29.10.14

ROAD TO JAPAN: Yoshinori Muto

Buongiorno e benvenuti a un altro numero di "Road to Japan", la rubrica che vi segnala i migliori talenti che si evidenziano nel panorama giapponese. Oggi ci spostiamo a Tokyo, dove l'allenatore è Massimo Ficcadenti. Forse nessuno meglio di lui potrebbe narrarci i progressi di un giocatore partito in sordina e che sta esplodendo nel 2014: parliamo di Yoshinori Muto, tuttofare offensivo dell'F.C. Tokyo.

SCHEDA
Nome e cognome: Yoshinori Muto (武藤 嘉紀)
Data di nascita: 15 luglio 1992 (età: 22 anni)
Altezza: 1.78 m
Ruolo: Trequartista, ala
Club: F.C. Tokyo (2012-?)



STORIA
Nato nella capitale giapponese nel luglio del 1992, Yoshinori Muto a già quattro anni è in una squadra di calcio. Il pallone come grande amico fin dall'infanzia e nel 2005 già l'F.C. Tokyo lo nota. Muto ha solo 12 anni, ma il club della capitale nipponica vede qualcosa nel ragazzo, tanto da portarlo nella sua U-15. Il giovane Yoshinori inizia da esterno di centrocampo e stupisce tutti alla Prince Takamado Cup del 2007. Nella competizione che vede partecipare le migliori squadre U-15 e U-18 del paese, Muto realizza otto gol e trascina l'F.C. Tokyo fino alle semifinali.
A questo punto, il club lo promuove nell'U-18, dove Muto studia anche da terzino. Tuttavia, alla fine del 2010, Yoshinori sceglie la Keio University: decide di studiare alla facoltà di Economia, lasciando l'F.C. Tokyo dopo cinque anni. Ma il club della capitale non smette di osservare i suoi progressi: con la maglia della Keio University Soccer Team, Muto continua a giocare e ogni tanto partecipa alla Coppa dell'Imperatore, dove anche le compagini dei college nipponici sono ammesse. Muto è chiaramente la stella della squadra, ma l'F.C. Tokyo non si è dimenticato di quel ragazzo cresciuto nelle sue giovanili.
Così i rossoblu lo segnalano come designated player del club per il 2012 e per il 2013: un sistema presente in J-League per selezionare i migliori prospetti che giocano nelle squadre universitarie e per sviluppare il movimento calcistico nipponico. Nel 2013 Muto continua a giocare per la sua università, ma al tempo stesso esordisce in J-League: un debutto che avviene all'Ajinomoto Stadium il 6 luglio 2013, quando Muto entra per Higashi al 92' di una sconfitta contro i futuri bi-campioni del Sanfrecce Hiroshima. Un assaggio di quello che sarà la stagione 2014.
Nello scorso gennaio, infatti, Muto entra ufficialmente in squadra. Stavolta dalla porta principale. Ranko Popovic, il tecnico che l'ha fatto esordire, se ne è andato; al suo posto c'è un italiano, tale Massimo Ficcadenti. L'ex allenatore del Cesena non esita a credere in Muto: il numero 14 dell'F.C. Tokyo parte da titolare alla prima di campionato contro i Kashiwa Reysol. Prima due assist sul campo dello Shimizu S-Pulse, poi il primo gol da pro in trasferta contro il Vissel Kobe in League Cup. Infine, la prima gioia anche in J-League, quando la sua rete vale il 2-0 contro il Cerezo Osaka. Ridendo e scherzando, Muto è arrivato a quota 13 marcature in stagione, 12 solo in J-League: l'ultima ha deciso la gara casalinga contro i Sanfrecce Hiroshima. Proprio l'avversario contro cui aveva esordito...

CARATTERISTICHE TECNICHE
Dal punto di vista tattico, Muto sta dimostrando che è un ragazzo in crescita. Quest'anno Ficcadenti l'ha provato un po' ovunque: ha iniziato trequartista, poi il tecnico ha spostato Muto prima a destra, poi a sinistra nel 4-3-3 dell'F.C. Tokyo. Infine, una prova anche da seconda punta e poi da centravanti. Muto si è trovato bene un po' ovunque: da punta ha persino segnato una doppietta agli Urawa Reds, leader della J-League.
Se tatticamente il ragazzo si è fatto valere, tecnicamente non è da meno: Muto fa parte della grande scuola di trequartisti che sta producendo il Giappone. Non si rifa a Honda o Kagawa, quanto più a Takashi Usami: è un giocatore velocissimo di gambe e pensiero, con un buon tiro dai 20 metri e la capacità di inserirsi con grande tempismo. Deve metter su un po' di fisico, altrimenti difficilmente potrà giocare fuori dal Giappone. C'è chi lo chiama il Cristiano Ronaldo nipponico: magari si esagera, ma le doti ci sono.

STATISTICHE
2012 - F.C. Tokyo: 0 presenze, 0 reti
2013 - F.C. Tokyo: 1 presenze, 0 reti
2014 - F.C. Tokyo (in corso): 27 presenze, 12 reti

NAZIONALE
L'amore è presto sbocciato tra lui e la Nippon Daihyo. Vista la recente esplosione, Zaccheroni non ha mai potuto prendere in considerazione il ragazzo. Ci ha pensato così Javier Aguirre, nuovo commissario tecnico del Giappone. Dire che l'esordio del fantasista del F.C. Tokyo è stato esplosivo probabilmente è riduttivo. In due amichevoli giocate a settembre contro Uruguay e Venezuela, Muto si è subito messo in mostra. Prima una traversa contro Cavani e compagni, poi la rete del momentaneo 1-0 contro la Vinotinto. Un esordio col botto, seguito da un'altra mezz'ora in campo contro il Brasile. Se sarà convocato, Muto sarà uno dei prospetti più interessanti della Coppa d'Asia del prossimo gennaio.

LA SQUADRA PER LUI
Per un ragazzo del genere, ci vorrà del tempo. Se lo consiglio, è perché c'è del potenziale abnorme. Chi è interessato a Muto potrebbe anche acquistarlo e lasciarlo per un'altra stagione in Giappone. Per tanti motivi. Perché il fantasista ha bisogno di crescere e può farlo in patria. Perché si rischierebbe di bruciarlo portandolo subito in Europa. Perché sta già crescendo con un'accezione europea, grazie alla guida di Massimo Ficcadenti, suo tecnico all'F.C. Tokyo. Tuttavia, il valore è per ora - secondo transfermarkt.com - di 150mila euro: un affare da sfruttare?

27.10.14

Da un Borussia all'altro.

Tutto parte da un pomeriggio lontano. Era il maggio 2013: l'Hoffenheim si giocava l'ultima possibilità di salvezza sul campo del Borussia Dortmund, che da lì a pochi giorni si sarebbe giocato la finale di Champions League contro il Bayern Monaco. A un anno e mezzo di distanza, si torna a sorridere alla Rhein-Neckar-Arena: l'Hoffenheim è secondo a 17 punti nella Bundesliga 2014-15. La truppa di Markus Gisdol ha di che sorridere.

Roberto Firmino, 23 anni, stella indiscussa dell'Hoffenheim.

