31.1.14

ROAD TO JAPAN: Kota Mizunuma

Buongiorno a tutti voi ed eccoci per un altro numero di "Road To Japan", la rubrica che prova a illuminarvi sui migliori talenti provenienti dal Sol Levante. Per inaugurare il 2014, Oggi vi voglio parlare di un ragazzo che si sta facendo notare nella massima divisione nipponica e che ha fatto tanta gavetta prima di arrivare dove sta ora. Parlo di Kota Mizunuma, centrocampista tuttofare e punto di riferimento del sorprendente Sagan Tosu.

SCHEDA
Nome e cognome: Kota Mizunuma (水沼 宏太)
Data di nascita: 22 febbraio 1990 (età: 23 anni)
Altezza: 1.75 m
Ruolo: Esterno destro, centrocampista centrale
Club: Sagan Tosu (2012-?)



STORIA
Nativo della prefettura di Yokohama, Mizunuma ha tirato i primi calci al pallone fin da piccolo, quando lo Yokohama F. Marinos lo ha lentamente inserito nelle sue squadre giovanili. Dal 2002 al 2007, cinque stagioni con le rappresentative dei giovani del club della sua città natale; poi, proprio nel 2007, il tanto atteso esordio nel finale di campionato, quando scende in campo alla 33° giornata sul campo in casa contro l'Albirex Niigata. Tuttavia, negli anni successivi le cose non decollano: nonostante diverse presenze tra campionato e coppa, stenta a brillare. I tecnici che passano in quegli anni allo Yokohama Stadium lo provano in tutte le posizioni possibili, ma non convince il club. Così, nel 2010, alla fine lo Yokohama decide di cedere Mizunuma in prestito: a 20 anni, è giusto tentare altre esperienze, visto che il botto in casa non è arrivato. A prelevarlo c'è il Tochigi Soccer Club, determinato a far crescere il ragazzo: se il primo anno va normale, il secondo è di buon livello, con cinque reti in 39 match e la possibilità di crescere ancora. Inoltre, riscopre la sua pericolosità sulla fascia destra.
Manca però qualcosa: forse un tecnico che gli faccia fare il salto di livello, anche in J-League. A dargli quella possibilità è il sud-coreano Yoon Jung-Hwan, allenatore del Sagan Tosu: il club è appena arrivato nella massima divisione per la prima volta nella sua storia e potrebbe utilizzare il talento di Mizunuma. Grazie a una stagione straordinaria, anche il centrocampista esplode: non tanto per le reti, ma per gli assist (8) e la capacità di spuntare in un gioco di squadra come quello del Sagan. L'ultima stagione ha confermato tali progressi: il club di Tosu si è salvato e Mizunuma continua a esser un punto di riferimento per la squadra, con la possibilità di tanto in tanto di vestire la fascia di capitano.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Giocatore di una certa forza atletica, il ragazzo non smette mai di correre: è un infaticabile del centrocampo. A Yokohama, gli allenatori lì di passaggio l'hanno provato in qualunque posizione possibile della mediana. La cosa incredibile, sopratutto, è l'incredibile capacità di Mizunuma di inserirsi: nel gioco arioso del Sagan Tosu, le sue conclusioni rappresentano un'alternativa importante al gioco di squadra e al terminale offensivo, quel Yohei Toyoda che così ha fatto bene negli ultimi tre anni. Centrocampista, non disdegna comunque la possibilità di giocare nel 4-3-3 da attaccante esterno: un ruolo che ha spesso ricoperto a inizio carriera e che ha poi riscoperto (in maniera positiva) nel Sagan e nel modulo del suo tecnico, Yoon Jung-Hwan.

STATISTICHE
2007 - Yokohama F. Marinos: 3 presenze, 0 reti
2008 - Yokohama F. Marinos: 14 presenze, 0 reti
2009 - Yokohama F. Marinos: 18 presenze, 0 reti
2010 - Yokohama F. Marinos: 6 presenze, 0 reti
2010 - Tochigi S.C.: 15 presenze, 3 reti
2011 -  Tochigi S.C.: 39 presenze, 5 reti
2012 -  Sagan Tosu: 38 presenze, 7 reti
2013 - Sagan Tosu: 35 presenze, 5 reti

NAZIONALE
C'è la solita trafila nelle nazionali giovanili del Giappone: spicca sopratutto la partecipazione al Mondiale U-20 del 2007, quando fu titolare, nonché capitano e punto di riferimento di quella squadra. Si era già fatto vedere al campionato asiatico U-17 e si confermerà ai Giochi Asiatici del 2010 (dove andavano invece gli U-23): Mizunuma fa parte della generazione dei Kakitani, dei Saito, dei Nagai, dei Suzuki e degli Yamaguchi. Eppure, lui all'ultima Olimpiade non c'era: troppo saturo il reparto delle mezze punte dietro l'attaccante per portare anche lui. E forse proprio questo lo condannerà a non vedere mai la maglia della nazionale: anche ora, nella prima squadra del Giappone, c'è lo stesso problema.

LA SQUADRA PER LUI
Per ora va tutto bene in quel di Tosu e non è detto che il ragazzo voglia muoversi: dopo tanto pellegrinaggio in giro per il Giappone, il Sagan appare fondamentale per il proseguo della sua carriera. Intanto, però, se arrivasse un'offerta da qualche campionato minore europeo, un pensiero andrebbe fatto: potrebbe rappresentare l'opportunità giusta per esplodere anche in Europa.


29.1.14

Adieu, Newcastle.

Non fai in tempo ad accogliere l'ennesimo acquisto di origine franco-olandese (Luuk De Jong sta per sbarcare in Inghilterra dal Borussia Moenchengladbach) che qualcuno saluta. E che qualcuno: Yohan Cabaye ha detto sì alla folle proposta del Paris Saint-Germain. Oddio, tanto folle non è, con i prezzi che corrono; ma i 23 milioni dei quali il Newcastle si è "accontentato" faranno contenti la società, ma non i tifosi, che perdono il pezzo più pregiato della gioielleria dei Magpies.

Cabaye con la maglia della Francia: sarà protagonista ai Mondiali.

Cabaye era arrivato sotto silenzio a Newcastle ed è solo l'ennesimo figlioccio calcistico di Rudi Garcia che sta facendo faville. Lo so: molti mi contesteranno che in realtà è stato Claude Puel a lanciare il centrocmapista nel calcio che conta, facendolo esordire un decennio fa nel Lille. Già, il Lille, proprio il club in cui Cabaye ha trascorso ben tredici anni tra giovanili e prima squadra. Se Puel lo notò tra i tanti giovani che stavano crescendo nel vivaio dei Les Dogues. Se Claude Puel è stato colui che lo ha lanciato, Rudi Garcia è colui che lo ha fatto crescere: l'attuale tecnico della Roma ha consacrato il creativo centrocampista nel sistema del gioco del Lille; proprio grazie anche al contributo di Cabaye, il club ha potuto festeggiare il double del 2011, con il ritorno alla vittoria di un trofeo dopo ben 56 anni.
Dopo Gervinho sugli scudi a Roma, Rami appena preso dal Milan e Hazard che fa il fenomeno in quel di Londra, anche questo minuto centrocampista transalpino ha fatto di tutto per farsi notare negli ultimi due anni. Già, perché il passaggio al Newcastle - avvenuto nell'estate 2011 per la modica cifra di cinque milioni di euro - arrivò per precisa volontà del giocatore, desideroso di testarsi nella realtà della Premier League inglese. In realtà, fu una di quelle operazioni che diede una svolta al Newcastle, da poco tornato nella massima divisione britannica e desideroso di tornare al vertice. Alan Pardew non esitò a fare di Cabaye uno dei centri del suo sistema di gioco: mossa che ha pagato, perché i Magpies hanno fatto una grande stagione e hanno pure sfiorato la Champions. Con gli anni, comunque, basta guardare le statistiche per capire l'importanza del centrocampista francese nel Newcastle: nelle 79 partite con Cabaye in campo, il club ha il 47% di vittorie e un tasso di sconfitta del 21%. Senza l'ex Lille sul terreno di gioco, le percentuali diventano rispettivamente del 21% e del 63%: una notevole differenza.

