Nicola Pozzi, 27 anni, uno dei primi squalificati per bestemmia in A: era il novembre 2010.
Proviamo a fare un discorso serio, lasciando da parte convinzioni religiose e credi personali. La gente deve rispettare la legge, che di per sé dovrebbe essere "laica". La tendenza a far coincidere peccato e reato in Italia non è nuova ed è una cosa che va ogni contro principio di diritto mai pensato. Applicare una cosa del genere nel calcio, poi, è ottuso, specie se la regola non è utilizzata in maniera uguale per tutti. La squalifica per bestemmia non è un'idea nuova: la lanciò proprio la Lega Calcio nel marzo del 2010. L'idea era quella di debellare la piaga delle profanità da parte dei giocatori (come se ci fossero problemi meno importanti di questo); per questo, un approccio proibitivo è sembrata l'unica strada battibile per la FIGC e per il CONI (con Petrucci consigliere di Abete sulla proposta). Così la Lega Calcio l'ha tramutata in criterio valido per decidere dell'opportunità o meno di squalifica di un giocatore.
I primi casi non si scordano mai. Cito due professionisti che non avranno scritto molto nella storia del calcio, ma che molti conosceranno: Domenico Di Carlo e Nicola Pozzi. Per quanto riguarda il tecnico di Cassino, all'epoca dei fatti allenatore del Chievo Verona, venne squalificato per primo tra i tecnici, mentre tra i giocatori il primo a fare esperienza della sanzione fu Davide Lanzafame, ai tempi giocatore del Parma. Ma il caso di Pozzi vale di esser citato perché è una chicca: Cesena-Sampdoria, ottobre 2010. La Samp ha appena vinto di misura nel finale con un gol di Pazzini e i giocatori sono negli spogliatoi. Il racconto della bestemmia ha contorni quasi rustici, inverosimili: pare che il numero 9 blucerchiato negli spogliatoi (quindi a gara ampiamente conclusa), addentando una piadina mentre parlava con un collega, abbia proferito una bestemmia. Da lì, un collaboratore dell'arbitro è casualmente passato per lo spogliatoio, ha sentito e annotato tutto negli atti ufficiali. Ergo, squalifica per il centravanti del Doria, con tanto di risata generale non solo per la solita applicazione personalistica della norma, ma anche perché obiettivamente è una scena più da film anni '80 che da pubblica fustigazione.
Se poi si considera che, qualche ora prima, Cesare Bovo aveva tranquillamente evitato tale sanzione, c'è da riflettere. A mezzogiorno della stessa giornata, si gioca Palermo-Lazio: i rosanero debbono recuperare e c'è un contrasto tra Bovo, difensore rosanero, e Hernanes. Il giocatore siciliano vorrebbe la rimessa, ma il guardalinee gliela nega. Il risultato è un bestemmione, udibile persino da chi sta guardando la partita in televisione, vista la vicinanza dei microfoni. Ciò nonostante, nessuno se la sente di segnalare la cosa e persino i telecronisti continuano imperterriti. Strana applicazione della legge, no? Come per i casi precedentemente citati, la norma è stata usata saltuariamente per un biennio (i casi Kaladze e Pellissier aiuteranno a ricordare qualcosa), salvo ricomparire magicamente quest'anno. A farne le spese sono stati Cesare Natali, difensore del Torino, e Luca Siligardi, attaccante del Livorno.
Tuttavia, è strano vedere come questa regola - già di difficile comprensione - possa esser applicata distinguendo i casi volta per volta. Ho citato sopra il caso di Cesare Bovo, ma c'è un caso molto più scottante e più facile da ricordare: quello di Gianluigi Buffon. Il capitano della nazionale è stato beccato molte volte a fare quello che la Giustizia Sportiva punisce: insomma, se la norma fosse applicata su di lui, giocherebbe la metà delle gare di A. La cosa che fa arrabbiare di più, poi, è la giustificazione: un caso ricorderete su tutti, quello della gara contro il Genoa del 14 febbraio 2010. Dopo aver subito il 2-2 degli ospiti, il portiere bianconero smoccolò in diretta nazionale. E quindi squalifica? No, perché la FIGC iniziò a punire qui comportamenti da marzo di quell'anno. Volendo anche dare per buona una spiegazione del genere (non che il giocatore si sia trattenuto negli anni successivi), fa rabbia la giustificazione di Buffon, quasi con aria guascona: «Ho uno zio un po' porcellino». Cioè, non solo la mancata sanzione, ma pure una sana presa per i fondelli? Potrei fare anche un altro esempio di grande spessore e più recente, come quello di Cesare Prandelli: il C.T. della Nazionale non sembra essersi trattenuto durante la gara di Confederations Cup contro il Giappone, quando De Rossi accorciò le distanze. La FIFA l'ha squalificato per questo? A me non sembra.
Insomma, è il rispetto della regola e non tanto la regola in sé a creare molti problemi. C'è chi pensa che campo e religione non dovrebbero intrecciarsi, ma c'è anche chi la pensa in modo contrario: fin qui, tutto lecito. Ma quando si fanno figli e figliastri in sede di decisioni davanti al Giudice Sportivo, lì si ha un problema. Anche perché se il criterio per la squalifica venisse applicato correttamente, forse i nostri campi sarebbero ancor più poveri di campioni rispetto a già quanto non lo siano ora. Senza pensare ai tifosi: se si vuole applicare la regola, perché non farlo anche alle tifoserie? Così svuotiamo gli stadi interi. E non c'entrano complotti, sistema, sudditanza psicologica o derivati: il fatto è che c'è una grande ipocrisia. Tutto qui. E ci porterà via, statene certi, dalle cose più importanti: quelle che avvengono sul terreno di gioco.
Davide Ballardini, 50 anni, è l'ultimo caso sanzionato dal Giudice Sportivo.
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