La storia dell'Hoffenheim in Bundesliga non è di lunga data. Basti pensare che il club militava in ottava divisione (!) all'inizio degli anni '90 e poi è risalito fino alla quinta categoria nel 2000. Insomma, la strada è stata lunga, ma l'ascesa dell'Hoffenheim non si è fermata lì: due promozioni in due anni e raggiungimento della 3. Liga. Lì il club ha maturato ulteriore esperienza e sopratutto ha cominciato a metter giù numerosi investimenti per migliorare ulteriormente. Nell'estate 2006 sono arrivati numerosi personaggi per alzare il livello dello staff e della squadra.
Tra questi, l'uomo fondamentale è stato Ralf Ragnick. Per l'ex manager dell'Ulm dei miracoli contratto quinquennale e progetto a lungo termine. Subito è arrivata la promozione in 2. Bundesliga e nel 2007-08 il club ha giocato la prima stagione nel calcio professionistico. Ma la permanenza in cadetteria è durata poco, visto il secondo posto e la conseguente scalata alla Bundesliga. Una serie di miracoli che non si è fermata lì. Dopo il girone d'andata, l'Hoffenheim se la giocava con il Bayern Monaco per il titolo. Il tutto grazie a una squadra equilibrata, un ottimo allenatore e a un bomber - Vedad Ibišević - che ha avuto la miglior forma in quei giorni.
Il miracolo è stato costruito grazie ai soldi di Dietmar Hopp. Magnate dei software, ha fondato la SAP SE nel 1972 con alcuni ex dipendenti dell'IBM. Un'azienda che fattura miliardi di euro e che ne ha fruttati ben quattro a Hopp. Il quale, con i suoi soldi, ha aiutato l'Hoffenheim a risalire. Non solo: Hopp ha finanziato con 100 milioni di euro la costruzione della Rhein-Neckar-Arena: 30mila posti a sedere, un bell'impianto per chi fino a un decennio fa non esisteva sulla mappa del calcio tedesco. Prima il club giocava al Dietmar-Hopp-Stadium, appena 6000 posti. La strategia di Hopp (soldi a palate) è stata criticata spesso perché fondata unicamente sul forte supporto finanziario. Ricorda molto quella che sta portando avanti il Red Bull di Lipsia (di cui ho parlato qui).
Intanto, però, l'Hoffenheim è sopravvissuto bene: un settimo posto all'esordio e poi tre undicesimi posti. Poi la crisi del 2012-13 e il momento spartiacque della stagione. Tra novembre e marzo di quell'annata, l'Hoffenheim ha perso undici delle tredici partite giocate in Bundesliga, facendo appena quattro punti. La retrocessione sembrava scritta, nonostante il triplo cambio di tecnico. La ruota poi ha girato: dodici punti in otto gare e la partita decisiva al Westfalen Stadion contro il Borussia Dortmund di Klopp, che attendeva la finale di Champions League. All'Hoffenheim serve una vittoria per sperare di salvarsi.
Quel giorno arriva però lo svantaggio nel primo tempo, grazie alla rete immediata di Lewandowski. Poi nel secondo tempo tutto si capovolge: prima follia di Hummels su Volland, poi fallo di Weidenfeller su Schipplock. In entrambi i casi, è rigore: l'eroe di giornata è Sejad Salihović, che trasforma entrambi i penalty e regala un insperato play-out all'Hoffenheim. Nella doppia sfida contro il Kaiserslautern, finisce con un 5-2 complessivo per i Blau-weiß e il club mantiene il suo posto in Bundesliga. Il 2013-14 è stato molto più tranquillo, ma l'Hoffenheim ha ricordato una squadra di Zeman: 72 gol fatti (dietro solo a Bayern e BVB), 70 subiti (peggio solo l'Amburgo) e nono posto finale. Quest'anno, invece, le cose vanno alla grande: il club biancoblu è secondo insieme a Wolfsburg e Borussia Mönchengladbach. E alla prossima l'Hoffenheim sfiderà proprio gli uomini di Lucien Favre, per un match d'alta classifica.


Molto del merito di questi risultati va a Markus Gisdol. Il tecnico - una versione tedesca e più anziana di Jason Segel - ha preso in mano una squadra che era sull'orlo di un precipizio, reduce da una stagione disastrosa. Ex calciatore nelle categorie inferiori, Gisdol ha finito la propria carriera a 27 anni a causa di un grave infortunio. Allora si è buttato come allenatore: prima coach dell'U-17 dello Stoccarda e assistente allo Schalke 04, poi allenatore della squadra riserve dell'Hoffenheim, con cui ha conquistato la promozione dalla quinta alla quarta divisione. Infine, la guida della prima squadra nell'aprile 2013. La salvezza guadagnata in quel pomeriggio di maggio a Dortmund ha cambiato il corso delle cose. Non solo: il tecnico ha fornito una nuova visione di calcio. All'Hoffenheim è sempre piaciuto il calcio offensivo, ma a certe vette zemaniane non erano mai arrivati.
Merito anche di una squadra che ha fatto le mosse giuste quest'estate. L'unico a partire è stato Fabian Johnson, terzino statunitense passato al Borussia Mönchengladbach. Tuttavia, sono arrivati Bičakčić dall'Eintracht Braunschweig, Zuber dal CSKA di Mosca, Schwegler dall'Eintracht Francoforte, Kim Jin-Su dall'Albirex Niigata e anche Szalai dallo Schalke 04. Ma il più grande acquisto dell'estate è stato - a sorpresa - Oliver Baumann. Arrivato dal Friburgo nella scorsa estate, il portiere non sembrava proprio il più solido tra gli estremi difensori di nazionalità tedesca. Anzi, all'Europa Park l'anno scorso si è distinto più per gli errori che per le parate (qui un esempio). Eppure, una volta arrivato all'Hoffenheim, tutto è cambiato. Squawka lo segnala come uno dei dieci migliori portieri delle cinque migliori leghe europee per performance score: un bel cambiamento.
Insieme a questi nuovi arrivi, non si è fatto altro che cementificare quanto costruito prima. Gli esperti capitan Beck e Salihović, i giovani terribili Süle, Rudy e Volland, gli attaccanti Modeste ed Elyounoussi. Ma sopratutto c'è Roberto Firmino, fresco di prima chiamata dalla nazionale brasiliana e stella della squadra tedesca. A 23 anni appena compiuti, Firmino rimane uno dei pezzi pregiati della Bundesliga e ha anche rinnovato il contratto con l'Hoffenheim fino al 2017. L'anno scorso il brasiliano ha concluso la stagione con 16 gol e 12 assist, diventati rispettivamente 22 e 16 in stagione. Inevitabile parlare di lui in chiave mercato, così come per Dunga, che l'ha dovuto chiamare per le prossime amichevoli contro Turchia e Austria. Magari con la speranza di esordire con la maglia verde-oro. Ma intanto c'è la Bundesliga, dove l'Hoffenheim spera di continuare a stupire. Da un Borussia all'altro, ne è passato di tempo.

Markus Gisdol, 45 anni, tecnico dell'Hoffenheim secondo in Bundesliga.

22.10.14

Fußball über Alles

La storia è maestra, ma non si impara mai nulla. Ieri la squadra migliore al momento in Serie A affrontava la migliore squadra della Bundesliga (e non solo...). All'Olimpico si è consumata l'attesa per uno scontro fra titani, che si è trasformato in un massacro: 7-1 del Bayern in casa della Roma. E al di là delle battute su Twitter, viene da chiedersi quanto sia grande effettivamente la distanza dai tedeschi del nostro calcio. Proprio loro, che ci hanno preso il terzo posto nel ranking nel 2011-12.

Lothar Matthäus con la testa bassa dopo l'Europeo del 2000.

Al di là del risultato di Roma-Bayern, colpisce quanto l'Italia sia indietro nei confronti del movimento calcistico tedesco. Al di là del ranking, dove siamo stati sorpassati proprio dai tedeschi. E dove - vedendo Borussia Dortmund e Bayer Leverkusen - non riavremo il terzo posto tanto presto. E al di là delle parole, come quelle della conferenza stampa del lunedì. Ho sempre apprezzato Rudi Garcia per la sua capacità di mantenere la calma: una cosa che serve come il pane per allenare in un ambiente come Roma, umorale come pochi. Nel suo secondo anno italiano, invece, l'ex tecnico del Lille si è italianizzato. Polemiche strumentali, che non fanno il bene della sua squadra. Certo, i giornalisti potrebbero porre domande più ficcanti dal punto di vista tecnico, ma a che serve la provocazione con la macchina fotografica se poi la sua squadra è molle di fronte a una delle migliori compagini d'Europa?
Pep Guardiola, dal canto suo, non è mai stato un aizzatore di folle. Non lo è diventato nemmeno al Bayern, tanto che lui e Robben hanno ribadito quanto la Roma sia forte. Salvo poi spezzare la difesa giallorossa come un coltello nel burro. Il 7-1 di ieri sera dimostra quanto l'Italia sia indietro. E quanto sia il terreno da recuperare dalla Germania, terra dell'eccellenza massima del calcio. Anche più di Spagna (sicuro) e Inghilterra (forse. In campo sicuro). Perché le squadre teutoniche fanno bene in Europa e non solo il Bayern: ieri, pur faticando, anche lo Schalke ha portato a casa una vittoria fondamentale per il passaggio del turno. Su Juve e Roma, non ci sentiamo di mettere la stessa mano sul fuoco.
Il cambiamento tedesco è partito da lontano: dopo il fallimento di Euro 2000, dove la Germania collezionò tre sconfitte e zero punti, la DFB ha deciso di prendere un'altra. Meglio cominciare a costruire in casa i propri campioncini. La federazione tedesca non ha esitato nello spendere milioni di euro in un programma di sviluppo dei giovani (qui c'è un report dettagliato). Anzi, più stai attento ai giovani, più la DFB ti finanzia. Alla fine, sono ben 520 i milioni di euro spesi dai club nella crescita e nel progresso del calcio tedesco: nel 2011, il 52% dei giocatori che giocavano in Bundesliga erano stati cresciuti da un academy di prima o seconda divisione tedesca. Sfido a trovare gli stessi numeri in Serie A. I frutti sono arrivati nel momento in cui una certa generazione di giocatori - Hummels, Özil, Schürrle, Müller, Götze, Kroos - era al massimo della maturità. E altri forse possono avere ancora leggeri margini di miglioramento.

