19.12.15

Ignorati.

Sembra quasi un passatempo ignorarli. Sarebbero i campioni sudamericani in carica, nonché sicuri partecipanti alla prossima Confederations Cup del 2017, eppure il mondo non sembra aver riconosciuto abbastanza credito al Cile di Jorge Sampaoli. Anzi, forse solo il commissario tecnico della Roja ha visto qualche applauso elevarsi dai media.

Il Cile campione del Sud America: primo titolo della storia.

Sampaoli è riuscito a far parte del terzetto candidato al premio FIFA World Coach of the Year: gli altri sono Pep Guardiola e Luis Enrique, con quest'ultimo favorito vista la vittoria in Champions grazie al miglior trio offensivo della storia del calcio negli ultimi trent'anni. Un'impresa più difficile di quella del Cile del tecnico di Casilda?
Il bello è che ce ne sarebbe di materiale per premiare o quanto meno considerare favorito Sampaoli. Il Cile chiude il 2015 con il titolo conquistato in Copa América, il primo della sua storia. Una storia lunga 120 anni e che ha visto finalmente un alloro conquistato dalla Roja, per altro nell'edizione che è stata ospitata proprio in Cile.
Uomo particolare, il tecnico argentino ha guidato il suo gruppo prima ai Mondiali dell'anno passato (la traversa di Pinilla grida ancora vendetta), poi ha mantenuto intatto il nucleo principale ed è partito alla caccia della Copa. Ecuador, Messico, Bolivia, Uruguay, Perù e Argentina: quattro vittorie e due pareggi. E l'ultima partita vinta ai rigori.
Dopo questo titolo, è normale che le attenzioni si siano accumulate su Sampaoli: qualcuno lo vorrebbe in Liga, altri lo danno vicino allo Swansea City, con i gallesi che sono arrivati a esonerare il loro idolo Garry Monk. Se il manager argentino vive la santificazione e spera nel premio, non altrettanto peso si è dato alla sua squadra.
Il commissario tecnico del Cile ha tirato fuori alcuni suoi giocatori da un periodo pessimo. Edu Vargas non segnava neanche con le mani, eppure in nazionale si è trasformato e ha trovato un posticino al sole in Bundesliga. Mauricio Isla alla Juventus non ha mai avuto spazio (oggi è a Marsiglia in prestito), invece ha deciso i quarti contro l'Uruguay.
E che dire del duo sostanzioso formato da Gary Medel e Marcelo Díaz? I due erano reduci da due annate deludenti tra la Milano nerazzurra e Amburgo, ma la Roja gli ha dato nuovo vigore. Loro sono diventati imperforabili, costituendo lo scheletro della squadra campione del Sud America. E sono pure finiti nella top 11 del torneo.
Proprio per questo, stupisce quanto accaduto per le nomine per il Pallone d'Oro 2015. Nei 23 finalisti, di nomi cileni ce ne erano due (uno di questi era Arturo Vidal). E nella top 3 finale, ci sono i soliti Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, ma c'è Neymar, mentre manca uno come Luis Suárez. Del Cile di Sampaoli e della sua impresa, nessuna traccia.

Certe emozioni non si possono ignorare.

Il problema è che il Pallone d'Oro non ha logica. Le nazionali hanno sempre pesato sull'assegnazione del trofeo, eppure quest'anno non vi si è dato spazio. Ciò nonostante, due cileni avrebbero meritato l'inclusione nei 23, se non addirittura nei primi tre. Altrimenti è difficile prendersi sul serio mettendo la solita combo con CR7 e l'argentino.
Il numero uno per presenze con la Roja è Claudio Bravo, capitano e simbolo cileno. Il numero due per presenze e il numero tre per reti realizzate con la nazionale è Alexis Sánchez, asso in ascesa negli ultimi anni. Entrambi hanno giocato un'annata straordinaria con il club e con il Cile, eppure sono stati ignorati bellamente.
Per Alexis Sánchez il discorso è facile: è vero che il MSN blaugrana ha portato la Champions, ma i numeri di Sánchez all'Arsenal sono stati mostruosi. Lasciato andare da Barcellona come un indesiderato, il cileno ha realizzato 25 gol in 52 presenze ed è stato nominato giocatore dell'anno dai suoi tifosi. Senza contare la FA Cup vinta a Wembley.
Va anche peggio con il paradosso di Claudio Bravo. Nell'estate 2014 è arrivato con Marcus ter Stegen per sostituire Víctor Valdés al Barcellona. Il cileno si è conquistato spazio in Liga, il tedesco nelle coppe. Poi quest'estate Bravo ha alzato la Copa América da capitano e miglior portiere del torneo. Il suo 2015 - salvo imprevisti domani mattina - parlerà di cinque trofei vinti. Cosa doveva fare di più per esser considerato?
Il tutto assume contorni grotteschi anche solo guardando la finale di Santiago del Cile. Quella finale in cui Messi non si è mai visto e dove l'argentino è stato premiato miglior giocatore del torneo (per grazia divina: l'asso del Barcellona non ha voluto ritirare il premio). In quella stessa gara, Bravo parava un rigore decisivo e Sánchez metteva dentro il penalty della vittoria con un cucchiaio. Uno scavetto beffardo e sicuro di sé.
Cosa avrebbero dovuto fare i due per farsi considerare? E cosa diremo quando Luis Enrique alzerà il premio di coach dell'anno di fronte alla platea di Zurigo? Lasceremo ancora andare. Perché ormai ci siamo assuefatti a questo modo di ragionare. Io però no. Rendo omaggio a questi due giocatori, al loro commissario tecnico e a un paese che sarà pure ignorato, ma è stato calcisticamente la sorpresa di questo 2015.

Alexis Sanchez, 27 anni, e Claudio Bravo, 32, le anime del Cile.

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