Arrivato sotto silenzio a Newcastle, Cabaye ne è diventato un elemento importante.

Poi, un cambio tattico ha favorito ulteriormente l'innalzata del suo prezzo quest'estate: con Moussa Sissoko e Anita a fare da schermo davanti alla difesa, il francese ha potuto scorrazzare libero per il campo, presentandosi molto più facilmente al tiro. Liberato dai compiti difensivi, Cabaye è esploso in tutta la sua classe: senza dubbio alcuno, l'ormai ex Newcastle è stato sin qui uno dei giocatori migliori della Premier League di questa stagione. I sette gol in 19 partite, semmai ce ne fosse bisogno, testimoniano quanto affermato. Adesso l'addio, forse sofferto, ma annunciato: il PSG era sul giocatore già dall'estate scorsa, così come anche l'Arsenal aveva tentato di tutto per assicurarsi il francese a luglio 2013. Inoltre, si capisce facilmente perché l'acquisto di Cabaye sia una buona notizia per il club di Parigi: il centrocampo della squadra di Blanc - Verratti a parte - non è proprio di piedi fini. Certo, è tutto in funzione della possibilità di reggere una compagine che possa schierare insieme Cavani, Ibrahimovic e Lavezzi, ma il genio creativo di Cabaye farà certamente bene ai parigini.
Intanto, il PSG mette a segno l'ennesimo colpo costoso: 23 milioni di euro non sono bruscolini e non tutti avevano la voglia e/o i soldi a disposizione per portare a casa Cabaye durante il mercato di gennaio, in cui il Newcastle notevolmente cede (l'affare Carroll: ancora stanno ridendo al St. James' Park), ma sopratutto acquista. E che colpo per i francesi: Cabaye è al massimo della sua maturità calcistica e in tre anni e mezzo potrà dare molto al club dei qatarioti. Inoltre, egli ha fatto esperienza in Inghilterra e sarà utilissimo sia in Ligue 1 che in Champions League (dove sarà utilizzabile, visto che il Newcastle ha giocato al massimo in Europa League quest'anno). E come se non bastasse, lo riaccoglierà a braccia aperte Laurent Blanc, che fece esordire Cabaye in nazionale quando era C.T. della Francia. Infatti, ora lo si attende al Mondiale: i Galletti fanno affidamento su di lui, dopo che già agli ultimi Europei Cabaye ha fatto vedere quello di cui è capace. Intanto, Yohan ha salutato la colonia francese del St. James' Park: adieu, Newcastle. E' stato bello finché è durato.

Prime immagini di Yohan Cabaye, 28 anni, con la casacca del PSG.

25.1.14

Tempo di migrare.

Una cosa è certa: in quel di Manchester, sponda United, non è un gran periodo. La Premier League sembra andata, la Champions non è stata molto brillante e il post-Ferguson si sta rivelando complicato. Recentemente, è arrivata anche la sconfitta nella semifinale di League Cup contro il Sunderland, che però è penultimo in campionato. E così chi potrebbe essere tra i più scontenti è chi passa il tempo sopratutto a scaldare la panca: tra questi, c'è un virgulto che in altri lidi potrebbe esser decisivo. Sto parlando di Javier Hernández, il super-sub.

Hernández con la maglia del Chivas, il club da cui ha iniziato in Messico.

Il super-sostituto, dicevo. Già, perché Hernández raramente gioca da titolare e viene usato per lo più come bomber di scorta (vi ricordate il ruolo di Julio Cruz all'Inter qualche anno fa? Ecco, uguale). Non è facile confrontarsi con Rooney e van Persie, ma forse il ragazzo potrebbe esser più utile alla causa, come lo è stato negli ultimi anni con Ferguson. Cresciuto nel Chivas di Guadalajara, l'attaccante fu acquistato dallo United nell'aprile del 2010, col timore che il Mondiale sudafricano ne avrebbe accresciuto il prezzo. Timore confermatissimo: il ragazzo segna due gol contro Francia e Argentina e Ferguson ha azzeccato l'ennesimo affare da manager dello United. Curioso fu anche ciò che accadde dopo l'acquisto del messicano da parte dello United: fu programmata un'amichevole fra il Chivas di Guadalajara e i red devils. Risultato 3-2 per i messicani, con Hernández che giocò un tempo per parte: tuttavia, la palla la mise dentro con il suo vecchio club. Piccoli segnali di come il talento ci fosse già allora.
I sette milioni e mezzo di euro spesi quattro anni fa hanno poi fruttato parecchio: il Manchester United ha vinto due campionati e ne ha sfiorati un altro anche grazie al contributo del messicano. Neanche il tempo di arrivare e Hernández segnò subito in Charity Shield contro il Chelsea: la sua stagione d'esordio fu talmente buona che il Chicharito fu il primo straniero a segnare venti gol nella prima annata allo United, cosa che non accadeva dai tempi di Ruud van Nistelrooy. Mica male, visto che non ci riuscì neanche un certo Cristiano Ronaldo nel suo primo anno all'Old Trafford. Nel periodo dal suo arrivo all'addio di Ferguson, Hernández ha segnato ben 50 gol in 117 presenze con il club inglese: non è una brutta media, calcolando che spesso il messicano deve entrare dalla panca e risolvere i match complicati. Un rapporto, quello fra lui e Sir Alex, molto speciale, visto che l'ex Chivas è stato anche l'ultimo a segnare un gol per lo United con lo scozzese in panca.
Poi è arrivato David Moyes, scozzese come Ferguson, ma che non ha mai avuto nel suo Everton attaccanti del tipo di Hernández, minuti e letali sotto porta. Abituato a centravanti fisicamente forti, il nuovo tecnico dello United lo ha messo da parte, spesso facendolo entrare a partita in corso. Solo sei le gare da titolare tra Premier League e Champions, mentre il messicano è partito spesso dall'inizio in League Cup e in F.A. Cup. In coppa, guarda caso, ha una media eccellente di realizzazione: cinque reti in sei partite disputate. Anche contro il Sunderland ha provato a salvare la baracca, con il gol al 120' che ha permesso allo United di andare ai rigori, ma non è servito a nulla. E ora vuole lasciare, considerando che il Messico lo attende per i Mondiali di giugno e lui non può arrivarci in condizioni precarie. Del resto, parliamo sempre del terzo più grande marcatore del Tricolor: meglio di Hugo Sánchez, alla pari di Luis Hernández, con i soli Blanco e Borgetti da superare. E chissà che non ci riesca a breve. In fondo, negli ultimi anni, il giocatore dello United è stato una colonna della nazionale, contribuendo sopratutto al Mondiale del 2010 e alla vittoria nella Gold Cup del 2011.

Hernández al Mondiale sudafricano del 2010: segnò contro Francia e Argentina.