La Germania campione del Mondo nell'ultimo Mondiale.

E noi invece cosa facciamo? Basta guardare quanto successo in questi anni, con il sistematico menefreghismo dei confronti dei giovani e la poca fiducia riservata nei prodotti cresciuti in casa. O anche in questi giorni, dove Daniele Rugani - promessa, vero, ma giovane interessante dell'Empoli e di proprietà Juventus - è stato subito ceduto a Di Biagio e all'Under 21, dopo che Conte lo aveva chiamato per la prima squadra. Però l'Italia avrebbe bisogno di un serio rinnovamento. Già quest'estate vi avevo parlato di come la nazionale guidata da Conte aveva bisogno di cambiare un po' gli interpreti (leggi qui).
La risposta? Zaza e Immobile davanti, ma dietro non è cambiato nulla. Pirlo è sempre il metronomo della nazionale., Buffon è sempre il capitano e il terzetto difensivo di base è sempre quello della Juventus, fondato su Bonucci, Barzagli (quando si riprenderà dall'infortunio) e Chiellini. Tutto questo nonostante l'Under 21 proponga diversi giocatori interessanti e farà sicuramente bene all'Europeo di categoria del prossimo giugno. E comunque a rimetterci sono i ragazzi che sono già pronti per provare a eguagliare i loro predecessori: Verratti e Sirigu sono due nomi validi come esempio.
E invece la Germania cosa fa? Vinto il Mondiale, c'è la consapevolezza per alcuni di essere arrivati al top. Philipp Lahm, consapevole di aver conquistato il miglior trofeo della sua straordinaria carriera, dice basta alla Nationalmannschaft, nonostante abbia l'età per giocare un altro Mondiale. E mi sto riferendo al fisico, perché con la sua intelligenza calcistica potrebbe giocarne altri cinque. La stessa cosa l'ha fatta Per Mertesacker, che di anni ne ha 29 anni e che spesso è vituperato. Tuttavia, il ct Joachim Löw non ha mai rinunciato a lui, neanche nel Mondiale vittorioso in Brasile.
Così la Germania potrà lanciare nuovi talenti e permettere al calcio tedesco di continuare a fiorire. Già, perché se oggi ci sono i Müller, un domani ci saranno i Draxler, i Meyer, i Goretzka. Gente classe '94 o '95, che potrà essere importante fino ai Mondiali del 2026, se non oltre. Certo, poi non sempre nasce un Manuel Neuer o un Philipp Lahm. Ma se l'Italia può rispondere - con tutto rispetto - tramite Darmian e Abate, forse qualche domanda ce la dobbiamo porre. Qui si dice di amare il calcio, ma nei fatti non si vede quest'amore. In Germania, invece, Fußball über Alles. E dopo ieri sera, sfido a non vedere la realtà dei fatti.

La gioia dei giocatori del Bayern: 7-1 alla Roma all'Olimpico.

19.10.14

Obiettivo Olimpico.

Il 2-0 al Modena al Matusa di ieri pomeriggio è stato un grande successo: il Frosinone centra l'ennesima vittoria di quest'anno e si conferma al primo posto, stavolta in solitario. Se prima della sosta internazionale i ciociari erano in testa con l'Avellino, ora guardano tutti dall'alto in solitaria leadership. La squadra di Roberto Stellone può forse sognare una stagione da protagonista, vista la crisi delle favorite (Catania e Bari su tutte) e le sorprese che solo la Serie B sa regalare.

 Maurizio Stirpe, 56 anni, presidente del Frosinone Calcio dal 2003.

Da un decennio la società di Maurizio Stirpe è arrivata nel calcio che conta. Il Frosinone gioca in C2 quando l'uomo di Torrice rileva il club ciociaro nel giugno 2003. Non è la prima volta che la famiglia Stirpe gestisce la società gialloblu: già Roberto e Benito (padre dell'attuale numero uno ciociaro) hanno avuto in mano la presidenza tra il 1965 e il 1967. Ma dall'arrivo di Maurizio Stirpe, dopo due rifondazioni e ascensore tra la D e la C, i ciociari cominciano a sognare. Prima la promozione in C1 (e i due derby vinti con il Latina) nel 2004, poi la scalata alla B.
Il sogno della cadetteria si realizza nel giugno 2006, dopo un campionato di C1 molto combattuto, in cui il Frosinone milita nello stesso girone del Napoli. C'è un testa a testa tra le due squadre, ma poi la forza dei partenopei viene fuori. La squadra di Iaconi riesce comunque a salire in B dopo i play-off e le vittorie contro Sangiovannese e Grosseto. Nel 2006-2007 - prima stagione in assoluto del club ciociaro in cadetteria - la Serie B vede la partecipazione straordinaria della Juventus (dopo Calciopoli), del Napoli, del Genoa e del Bologna. Un campionato d'alto rango, in cui il Frosinone non sfigura e si piazza addirittura a metà classifica.
Una posizione confermata anche negli anni successivi, nonostante i tanti cambi in panchina: Iaconi saluta tutti, ma anche con Cavasin, Braglia, Moriero e Carboni arriva la salvezza. Inoltre, al Matusa si vedono diversi giocatori di certo livello. Dall'italo-venezuelano Massimo Margiotta all'attuale sampdoriano Eder, dal Nacho Castillo al bomber di categoria Salvatore Mastronunzio. Fino ad arrivare al sinistro magico di Francesco Lodi, che ha fatto benissimo con i gialloblu e che ha fatto sognare i tifosi al Matusa. Basti pensare a questo dato: ancora oggi, Ciccio è - con 38 reti segnate - il terzo cannoniere nella storia del Frosinone.
Poi il rendimento è peggiorato e la retrocessione è stata inevitabile nel 2010-11. Né Carboni, né Campilongo sono riusciti a evitare la discesa in Lega Pro. A quel punto, la società gialloblu ha fatto una scelta lungimirante. Un anno a intermittenza - in panchina prima con Sabatini e poi con Corini - ha portato solo un ottavo posto nel primo tentativo di risalita. Quindi Stirpe ha deciso di affidarsi alle proprie giovanili, ai giocatori prodotti in casa. E a chi, con sagacia e arguzia, poteva guidarli al meglio. Una scelta che oggi sta pagando parecchio.

Federico Dionisi, 27 anni, una stella per il campionato di Serie B.

