30.4.17

ROAD TO JAPAN: Yuma Suzuki (鈴木 優磨)

Buongiorno a tutti e benvenuti al quarto numero del 2017 per "Road To Japan", la rubrica che tenta di scoprire i migliori talenti del panorama nipponico. Oggi ci spostiamo a Ibaraki, dove dall'anno scorso è esplosa una stella, in questa stagione attesa alla conferma per il grande salto: Yuma Suzuki dei Kashima Antlers sembra avere tutte le caratteristiche per sfondare.

SCHEDA
Nome e cognome: Yuma Suzuki (鈴木 優磨)
Data di nascita: 26 aprile 1996 (età: 20 anni)
Altezza: 1.80 m
Ruolo: Prima e seconda punta
Club: Kashima Antlers (2014-?)



STORIA
Nato nella prefettura di Chiba (a Chōshi, la città più a Est della regione), in realtà Suzuki si ritrova quasi da subito coinvolto nella storia dei Kashima Antlers. In fondo, Kashima City dista poco dalla sua città-natale, vista che la prefettura di Ibaraki è quella immediatamente a Nord; già a sette anni, Suzuki è nelle giovanili del club.
Mentre il Kashima trionfa e alza diversi trofei al cielo, il ragazzo cresce per ben 11 anni nelle giovanili della squadra più vincente del Giappone. Yuma fa parte della compagine che trionfa nella J. Youth Cup del 2014, segnando il gol decisivo nei quarti di finale e poi aiutando i compagni a battere i pari-età del Gamba Osaka nella finale (solo dopo i calci di rigore).
Al Kashima hanno bisogno di qualche novità e così decidono di inserirlo gradualmente. Già dal 2014 sarebbe un giocatore registrato, ma non esordisce. Bisogna aspettare l'anno successivo, quando viene prima girato alla selezione U-22 che gioca in terza divisione (dove colleziona tre gol in nove gare: non male), poi esordisce. Con il botto.
In tre giorni gli cambia la carriera: il 9 settembre Yuma gioca la prima da pro in Coppa dell'Imperatore contro il FC Ryukyu, ma tre giorni più tardi entra nella gara di J. League contro il Gamba Osaka. Basta un quarto d'ora per trovare la prima rete di sempre, replicata da un altro gol al 90', stavolta quello decisivo al Kashiwa Reysol.
La strada è tracciata: alle spalle di Kanazaki (ormai utilizzato da punta), Suzuki guadagna spazio. Il merito è di Masatada Ishii, ex allenatore delle giovanili e promosso a head coach della prima squadra nel luglio 2015 al posto di Toninho Cerezo. Se l'ex Roma e Samp ci pensava di più sull'esordio dei giovani, Ishii non tituba e dà molto più spazio al classe '96.
I risultati si notano: 10 reti in 45 presenze tra campionato, coppe e la folle avventura nella FIFA Club World Cup, dove Suzuki segna il 3-0 all'Atlético Nacional e poi sfiora il 3-3 contro il Real Madrid, colpendo di testa la traversa. Fondamentale anche nella vittoria del campionato ai play-off, Suzuki quest'anno si è preso il 9 ed è partito forte, decidendo la Fuji Xerox Super Cup con una sua rete da rapace.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Il suo idolo è Cristiano Ronaldo (emulato persino nell'esultanza), ma il suo gioco disegna un altro profilo. Yuma Suzuki è sicuramente uno dei talenti più maturi nel panorama nipponico. Qualcuno lo ha paragonato a Shinji Okazaki e ne ha lodato lo spirito combattivo. 
Prima o seconda punta, è bravo a inserirsi negli spazi e ha un senso del gol che gli permette di sfruttare qualsiasi indecisione dell’avversario. La sua intelligenza e furbizia sembra quasi scavalcare le scarse attitudini fisiche. Se le capacità non mancano, c’è da chiedersi se la forza mentale, che spesso sconfina nella malizia, se non nella provocazione, non lo possa danneggiare a lungo termine.