Con il Mondiale alle porte e con un anno - per la prima volta - in qualche modo deludente, non è detto che anche Hernández non si guardi attorno. In questi giorni, si è anche menzionato della possibilità che rientri in uno scambio con l'Inter per Guarin. Ed è lo stesso giocatore ad aver confermato la versione dell'addio a Manchester, citando la paura di non arrivare abbastanza in forma in Brasile quando l'estate sarà alle porte. La verità, tuttavia, è che la piazza di Manchester forse sta stretta a un ragazzo che ha fatto molto, ma che tanto ancora potrebbe fare. L'attaccante messicano sta per arrivare ai Mondiali brasiliani con poche soddisfazioni durante questa stagione e forse cambiare sarebbe la via ideale per arrivarci al meglio. Tanto più che l'arrivo di Mata, semmai ce ne fosse bisogno, chiude altre parte per la sua presenza in squadra: non è facile avere a che fare ogni giorno con fuoriclasse del calibro di Wayne Rooney e Robin van Persie.
Nessuno mette qui in dubbio che l'inglese e l'olandese siano meglio del Chicharito. Ciò che mi domando, semmai, è se il messicano potrebbe diventare meglio di loro. E per farlo, sicuramente, non c'è modo migliore che giocare: sfondare in Inghilterra non era facile per chi veniva da qualche anno nel campionato messicano. Eppure, Hernández ce l'ha fatta. E ora chi ci dice che non ce la possa fare anche in leghe più adatte al suo modo di giocare? Per esempio, quanti gol farebbe in Italia o in Germania? O sopratutto in Spagna, dove i suoi inserimenti sarebbero letali? Forse tanti, troppi perché il Manchester United vi rinunci. Specie perché il messicano è stato uno degli ultimi colpi di Sir Alex Ferguson, prima che si dedicasse alla pensione dopo un onorato trentennio di servizio all'Old Trafford.
Insomma, Hernández non sta attraversando un grande momento, ma forse potrebbe tornare agli onori della ribalta con una mossa: andarsene. Ci sono giocatori che trovano il momento e il posto giusto per la propria consacrazione: così fu per Falcao al Porto tre anni fa, così è stato per Suarez qualche tempo addietro e così sta succedendo a Diego Costa con l'Atletico di Simeone. Chi ci dice che questo bomber tascabile non possa esprimersi al meglio anche altrove? Al mercato e allo United l'ardua scelta. Dal canto mio, lo aspetto al Mondiale, visto che ha segnato 35 gol con la nazionale messicana. Certo, forse è il caso di riflettere: il tempo di migrare pare esser arrivato.

Javier Hernández, 25 anni, è pronto a lasciare Manchester dopo tre anni e mezzo.

21.1.14

Ipocrisia portami via.

Per dirla come i Blues Brothers, il Giudice Sportivo deve aver pensato di «essere in missione per conto di Dio». Solo così si può spiegare l'ennesima applicazione di una regola che sta cominciando a perdere non solo di senso giuridico, ma persino di senso comune: la squalifica per bestemmia. Ultima vittima del mazzo è quel Davide Ballardini, appena tornato al calcio giocato e che neanche si può godere l'impresa contro il Napoli che viene squalificato per aver pronunciato il nome di Dio invano.

Nicola Pozzi, 27 anni, uno dei primi squalificati per bestemmia in A: era il novembre 2010.

Proviamo a fare un discorso serio, lasciando da parte convinzioni religiose e credi personali. La gente deve rispettare la legge, che di per sé dovrebbe essere "laica". La tendenza a far coincidere peccato e reato in Italia non è nuova ed è una cosa che va ogni contro principio di diritto mai pensato. Applicare una cosa del genere nel calcio, poi, è ottuso, specie se la regola non è utilizzata in maniera uguale per tutti. La squalifica per bestemmia non è un'idea nuova: la lanciò proprio la Lega Calcio nel marzo del 2010. L'idea era quella di debellare la piaga delle profanità da parte dei giocatori (come se ci fossero problemi meno importanti di questo); per questo, un approccio proibitivo è sembrata l'unica strada battibile per la FIGC e per il CONI (con Petrucci consigliere di Abete sulla proposta). Così la Lega Calcio l'ha tramutata in criterio valido per decidere dell'opportunità o meno di squalifica di un giocatore.
I primi casi non si scordano mai. Cito due professionisti che non avranno scritto molto nella storia del calcio, ma che molti conosceranno: Domenico Di Carlo e Nicola Pozzi. Per quanto riguarda il tecnico di Cassino, all'epoca dei fatti allenatore del Chievo Verona, venne squalificato per primo tra i tecnici, mentre tra i giocatori il primo a fare esperienza della sanzione fu Davide Lanzafame, ai tempi giocatore del Parma. Ma il caso di Pozzi vale di esser citato perché è una chicca: Cesena-Sampdoria, ottobre 2010. La Samp ha appena vinto di misura nel finale con un gol di Pazzini e i giocatori sono negli spogliatoi. Il racconto della bestemmia ha contorni quasi rustici, inverosimili: pare che il numero 9 blucerchiato negli spogliatoi (quindi a gara ampiamente conclusa), addentando una piadina mentre parlava con un collega, abbia proferito una bestemmia. Da lì, un collaboratore dell'arbitro è casualmente passato per lo spogliatoio, ha sentito e annotato tutto negli atti ufficiali. Ergo, squalifica per il centravanti del Doria, con tanto di risata generale non solo per la solita applicazione personalistica della norma, ma anche perché obiettivamente è una scena più da film anni '80 che da pubblica fustigazione.
Se poi si considera che, qualche ora prima, Cesare Bovo aveva tranquillamente evitato tale sanzione, c'è da riflettere. A mezzogiorno della stessa giornata, si gioca Palermo-Lazio: i rosanero debbono recuperare e c'è un contrasto tra Bovo, difensore rosanero, e Hernanes. Il giocatore siciliano vorrebbe la rimessa, ma il guardalinee gliela nega. Il risultato è un bestemmione, udibile persino da chi sta guardando la partita in televisione, vista la vicinanza dei microfoni. Ciò nonostante, nessuno se la sente di segnalare la cosa e persino i telecronisti continuano imperterriti. Strana applicazione della legge, no? Come per i casi precedentemente citati, la norma è stata usata saltuariamente per un biennio (i casi Kaladze e Pellissier aiuteranno a ricordare qualcosa), salvo ricomparire magicamente quest'anno. A farne le spese sono stati Cesare Natali, difensore del Torino, e Luca Siligardi, attaccante del Livorno.


E così, mentre l'intero mondo si chiede perché continuiamo a prosperare in episodi di razzismo e di come non si riesca a risolvere questa falla (l'episodio di Bologna è solo l'ultimo in ordine sparso), noi pensiamo a banalità di questo tipo. Intendiamoci: offendere il credo altrui è comunque inutile. Se non ci credi, hai profanato il nome di qualcosa che neanche sai se esista o meno. Se ci credi, hai perso tempo nell'infangare la tua fede. In ogni caso, bestemmiare non aiuterà l'arbitro a fischiare un fallo in tuo favore o il pallone ad avvicinarsi alla porta. Insomma, dumb move comunque vada. Inoltre, non solo fuori dal terreno di gioco, ma anche al suo interno ci sono problemi più gravi: miglior equipaggiamenti, migliori stadi, una cultura sportiva più adeguata. In tutto questo, siamo sicuri che la squalifica per profanità sia la cosa più urgente da applicare al calcio italiano in questo momento?
Tuttavia, è strano vedere come questa regola - già di difficile comprensione - possa esser applicata distinguendo i casi volta per volta. Ho citato sopra il caso di Cesare Bovo, ma c'è un caso molto più scottante e più facile da ricordare: quello di Gianluigi Buffon. Il capitano della nazionale è stato beccato molte volte a fare quello che la Giustizia Sportiva punisce: insomma, se la norma fosse applicata su di lui, giocherebbe la metà delle gare di A. La cosa che fa arrabbiare di più, poi, è la giustificazione: un caso ricorderete su tutti, quello della gara contro il Genoa del 14 febbraio 2010. Dopo aver subito il 2-2 degli ospiti, il portiere bianconero smoccolò in diretta nazionale. E quindi squalifica? No, perché la FIGC iniziò a punire qui comportamenti da marzo di quell'anno. Volendo anche dare per buona una spiegazione del genere (non che il giocatore si sia trattenuto negli anni successivi), fa rabbia la giustificazione di Buffon, quasi con aria guascona: «Ho uno zio un po' porcellino». Cioè, non solo la mancata sanzione, ma pure una sana presa per i fondelli? Potrei fare anche un altro esempio di grande spessore e più recente, come quello di Cesare Prandelli: il C.T. della Nazionale non sembra essersi trattenuto durante la gara di Confederations Cup contro il Giappone, quando De Rossi accorciò le distanze. La FIFA l'ha squalificato per questo? A me non sembra.
Insomma, è il rispetto della regola e non tanto la regola in sé a creare molti problemi. C'è chi pensa che campo e religione non dovrebbero intrecciarsi, ma c'è anche chi la pensa in modo contrario: fin qui, tutto lecito. Ma quando si fanno figli e figliastri in sede di decisioni davanti al Giudice Sportivo, lì si ha un problema. Anche perché se il criterio per la squalifica venisse applicato correttamente, forse i nostri campi sarebbero ancor più poveri di campioni rispetto a già quanto non lo siano ora. Senza pensare ai tifosi: se si vuole applicare la regola, perché non farlo anche alle tifoserie? Così svuotiamo gli stadi interi. E non c'entrano complotti, sistema, sudditanza psicologica o derivati: il fatto è che c'è una grande ipocrisia. Tutto qui. E ci porterà via, statene certi, dalle cose più importanti: quelle che avvengono sul terreno di gioco.