L'artefice dell'attuale momento di gloria del Frosinone è infatti Roberto Stellone. Da calciatore non è rimasto negli annali del calcio italiano, viste le sue medie realizzative. In A l'ex attaccante non ha mai realizzato più di quattro gol a stagione (con il Torino), mentre in B è stato un bomber di discreta razza: Stellone è andato in doppia cifra due volte con il Napoli e ha sfiorato i venti stagionali con il Genoa nel 2004-05. Quei gol sono valsi la promozione, poi annullata per uno scandalo legato alla partita contro il Venezia, decisiva per la scalata in A.
Gli ultimi due anni della carriera di Stellone sono stati proprio a Frosinone. Dopo il ritiro dal calcio giocato e la retrocessione in Lega Pro, il Frosinone ha deciso di affidare all'ex attaccante la gestione della squadra Allievi. Una scelta azzeccata: Stellone fa un miracolo e la sua squadra si laurea campione d'Italia tra le compagini di Lega Pro. La conferma della bontà del progetto viene data dalla vittoria in Supercoppa Italiana contro la Sampdoria, squadra numero uno tra gli Allievi di A e B: il Frosinone schianta i blucerchiati tre a zero. E alcuni giovani di quel gruppo sono poi diventati professionisti con la maglia dei laziali: basti pensare al difensore Formato, ai centrocampisti Gori, Ranelli, Altobelli e Crescenzi o all'attaccante Luca Paganini, decisivo sia in Lega Pro che in B. Tutti giovani, tutti importanti per il tecnico gialloblu.
Proprio per questi risultati ottenuti, Stellone si conquista la panchina della prima squadra nell'estate 2012. E il nuovo tecnico crea una sorta di squadra a immagine e somiglianza del suo vivaio, con l'inserimento massiccio di giovani. Prima arriva il settimo posto del 2012-13, poi l'anno scorso la lotta a tre con Lecce e Perugia per la promozione diretta in B. Le sconfitte in trasferta contro le dirette rivali per la risalita in cadetteria costano il primo posto ai ciociari, che si sono ripresi con gli interessi ai play-off: battute in sequenza Salernitana, Pisa e Lecce. Spesso all'ultimo, visto che i gol in zona Cesarini sono la consuetudine al Matusa.
Ora la squadra vive un momento magico grazie alle strategie di mercato estive. Assieme ai giovani, c'è un gruppo di uomini fidati e validi per la categoria: Zappino, Frara, Soddimo, capitan Gessa, Curiale e il bomber Ciofani. Stirpe quest'estate ha poi aggiunto alcuni uomini-chiave: Schiavi e Musacci dal Parma, gli svincolati Zanon e Masucci, ma sopratutto Federico Dionisi. L'attaccante aveva trascinato il Livorno in A nel 2012-13, poi è stato ceduto in prestito all'Olhanense in Portogallo: ha realizzato otto gol, ma non è bastato a evitare la retrocessione del club in Liga de Honra. E ora l'uomo di Rieti è finito a Frosinone, dove Dionisi ha già toccato quota quattro reti in stagione, compresa il 2-0 di ieri al Modena.
Al Matusa adesso si sogna in grande: c'è attesa per il derby laziale con il Latina tra due settimane, visto che i neroazzurri l'anno scorso hanno sfiorato la promozione in A (persa nei play-off contro il Cesena). Ma forse il pensiero vola anche più in là dello scontro regionale con il Latina. Lazio e Roma sono sempre sembrate così lontane, ma chissà che i ciociari non facciano una capatina all'Olimpico nella prossima stagione...

Roberto Stellone, 37 anni, è il tecnico dei ciociari dal 2012.

16.10.14

Senza paura.

A maggio aveva abbandonato la casa di sempre: addio al Lorient, dopo un quarto di secolo di onorata carriera con i Merluzzi tra i 4 da giocatore-allenatore e i 21 da manager. Christian Gourcuff sembrava far bene solo allo Stade du Mustoir, ma da ct dell'Algeria sta dimostrando quanto di buono ha fatto vedere a Lorient. Doveva sostituire Halilhodžić e tenere il rendimento mostrato al Mondiale brasiliano, ma per ora Gourcuff non ha deluso: la qualificazione alla Coppa d'Africa è in cassaforte.

25 maggio 2014: Gourcuff lascia il Lorient dopo 25 anni insieme.

Classe '55, Gourcuff è un ex insegnante di matematica che ha trovato nel calcio la sua salvezza. In Italia, a molti il suo nome dirà qualcosa in quanto padre di Yohan, ex giocatore del Milan e che ora milita nell'Olympique Lione. In realtà, la carriera di Gourcuff padre è più ricca di quella del più famoso figliolo. Da giocatore si unisce prima al Rennes, poi trascorre quattro anni a Brema, dove si prepara per entrare all'università. Nel 1982 arriva la svolta con l'arrivo al Lorient. Insegna e contemporaneamente svolge il ruolo di giocatore-allenatore per il club della città, militante all'epoca in terza divisione. In quattro anni li porta alla promozione, ma la storia d'amore di Gourcuff sr. con i Merluzzi non finisce lì.
A fine carriera - nel 1991 - torna al Lorient. Ci rimarrà per un altro decennio, dove riporta nuovamente il club in seconda divisione e poi lo trascina alla promozione in Ligue 1 nel 1998. Un miracolo per la squadra. Poi il manager commette forse l'unico errore della sua carriera: nel 2001, Gourcuff ha l'offerta della vita da parte dell'Olympique Marsiglia, ma preferisce unirsi ai rivali regionali dello Stade de Rennes. La stagione andrà male e per tutta quell'annata si sentirà il peso dell'esser un simbolo del Lorient. Dopo un breve passaggio in Qatar, c'è il ritorno al Lorient. Dove Gourcuff sr. ha speso altri 13 anni della sua vita, facendo crescere tanti giocatori: ricordiamoci che il tecnico francese ha lanciato Gameiro, Ciani, Jallet, Gignac, Amalfitano e Koscielny.
Altra promozione con il Lorient e il ritorno in Ligue 1, dove il club della Bretagna è rimasto stabilmente. Anzi, il 4-4-2 e il gioco spettacolare di Gourcuff hanno portato un settimo posto nel 2009-10 (miglior risultato nella storia del club) e due ottavi posto nelle ultime due stagioni. Nel 2013-14, si è consacrato anche Vincent Aboubakar, poi ceduto al Porto nel mercato estivo. per la "modica" cifra di otto milioni di euro.
Tuttavia, il contratto di Gourcuff era in scadenza nel giugno scorso e l'intera stagione è stata condizionata da difficili rapporti con il presidente del Lorient, Loïc Fery, e con il suo vice Sylvain Ripoll. Con il primo i contrasti sono riguardati la cessione invernale di Mario Lemina all'OM, mentre Gourcuff ha sempre pensato che il suo secondo lavorasse contro di lui. Alla fine, è stata inevitabile la separazione e proprio Ripoll ha preso il posto di Gourcuff sulla panchina del Lorient. Adesso vedremo se il club saprà reggersi senza l'artefice dei suoi miracoli. Intanto, per allargare i suoi orizzonti, Gourcuff ha accettato la sfida dell'Algeria. Giunta agli ottavi nell'ultimo Mondiale, i magrebini hanno assunto il tecnico francese come nuovo ct della nazionale al posto del dimissionario Vahid Halilhodžić.


Dopo un Mondiale del genere, per l'Algeria era importante dare continuità ai risultati brasiliani. E così è andata, tanto che le Volpi del Deserto sono la prima squadra - in co-abitazione con Capo Verde - a essersi già qualificata alla prossima Coppa d'Africa. In realtà, non bisogna nascondersi: i magrebini attendono con ansia l'appuntamento di gennaio in Marocco, perché è una grande occasione per tornare a vincere la rassegna continentale. L'ultima volta è stata nel 1990 (in casa) e la nazionale vista in Brasile è tranquillamente tra le favorite. Con Gourcuff, anzi, potrebbe essere proprio LA favorita, visto il gioco offensivo del tecnico francese.
Una speranza forte, anche perché nelle ultime cinque edizioni della Coppa d'Africa l'Algeria ha fatto pochino. Solo un quarto posto nel 2010, mentre nel 2013 è stata eliminata al girone. Per non parlare delle edizioni 2006, 2008 e 2012: per quelle rassegne continentali, l'Algeria non si è nemmeno qualificata. Ma da quando l'ex tecnico del Lorient si è seduto sulla panchina dell'Algeria, i risultati sono netti: su quattro partite giocate, quattro vittorie, otto gol fatti, uno solo subito. E in un girone con Mali, Malawi ed Etiopia, la qualificazione è già cosa fatta.
Del resto, il giorno della sua presentazione come commissario tecnico degli algerini Gourcuff è stato chiaro: «Voglio mantenere vivo questo momento e costruire un certo stile di gioco per questa squadra». La voglia di costruire un altro piccolo miracolo - sulla falsa riga di quanto fatto in quel di Lorient - è tanta. Ed è possibile, perché il movimento calcistico algerino ha avuto anni molto bui, ma ora sembra essersi risvegliato e l'ultimo Mondiale è la dimostrazione pratica di quanto si può far bene con questi giocatori. Christian Gourcuff ha voglia di aggiungere un'altra tacca alla sua reputazione di miracle-man. Forse in Francia qualcuno rimpiangerà la sua figura a fine anno, specie se a Lorient non arrivasse la tanto sospirata salvezza. Il ct ha lodato i suoi giocatori dopo l'ennesimo buon risultato e qualche settimana fa, nonostante il clima difficile nel paese, ha detto: «Non ho paura di vivere in Algeria». Siamo sicuri che non avrà paura nemmeno delle sfide che lo attendono nel gennaio prossimo.