STATISTICHE
2014 - Kashima Antlers: 0 presenze, 0 reti
2015 - Kashima Antlers: 10 presenze, 2 reti
2015 -  J. League U-22 Selection: 9 presenze, 3 gol
2016 - Kashima Antlers: 45 presenze, 10 reti
2017 - Kashima Antlers (in corso): 13 presenze, 5 reti

NAZIONALE
Il nome di Suzuki è importante anche in quest'ambito. Non nascondo una certa preoccupazione per il ruolo del centravanti, nel quale il Giappone continua a latitare e ad adattare soluzioni di ripiego (sempre che l'uso di Okazaki in quella posizione possa considerarsi "secondario"). Avere un nuovo protagonista aiuterebbe, non c'è dubbio.
Mentre assistiamo alla rinascita di Shinzo Koroki o alla grande stagione di Yu Kobayashi, Suzuki ha per ora collezionato solo una convocazione con l'U-23 in vista dell'Olimpiade di Rio (ma non è andato in Brasile: anche qui, perché?) e un vago interesse da parte del ct Vahid Halilhodzic. La strada è lunga.

LA SQUADRA PER LUI
La scelta migliore sarebbe quella di acquistarlo subito, magari lasciandogli sei mesi per ambientarsi. Personalmente è uno di quei giocatori che vorrei vedere in Italia. Ha la giusta personalità per provarci, le doti tecniche e tattiche sono più che discrete; potrebbe faticare fisicamente, ma senza un esperimento non lo sapremo mai. Al Chievo sarebbe l'ideale.

26.4.17

Il tesoro sommerso.

Nei giorni in cui il Chelsea si lancia alla conquista del doblete Premier League-FA Cup (per altro sfidando il resto del gotha della Londra calcistica: il Tottenham in campionato, l'Arsenal in finale di coppa), viene da pensare che il futuro possa riservare tante soddisfazioni ai Blues di Antonio Conte. Sarà più facile ottenerle sfruttando un elemento spesso sottovalutato in passato: i suoi giovani.

Ola Aina, 20 anni, è il nuovo che avanza in casa Chelsea.

Se Conte in questo fondamentale ha fatto dei passi in avanti, è strano notare come il Chelsea abbia avuto in rosa negli ultimi anni alcuni dei talenti più floridi passati per le mani del calcio europeo. Per fare un paio di esempi: Kevin de Bruyne è stato frettolosamente venduto da José Mourinho; stessa sorte è toccata a Romelu Lukaku, che oggi incanta la platea dell'Everton con i suoi gol.
Potremmo citare anche casi più marginali: Thorgan Hazard era solo "il fratello di Eden", invece al Gladbach si è costruito una sua credibilità; Patrick van Aanholt e Ryan Bertrand si sono trasformati in due da Premier, che forse avrebbero potuto essere riserve nei Blues; a queste, si aggiungono cessioni remunerative, ma chissà se bisognerà pentirsene (tipo Jeffrey Bruma).
In questo quadro, bisogna aggiungere le vittorie nella UEFA Youth League, dove il Chelsea ha trionfato sia nel 2014-15 che nel 2015-16. Sotto José Mourinho, pochi ragazzi hanno avuto una seria chance, nonostante il Chelsea l'anno scorso abbia concluso il campionato al decimo posto. Alcuni ragazzi sono dovuti emigrare per trovare la loro strada, seppur in prestito.
Eppure la lista di graduates dall'academy del Chelsea è lunga e importante: si passa da quelli che sono stati lanciati dal duo italiano Vialli-Ranieri (Duberry, Robert Huth, Forssell, Dalla Bona, Carlton Cole) a quelli venuti più tardi (Scott Sinclair, Fabio Borini, più quelli alcuni di quelli menzionati sopra). Il rischio è che ci sia una miniera d'oro che verrà dispersa per dare spazio a nomi da copertina.
Qualcosa è cambiato sotto la guida di Antonio Conte; sì, l'italiano preferisce affidarsi ai titolari e a personaggi più solidi, ma fortunatamente per i Blues il tecnico ex Juve ha concesso spazio a diversi volti. Prendiamo Victor Moses, che da tre anni andava in prestito ed è diventato indispensabile nel 3-4-3 del Chelsea, o Nathan Aké, che era in prestito al Bournemouth, ma è stato richiamato da Conte a gennaio.

7-1 in un derby di Londra, valido per il ritorno della semifinale di F.A. Cup giovanile.