Davide Ballardini, 50 anni, è l'ultimo caso sanzionato dal Giudice Sportivo.

18.1.14

Il mercato più bello d'Europa.

Ci sono posti che attraversano periodi magici e non riescono più a svegliarsi. E ci sono uomini che cambiano il destino di una squadra. Diego Simeone è stato fortunato? Può essere. L'Atlético Madrid ha avuto il lucky strike di assumerlo? Può darsi. Fatto sta che il connubio tra il tecnico argentino e i colchoneros sta dando frutti che nessuno si sarebbe mai aspettato di avere. L'Atlético è in corsa per la Liga, va bene in Champions e continua a essere un supermercato d'alto livello.

Diego Costa, ? anni, l'ultima creatura dell'Atlético Madrid: su di lui tanti club.

Viene quasi da ridere pensando che, una volta, il club attraversava difficoltà finanziarie. Da qualche mese a questa parte, le cose stanno cambiando: la dolorosa cessione di Falcao al Monaco lo scorso maggio sembrava una partenza impossibile da rimediare. Oltretutto, è partito anche l'esperto Demichelis, direzione Manchester, che era appena arrivato dal Malaga. C'è chi avrebbe "sprecato" i 65 milioni ricavati dalle cessioni in investimenti a fondo perduto; invece, l'Atlético ne ha spesi 35, comprando giocatori funzionali al gioco di Simeone. L'esempio massimo è David Villa, arrivato per pochi spicci (cinque milioni di euro) al Vicente Calderon, sfiduciato ormai in quel di Catalogna: dal Barcellona, Simeone ha accolto un giocatore rinato, quanto meno su livelli adatti per l'Atlético. Infatti, il neo-numero 9 biancorosso è già a quota 10 reti in 25 presenze stagionali. Così, il club biancorosso è in testa alla Liga con il Barcellona ed è ancora adesso in corsa per il titolo, quando di solito - a questo punto dell'anno - il duello per il titolo iberico è a esclusivo appannaggio di Real e Barca. La striscia di risultati positivi è incredibile: in tutta la stagione, l'unica sconfitta è arrivata sul campo dell'Espanyol. I colchoneros sono stati in grado di pareggiare con il Barcellona al Vicente Calderon, di fermare due volte i blaugrana nella Supercoppa spagnola ad agosto (vinta dal Barca solo per i gol in trasferta) e di vincere contro il Real al Santiago Bernabeu.
Proprio in quest'ultima gara, il match-winner è stato Diego Costa: del brasiliano di Spagna ho già parlato qualche tempo fa, ma lui è l'ultima creatura fatta dall'Atlético. Tanto che Mourinho lo vorrebbe al Chelsea e si prevede una mega-asta in estate per il centravanti. In squadra, poi, si possono trovare tanti giocatori validi: su tutti Koke, Arda Turan, Courtois (che però è di proprietà del Chelsea) e Filipe Luís, senza dimenticare anche Adrián López. Se ci si mette anche il fatto che persino Tiago è rinato dopo l'esperienza fallimentare alla Juventus, diventando uno dei punti fermi della squadra, si capisce il miracolo che è l'Atlético di Simeone. Un miracolo che non ha mancato di valorizzare altri giocatori negli anni passati: Agüero e de Gea, passati entrambi a Manchester, sono gli esempi maggiori. Ma si potrebbero citare anche Elias e Diego Forlán, venduti a prezzi invitanti per le casse del club.
Il modello a cui l'Atlético si sta ispirando è quello del Porto: buoni risultati a livello nazionale, comparsate vincenti in Europa e tanta voglia di valorizzare il proprio patrimonio. Quando questo è all'apice del suo rendimento, ecco che arriva il grande club e paga profumatamente l'Atlético per avere il giocatore in questione. Alla faccia di chi pensava che, dopo l'epoca di Jesús Gil, non sarebbe arrivata più nessuna vittoria importante: sotto la guida dell'ex presidente, l'Atlético aveva vinto tanto. Ora, sotto la guida di Enrique Cerezo, i colchoneros stanno (forse) facendo anche meglio dell'epoca sopracitata.

Enrique Cerezo, 65 anni, presidente dell'Atlético Madrid da undici stagioni.

Uno degli uomini che ha cambiato il corso delle cose, se non quello che le ha cambiate in senso definitivo, è certamente Diego Simeone. Dopo la dipartita di "Quique" Sánchez Flores, che aveva vinto Europa League e Supercoppa europea, si temeva che il club avrebbe perso un certo "quid" che l'aveva portato a quei risultati. La sostituzione con Gregorio Manzano non andò bene e così arrivo Simeone. Quest'ultimo non solo è stato in grado di far rinascere la buona vena della squadra, ma è stato bravo anche a migliorare quei traguardi. L'argentino, reduce da una salvezza con il Catania e da buoni risultati in patria, ha fatto un lavoro egregio: è sempre stato un combattente anche quando giocava, ma il Cholo ha fatto anche di meglio da allenatore.
Del resto, lui sa come si fa: era stato tra i componenti dell'ultimo Atlético vincitore della Liga nel 1996 e aveva giocato per cinque anni al Vicente Calderon. Simeone ha portato il club a stravincere l'Europa League nel 2012, in una finale a Bucarest tutta spagnola. Ha permesso a Falcao di distruggere il Chelsea nella Supercoppa europea dello stesso anno. In più, nel maggio scorso, ha distrutto la maledizione del derby madrileno, che l'Atlético non vinceva da 14 anni: lo ha fatto, inoltre, nell'occasione più propizia, in finale di Copa del Rey. Trofeo per l'Atlético e "zeru titoli" per Mourinho, al passo d'addio con il Real.
Ora si continua a correre: il fatto che la squadra ancora non abbia mollato a gennaio la corsa al titolo è un ottimo segnale. E quindi l'Atlético ci proverà fino alla fine, sebbene il club sappia benissimo di competere con due squadre - Barcellona e Real Madrid - che hanno budget di gran lunga superiori rispetto ai colchoneros. E poi c'è la Champions League: al Vicente Calderon cullano il sogno non di vincerla, ma quanto meno di andare il più avanti possibile. Gli ottavi di finale, nei quali si affronterà un Milan in cattive condizioni, non sembrano insormontabili per la compagine di Simeone. Vedremo fin quanto in là si potrà spingere la straordinaria stagione dell'Atlético Madrid, il mercato più bello d'Europa. La prossima estate il banchetto sarà preso d'assalto: questo è poco, ma certo.