Christian Gourcuff, 59 anni, tenta un altro miracolo da ct dell'Algeria.

14.10.14

UNDER THE SPOTLIGHT: Tony Watt

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Under the Spotlight", la rubrica che tende a segnalarvi le migliori occasioni che possono capitare nel panorama del calcio internazionale. Oggi ci spostiamo in Belgio, nella Pro League che vede lo Standard Liegi tra le sue protagoniste. La squadra di Guy Luzon ha cambiato molto in estate, ma in entrata l'operazione più interessante è stata quella riguardante Tony Watt, attaccante scozzese e prodotto del vivaio del Celtic Glasgow.

SCHEDA
Nome e cognome: Anthony "Tony" Watt
Data di nascita: 29 dicembre 1993 (età: 20 anni)
Altezza: 1.82 m
Ruolo: Prima punta
Club: Standard Liegi (2014-?)


STORIA
Nato a Coatbridge (16 km da Glasgow) in una fredda serata del dicembre '93, Tony Watt cresce calcisticamente nell'Airdrie United. Prima entra nelle giovanili del club nel 2009, poi esordisce in prima squadra l'anno dopo: all'epoca l'Airdrie milita in terza divisione e Watt si mette in evidenza con tre gol alla tenera età di 16 anni. L'attenzione sul ragazzo è talmente tanta che club come Liverpool, Fulham e le due squadre di Glasgow si muovono addirittura nel mercato invernale del 2011. Alla fine, a spuntarla sono gli Hoops per 120 mila euro. E Watt comincia ad assaggiare il calcio a un livello più grande, con le prime presenze sul finire del 2011-12.
L'occasione è la gara interna di fine aprile contro il Motherwell: il giovane attaccante entra e realizza subito una doppietta, tanto per chiarire di che pasta è fatto. Il manager del Celtic, Neil Lennon, conta su di lui e lo dimostra l'anno successivo, quando il minutaggio di Watt aumenta vertiginosamente. Sopratutto Tony mette la sua firma su una serata magica: il 7 dicembre 2012, i Bhoys battono il Barcellona in Champions League. E lo fanno proprio con un gol di Watt, entrato da 10' e in grado di battere Victor Valdes per il 2-1 finale.
Ciò nonostante, il Celtic non crede ancora abbastanza nel suo attaccante. Lo testimoniano gli acquisti di Amido Baldé e Teemu Pukki durante il mercato estivo, in vista del 2013-14. Entrambi sono già andati via da Glasgow, ma così le opportunità di Watt si riducono al lumicino. E così club e giocatore si mettono d'accordo per un prestito in Belgio, precisamente al Lierse. Alla prima gara nella Pro League, Watt entra da sostituto e gli bastano 90 secondi per realizzare il suo primo gol. Un bell'inizio, ma l'allenatore del club belga - Stanley Menzo - lo accusa di esser fuori forma. Watt, per tutta risposta, segna anche nella gara successiva e si toglie la maglietta. Dirà a fine partita: «So che non mi devo togliere la maglietta, ma volevo mostrare a tutti che sono in condizione ottimale».
Il rapporto di Watt con il manager del Lierse è conflittuale: Menzo a novembre lo critica, ma poi lo rimette in squadra. In cinque giornate, lo scozzese segna sette gol e regala 13 punti con le sue giocate al Lierse. Un ottimo apporto, ma non basta: alla fine Watt accusa Menzo delle sconfitte del Lierse; il club risponde escludendo lo scozzese dalla prima squadra e spostandolo nelle riserve. Un'avventura positiva quella belga, ma troppo conflittuale. Quando Watt torna a Glasgow, il Celtic ha cambiato allenatore: è arrivato Ronny Delia, campione in Norvegia con il suo Strømsgodset. Watt gioca tre gare, ma si trova sempre qualcuno davanti. E quando molti club belgi lo vogliono riportare in Pro League, il Celtic non si oppone. Di fronte all'offerta di un milione e mezzo di euro, Watt passa allo Standard Liegi. Ora sta a lui dimostrare che l'anno trascorso al Lierse non è stato un caso. Chissà se in casa Celtic si mangeranno le mani per questa cessione tra qualche anno...

CARATTERISTICHE TECNICHE
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, vista la sua stazza, Watt non è il classico centravanti. All'occorrenza può giocare anche da seconda punta e ha una progressione niente male sullo scatto secco. Un lottatore su tutto il campo, dotato anche di una buona visione di gioco. Watt possiede un gran fisico e un ottimo destro, che gli permette di calciare da qualunque punto dell'area di rigore. Semmai ciò su cui bisogna lavorare sono i fondamentali e la testa: la prima per migliorare una cifra tecnica ancora grezza; la seconda per evitare che la sua figura venga marchiata come "testa calda".

STATISTICHE
2010/2011 - Airdrie United*: 19 presenze, 3 reti
2011/2012 - Celtic: 3 presenze, 2 reti
2012/2013 - Celtic: 28 presenze, 6 reti
2013/2014 - Celtic: 3 presenze, 0 reti
2013/2014 - Lierse: 18 presenze, 9 reti
2014/2015 - Standard Liegi (in corso): 11 presenze, 2 reti
* = in Scottish Second Division (terza divisione scozzese)

NAZIONALE
Ancora niente esordio in nazionale maggiore per Watt, che però ha già fatto la sua trafila nelle giovanili della Scozia. Qualche presenza con l'Under 19, una sola con l'Under 20 e poi anche il ct dell'Under 21 ha cominciato a ignorarlo. Con i Kenny Miller e i Kris Boyd sul viale del tramonto, un ragazzo così farebbe molto comodo alla nazionale maggiore. Il ct Gordon Strachan ha chiamato Watt per una partita di qualificazione a Zagabria contro la Croazia nel giugno 2013, ma senza farlo esordire. Chissà se la maglia dello Standard può regalare a Watt la ribalta della Scozia in maniera definitiva.

LA SQUADRA PER LUI 
Sicuramente il ragazzo non è di facile gestione: lo dimostra il fatto che il Celtic, pur avendo puntato molto nel passato su di lui, alla fine l'ha lasciato andare (forse con un po' di fretta) per la testa calda che Watt si ritrova. Maturare in Belgio è la scelta giusta, ma chissà che a fine anno non attiri già l'attenzione di qualche club inglese...

12.10.14

Da Madrid a Fort-de-France.

Ci sono personaggi che passano una sola volta nel calcio. O almeno, così pare. L'assunto è valido per Julien Faubert, esterno del Bordeaux di Willy Sagnol. Con i Girondins Faubert è cresciuto ed è ritornato in Francia nell'inverno 2013. Ma la sua storia comprende anche il West Ham, un prestito al Real Madrid. E si è arricchita di un nuovo  traguardo: mercoledì Faubert ha collezionato la prima presenza con Martinica nell'ambito delle qualificazioni alla Coppa Caraibica. E ha pure segnato...

Faubert in azione con la maglia della Martinica: in gol contro Curacao.