Questi i nomi più famosi, perché la squadra vanta anche la presenza di Charly Musonda (anche lui tornato a Londra, ma per contrasti con il Betis), Ruben Loftus-Cheek (già lanciato da Mourinho), Dominic Solanke (che però dovrebbe lasciare il Chelsea a fine stagione) e Kenedy (anche lui richiamato da un prestito infruttuoso dal Watford di Mazzarri).
Ma le due buone notizie vengono dalla prossima stagione. La prima riguarda il ritorno di alcuni volti che sono ormai eccellenti prospetti: Andreas Christensen ha fatto benissimo al Gladbach e torna a Londra per giocarsi un posto da titolare, mentre i progressi di Bertrand Traoré e Tammy Abraham (rispettivamente con Ajax e Bristol City) non saranno certo passati inosservati nel quartiere generale dei Blues.
La seconda riguarda l'ottima crescita di quelli rimasti invece alla casa madre: il Chelsea ha triturato gli avversari sulla strada della FA Youth Cup (24 gol segnati e due subiti!) e stasera affronterà i pari-età del Manchester City in finale (la terza finale di fila: le prime due le hanno vinte i Blues), mentre ha dominato il South Stage della Professional U-18 Development League, in attesa di capire se trionferà anche nel Final Stage che assegna il titolo.
Tutto questo patrimonio - Kasey Palmer, Ola Aina, Isaiah Brown, Nathaniel Chalobah (tornato da Napoli la scorsa estate) - non fa che aumentare le attese per il futuro del Chelsea. Che magari perderà Diego Costa quest'estate (la Cina attira il centravanti), ma avrà una squadra più giovane e promettente per il 2017-18, al 99% in veste di campione uscente della Premier League.
E ciò ancora più valore nell'estate in cui il Chelsea perderà l'ultimo riferimento del passato, cioè quel John Terry che ha deciso di lasciare il club, annunciandolo giusto qualche giorno fa. Non ci sarebbe miglior modo di omaggiare quanto costruito in 18 anni assieme che dando ai giovani quel palcoscenico, specie se sono di questa bontà sul terreno di gioco.

John Terry, 36 anni, lascerà il Chelsea a fine stagione.

18.4.17

UNDER THE SPOTLIGHT: Dedryck Boyata

Buongiorno a tutti e benvenuti alla quarta puntata del 2017 per "Under The Spotlight", la rubrica che tenta di scoprire i talenti in giro per l'Europa e per il mondo. Oggi ci spostiamo a Glasgow, dove negli ultimi anni il Celtic ha approfittato del fallimento dei Rangers per dominare. Merito anche di Dedryck Boyata, centrale dei SuperHoops.

SCHEDA
Nome e cognome: Dedryck Boyata
Data di nascita: 28 novembre 1990 (età: 26 anni)
Altezza: 1.88 m
Ruolo: Difensore centrale
Club: Celtic FC (2015-?)



STORIA
Nato a Uccle, municipalità della capitale Bruxelles, Boyata cresce nel RWDM Bruxelles, prima di finire nel vivaio del Manchester City nel 2006. Il centrale fa parte di quella squadra che alza la FA Youth Cup nel 2007-08, l'equivalente della nostra Coppa Italia Primavera. Accanto a Ben Mee (oggi al Burnley), Kieran Trippier (Tottenham) e Daniel Sturridge, il belga alza il trofeo dopo la doppia finale contro il Chelsea.
Promosso da Roberto Mancini in prima squadra nel 2009-10, Boyata colleziona le prime presenze da professionista. Le prime due stagioni sono positive, visto che il belga si fa spazio e gioca anche da terzino destro pur di collezionare qualche minuto. Poi inizia la girandola di prestiti, che fa più male che bene alla sua giovane carriera: prima il Bolton, poi il Twente.
Ma al ritorno al City, non c'è più spazio per lui: Boyata rimane un rincalzo, visto che Mancini non c'è più e al suo posto è arrivato Manuel Pellegrini. L'ingegnere cileno preferisce giocatori più tecnici anche in difesa, tanto che il belga è dietro a Kompany, Demichelis, Mangala, Lescott, Nastasić e persino Micah Richards nelle gerarchie. In due anni gioca appena nove gare: è tempo di andar via.
Il Celtic approfitta della situazione contrattuale di Boyata (legato al City fino a giugno 2016) per strapparlo a un prezzo basso (appena due milioni di euro). Un acquisto che aiuta i SuperHoops nel reparto difensivo, visto l'addio di Virgil van Dijk. Boyata si è presentato con due reti nei preliminari di Champions League, ma è stato anche autore dell'autogol che ha estromesso gli scozzesi dal play-off contro il Malmö.
Purtroppo, la prima stagione al Celtic Park non è stata delle migliori: la squadra ha come al solito dominato il campionato scozzese, ma è finita fuori dalla Champions League ancor prima della fase a gironi, ritrovandosi out anche dalle coppe nazionali. Ronny Delia è stato defenestrato per mancanza di trofei, mentre il suo successore è stato trovato in Brendan Rodgers, da poco esonerato al Liverpool.
Paradossalmente, l'arrivo del tecnico nord-irlandese ha aiutato tutto l'ambiente, quasi rigenerato dal calcio d'attacco imposto dall'ex manager dei Reds. Il campionato è arrivato con largo anticipo (a otto giornate dalla fine) e le avventure europee sono andate meglio dell'anno precedente; al tempo stesso, Boyata è uno dei riferimenti del club, nonostante gli infortuni l'abbiano limitato in questa stagione.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Fisicamente dominante, Boyata è un armadio da 188 centimetri che può terrorizzare gli avversari, specie negli uno contro uno più statici, quando il campo si restringe, lo spazio diminuisce e la conquista del terreno di gioco tramite la tenuta fisica conta di più. Negli anni, è stato schierato anche come terzino destro: la duttilità non è la sua dote principale, ma va tenuta comunque a mente nella valutazione del giocatore. Tecnicamente appare un po' grezzo, come se i suoi 27 anni ormai fossero troppi per recuperare in quest'ambito.