Diego Simeone, 43 anni, è l'uomo che ha rafforzato lo status dei colchoneros.

16.1.14

UNDER THE SPOTLIGHT: Alen Halilović

Buongiorno a tutti e benvenuti a un'altra puntata di "Under The Spotlight", la rubrica che vi permette di scoprire meglio il profilo di alcuni dei migliori talenti sparsi in giro per il mondo. In questo primo numero del 2014, parlerò di un giocatore che molti magari già conoscono, ma che pian piano si sta facendo strada a livello internazionale. E' possibile che potremmo rivederlo anche al prossimo Mondiale brasiliano: sto parlando di Alen Halilović, stellina della Dinamo Zagabria e della Croazia.

SCHEDA
Nome e cognome: Alen Halilović
Data di nascita: 18 giugno 1996 (età: 17 anni)
Altezza: 1.70 m
Ruolo: esterno destro, trequartista
Club: Dinamo Zagabria (2012-?)



STORIA
La verità è che la storia di Alen nasce necessariamente con il pallone accanto a sé: suo padre, Sejad, è un ex giocatore giramondo. Infatti, Halilović sr. ha girato l'Europa durante la sua carriera, conclusasi nel 2004; inoltre, è un ex nazionale bosniaco e ora allena le giovanili della Dinamo Zagabria, dove giocano i suoi tre figli. Tra questi, Alen per ora è quello più sulla bocca di tutti. Cresciuto nel club più importante della Croazia, il giovane fantasista ha firmato un contratto da "pro" con la Dinamo nell'estate del 2012. L'allenatore Cacic non ci mette molto a fidarsi di lui: Halilović esordisce il 29 settembre di quell'anno in campionato nel derby eterno contro l'Hajduk di Spalato. Otto giorni dopo, arriva il suo primo gol da professionista. E' uno dei tanti record infranti da Halilović, visto che diventa il più giovane marcatore nella storia del campionato croato (la 1. NHL).
Nonostante la giovane età, è al centro del progetto tecnico. Più che per le giocate, a farlo conoscere fu la sua foto con Ibrahimovic al termine di un match contro il Paris Saint-Germain di Champions League. Non ci è voluto molto perché i grandi club gli mettessero gli occhi addosso: già quest'estate si era parlato di un addio alla Dinamo Zagabria, poi rimandato per far crescere il ragazzo in casa. Ora Halilović sta disputando una stagione leggermente sotto le attese (deve ancora andare a segno quest'anno), ma il talento c'è e non si discute. La Dinamo Zagabria non fa molta strada in Europa, ma il fantasista fa passi da gigante, tanto da esser ormai un punto fermo anche della nazionale.

CARATTERISTICHE TECNICHE
La sua posizione preferita è quella di centrocampista destro, poiché da lì - con il suo mancino, il piede preferito - riesce a partire in velocità e a vedere meglio il gioco. Non disdegna la possibilità di giocare anche da trequartista, data la sua visione del campo. Molto rapido nel dribbling e dotato di una buona preparazione di base nel tiro, il ragazzo forse deve migliorarsi fisicamente: potrebbe soffrire avversari più forti di quelli del campionato croato, semmai lasciasse Zagabria.

STATISTICHE
2012/2013 - Dinamo Zagabria: 21 presenze, 2 gol
2013/2014 - Dinamo Zagabria (in corso): 22 presenze, 0 gol

NAZIONALE
Chiaramente, il ragazzo è molto considerato dalle rappresentative croate. In realtà, vista la doppia nazionalità del padre, avrebbe potuto giocare anche per la Bosnia, ma non ci sono mai stati dubbi. Halilović ha esordito con l'U-15, passando per l'U-16 e l'U-17: con quest'ultima, ha anche giocato gli Europei di categoria nel maggio scorso. Poi, è arrivata anche la chiamata del C.T. Stimac, che lo ha fatto esordire in un'amichevole con il Portogallo nello scorso giugno: di fronte a CR7, Halilović è diventato il più giovane ad aver vestito la maglia della Croazia, nonché l'unico minore ad averlo mai fatto. Poi ha collezionato altre due presenze in amichevoli, mentre non è stato convocato per gli spareggi vinti contro l'Islanda: chissà se al Mondiale ci sarà.

LA SQUADRA PER LUI
Forse è inutile dirlo, ma per un ragazzo di 17 anni così talentuoso è chiaramente partita un'asta. Il piccolo croato è seguito da PSG e Barcellona, tanto per nominare un paio di club poco conosciuti nel mondo... intanto, altre squadre potrebbero inserirsi, anche perché il contratto del croato con il suo club è in scadenza nel giugno prossimo. Il tutto mentre il piccolo Alen aspetta il Mondiale. Dove sarà (probabilmente) convocato e potrebbe farsi notare ancora di più con la sua Croazia. A 18 anni, il mondo è nelle sue mani. O meglio, nei suoi piedi.


14.1.14

Cristiano II, vendetta e speranze perse.

Era nell'aria, ma la conferma è arrivata ieri sera: mentre molti si mettevano a mangiare, Cristiano Ronaldo si è portato a casa il suo secondo Pallone d'Oro personale. Tuttavia, se la prima volta era stato molto glamour e misurato, stavolta il portoghese ha mostrato un lato umano mai visto. Nella sua immagine di calciatore macho, sposato con una delle donne più belle al mondo e iper-ricco, CR7 ha tradito qualche lacrima: operazione d'immagine o emozione vera, poco importa. In un qualche modo, si è scritta la storia.

Il FIFPro XI del 2013: meno Liga, più Buli e Ligue 1, niente Serie A e Premier.

Sì, perché dopo la quarta vittoria di Messi nel 2012 (a suon di record di gol nell'anno solare), sembrava che il dominio dell'argentino fosse imbattibile. Neanche la vittoria della Liga e un grande Europeo avevano portato l'asso portoghese al trionfo nell'ambito premio; la frustrazione era talmente tanta che si pensava che Cristiano Ronaldo neanche sarebbe stato presente quest'anno. Invece, il calciatore del Real c'era e ha pure vinto. Un premio che certifica, se mai ce ne fosse bisogno, la sua enorme crescita nell'ultimo quadriennio. Quando vinse la prima volta, era semplicemente stato il migliore dell'anno, ma quanti se la sarebbero sentita di chiamarlo il "migliore del mondo"? Forse non tutti.
Ora, invece, è un titolo che può quanto meno dividersi con Messi. Il problema tra i due è che sono entrambi dei fenomeni che rimarranno nella storia del calcio. Si dividono in un'era in cui, se uno dei due non ci fosse stato, l'altro sarebbe stato ricordato come re indiscusso del calcio. Pensate a Pelé e Maradona: il dibattito è ancora aperto. E pensate cosa sarebbe successo se avessero condiviso gli stessi anni calcistici invece di susseguirsi: apriti cielo. E' così per il portoghese e l'argentino: quest'anno, tra i due, meritava leggermente di più il primo, per il contributo dato alla sua nazionale, che non è forte come l'Albiceleste (almeno: non lo è più). Tutto ciò nonostante la vittoria in Liga del Barcellona e l'anno piuttosto deludente del Real (altra finale di CL persa, finale di Copa del Rey persa, lontano dal Barca in Liga).
Per quanto riguarda gli altri premi, nessuna grande sorpresa. Ibra vincitore annunciato del FIFA Puskas Award per il gol più bello dell'anno per il gol all'Inghilterra in un'amichevole del 2012: la mancanza di questo capolavoro balistico nei candidati dell'anno scorso è stata a lungo contestata. Nadine Angerer ha vinto il Pallone d'Oro femminile, dopo un ottimo Europeo (per altro vinto da protagonista) con la sua nazionale. Jupp Heycknes ha strameritato il premio per il miglior manager dell'anno e ciò porta a non capire perché Ribéry abbia poi concluso la corsa al Pallone d'Oro terzo (ma ci tornerò dopo). Infine, due citazioni finali: Pelé ottiene il Pallone d'Oro alla carriera, come ce ne sia bisogno per certificare la sua figura di calciatore più forte della storia. Nel FIFPro XI, invece, qualche novità: non più il dominio della Liga, ma presenza ridotta di esponenti di club spagnoli, con sei/undicesimi dalla formazione appartenenti al campionato iberico. Tre arrivano dal Bayern e dalla Bundesliga, mentre due provengono dal PSG e dalla Ligue 1. Ecco la formazione scelta: Neuer; Dani Alves, Sergio Ramos, Thiago Silva, Lahm; Iniesta, Xavi, Ribéry; Messi, Ibrahimović, Cristiano Ronaldo.

