30.3.15

ROAD TO JAPAN: Hiroyuki Abe

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Road to Japan", la rubrica che vi consente di conoscere meglio i talenti che gravitano nel calcio giapponese. Oggi ci spostiamo a Osaka, nella squadra del triplete 2014. Il Gamba Osaka oggi soffre, ma se c'è un giocatore che continua a esser fondamentale per Kenta Hasegata è Hiroyuki Abe, tuttofare offensivo dei neroazzurri.

SCHEDA
Nome e cognome: Hiroyuki Abe (阿部 浩之)
Data di nascita: 5 luglio 1989 (età: 25 anni)
Altezza: 1.70 m
Ruolo: Esterno di centrocampo, seconda punta
Club: Gamba Osaka (2012-?)



STORIA
Classe '89 nato nella prefettura di Nara, Abe comincia a giocare fin dalle elementari. Passa per l'U-15 del Takada F.C., poi per il liceo Toin di Osaka: con la squadra di quest'ultimo, Abe giunge da capitano fino alle migliori otto del torneo interscolastico. Cresce sotto la supervisione della scuola di calcio di Shu Kamo, ex attaccante giapponese e per due ct della nazionale nipponica. Diplomato, Abe si iscrive alla Kwansei Gakuin University: nel 2011 è anche MVP e capocannoniere (con 19 reti) della Kansai Football League. Diversi club della J-League si interessano a lui. Il più insistente è il Vissel Kobe, ma alla fine è il Gamba Osaka a inserire Abe nelle sue fila per il 2012.
José Carlos Serrão, che allora ha sostituito Akira Nishino alla guida del club, lo vede poco. Va meglio quando a marzo subentra Masanobu Matsunami, ex leggenda del Gamba e incaricato in quel momento di salvare la squadra da una stagione disastrosa. Il compito non riuscirà, ma Matsunami comincia a dar più spazio ad Abe. In più, il neo-arrivato segna almeno un gol in tre competizioni e si guadagna il soprannome di super-sub dopo la vittoria contro il Kawasaki Frontale arrivata da un suo gol. La sua capacità di cambiare le partite è notevole.
Tuttavia, il Gamba retrocede incredibilmente e così bisogna ricominciare dalla seconda divisione. Kenta Hasegawa è il nuovo tecnico del club e lui punta forte su Abe. Magari non parte sempre titolare, ma quando ce n'è bisogno lui è pronto. L'allenatore conduce il Gamba al ritorno in J-League e Abe aumenta il suo bottino di gol. Ma la vera esplosione arriva nel 2014: i neroazzurri sono a metà classifica a giugno, ma dopo la pausa per il Mondiale il Gamba diventa un rullo compressore. Merito anche del dinamico Hiroyuki, che si spreme per tutti i novanta minuti di ogni gara e porta a casa altre 10 reti. Sono suoi i gol decisivi che portano il Gamba in finale di Nabisco Cup, dove Abe mette anche un assist per il 2-0. A fine stagione, il club di Osaka festeggia uno storico triplete, in cui il numero 13 è stato uno dei protagonisti indiscussi.
La sua importanza è stata confermata durante l'inizio di questa stagione 2015. Per regalare al Gamba la prima vittoria in J-League, c'è voluta proprio la firma di Abe: gol dell'1-0 e assist per il 2-0 di Usami sul campo del Ventforet Kofu. Questi sono stati i primi tre punti dopo un pareggio e una sconfitta nelle prime due giornate contro F.C. Tokyo e Sagan Tosu. Abe è stato fondamentale anche in Champions League asiatica. Il Gamba sta andando male (un punto in tre gare), ma il pareggio ottenuto contro il Burinam United è arrivato proprio grazie a una rete del numero 13, l'unica del Gamba in questa ACL 2015.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Tatticamente il ragazzo sorprende per la sua poliedricità. Nel 4-2-3-1 o 4-4-2 di Hasegawa, può giocare in almeno tre ruoli dietro la punta. Sarebbe meglio piazzarlo sull'esterno destro, ma può esser schierato anche a sinistra o addirittura come "10". Nel 2014 Abe è stato provato da Hasegawa anche come mezz'ala. Tuttavia, il suo meglio lo dà proprio a destra, dove ha la possibilità di trovare gli spazi giusti per gli inserimenti. Ed è lì che è stato lanciato in pianta stabile in prima squadra. All'inizio giocava anche da prima punta, ma si era capito che i suoi 170 centimetri non potevano bastare per fare il centravanti.
Dal punto di vista tecnico, il ragazzo non spicca per le capacità sopraffine. Per fare un confronto con la Serie A, Abe ricorda molto un Florenzi in versione più offensiva: la sua forza è quella di sapersi rendere indispensabile. Buon calciatore di piazzati, sa muoversi in ogni lembo di campo. Non è un caso che anche Yasuhito Endo, leggenda del calcio giapponese e suo compagno al Gamba, gli abbia riconosciuto un ruolo importante nei successi del club di Osaka.