STATISTICHE
2009/10 - Manchester City: 7 presenze, 0 reti
2010/11 - Manchester City: 18 presenze, 1 rete
2011/12 -  Bolton Wanderers: 17 presenze, 1 rete
2012/13 - → FC Twente: 8 presenze, 0 reti
2013/14 - Manchester City: 4 presenze, 0 reti
2014/15 - Manchester City: 5 presenze, 0 reti
2015/16 - Celtic FC: 42 presenze, 6 reti
2016/17 - Celtic FC (in corso): 15 presenze, 2 reti

NAZIONALE
La logica direbbe che non c'è molto spazio: il Belgio ha in nazionale Kompany, Alderweireld, Vertonghen e il redivivo Vermaelen. A questi, bisogna aggiungere Kabasele e l'esperto Simons. Tuttavia, la situazione terzini - escluso Meunier del PSG - è tragica, per cui molti di questi vengono utilizzati sugli esterni, lasciando spazio al centro.
Non è un caso che Boyata abbia giocato la prima gara in nazionale nell'ottobre 2010 contro l'Austria, salvo poi sparire per anni, quando al City non giocava e i prestiti non andavano bene. L'esperienza al Celtic l'ha rilanciato, tanto che in Belgio-Portogallo Boyata ha collezionato la seconda presenza nei minuti finali. Se il Belgio dovesse qualificarsi al Mondiale, Boyata potrebbe essere tra i convocabili.

LA SQUADRA PER LUI
Sarebbe bello rivederlo in Premier League, stavolta con una squadra che creda in lui, magari nella zona bassa del massimo campionato inglese. Penso al Brighton che è stato appena promosso, che troverebbe nel belga una colonna per la prima annata in Premier League. Onestamente rimanere a lungo al Celtic sembra limitante per la sua carriera, nonostante Boyata stia cercando di provare un punto giocando per i SuperHoops.

10.4.17

Un ritorno eccellente.

Sheffield è una città di calcio. Il panorama attuale non sembrerebbe confermarlo, ma ci sono poche zone in Inghilterra che hanno avuto due club di quell'importanza in unica realtà: eppure da una parte c'è il Wednesday che l'anno scorso ha sfiorato il ritorno in Premier League (perdendo la finale dei play-off contro l'Hull). E poi? Poi c'è lo United. Verrebbe da dire il Damned United.

Billy Sharp, 31 anni, è tornato ai fasti d'oro a Sheffield: lo United è la sua squadra del cuore.