Zlatan Ibrahimović, 32 anni, festeggia la sua vittoria nel FIFA Puskas Award.

In tutto questo scenario di sfida, perdonatemi se faccio notare una cosa: la povera figura di Franck Ribéry. Il francese è arrivato terzo, nonostante l'aver vinto tutto con il Bayern ed esser stato protagonista in queste vittorie. Ha portato anche la Francia alla rimonta nei play-off Mondiali: la vera differenza è che non ha segnato. Non è bastato vincere tutto per scalfire un duo imbattibile. E questa è la fine del sogno di chiunque voglia vincere il Pallone d'Oro al di fuori della coppia Pulga-CR7: ricordate che non ce la farete. Se non ce l'ha fatta uno che ha vinto sei trofei e ha fatto la miglior stagione della sua carriera quest'anno, allora non ce la può fare nessuno. Che si chiami Ibrahimović, Suarez o Diego Costa, non è possibile. Ormai l'immaginario popolare è talmente "settato" su questa rivalità che non sembra ci sia spazio per un altro protagonista. Messi e Cristiano Ronaldo stanno al calcio come Nadal e Federer stavano al tennis qualche anno fa: mancano i Djokovic o i Murray di turno (o la voglia di premiarli).
Purtroppo qui il dibattito è sempre il solito e mi tocca ripeterlo anche quest'anno: cosa premia il Pallone d'Oro? Il giocatore più forte in quel momento? Allora sì, è giusto che vinca Ronaldo, seppur di poco, su Messi. E anche la graduatoria finale è giusta. Oppure dovrebbe premiare il più vincente tra i giocatori del 2013? E allora Ronaldo e Messi dovrebbero lustrare le scarpe a Ribéry, viste le vittorie ottenute durante l'ultimo anno solare. Non si capisce perché la vittoria della Champions debba esser un merito per l'argentino, non per il francese (o per Sneijder, vedi come andò nel 2010).
La verità è una: questo premio dovrebbe essere ripensato in due strade. Primo: dovrebbe premiare il giocatore che, date le sue potenzialità all'inizio dell'anno tra gli addetti ai lavori, ha fatto meglio di tutti, anche di quanto ci si aspettasse. E' un premio alla sorpresa: Messi e CR7 scrivono record da anni, Ribéry quest'anno ha fatto molto di più di quanto ci si attendeva. Ha trascinato il Bayern Monaco, insomma non era facile: se c'era un modo in cui scalfire il dominio dei due assi del calcio mondiale, era questo. Secondo: il premio andrebbe diviso nelle votazioni in tre parti. Uno dai giocatori, uno dai tecnici, uno dai giornalisti: almeno sappiamo chi incolpare alla fine della corsa. In ogni caso, complimenti a Cristiano Ronaldo: il talento di Madeira continuerà a stupire il mondo, su questo ne sono certo. Speriamo solo di trovare qualche faccia nuova a Zurigo l'anno prossimo.

Cristiano Ronaldo, 28 anni, vince il Pallone d'Oro per la seconda volta.

6.1.14

Hannov-era, l'addio inaspettato.

Nel finire del 2013, è arrivata una notizia clamorosa dalla Germania. Probabilmente, tra Pallone d'Oro e ricordi dell'anno passato, la news potrebbe esser passata inosservata: Mirko Slomka non è più l'allenatore dell'Hannover 96. Dopo quasi quattro anni di grandi successi, il tecnico è stato esonerato, complice la non esaltante stagione della squadra e le insicurezze della dirigenza. I soli quattro punti sul Friburgo, terzultimo, hanno spinto al cambio, con Tayfun Korkut (ex nazionale turco e allenatore delle giovanili dello Stoccarda) che ora dovrà guidare l'Hannover alla salvezza.

Tayfun Korkut, 39 anni, è il nuovo coach dell'Hannover 96 al posto di Slomka.

Un peccato. Slomka ha fatto giocare il suo Hannover ottimamente durante il suo mandato. Per altro, il club della bassa Sassonia non era certo abituato a certe vette e grazie al suo ormai ex tecnico aveva raggiunto risultati quasi mai visti prima. L'Hannover, infatti, ha chiuso al quarto posto la stagione 2010/2011. E meglio, nella storia del club, aveva fatto solo la squadra del 1985, che chiuse in seconda posizione. Insomma, un ottimo lavoro dell'uomo di Hildesheim, che è arrivato a Hanover dopo poca esperienza alla guida di una squadra. Per lui, c'era stato un solo precedente da primo allenatore: allo Schalke 04, Slomka non aveva fatto malissimo, ma perse un titolo al foto-finish nel 2007 (tipico della squadra di Gelsenkirchen...) e preso scoppole nel suo ultimo anno alla Veltins Arena.
Dopo qualche tempo di inattività, è arrivata l'opportunità di Hanover. Slomka fu il terzo allenatore in stagione del club, arrivato dopo la pausa invernale. L'Hannover 96, per altro, soffrì la perdita di uno dei simboli del club, Robert Enke: il portiere, all'epoca nel giro della nazionale tedesca, si suicidò per la depressione il 10 novembre del 2009. La squadra aveva sofferto anche diversi infortuni nei giocatori-chiave, sia in difesa che in attacco. Una serie di condizioni che rendevano il compito di Slomka altamente difficile. I 16 punti conquistati nelle altrettante gare rimanenti di Bundesliga permisero all'Hannover di concludere al 15° posto ed evitare persino il play-out contro la terza della seconda divisione. Un mezzo miracolo, che fu solo il preludio alle grandi prestazioni degli anni a venire.
Infatti, l'Hannover migliorò di molto il suo risultato in campionato nell'annata successiva: il club della bassa Sassonia rimase in zona-Champions fino alla quartultima gara di Bundesliga, davanti alla superpotenza Bayern Monaco. Poi un finale zoppicante e la voglia dei bavaresi di giocarsi la possibilità di una finale in casa nel 2012 (poi raggiunta, ma persa) fecero la differenza. Tuttavia, l'Hannover è tornato in Europa dopo molto tempo, raggiungendo anche i quarti di finale nel 2012, dove è stato battuto solamente dall'Atletico Madrid, poi campione della competizione. La bravura di Slomka è stata anche nel mantenere un buon rendimento in campionato nonostante gli impegni europei. Infatti, l'Hannover si riqualifica per l'Europa League anche nel 2012/2013, ma il club della bassa Sassonia ha ottenuto un settimo e un nono posto nelle ultime due stagioni, dimostrando di essersi insediata ampiamente nella parte sinistra della classifica. Un miracolo per un club che, fino a poco tempo prima, lottava solamente per la sopravvivenza in Bundesliga.

Didier Ya Konan, 29 anni, è uno dei giocatori lanciati da Slomka a Hannover.