STATISTICHE
2012 - Gamba Osaka: 22 presenze, 3 reti
2013 - Gamba Osaka*: 32 presenze, 5 reti
2014 - Gamba Osaka: 43 presenze, 10 reti
2015 - Gamba Osaka (in corso): 6 presenze, 2 reti
* = in J-League 2

NAZIONALE
Per posizione ed età, è difficile che trovi spazio nella Nippon Daihyo. Tuttavia, il Giappone ha appena nominato il terzo commissario tecnico negli ultimi nove mesi e non è detto che il neo-ct Vahid Halilhodžić non chiami Abe per testarlo. Basti pensare che per le due amichevoli di marzo contro Tunisia e Uzbekistan il neo-tecnico ha chiamto - tra convocati e rimpiazzi - ben 43 giocatori. A vent'anni Abe è stato convocato per il Torneo di Tolone del 2010, dove il Giappone è uscito ai gironi, ma ora Hiroyuki vuole un'altra chance.

LA SQUADRA PER LUI
Non c'è dubbio che il ragazzo possa un giorno arrivare in Europa, magari al termine della stagione 2015. Per chi cerca un giocatore concentrato e capace di darti subito il meglio, Abe è il nome giusto. Tuttavia ci vuole anche la giusta piazza perché l'attaccante del Gamba possa arrivare nel Vecchio Continente. L'Olanda, ad esempio, sarebbe una buona scelta per mettersi in luce senza troppe pressioni.

28.3.15

Il cervello di Lugo.

A Lugo era nato Giuseppe Rossini, padre del famoso compositore Gioachino. Quest'ultimo trascorse una parte della sua infanzia nella piccola città in provincia di Ravenna. Da lì, Rossini poi divenne uno dei più grandi autori dell'opera italiana. Come una sua composizione, le giocate di Mirko Valdifiori stanno entusiasmando sul "palco" della Serie A, in una prima assoluta senza precedenti.

Valdifiori è alla settima stagione con la maglia dell'Empoli.