Nonostante abbia "solo" 31 anni, Faubert ne ha viste parecchie nella sua carriera. Tutto è iniziato da Le Havre, dove il giocatore è nato e cresciuto nelle giovanili della sua città. Poi il passaggio a Cannes, dove ha debuttato in prima squadra. La duttilità è stata la sua forza: Julien può giocare da terzino destro, da esterno alto e persino da centrocampista centrale. La sua poliedricità ha attratto l'attenzione del Bordeaux, che lo ha preso nel 2004. Tre anni allo Chabban-Delmas e poi l'addio. All'inizio, sembra fatta con i Rangers di Glasgow per sei milioni e mezzo di euro. Ma il trasferimento salta e alla fine Faubert passa al West Ham per ben nove milioni di euro.
L'avventura britannica è fatta di luci e ombre, forse anche a causa dell'eccessivo prezzo speso per l'esterno francese. Inoltre, la rottura del tendine d'Achille gli ha fatto perdere metà della sua prima stagione con gli Hammers. Se le prime due annate sono state senza spunti a Londra, Faubert si è poi preso la sua rivincita nel 2009-10. Un successo che è stato alterno: se nell'anno della retrocessione il francese ha giocato poco, quando poi il West Ham ha avuto bisogno di lui in Championship, Faubert non si è tirato indietro.
L'avventura si è conclusa nel giugno 2012, quando il club di Londra ha deciso di non rinnovare il contratto del francese. Così Faubert ha optato per l'avventura turca con la maglia dell'Elazığspor: accordo triennale. Peccato che l'esperienza nella Super Lig sia durata solo sei mesi, prima che il club turco svincolasse Faubert. Alla fine, l'esterno ha deciso di tornare dove tutto è iniziato: al Bordeaux. Con i Girondins, Julien si doveva solo allenare, ma alla fine ha firmato un contratto fino alla fine del 2012-13. Poi l'accordo è stato prolungato fino alla fine di questa stagione. Faubert sembra aver recuperato lo smalto di un tempo ed non è solo un punto di riferimento per i compagni, ma ha vestito pure la fascia di capitano in qualche occasione. Il neo-tecnico Willy Sagnol, che lo conosce dai tempi della nazionale francese e ha giocato nel suo stesso ruolo, conta molto su di lui.
In tutto questo, Faubert ha avuto la possibilità di una vita. Nelle luci e ombre vissute con il West Ham, a un certo punto è il Real Madrid a chiedere informazioni sul francese. Così l'affare si concretizza nel mercato invernale: un milione e mezzo di euro per il prestito, sette per il riscatto finale. Faubert esordisce contro il Racing Santander e desta una buona impressione. Tuttavia, Manuel Pellegrini non potrà contare su di lui in maniera stabile nelle settimane successive. Il perché è facilmente spiegabile in questo video: il Real va a giocare in casa del Villareal e Faubert non solo appare lontano dagli umori della squadra, ma si addormenta in panchina. Inoltre, il francese manca alcuni allenamenti perché pensa di avere il giorno libero. Insomma, un'occasione buttata, tanto che a fine stagione le presenze di Faubert con il Real Madrid saranno solo due. Non che la bizzarria di Faubert sia una novità: quando era nelle giovanili del Le Havre, l'esterno viene cacciato per mancanza di disciplina. Insomma, il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

Non è un errore: Faubert, una maglia del Real e il compianto Di Stefano.

Tuttavia, l'esordio con Martinica ha rappresentato una nuova spinta per la carriera di Faubert. L'esterno ha un rapporto un po' conflittuale con le nazionali. Quando era più giovane, il giocatore del Bordeaux è stato chiamato diverse volte dall'Under 21 francese, dove ha fatto diverse presenze. Anzi, è stato una colonna del ciclo targato René Girard, oggi allenatore del Lille. La continua crescita del rendimento ha portato Faubert persino in nazionale maggiore. Il ct Raymond Domenech lo convoca per l'amichevole contro la Bosnia-Herzegovina dell'agosto 2006: è la prima gara dopo la finale persa al Mondiale 2006 contro l'Italia. La prima partita senza Zinedine Zidane, ritiratosi dal calcio. E indovinate a chi è andato lo scomodo numero 10? Proprio a Julien.
Non solo: alla prima gara con Les Blues, Faubert ha persino segnato il gol decisivo per vincere quell'amichevole. Purtroppo per lui, nonostante la voglia di vestire nuovamente la maglia della Francia, da quel momento Faubert non è stato più chiamato in nazionale. E così sono spuntate diverse possibilità: l'esterno - allora al West Ham - viene contattato sul finire del 2009 dalla federazione algerina, visto che la moglie di Faubert viene da lì e così potrebbe giocare per le Volpi del Deserto. In realtà, Faubert spera ancora nella chiamata della Francia e rifiuta. Ma la chiamata non è mai arrivata e quindi per l'esterno del Bordeaux si è aperta una nuova porta pochi mesi fa.
Martinica è un piccolo dipartimento d'oltremare ad appannaggio francese. Non è un paese affiliato con la FIFA, ergo non può giocare le qualificazioni per il Mondiale. Tuttavia, è invece affiliato alla CONCACAF, la federazione nord e centro-americana. Quindi la nazionale sta effettivamente giocando le qualificazioni per la Gold Cup del 2015 attraverso la Coppa Caraibica. Nei round preliminari, Faubert ha accettato la chiamata del ct Cavelan e si è unito alla squadra. Non è la prima volta che qualcuno che ha già esordito con la Francia gioca con il Martinica: è successo anche a Frédéric Piquionne, anche lui ex West Ham.
Le prime due gare di Faubert con il Martinica sono stato esplosive: tre gol in due partite contro Curaçao e Guadalupa, che hanno fruttato quattro punti. Con un pareggio nell'ultimo scontro con Saint-Vincent e Grenadine (si gioca nella notte italiana), Martinica raggiungerà la fase finale della Coppa Caraibica. E lì la nazionale cercherà la qualificazione alla Gold Cup 2015. Intanto la mano di Faubert si vede. La sua carriera ha ancora molto da dire, ma passare dal glorioso Santiago Bernabeu al piccolo René Serge Nabajoth è un passo enorme.

Julian Faubert, 31 anni, è tornato al Bordeaux dal gennaio 2013.

8.10.14

Dalla Carinzia con furore.

L'Austrian Football Bundesliga ha avuto un solo padrone negli ultimi anni: il Red Bull Salisburgo. La squadra della lattina più famosa al mondo ha vinto quattro delle ultime sei edizioni, spodestando le più famose compagini di Vienna e lo Sturm Graz. Tuttavia, in quest'inizio di 2014-15, un altro team si sta affacciando alla ribalta: dopo 11 giornate, l'AC Wolfsberger è il nuovo che avanza. Ventisette punti conquistati, testa del campionato e sogni per il resto della stagione.

Jacobo Ynclán, 30 anni, spagnolo dell'AC Wolfsberger leader in Austria.

Sono solo quattro i punti che separano i leader del campionato austriaco dai rivali del Red Bull Salisburgo, ma anche solo quest'ipotesi sarebbe stata impensabile all'inizio della stagione. E ora invece la squadra della Carinzia sogna un'annata da protagonista assoluta. Anche perché finora ha fatto tutto ciò che poteva: ha battuto lo Sturm Graz, il Rapid Vienna e gli stessi campioni uscenti. In più, è la difesa meno battuta del campionato. E' vero che la lega austriaca ha solo dieci squadre partecipanti, ma un risultato del genere è incredibile.
Un inizio particolare per l'Athletik Club Wolfsberger, che ha sede a Wolfsberg e che sul proprio scudo un lupo. In questo c'è molto in comune con il Wolfsburg, che invece gioca in Germania e ha alle spalle un colosso come la Wolkswagen. Quando si parla di gavetta, l'AC Wolfsberger l'ha fatta. Nato nel 1931, il club è stato promosso in seconda divisione 37 anni dopo la sua fondazione e ha militato lì per un paio di decenni. Salvo poi tornare in terza categoria negli anni '80: una spirale dalla quale il club della Carinzia non è sembrato in grado di uscire da solo.
Così nasce l'idea di una cooperazione tra l'AC Wolfsberger e i "cugini" del SK St. Andrä. Un caso unico di "comunismo calcistico": le due società condividono il management, l'approvazione dei bilanci, la scelta dei giocatori e la questione delle logistiche. Un esempio più unico che raro di come il calcio dovrebbe unire e non dividere, sebbene i due club siano sempre rimasti entità separate. E la mossa ha fatto decisamente bene all'ACW, che ha ripreso possesso della seconda categoria ed è poi stato promosso nella massima serie austriaca nel 2012. Per la prima volta, la Tipp 3 Bundesliga arriva anche alla Lavanttal-Arena (che può accogliere al massimo 8000 persone).
L'AC Wolfsberger ha poi sciolto la partnership e ora cammina da solo. Anzi, se la cava piuttosto bene. All'esordio in massima serie, l'ACW ha ottenuto un quinto posto, appena a un punto dallo Sturm Graz e dal piazzamento che sarebbe valso l'Europa League. Nel 2013-14, invece, il club si è salvato e ha condotto un tranquillo campionato di metà classifica. Quest'anno è arrivato il record: è il primo anno nella Bundesliga austriaca che una squadra della Carinzia assume la leadership della classifica. E chissà quando i ragazzi dell'AC Wolfsberger vorranno mollare la vetta...