Slomka è stato in grado non solo di ottenere risultati e fare un buon gioco, ma anche di valorizzare molti giocatori. Schmiedebach, Diouf, Stindl, il ritorno di Hustzi, Abdellaoue (poi venduto abilmente per tre milioni e mezzo di euro allo Stoccarda, dove deve ancora segnare): tanti i nomi che si potrebbero fare. Due però spuntano fra gli altri. Il primo è quello di Ron-Robert Zieler, portiere tedesco cresciuto nel Colonia e che faceva parte delle riserve del Manchester United: con Ferguson non ha sfondato, così l'Hannover ha provato a prenderlo. In sei mesi con Slomka, si è guadagnato la fiducia del tecnico e si è preso i gradi da titolare. Ora è persino in nazionale tedesca: non male per l'estremo difensore, classe 1990. Con il suo contratto in scadenza nel giugno 2015, è possibile che la prossima estate si scateni un'asta per lui. L'altro è quello di Didier Ya Konan: nazionale ivoriano, l'attaccante arrivò dal Rosenborg nel 2009. Tempo due anni ed è esploso: in particolare, nell'anno del quarto posto dell'Hannover, Ya Konan segnò 14 gol in campionato, tanto da attirare l'interesse persino del Bayern Monaco.
Tuttavia, adesso è arrivato il 2013/2014: di certo, non è stata una stagione facile. Nonostante alcuni arrivi interessanti in squadra, come Bittencourt e Prib, l'Hannover non è stato all'altezza delle aspettative. Anche perché quest'anno non c'erano impegni europei a rendere più impegnativo il cammino del club e perciò ci si aspettava la squadra in zona europea. Invece, tanti k.o. inaspettati hanno messo fuori gioco l'Hannover dalla parte sinistra della classifica, nonostante un campionato molto corto nelle distanze tra coloro che sono dietro il terzetto di testa (Bayern, Bayer, BVB). Le assenze prolungate di Ya Konan, del capitano Cherundolo e di Pander hanno creato problemi all'assetto di squadra. Tuttavia, dal mio punto di vista, forse la dirigenza avrebbe potuto dare a Slomka un'altra chance: la squadra, in fondo, non sembra abbia il profilo della contendente alla retrocessione e potrebbe risalire una volta recuperati gli infortunati. Semmai, il problema è davanti: si segna poco e se Hustzi (trequartista) è il capocannoniere della squadra, c'è qualche difficoltà da superare.
Purtroppo per Slomka, il 2-1 subito sul campo del Friburgo - diretta rivale per la salvezza - gli è stato fatale e ha dovuto dire addio a una pagina straordinaria della sua carriera. Adesso ci sarà spazio per una nuova era, quella turca targata Korkut: dalle parti di Hannover, la dirigenza si dice convinta di aver operato la scelta giusta per il futuro della squadra. Vedremo: il tempo ci dirà se l'era che si sta per aprire sarà migliore di quella vissuta sotto la gestione di Mirko Slomka.

Mirko Slomka, 46 anni, ha salutato Hannover: due partecipazioni europee per lui.

2.1.14

J-LEAGUE RESUME 2013: continua la saga di Hiroshima

Nuovo anno, nuova vita. Tuttavia, bisogna ricordare prima quanto è successo nel 2013: il calcio giapponese ha regalato nuove emozioni e grandi storie da raccontare. I Sanfrecce Hiroshima si riconfermano campioni nazionali, grazie al suo calcio spettacolare e al suo 3-4-2-1. Delusi i giocatori dello Yokohama F. Marinos, primi per la maggior parte del campionato e poi scavalcati all'ultima giornata; si possono consolare con la vittoria nella Coppa dell'Imperatore. Retrocede a sorpresa lo Jùbilo e risalgono due grandi del calcio nipponico, come Gamba Osaka e Vissel Kobe. Ci sarà anche la prima volta del Tokushima Vortis in J1 e del Kamatamare Sanuki in J2. La J3 è pronta a partire: pronti per il recap?

La gioia dei tifosi del Kamatamare Sanuki: giocheranno per la prima volta in J2.

Team dell'anno
Sanfrecce Hiroshima
Gli Yokohama F. Marinos, dopo la vittoria di oggi, aumentano i propri rimpianti: poteva essere uno splendido double e invece la squadra di Shunsuke Nakamura dovrà accontentarsi della Coppa dell'Imperatore. E' andata meglio ai viola di Hiroshima: l'anno scorso hanno vinto giocando alla grande, mentre in questa stagione hanno sofferto forse anche l'impegno della Champions League asiatica. A livello continentale non hanno fatto bene, ma in campionato hanno ripreso un buon passo dall'estate in poi: sembravano fuori dai giochi, ma il crollo dello Yokohama li ha rimessi in campo. Grazie alla vittoria sul campo dei Kashima Antlers, il club di Hiroshima ha rinvito la J-League: il 3-4-2-1, con Takahagi inventore, Aoyama costruttore di gioco e Sato bomber implacabile, continua ad essere la formula vincente della squadra allenata da Moriyasu. Se poi sulla scena appaiono nuovi interpreti, come Notsuda, il futuro sarà brillante. Anche se dovesse partire il miglior portiere della stagione, quello Shusaku Nishikawa che ha fatto benissimo quest'anno e che sembra destinato a essere l'ennesimo acquisto degli Urawa Reds.

Albirex Niigata
C'è un uomo da ringraziare per la risalita del club di Niigata: Maasaki Yanagishita. L'ex manager dello Jùbilo ha preso una squadra che nel 2012 si era salvata all'ultima giornata e per una serie di risultati favorevoli, trasformandola in un team capace di fare un ottimo campionato. L'Albirex ha stupito un po' tutti, vinto quasi tutti gli scontri diretti, ottenendo il settimo posto finale come naturale conseguenza. Il finale di campionato è stato da favola: cinque vittorie consecutive, senza mai fermarsi e conquistando anche il 2-0 sul campo dello Yokohama. Un risultato che è stato l'inizio della fine per i Marinos e le loro possibilità di vincere la J1. Leo Silva e Kawamata sono pure finiti nella Top 11 del 2013.

Gamba Osaka
La rovinosa retrocessione dell'anno scorso avrebbe potuto rovinare il lavoro di anni. Del resto, di nobili decadute la J-League 2 è piena: basti guardare alla situazione di Tokyo Verdy, Kyoto Sanga F.C. e JEF United Chiba. Nonostante questo, la dirigenza ha lavorato bene: ha tenuto quasi tutti (Endo e Leandro in primis, quest'ultimo almeno fino a giugno), ha messo a capo della squadra un manager preparato (Kenta Hasegawa) e ha lavorato sui giovani. Se la retrocessione è stata dura da digerire, almeno ora il Gamba ha una serie di youngsters che potranno imporsi nei prossimi anni dopo questa stagione di apprendistato. Mi vengono in mente Tatsuya Uchida, Kenya Okazaki, Takaharu Nishino. Il ritorno di Usami alla base, poi, ha solamente aiutato il club di Osaka a velocizzare il ritorno in J1, diventando campioni della seconda divisione giapponese. Basti guardare ai gol segnati: 99...

I Sanfrecce Hiroshima si sono riconfermati campioni della J-League.

Flop dell'anno
Urawa Reds
Non credo di aver visto una squadra ben strutturata e forte come gli Urawa Reds prima dell'inizio della stagione appena conclusa. Un Kato migliorato in porta, l'arrivo di Moriwaki in difesa, l'esuberanza di Makino (che invece è stata pagata a caro prezzo nel finale), l'inventiva di Kashiwagi, i gol di Koroki e Haraguchi. Insomma, il materiale c'era per vincere qualcosa: se non il titolo, almeno una coppa. Invece, anche questa sarà un'annata trophy-less dalle parti di Saitama. Qualcosa è andato storto nel finale, quando la squadra ha proprio mollato alla grande: nelle ultime cinque giornate, la compagine di Petrović ha perso quattro gare e pareggiata una, raccogliendo un punto su quindici e subendo la bellezza di sedici reti. In Coppa dell'Imperatore è arrivata l'eliminazione da parte del Montedio Yamagata, mentre la finale di Nabisco Cup è andata persa contro i Kashiwa Reysol.