Classe '86, Valdifiori cresce con le giovanili del Cesena ed esordisce in B con i romagnoli. Tuttavia, i bianconeri non hanno sufficiente fiducia in lui e così il centrocampista passa in Lega Pro. Prima gioca nel Pavia, poi nel Legnano. A 22 anni, senza aver ancora segnato nei pro, la sua carriera sembra incamminata verso i sentieri meno battuti del calcio italiano. Invece, la svolta arriva quando l'Empoli del presidente Corsi decide di puntare su di lui: l'acquisto avviene per 500 mila euro e i toscani cominciano a dar spazio a Valdifiori.
Il club toscano è appena retrocesso dalla Serie A, ma il centrocampista ne diventa uno dei punti di riferimento. Nel passaggio da trequartista a regista, Valdifiori scopre finalmente quanto vale. Durante gli ultimi anni ha vestito anche la fascia da capitano dei toscani e c'è stato sempre, dalla quasi-retrocessione in Lega Pro alla promozione mancata del 2013, fino a quella meritata della passata stagione. E il presente ha portato molte soddisfazioni a Empoli, nonché 236 presenze con la maglia del club toscano.
L'incontro con Maurizio Sarri ha aiutato la maturazione di Valdifiori, passato dall'essere un prodigio della B a un giocatore appetibile persino per la nazionale italiana. Lo stesso tecnico dell'Empoli ha tessuto le lodi del suo giocatore: «La sua qualità più importante è la velocità di idee, gioca sempre a uno e due tocchi, riesce a verticalizzare e sono qualità che lo rendono un centrocampista di livello. Già in B era a questi livelli».
Secondo i dati Squawka, nella graduatoria sulla media-passaggi, Valdifiori è quello che ne fa di più in questa Serie A 2014-15 (73,42). Meglio addirittura di Andrea Pirlo, suo modello conclamato (insieme a Veron) e dal quale ormai non è più così distante. E tra le cinque leghe migliori d'Europa è dodicesimo, ma questo risultato va contestualizzato. Se guardate la graduatoria continentale, tra gli undici giocatori che lo precedono ben otto sono del Bayern o del Paris Saint-Germain. Se li togliamo, davanti gli rimangono solo Yaya Touré del City, Fabregas del Chelsea e Granit Xhaka del Gladbach.
Ora il futuro è tutto da scrivere. Certo, l'interesse dei grandi club sul numero 6 dell'Empoli si fa sempre più insistente. E il Napoli sembra aver già un accordo in mano per avere Valdifiori dalla prossima stagione. In effetti, che rimanga Benitez o meno, i partenopei hanno dannatamente bisogno di un giocatore così. Anche perché la crescita di Jorginho non è stata continua.


La chiamata in nazionale di Valdifiori è perciò meritata. Il regista è il quarto giocatore dell'Empoli a esser convocato in nazionale: finora c'erano riusciti solo Di Natale, Maccarone e Rugani. Quest'ultimo è stato selezionato già altre volte, ma deve ancora esordire. E si spera che altrettanto possa capitare a Valdifiori, scelto da Conte perché l'Italia manca di un vero regista senza Andrea Pirlo. Anzi, la scelta del centrocampista empolese è la migliore. Non è un giovane: nonostante a 28 anni abbia poche partite di A alle spalle e nessuna dal punto di vista internazionale, Valdifiori rimane un uomo mentalmente pronto a queste sfide.
Inoltre, il suo apporto futuro per l'Italia richiama alla mente un altro giocatore poco pubblicizzato, ma utilissimo in una certa era del calcio italiano. Il paragone con Cristiano Zanetti è immediato: certo, Valdifiori ha una maggiore capacità di vedere il gioco in campo, però anche Zanetti era poco pubblicizzato. Eppure ha vinto uno scudetto da 12° uomo con la Roma, ha giocato un Mondiale in mediana accanto a Tommasi e per un triennio è stato un giocatore utilissimo alla causa della nazionale di Trapattoni. Valdifiori può fare lo stesso: un classe '86 non è un giocatore migliorabile, ma può esser subito utile per Conte, almeno fino ai Mondiali di Russia.
Intanto Valdifiori non si è nascosto nella sua prima conferenza stampa da giocatore della nazionale italiana: «Cercare sempre lo straniero quando in Italia possono esserci dei giovani non è giusto. Se uno ci crede, i ragazzi possono crescere a livello nazionale». Idee chiare per chi non si aspettava di finire a Coverciano. Il cervello di Lugo potrebbe diventare quello della nazionale italiana. Favola più bella di così difficilmente potrà esser narrata. Forse neanche dal grande Rossini, che pure nella piccola città emiliana ci ha lasciato le origini.

Mirko Valdifiori, 28 anni, alla prima chiamata con l'Italia.

24.3.15

Questione di passaporti.

E alla fine siamo di nuovo qui: gli oriundi condiscono ancora la nazionale azzurra. Per la doppia sfida contro Bulgaria e Inghilterra, oltre alla lodevole convocazione di Valdifiori, Conte ha scelto due stranieri per rappresentare l'Italia: Franco Vázquez del Palermo e Éder della Sampdoria. Non sono i primi e non saranno gli ultimi azzurri "infiltrati", ma la polemica è già scoppiata.

Franco Vázquez, 26 anni, rivelazione del Palermo di Iachini.