In passato, la squadra ha ospitato come allenatore anche Nenad Bjelica, che aveva portato l'ACW alla promozione in prima divisione. Oggi è l'allenatore dello Spezia a tinte croate. Dopo l'intermezzo di Slobodan Grubor, a settembre 2013 è arrivato Dietmar Kühbauer. Il nuovo manager del club è un ex calciatore a buon livello: Kühbauer ha vestito le maglie di Wolfsburg, Real Sociedad e sopratutto Rapid Vienna. I tifosi biancoverdi lo idolatrano ancora oggi e addirittura lo hanno inserito nel team del centenario del club.
Non solo: Don Didi è stato anche un importante giocatore per l'ultima Austria competitiva, quella che è arrivata a giocarsi la fase finale del Mondiale 1998. Appesi gli scarpini al chiodo nel 2008, Kühbauer ha cominciato la carriera da allenatore con il FC Admira Mödling: prima la seconda squadra (che giocava nei dilettanti), poi l'approdo alla guida dei "grandi". Del resto, l'Admira altro non è che il club con la quale Kühbauer ha iniziato quando era giocatore. Con il FC Admira Mödling, Didi ha conquistato promozione in prima divisione e terzo posto l'anno successivo. Insomma, le doti di Kühbauer sono evidenti a chi osserva il panorama austriaco.
Dei segnali di buona qualità c'erano già stati quest'estate. In un'amichevole giocata a luglio, l'ACW ha fermato sul pari niente di meno che il Chelsea di José Mourinho. Certo, si parla di una gara giocata sotto ritmo e il 23 luglio, con la squadra-B dei Blues in campo, ma ciò non fa che rafforzare il primato del club nella Bundesliga austriaca. Non un caso, non uno scherzo della fortuna. In Carinzia è tutto pensato e pianificato.
E ora? Dopo le prime sei vittorie di fila e il trionfo contro i campioni uscenti del Red Bull Salisburgo, c'è euforia. Onestamente sognare il titolo sembra troppo. Il campionato dura 36 giornate, non 11. E sebbene l'ACW sia in testa, è difficile pensare che il Red Bull Salisburgo lasci la testa della classifica a lungo. Tuttavia, Kühbauer ha dimostrato di essere un tecnico capace ed è in grado di portare a casa i risultati. Dipende che nome hanno gli obiettivi del club: l'anno scorso si parlava di salvezza. Il titolo no, ma magari si può sognare l'Europa entrando nelle prime quattro. Magari anche grazie ai gol di Jacobo Ynclán, spagnolo ormai adattatosi al clima austriaco. L'attaccante è uno dei pochi che ha vissuto l'intera esplosione dell'ACW dal 2011 a oggi. E come molti tifosi, l'ex Atlético Madrid sogna di raggiungere qualcosa di importante a fine anno.

Dietmar Kühbauer, 43 anni: è lui il manager dei miracoli.

6.10.14

L'insostituibile.

Non è stato folgorante il suo inizio di stagione, ma il suo contributo è sempre presente. José Maria Callejon è arrivato a Napoli l'anno scorso dal Real Madrid e l'accoglienza non è stata la stessa di Maradona. Nessuno lo pretendeva, ma un acquisto dai Blancos - seppur fosse una riserva - avrebbe dovuto meritare più considerazione. Lui se l'è presa, con i gol e le giocate. Quest'anno non è (ancora) esplosivo come nel 2013-14, ma la reti decisive non mancano.

Callejon qui con José Mourinho, 50 anni, ai tempi del Real Madrid.

Eppure Rafa Benitez aveva avvertito tutti la scorsa estate: «Callejon farà dai 10 ai 20 gol». E lo stesso giocatore puntava a quella cifra. Lo spagnolo non ha deluso le attese e ha timbrato esattamente 20 volte nel 2013-14. Un rendimento a tutto tondo, ben diviso nelle varie competizioni: 15 in campionato, 3 in Coppa Italia e 2 in Europa. Insomma, il contributo di Callejon alla buona stagione del Napoli è stato insindacabile e forse questo ha alzato le attese verso di lui all'inizio di quest'annata. Tuttavia, bisogna sempre ricordare come lo spagnolo sia un giocatore di valore, con una carriera di tutto rispetto alle spalle.
Arrivato a Madrid nel 2002, Callejon è rimasto per sei anni nelle formazioni giovanili del Real Madrid, diventando anche il capocannoniere della Segunda División B nel 2008. Poi è arrivato il salto nel calcio che conta, con l'acquisto del giocatore da parte dell'Espanyol, l'altra squadra di Barcellona oltre i blaugrana. Un contratto quadriennale, con il Real che lo ha lasciato andare senza troppi complimenti. Sotto la guida di Mauricio Pochettino, Callejon è cresciuto e così il Real lo ha riportato a casa per cinque milioni e mezzo di euro nell'estate del 2011. Mourinho lo ha voluto espressamente e lo spagnolo ha ripagato lo Special One con 13 gol stagionali. Nel 2012-13, lo score si è abbassato: 36 presenze e 7 reti, ma l'ala si è lamentata di altro. Poco spazio per Callejon, che preferisce all'epoca andar via. E qui arriva il Napoli di De Laurentiis, che lo acquista dal Real Madrid per 10 milioni.
Nel trasferimento sotto il Vesuvio, Callejon è stato accompagnato dagli ex compagni di squadra Raul Albiol e Gonzalo Higuaín. Un pacchetto Blanco costato complessivamente al Napoli 65 milioni, praticamente quelli ricavati dalla cessione di Edinson Cavani al Paris Saint-Germain. Callejon si è inserito benissimo nel 4-2-3-1 di Rafa Benitez e l'intesa con El Pipita è stata esemplare. Questo perché sia l'argentino che lo spagnolo hanno doti fuori dal comune. Se Higuaín è una punta in grado di segnare ma anche fornire preziosi assist, è altrettanto vero che Callejon non è solo un'ala, ma un uomo capace in zona-gol.
Non solo ripiegamenti a fare il terzino, ma anche incursioni in area avversaria. E allora le 20 reti pronosticate da Benitez sono diventate realtà. Il bello è che le reti sono state anche decisive: prima rete del campionato per il Napoli (tre marcature nelle prime tre gare), gol a Firenze e match-winner al San Paolo contro la Roma. Infine, fustigatore della Juventus nella sfida in casa azzurra. Callejon ha anche segnato il gol numero 100 del Napoli nel 2013-14. A fine anno, il bilancio è stato positivo e il club partenopeo ha sentito di non poter rinunciare più al suo alfiere spagnolo. Tanto che De Laurentiis ha rifiutato quest'estate l'offerta dell'Atlético Madrid per Callejon.


Dopo la straordinaria stagione dell'anno scorso, qualcuno ha storto il naso al suo avvio. Callejon è apparso invisibile nei play-off di Champions contro l'Athletic Bilbao. Anzi, si è riuscito a mangiare anche il possibile 2-1 nella gara d'andata al San Paolo. E al ritorno è sembrato fuori condizione. In generale, non appare esplosivo e imprevedibile come nella scorsa annata. Certo, i numeri della casa funzionano ancora: basta guardare il gol contro il Genoa alla prima (al volo su pennellata di Higuaín) o quello al Sassuolo che ha portato il Napoli alla vittoria a Reggio Emilia (stesso pattern). Ridendo e scherzando, sono già quattro i gol in A dello spagnolo quest'anno.
Diciamo che se le pulsazioni sono più basse, i risultati restano quelli. Non a caso, Callejon è nelle prime posizioni della classifica cannonieri di questa Serie A 2014-15, dietro solamente a Carlos Tevez della Juventus. Un'ottima media-gol per lo spagnolo, che ha aiutato il Napoli a ritrovare i gol che erano andati via con Edinson Cavani. Tiri dalla distanza, inserimenti, colpi di testa da perfetto centravanti: c'è tutto nel reparto di José Maria Callejon. E tatticamente l'ala ex Real ha dimostrato di essere preziosissimo per l'equilibrio della squadra di Rafa Benitez.
Un peccato rimane però il fatto che Callejon non abbia una chance per la nazionale spagnola. Purtroppo l'ala del Napoli è esploso quando la Spagna dominava il calcio e giocava in maniera particolare. Nel 4-3-3 di Del Bosque ci sono falsi nueve (vedi Fabregas alla finale di Euro 2012) o ali inventate (Iniesta di certo non lo è). In questo meccanismo, se sta a casa Borja Valero, è inevitabile che anche Callejon rimanga all'asciutto. E così niente Mondiale brasiliano, ma solo tv. Saranno stati contenti i tifosi del Napoli, che hanno avuto un giocatore fresco al rientro dalle vacanze dopo una stagione estenuante: Callejon infatti ha giocato 52 (!) gare nel 2013-14 ed è anche il giocatore azzurro che ha collezionato più minuti in campo nello scorso anno (4098). E anche quest'anno per ora è tra i giocatori più utilizzati dei partenopei: 10 presenze, come Koulibaly, Albiol e Higuaín. Più insostituibile di così... del resto, si parla sempre di Napoli. Parafrasando un vecchio adagio: «Vedi Callejon e poi muori».