Jùbilo Iwata
Tutto ci si aspettava, meno che una squadra con un potenziale offensivo del genere potesse retrocedere. Oltretutto, lo Jùbilo lascia la J-League con largo anticipo, visto che la sua retrocessione è arrivata matematicamente con tre giornate d'anticipo. Non è bastato avere fra i propri ranghi gente come Maeda, Matsuura, Yamada, Kanazono e Yamazaki: i soli 23 punti totalizzati in quest'annata disastrosa fanno capire come ci sia molto da ricostruire. Solo quattro vittorie in tutto l'anno e la squadra non è mai uscita dalla zona retrocessione, nonostante l'arrivo di Sekizuka, C.T. dell'U-23 nipponica. La compagine azzurra, sponsorizzata dalla Yamaha, non ha mai dato segni di risveglio e lascia la prima divisione. Era una delle squadre che c'era dalla nascita della J-League: sarà strano non vederla lì.

JEF United Chiba
Avrei voluto mettere nuovamente il Kyoto Sanga F.C., ma la verità è che lo JEF quest'anno aveva una squadra migliore di quella dell'anno scorso. Non potendo tenere il passo delle due squadre del Kansai, lo JEF United si è limitato a stare nella zona play-off, alternando buone prestazioni a cadute dure e inspiegabili. Nonostante la presenza di Kempes - rinato in J-League 2 - e l'arrivo di Takayuki Morimoto ad agosto, lo JEF è arrivato ai play-off zoppicando. E il pareggio nella semifinale dei play-off contro il Tokushima Vortis ha messo fuori gioco i ragazzi di Jun Suzuki. Dal 2010, la squadra di Chiba non riesce a risalire la china. Infine, la partenza di uno degli elementi migliori - Koki Yonekura - verso il Gamba Osaka non aiuterà di certo il club di Chiba.

Gli Urawa Reds hanno decisamente deluso le aspettative.

MVP
Shunsuke Nakamura
Avere 35 anni e non sentirli neanche un po': qualche acciacco, ma è il caso di Shunsuke Nakamura. L'ex Reggina, Celtic ed Espanyol ha fatto un anno veramente straordinario, dimostrando come la classe non passi con il tempo. C'è poco da dire su di lui: è un grandissimo giocatore. Non lo scoprirò di certo io, facendo un racconto della sua carriera calcistica.

Yoichiro Kakitani
Da una leggenda a uno che potrebbe diventarla. Kakitani aveva concluso il 2012 in crescendo, dimostrando come il futuro era dalla sua parte. Dopo tanti anni spesi in prestito con la maglia del Tokushima Vortis, l'attaccante stava finalmente ripagando la fiducia mostratagli dal suo club d'appartenenza, il Cerezo Osaka. Che quest'anno è giunto quarto anche sopratutto all'apporto del numero 8 dei rosanero, integratosi al meglio nel gioco spettacolare e offensivo di Levir Culpi, tecnico del club e scopritore di talenti (Kagawa, Kiyotake, Inui, Minamino). Ora il brasiliano lascerà, vedremo se farà altrettanto Kakitani: forse altri sei mesi a Osaka sarebbero la soluzione migliore in vista della Coppa del Mondo. Ma in tanti lo cercano in Bundesliga.

Takashi Usami
Chi invece è appena tornato dalla Germania è Takashi Usami, attaccante del Gamba Osaka. Il giapponese era arrivato a Monaco di Baviera nell'estate del 2011, tra mille speranze e il sogno di imporsi anche in Buli. Purtroppo, la realtà è stata ben diversa: una squadra troppo competitiva per l'ancora fragile attaccante, che così ha provato un'altra esperienza con l'Hoffenheim. Quando poi è stato cambiato il tecnico, il già traballante posto da titolare di Usami è saltato via e nelle ultime gare non è stato nemmeno convocato. Così, il fantasista è tornato al Gamba Osaka, ancora titolare del suo cartellino. La risposta dell'attaccante è stata straordinaria: 21 gol in 19 gare. Devastante a tratti, chissà se Usami è ancora in corsa ancora per il Mondiale.

Shunsuke Nakamura, 35 anni, capitano dello YFM e MVP della J-League 2013.

Rivelazione
Kengo Kawamata & Léo Silva
L'Albirex è stata una delle squadre rivelazioni della J-League 2013: senza questi due giocatori, la stagione del club arancione sarebbe stata decisamente diversa. L'attaccante ha realizzato 23 gol dopo un anno in prestito in seconda divisione; il brasiliano, nato nella scuola calcistica del Cruzeiro, ha giocato un gran campionato. E' stato fondamentale per l'annata del club di Niigata: come Jorge Wagner e Leandro Domingues per i Kashiwa Reysol nel 2011, Léo Silva potrebbe rappresentare una risorsa anche per il futuro. Inoltre, conferma il buon feeling che alcuni brasiliani hanno per la J-League.

Yoshito Ōkubo
Ecco un'altra storia che nessuno si aspettava di raccontare. 26 i gol dell'attaccante che l'anno scorso sembrava quasi finito con la maglia del Vissel Kobe, di cui era anche capitano. Fanno 28, se si contano anche i match di coppa nazionale. Insomma, Ōkubo è riuscito a fare ciò che sperava: rinascere. E' finito nella Top 11 della J-League ed è stato molto bravo nel confermare la sua duttilità: ha giocato da esterno, da seconda punta e da centravanti. Con questo andazzo, il futuro potrà solo essere dalla sua parte, sebbene a 31 anni ormai compiuti.


Yoshito Ōkubo, 31 anni, capocannoniere con la maglia dei Kawasaki Frontale.

L'allenatore
Masaaki Yanagishita
Non è facile rivoltare una squadra come un calzino. Nel 2012, l'Albirex Niigata si salvò complice una strabordante vittoria su un Consadole Sapporo già retrocesso e le sconfitte di Gamba Osaka e Vissel Kobe. Probabilmente, dalle parti della costa occidentale, c'era il timore di dover affrontare un altro campionato di sofferenza. La squadra di Yanagishita era partita male: 11 punti in dieci gare e solo tre vittorie. Eppure, l'Albirex si è rialzato, ha avuto pazienza e ha aspettato l'ex tecnico del Jùbilo. Le cinque vittorie finali di fila hanno portato il club al settimo posto finale e Niigata si è goduta un anno da favola.

Masaaki Yanagishita, 54 anni e un ottimo campionato alla guida dell'Albirex.

Il caso di stagione
L'Omiya Ardija e quella voglia di cambiare
C'è stato un certo punto della stagione in cui il destino della J-League sembrava totalmente in mano alla città di Saitama. No, non erano gli Urawa Red Diamonds a dominare il campionato, bensì l'Omiya Ardija, seconda squadra della città. Gli "scoiattoli" stavano volando sulle ali della Slovenia: con il tecnico Verdenik e gli attaccanti Novaković e Ljubijankić, l'Omiya ha fatto i primi tre mesi di campionato a tutta. Numeri impressionanti quelli del club arancione: fino al ritorno dalla Confederations Cup, il club di Saitama stava volando nelle prime posizioni, dopo aver tenuto la testa della J-League dall'inizio. Poi una serie di sconfitte consecutive ha rovinato tutto. E la piazza ha cominciato a ribollire: ci sono state difficoltà, giocatori insoddifatti con il tecnico sloveno e ad agosto l'addio. Eppure l'Omiya era quarto, in piena zona asiatica. Incredibilmente, il club è riuscito a finire tredicesimo: chissà come sarebbe andata con Verdenik fino a fine anno. Anche perché i nove punti nelle ultime 19 gare non hanno che aumentato tali interrogativi.

Zdenko Verdenik, 64 anni, silurato dall'Omiya quando il club era quarto in J1.