Due storie diverse quelle dei due nuovi giocatori dell'Italia. Franco Vázquez, trequartista classe '88, è spuntato all'improvviso, nonostante l'argentino sia arrivato in Italia nel gennaio 2012. El Mudo - chiamato così perché parla poco - viene acquistato per cinque milioni di euro dal Palermo, che in lui vedeva qualcosa. Tuttavia, Vázquez viene subito girato al Rayo Vallecano, dove trascorre una stagione in prestito. Al ritorno, il Palermo è in B, ma Iachini punta su di lui per risalire nella massima serie: da regista, mezzala o seconda punta, poco importa. Improvvisamente Vázquez esplode e in Serie A si sta confermando: sette gol, ben dieci assist.
Éder Citadin Martins, invece, gioca nella Sampdoria. Il brasiliano arriva in Italia nel 2005, scoperto dell'Empoli. Gioca alcuni spezzoni in A, poi passa al Frosinone per due anni, dove esplode. L'Empoli se lo riprende ed è lui il capocannoniere della Serie B 2009-10 (27 reti: negli ultimi 15 anni, meglio di lui solo Toni col Palermo, Immobile col Pescara e Bucchi col Modena). A quel punto, la carriera gli propone le tappe di Brescia e Cesena in A, dove però non esplode. Discorso diverso con la Samp: Éder la riporta in A e poi a ogni campionato migliora il bottino personale. Nove gol nel 2012-13, dodici l'anno scorso, quest'anno siamo già a nove. E mancano ancora dieci partite alla fine del torneo. Nell'attacco della Samp di Mihajlovic, è sempre stato l'uomo fondamentale.
Questa la storia dei due giocatori. Però attenzione: lungi da me fare un discorso nazionalista. In realtà, a questa nazionale, mancano questi due tipi di giocatori. Manca un vero trequartista e manca una seconda punta in grado di giocare praticamente ovunque in attacco. In questo momento, l'Italia sembra faticare nell'avere due uomini del genere e Conte l'ha capito. Inoltre, il livello è quello che è e i due non possono sfigurare accanto a questi compagni.
Il passato degli oriundi è contrastante e va contestualizzato. Fino agli anni '80 avevano un senso, con le frontiere chiuse. Può esser capitato che Raimundo Orsi - originario di Avellaneda - decida la finale del Mondiale 1934 in favore dell'Italia. Difficile che capiti ora. Anche il perché passato recente degli oriundi con l'Italia non è stato effervescente. Il migliore è stato Mauro Germán Camoranesi, una buona carriera con la Juventus e un Mondiale vinto da gregario. L'esperimento Thiago Motta è andato discretamente per Prandelli, ma il giocatore ora non è più riproponibile per il ciclo di Conte. E sugli altri casi recente - dalla sceneggiata targata Amauri a Paletta, passando per Osvaldo, Schelotto e Ledesma - stendiamo un velo pietoso.

Mauro Germán Camoranesi, 38 anni, 55 presenze con l'Italia.

