessa alla "seconda Europa", Petkovic, che ha portato il club fino ai quarti contro il Fenerbahce.
Quest'anno, tuttavia, ci sono grandissime attese: la competizione sembra essersi abbassata di livello, complici molte eliminazioni nei turni preliminari. Per questo, le italiane - inserite entrambe in prima fascia - hanno l'occasione gigantesca di andare molto avanti. Per la squadra di Petkovic, l'Europa League è terra conosciuta e, per questo, la Lazio punta a ripetersi. Anche perché il girone non è assolutamente proibitivo: il Trabzonspor è l'avversario più pericoloso, ma non è più quello che batté l'Inter in Champions due stagioni orsono. I turchi hanno disputato già sei partite, faticando solo contro la Dinamo Minsk nel terzo turno preliminare: in squadra, troviamo gli ex Chelsea Malouda e Bosingwa, più l'attuale capocannoniere della competizione, Paulo Henrique (con sette reti). Poi c'è il Legia Varsavia, uscito dai play-off di Champions League: campioni di Polonia, non sembrano particolarmente temibili. Infine, la favola dell'Apollon Limassol completa il girone: i ciprioti giocheranno per la prima volta la fase a gironi di una competizione europea. Per altro, va reso loro merito di aver eliminato il Nizza, formazione francese: il 2-1 complessivo li ha portati in Europa League.
Anche la Fiorentina ha ottime chance: la squadra di Montella ha un organico molto più lungo dell'anno passato e potrebbe creare problemi a qualunque formazione di questa competizione. A differenza dell'altra italiana, i viola forse dovranno sudarsi il primo posto: il Dnipro Dnipropetrovsk ha già dimostrato l'anno scorso - contro il Napoli - quanto può essere pericoloso. Il club ucraino è pronto a disputare un'altra grande Europa League, grazie ad un'ottima organizzazione di squadra e alla guida esperta di Juande Ramos. Da tenere d'occhio sopratutto il mediano Giuliano ed il genio di Konoplyanka. Più facile affrontare il Paços Ferreira, allenato da Costinha, ex fedelissimo di Mourinho all'epoca del Porto: i lusitani hanno preso otto gol complessivi dallo Zenit nel preliminare di Champions. Inoltre, senza la guida del tecnico che li ha portati al terzo posto nell'ultima Liga Sagres (Paulo Fonseca, passato al Porto), i portoghesi sembrano in difficoltà. A chiudere il raggruppamento ci sono i rumeni del Pandurii Târgu Jiu: anche loro sono stati protagonisti di un mezzo miracolo. Giunti secondi nell'ultima Liga I (miglior piazzamento di sempre), i ragazzi di Pustai sono partiti dal secondo turno preliminare e, nonostante ciò, hanno eliminato Levadia Tallin, Hapoel Tel-Aviv e sopratutto lo Sporting Braga, vincendo in Portogallo per 2-0. Insomma, poca rilevanza, ma molta grinta.
Intanto, non c'è comunque da temere: il ranking ci sorride, grazie alle uscite nel play-off di Europa League di Stoccarda, Nizza, St. Etienne, Spartak Mosca e Sporting Braga. Insomma, ci fanno dormire sogni tranquilli: speriamo comunque di cavarcela.

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