E sembra strano celebrare un traguardo apparentemente piccolo, come la promozione dalla League One alla Championship. Un ritorno atteso da sette stagioni, perché lo Sheffield United si è ritrovato all'improvviso in una categoria che forse non gli appartiene. Ci si è ritrovata a pochi anni dall'ultima annata in Premier League, nel 2006-07.
In quella stagione, lo United raccoglie 38 punti: dopo un girone d'andata di successo, l'infortunio del bomber Rob Hulse spinge il club in zona retrocessione, dove finirà il campionato a causa di una differenza negativa (di appena una rete) nei confronti del Wigan Athletic e di un punto di ritardo rispetto al Fulham. Una retrocessione amara.
Eppure quel gruppo aveva nomi che negli anni successivi si sarebberoo distinti tra Premier League e Championship: il vice-capitano era Phil Jagielka, più una serie di stranieri da quattro continenti diversi. Il ritorno in Premier non è mai arrivato, con la delusione della finale dei play-off persa nel 2009: il Burnley sale, lo United - che ha in squadra i giovani Kyle Walker e Kyle Naughton, oggi al Tottenham e allo Swansea - rimane in seconda divisione.
Nel 2010-11, poi, è arrivata anche la retrocessione in League One: un colpo durissimo per un club che non giocava in quella categoria da vent'anni, quando il passaggio in terza serie dura appena un anno. Come se non bastasse, le cocenti delusioni permangono, visto che lo Sheffield United sfiora la promozione tre volte tramite play-off, con una finale persa contro l'Huddersfield Town. L'11° posto del 2015-16 sembra il punto più basso della recente storia.
Mentre i Blades - soprannome dovuto alla grande produzione di ferro in città - annaspano in terza divisione, l'altra parte della città riesce effettivamente a riguadagnare terreno. Gli Owls (gufi) tornano in Championship dopo appena due anni di League One e sfiorano persino la Premier. Nonostante lo Steel City derby sia sostanzialmente in parità, lo United non ne vince uno dal 2006 (l'ultimo del febbraio 2012 è finito 1-0 per il Wednesday).
Neanche l'arrivo di un nuovo proprietario sembra cambiare il corso della storia: dal settembre 2013, lo United è per il 50% in mano ad Abdullah bin Musa'ed bin Abdulaziz Al Saud, proveniente dalla Dinastia Saudita. L'altra parte del club è in mano a Kevin McCabe, dal gennaio 2006 proprietario dello United. A Bramall Lane avevano perso le speranze... finché non è arrivato l'uomo giusto per cambiare.


The man for the job ha giocato con i Blades per otto anni (divisi in due stint), poi ha allenato diverse squadre. La sua più recente impresa è stata portare il Northampton in League One, prima di accettare un ritorno di cuore. Chris Wilder ha accettato con entusiasmo, ma anche con responsabilità il ritorno a Sheffield. In fondo, nemo propheta in patria, giusto?
E invece no. Dopo aver fatto un buon lavoro con Halifax Town, Oxford United e i Cobblers, Wilder ha trovato la giusta chimica di gruppo, sostituendo Nigel Adkins. Lui stesso è cresciuto: è passato dalla percentuale di vittorie del 38,5% nei sei anni con l'Halifax al 58,3% di questo primo anno a Bramall Lane. Crescita costante, un po' come quella del suo gruppo. Ma come si sono ripresi dal disastro dell'anno scorso?
Ci sono stati diversi arrivi che si sono rivelati fondamentali, come quelli di John Fleck, Jack O'Connell, Simon Moore e Mark Duffy. Nonostante la partenza al palo (un punto nelle prime quattro gare) e l'addio del promettente Dominic Calvert-Lewin (comprato dall'Everton nelle ultime ore del mercato), lo Sheffield United ha trovato la sua strada.
I 31 punti accumulati nelle ultime 13 gare - striscia positiva senza sconfitte - hanno di fatto allontanato lo United dal resto del gruppo. Ironico come la promozione sia arrivata sabato sul campo del Northampton Town, proprio la squadra che Wilder ha condotto in terza divisione l'anno scorso. Il 2-1 finale - con i gol di Clarke e Fleck - ha reso il +14 su Fleetwood Town e Bradford City un vantaggio incolmabile.
E se la promozione del Bolton Wanderers sarebbe un altro ritorno eccellente in Championship, in questo scenario è contato lo scoring rate di Billy Sharp. Da sempre bomber delle serie minori, l'anno scorso aveva segnato 21 gol; quest'anno siamo a 26, con tanto di inserimento nell'EFL Team of the Season. Ora ci si gode la festa, perché in fondo Billy è pure nato a Sheffield e lo United è la squadra che l'aveva lanciato. History has been made.

Chris Wilder, 49 anni, l'uomo che ha riportato lo United in Championship.