Intanto, però, la polemica infiamma. Il primo a esporsi è stato Roberto Mancini, attuale tecnico dell'Inter: «Io so che la Nazionale dev'essere degli italiani. Se uno è nato in Italia merita di giocarci, chi non lo è, anche se ha dei parenti, credo che non lo meriti». A ruota ha seguito l'intervento di Andrea Mandorlini, allenatore dell'Hellas Verona: «Io sono più per gli italiani veri. Vedo gli oriundi ancora come una situazione un po’ da sperimentare, anche se in realtà lo abbiamo già fatto tanto tempo fa. Facciamo tanto per far crescere i giovani e poi pensiamo agli oriundi. Sarebbe meglio dedicarci di più ai ragazzi».
Se parliamo da un punto di vista puramente geo-politico, la Germania campione del Mondo non pullula proprio di tedeschi "puri". E all'ultimo Mondiale brasiliano gli oriundi erano 83 su 736 giocatori convocati (il 11,3%). Tuttavia, la teoria della "italianità pura" è un po' campata in aria. Con il passare degli anni, questo mondo è destinato a diventare sempre più interculturale e quindi i confini nazionali diventeranno sempre meno importante. Conta quanto sei cresciuto qui. E comunque, anche fosse, non è quello il problema, perché il vero dilemma è tecnico.
Infatti l'Italia conta su un Under 21 di livello: Di Biagio si porterà all'Europeo di giugno diversi prospetti interessanti. Tutta gente che forse potrebbe giocare già ora, fare esperienza, prender le misure con la realtà della nazionale. Si è chiamato Rugani, ma si ignora Romagnoli nonostante Barzagli sia reduce da uno stop di sei mesi e non ci siano altri fenomeni all'orizzonte. Senza dimenticare Sportiello tra i pali. E che dire davanti? Bernardeschi è infortunato, ma chiamare Berardi aiuterebbe a responsabilizzarlo, nell'attesa di recuperare l'unica star rimasta all'Italia, quel Giuseppe Rossi ormai infortunato perenne.
A tal proposito, chiudo con un paragone. Ve lo ricordate il Mondiale 2002? Vi snocciolo qui solo rosa d'attacco: Del Piero, Inzaghi, Totti, Del Vecchio, Montella, Vieri. E quella nazionale non vinse incredibilmente quel Mondiale. Tredici anni dopo, siamo in attesa del ritorno di Giuseppe Rossi (che in quella squadra avrebbe scalzato forse Delvecchio), della maturazione di Balotelli e ci esaltiamo per Zaza e Gabbiadini. E non ho analizzato gli altri reparti appositamente, perché il confronto sarebbe più impietoso. Quindi vi chiedo: è una questione di passaporti? Éder e Vázquez sono in nazionale perché questo è quello che passa in convento. Chiediamoci piuttosto perché non si veda all'orizzonte un altro come Vieri neanche con il binocolo.

Éder Citadin Martins, 28 anni, scelto da Conte per l'Italia.

20.3.15

Man of dreams.

Come primo anno non c'è male. All'esordio nel campionato più bello del mondo, Dušan Tadić si sta rivelando una pedina importante per il Southampton dei miracoli di Ronald Koeman. I Saints sono al sesto posto in classifica a pari merito con il Tottenham e domenica, con un rigore trasformato, il serbo ha permesso anche di strappare un punto sul campo del Chelsea capolista.

Tadić dopo il gol decisivo a Old Trafford per la vittoria dei Saints.

Un talento che è sempre stato interessante. Classe '88, Tadić è cresciuto nel Vodjovina, uno dei pochi talenti - insieme a Branislav Ivanović - a esser uscito da un vivaio serbo che non fosse quello del Partizan o della Stella Rossa di Belgrado. Dopo quattro anni, l'arrivo in Olanda, dove Tadić ha trascorso un altro quadriennio: due anni al Groningen, altrettanti al Twente, dove il serbo è stato la stella indiscussa dell'ultima stagione in Eredivisie. Basti pensare che ha realizzato 16 gol (quarto in classifica cannonieri) e fornito 14 assist (leader della graduatoria) con la maglia del club di Enschede nel 2013-14.
Quest'estate è arrivato il passaggio al Southampton, che ha speso quasi 14 milioni di euro per assicurarsi le prestazioni di Tadić. Un'esplicita richiesta di Rambo Koeman, arrivato alla guida dei Saints dal Feyenoord. Nell'Hampshire si tremava all'idea di perdere tutti i gioielli (di cui vi ho parlato qui): in una sola estate il Southampton ha stabilito il singolare record delle quattro cessioni più remunerative nella storia del club. Tra giugno e agosto il trio composto da capitan Lallana, Lovren e Lambert ha lasciato il St. Mary, destinati a Liverpool per una somma complessiva di poco più di 60 milioni di euro. A queste, vanno aggiunte le partenze di Luke Shaw (al Manchester United per 40 milioni) e Callum Chambers (passato all'Arsenal per 20 milioni).
Il tecnico olandese è stato bravo a ricostruire: ha portato con sé Graziano Pellè dal Feyenoord, ha trattenuto Schneiderlin e in più sono arrivati tanti nuovi giocatori. Tra questi, Tadić è quello che più si è distinto in quest'annata inglese per continuità e classe: con quattro gol e otto assist, il serbo ha messo la firma su 12 dei 40 gol dei Saints (il 30%). In più, Tadić ha segnato le sue reti contro Arsenal, Chelsea e persino all'Old Trafford, dove un suo gol ha consentito al Southampton di tornare a vincere in casa del Manchester United dopo 27 anni.
Incredibile come anche Tadić venga da un paese così talentuoso, ma così povero di risultati come la Serbia. La nazionale guidata oggi dal ct Radovan Ćurčić può contare sul talento dell'ala del Southampton, ma manca di continuità. Da sempre i serbi fanno fatica quando arrivano i momenti importanti, specie nell'ultimo decennio: ricordate il Mondiale 2010? Eppure, Tadić - 29 presenze e sei reti con la nazionale - ha ricordato recentemente: «Perdere una partita di calcio in Serbia è come morire».