José Maria Callejon, 27 anni, è alla seconda stagione con il Napoli.

3.10.14

Profeta in patria.

Cosa c'è di peggio per un attaccante? Facile: non segnare neanche un gol. Un po' come è successo a Markus Rosenberg. A 32 anni, l'attaccante svedese si è ritrovato con uno zero tondo alla voce "reti realizzate" nella sua avventura in Premier League con la maglia del WBA. Tutt'altro scenario rispetto a quanto accaduto mercoledì sera: doppietta con la maglia del Malmö all'Olympiakos e prima vittoria di un club svedese in Champions dopo 14 anni. Tutto merito di un uomo rinato in patria.

Rosenberg con la maglia del West Brom: un'avventura senza reti.

Personalmente ho un'immagine fissa dello svedese e non è di quelle positive. 24 agosto 2010, stadio Ferraris: con il Werder quasi eliminato dai preliminari di Champions League per mano della Samp, l'attaccante parte palla al piede. Salta un avversario, sfrutta un'incomprensione tra Gastaldello e Ziegler e batte con il destro dai 21-22 metri. Il pallone inesorabilmente incrocia sul secondo palo e s'insacca alle spalle di Curci. Diciamo che da quel momento Rosenberg è un nome che non è più uscito dalla mia testa, come un Ahn o un Dudek qualsiasi.
All'epoca la situazione era molto diversa da quella che fino a poco fa caratterizzava la carriera di Rosenberg. Una carriera fatta di scossoni e partita da Malmö, sua città natale. Lì l'attaccante è nato nel 1982 ed è cresciuto calcisticamente in uno dei club più importanti del panorama calcistico scandinavo. E pensare che Markus giocava da terzino nelle giovanili. Poi qualcuno lo ha spostato in attacco ed è nato un potenziale giocatore da nazionale. Il prestito all'Halmstads durante il 2004 lo ha consacrato come capocannoniere dell'Allsvenkan. Poi, è arrivato l'Ajax nel 2005-06, che preleva l'attaccante per cinque milioni di euro.
Già, perché il club di Amsterdam ha una tradizione nello scovare profili interessanti da tutto il mondo. Del resto, gli olandesi avevano lasciato partire l'anno prima uno svedese poco interessante, tale Zlatan Ibrahimovic. Fatto sta che la prima stagione di Rosenberg con i Lancieri è ottima: 14 gol stagionali. Ma l'arrivo di Klaas-Jan Huntelaar all'Amsterdam Arena mette lo svedese in panchina e dopo un anno e mezzo l'attaccante conclude l'esperienza con l'Ajax. Destinazione Brema, dove invece rimarrà cinque stagioni e mezzo, salvo un prestito di una stagione nel 2010-11, quando lo svedese sverna al Racing Santander in Liga.
Nel sistema offensivo di Thomas Schaaf, lo svedese si esprime bene. Il primo anno e mezzo è straordinario: 22 gol in 44 partite di Bundesliga. Rosenberg contribuirà anche alla vittoria di una DFB-Pokal e al raggiungimento di una finale di Coppa Uefa, poi persa contro lo Shakhtar Donetsk. Tuttavia, dal 2009-10 gli spazi si restringono e il rinnovo di contratto fatica ad arrivare. Lo svedese vuole giocare e viene così prestato in Liga. Fa in tempo - come ricordavo a inizio articolo - a escludere la Samp dalla Champions League con un gol nei preliminari. Torna nel 2011-12 e l'attaccante raggiunge nuovamente la doppia cifra in Bundesliga. Tuttavia, l'esperienza con il Werder è agli sgoccioli e il suo contratto non viene rinnovato.
Si arriva così alla scelta del West Bromwich Albion: tre anni di contratto con i Baggies per lo svedese. Tuttavia, l'avventura di Rosenberg in Premier League si rivelerà un vero fiasco: zero i gol segnati Oltremanica, nonostante le 33 presenze divise tra campionato e coppa in un anno e mezzo. I tifosi riescono a prenderla con filosofia, cantando in trasferta contro l'Everton un ironico: «Markus Rosenberg is better than Messi». Alla fine, il club inglese e l'attaccante si separano consensualmente nel febbraio scorso, con una nota di merito per Rosenberg: andando via, lo svedese dona tutto quello che c'è nella sua casa in beneficenza. Così, Markus realizza il suo sogno: tornare a casa, giocando con la maglia del Malmö FF. Da capitano, in attesa del rientro di Molins.

Un buon passato quello di Rosenberg con il Werder: 53 gol.

Con la doppietta realizzata mercoledì sera contro l'Olympiakos, Rosenberg ha regalato al Malmö la prima vittoria in questa Champions. Ed è la prima gioia di un club svedese dopo 14 anni: l'ultima vittoria era datata 18 ottobre 2000, quando l'Helsinborg - giustiziere dell'Inter di Lippi nei preliminari - vince 2-0 contro il Rosenborg con le reti di Jesper Jansson e Álvaro Santos. E ora il Malmö sogna, perché nello stadio di casa difficilmente qualcuno è passato. Anche la Juve, prima di sbloccare il risultato allo Juventus Stadium, ci ha messo un po' a piegare la resistenza dei tenaci svedesi. Ciò dimostra che la Champions non è una passeggiata, nemmeno nella formula Platini (chiedete all'Athletic Bilbao...).
Anzi, il Malmö si affiderà sempre più ai gol di Rosenberg. Che da quando è tornato allo Swedbank Stadion ha uno score invidiabile: 19 gol in 35 presenze, divisi tra l'Europa e il campionato svedese. Per concentrarsi sul suo club, Rosenberg ha addirittura annunciato il ritiro dalla nazionale, rifiutando anche una recente chiamata del suo ct. Fatto sta che il Malmö è in testa all'Allsvenkan ed è vicino a rivincere nuovamente il campionato: i nove punti di vantaggio sul Göteborg sono un margine di sicurezza abbastanza forte a quattro gare dalla fine.
Mercoledì sera, allo Swedbank Stadion, Rosenberg ha regalato l'ennesima serata europea da sogno ai suoi tifosi. Finora l'attaccante ha segnato sempre una doppietta nelle gare casalinghe in Champions del suo Malmö: due reti allo Sparta Praga nel terzo turno, doppietta al Salisburgo nei play-off e altrettante marcature ai campioni di Grecia. Sono sei reti in otto gare della massima competizione europea, che tra preliminari e fase a gironi fanno di Rosenberg l'uomo con più gol realizzati in Champions in questa stagione.
Lo stesso capitano del Malmö ha affermato: «Sappiamo che possiamo battere ogni squadra qui. La nostra ambizione è sempre stata quella di passare il turno, anche se nessuno credeva in noi. Sappiamo di poter fare grandi cose qui. Vogliamo ottenere nove punti in casa». Il tecnico degli svedesi, Åge Hareide, si è sbilanciato: «Con Ibrahimovic infortunato, Markus è il migliore in giro». Ci è voluto il ritorno in patria per ridare a Rosenberg una dignità calcistica. Del resto, esser profeti in patria è stato sempre più divertente.

Markus Rosenberg, 32 anni, rinato con la maglia del suo Malmö.