Ibrahimović nel 2001, alle prime apparizioni con la Svezia.
Già m'immagino la reazione alla mia ultima frase. Come si può definire "perdente" qualcuno che ha amplificato la fama svedese nel calcio, un giocatore da 116 presenze e 62 gol con la sua nazionale, il top-scorer all-time dei Blågult? Eh, si può, guardando i risultati.
Fin da piccoli, ci raccontano (giustamente) che il calcio è uno sport di squadra, che i singoli contano fino a un certo punto e che sono i collettivi a emergere, specie nei tornei a lunga distanza. C'è chi ha scavalcato questa retorica - a me viene in mente un solo nome: Diego Armando Maradona - ma personaggi come Ibra hanno puntato su questo.
Il discorso per lui è sempre stato: «Sono il migliore di tutti i tempi: se la nazionale va male, non è colpa mia». Eh no, fermati un attimo: la premessa della frase di sopra non può esser separata dalle sue conseguenze. Se ci si dichiara al mondo come il migliore - pantomima ripetuta all'addio dal PSG - allora bisogna prendersene le responsabilità.
Ma Ibra, come sappiamo, è molto bravo a farlo tecnicamente e mediaticamente. Con la nazionale, invece, non è andata sempre così bene. Ibrahimović ha fatto il suo esordio con la Svezia nel 2001, scegliendo i gialloblu invece che Croazia o Bosnia. Dopo esser passato all'Ajax, Ibra va anche al Mondiale 2002, dove s'intravede che ha mezzi notevoli.
Quella nazionale arriva agli ottavi, buttata fuori dal Senegal ai supplementari, ma capace di eliminare l'Argentina e arrivare prima nel gruppo F, dove ci sono anche Inghilterra e Nigeria. Ibra nel frattempo si afferma ed è una delle stelle per Euro 2004, dove però i senatori sono ancora quelli del gruppo storico di USA '94.
La Svezia fa un figurone all'Europeo: c'è il biscottone, ma noi vinciamo solo al 94' con la Bulgaria, mentre la Svezia la travolge 5-0. Gli svedesi escono ai quarti contro l'Olanda, ma solo ai rigori. Nel 2006, la transizione è quasi completa: Ibra è la stella indiscussa, ma Ljungberg porta la Svezia agli ottavi, dove la Germania elimina la squadra di Lars Lagerbäck (oggi ct dell'Islanda).
Il Mondiale tedesco è l'ultima recita di un certo livello per alcuni pezzi fondamentali: Teddy Lučić, Niclas Alexandersson, lo stesso Ljungberg, Henrik Larsson, Marcus Allbäck. Molti di loro ci saranno in Svizzera e Austria, ma non sembrano gli stessi. In compenso, Ibra è diventato una star mondiale: per una volta tocca a lui trascinare gli altri.
Se prendiamo in esame i risultati di Ibrahimović dall'Europeo 2008, c'è da piangere la notte. Su tre Europei, la Svezia non ha mai passato la fase a gironi, pur arrivando alla fase finale tutte e tre le volte. Certo, potremmo obiettare che senza l'Europeo a 24 squadre, la Svezia non sarebbe stata in Francia... ma passiamo oltre.
Per non parlare del Mondiale, che è un tasto dolente per Ibrahimović: ne ha giocati due, ma non da stella. L'ultima sua presenza in Coppa del Mondo è datata giugno 2006, quando aveva 24 anni e il futuro davanti. Ibrahimović vi risponderà che i compagni non sono adeguati. Anche qui, la verità non sta proprio in quanto riporta il centravanti.
Ibra cerca una scusa per questo gol mangiato, ma può solo sbattersi sul palo.
La verità è che il prototipo del calciatore invincibile, una macchina capace di sconfiggere chiunque da solo esiste da sempre e continuerà a esistere: a oggi, gli esponenti migliori di questa scuola sono lo stesso Ibrahimović e un portoghese arrivato da Madeira.
Ma se Cristiano Ronaldo ha vinto due Champions negli ultimi tre anni e ha comunque segnato una doppietta ieri nella sfida da dentro o fuori contro l'Ungheria (con il Portogallo che si è qualificato come miglior terza: non il risultato che ci si aspettava), la Svezia chiude quest'Europeo senza vittorie, senza gol segnati in proprio (solo un'autorete) e ultima nel girone.
Soprattutto, Ibrahimović chiude la sua carriera in nazionale confermando il trend di cui parlavo sopra. Hamren contava molto sulla sua straordinaria forma e motivazione per portare la Svezia almeno agli ottavi: un obiettivo più che possibile nell'Europeo a 24 squadre. Invece, l'Europeo di Ibra - forse anche più di quello della stessa Svezia - è stato deludente.
Pochi sprazzi, tanta solitudine davanti e soprattutto un'indolenza che non anima il suo spirito nei club, dove ha vinto tutto (tranne la Champions). Si attende ancora di capire il suo futuro, visto che il contratto con il PSG è giunto al termine e ora si attende la nuova destinazione. Se fosse un romantico, Ibra sarebbe già a Malmö, ma non andrà così.
Si parla di Stati Uniti. Di Manchester United, di nuovo con Mourinho ad allenarlo. In generale, la Premier sembra la meta più probabile. Eppure non riesco a interessarmi a Ibra. Il suo ritiro sarà un bene per la Svezia: niente più coperta di Linus per futili scuse. Se aggiungiamo i ritiri di Isaksson e Källström, toccherà ai giovani riprendere in mano la nazionale.
Ibra vi ha preso in giro. Annuncia di aver scelto la sua nuova squadra, ma in realtà pubblicizza la sua linea di abbigliamento. L'hanno messo nella pre-lista per Rio 2016, ma lui ha già detto che la partita contro il Belgio è stata l'ultima. Il suo procuratore è Mino Raiola, il che è tutto dire. Non c'è che dire: per quanto riguarda la nazionale, un perdente di successo.
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