Il contributo di Tadić alla stagione del Southampton è stato notevole. Il serbo se la cava bene sopratutto quando può spaziare sulla fascia: mancino che può giocare su entrambi i lati, l'ex Twente preferisce comunque partire da sinistra. In quella posizione ha tirato fuori le prestazioni migliori del suo primo anno inglese. E in quanto a media di passaggi-chiave, il serbo è quasi nella top 10 dell'intero campionato, nonché uno dei primi 20 centrocampisti in Europa per questa particolare categoria.
Una capacità - quella di svariare per tutto il fronte offensiva - imparata negli anni in Olanda. Johan Crujiff diceva che un giocatore tiene la palla in media per tre minuti; ergo conta quanto fa nei restanti 87 senza la sfera tra i piedi. Un principio che Tadić ha fatto suo: «Quando non hai la palla, devi essere un killer e lottare duramente. Quando invece hai la palla, devi esser creativo e usare la testa». E lo si vede in questo suo primo anno in Premier League, dove spesso l'ex  Twente si concede qualche finezza, ma non per puro scopo estetico.
Il Southampton non viaggiava in queste posizioni dal 1988-89 con Chris Nicholl come allenatore, quando i Saints arrivarono settimi a fine campionato nell'allora First Division. Da allora sono arrivate due retrocessioni, due promozioni e due ottavi posti (uno l'anno scorso con Pochettino, l'altro con Strachan nel 2002-03). L'ultima partecipazione europea del club risale al 2003-04, l'ultima vittoria in Europa addirittura nel 1981-82. E allora non sarà il caso di rivedere questi record antiquati? Con l'uomo di Bačka Topola, tutto è possibile.

Dušan Tadić, 26 anni, protagonista del Southampton di Koeman.

18.3.15

Road to Moscow.

Pochi lo sanno, ma la strada per il Mondiale 2018 è già iniziata. Il 12 marzo si sono giocate le prime gare delle qualificazioni asiatiche e ci sono già un paio di sorprese, che valgono anche come preliminari per la Coppa d'Asia 2019. Tra queste, le storie di Timor Est e Bhutan sono certamente quelle migliori, le più curiose. Due squadre che erano sfavorite e che si ritroveranno al sorteggio del prossimo 14 aprile per i gironi.

Timor Est ha superato la Mongolia con un 5-1 totale.

Cominciamo dalla squadra di Timor Est, che ha eliminato la più titolata (ma in questo momento disastrata) Mongolia: dopo il 4-1 casalingo dell'andata davanti a 9000 spettatori, oggi è arrivato anche l'1-0 in trasferta nel freddo glaciale di Ulan-Bator. Un passaggio del turno senza storia. Anzi, azzarderei che O Sol Nascente è stata la squadra più convincente di questo primo turno di qualificazioni. E chissà che i ragazzi di Timor Est non ci sorprendano ancora lungo la strada per questo Mondiale 2018.
Il ranking Fifa di Timor Est segna numero 185, ma è possibile che - con il risultato di questa settimana - si superi anche il miglior risultato della sua breve storia: finora la nazionale rossonera non era mai salita sopra il numero 182. L'ultima volta è stata nell'ottobre scorso, ma ora si sogna di entrare magari nelle prime 180 al mondo.
Timor Est si è unito alla Fifa dal settembre 2005. Del resto, il paese - ex colonia portoghese - ha acquisito l'indipendenza dall'Indonesia solo nel 2000, dopo una dura battaglia contro il governo di Giacarta. La prima vittoria ufficiale è arrivata solo nel settembre 2012, in un 5-1 rifilato alla Cambogia in amichevole. Questo doppio successo contro la Mongolia rappresenta anche l'inizio della prima campagna di qualificazione alla Coppa d'Asia dopo un decennio.
Molti dei giocatori che compongono la squadra militano in patria, ma alcuni sono sparsi per l'Asia (Thailandia, Singapore, Emirati Arabi). E c'è chi - come Jairo Neto - è riuscito persino ad arrivare in Europa, seppur nei dilettanti portoghesi. Timor Est ha passato questo turno senza il suo bomber migliore, quel Murilo de Almeida che milita in Giappone con la maglia dell'Oita Trinita. Il capitano Anggisu Barbosa è un ragazzo di appena 22 anni, mentre il tecnico è Fabio Joaquim, subentrato ad Alfredo Esteves dopo il match d'andata.
E pensare che nel marzo 2010 la federazione di Timor Est aveva convinto l'ex campione del Mondo di Brasile '70 Clodoaldo a lavorare per tre anni con la squadra; poi l'affare saltò. Curiosità: fino a qualche giorno fa, per motivi oscuri alla mia comprensione, sulla pagina Wikipedia in lingua inglese della nazionale di Timor Est il ct era Davide Ballardini. Dubito che il Balla si sarebbe mai cacciato in un'avventura del genere (sebbene di imprese impossibili se ne intenda: leggi Cagliari 07-08), ma è stato divertente notare le stranezze del mondo di Internet applicate al calcio più lontano.


Diversa e forse più affascinante è la storia di Bhutan. L'avversario era meno proibitivo, ma i Druk Eleven si sono sbarazzati dello Sri Lanka da ultima classificata del ranking Fifa: 1-0 in trasferta all'andata, 2-1 casalingo oggi. Impressionante il numero di presenze allo stadio per la gara di ritorno: 15 mila persone per spingere il Bhutan al secondo turno. Per metterla in prospettiva, è stata l'audience più grande delle 12 gare del primo turno. C'era più gente a seguire il Bhutan che per incitare l'India nell'impegno casalingo contro il Nepal.
Una crescita sorprendente, che però è stata meticolosa e pianificata. A fine gara, il ct dello Sri Lanka Kavazović ha ammesso: «Non mi aspettavo fossero migliorati così tanto». In effetti il Bhutan ha schierato per queste due gare una squadra molto giovane: l'età-media della compagine è molto bassa e c'erano addirittura due classe '98 convocati per il doppio impegno mondiale. Una scelta giusta, visto che in una settimana il Bhutan ha vinto gli stessi match (2) che aveva vinto nelle precedenti 58 partite della sua breve storia.
L'ex ct Ohara si era lamentato del fatto che molti ragazzi, dopo la scuola, abbandonassero il calcio; la stessa bandiera Yeshey Dorji aveva lasciato la nazionale perché «non posso vivere solo di calcio». La federazione bhutanese si è quindi adoperata e ha risolto il problema, offrendo 10 mila ngultrum del Bhutan ai 18 selezionati per questo doppio impegno, affinché i giocatori potessero effettivamente vivere solo di calcio.
Iscritta alla Fifa dal 2000 e all'Afc dal 1993, la nazionale oggi siede all'ultimo posto del ranking. Forse anche per questo, il successo di Bhutan è clamoroso. Anche perché i ragazzi del ct Chokey Nima - giocatore della nazionale per 12 anni, succeduto quest'anno al giapponese Ohara - hanno dominato. Tra di essi, gran prova di Chencho Gyeltshen, attaccante dei Druk Eleven e ora al Burinam United. Un salto importante, visto che i thailandesi giocano nella Champions League asiatica. Gyeltshen ha segnato una doppietta nella vittoria al ritorno e viene chiamato "il Cristiano Ronaldo bhutanese", segno che certi vizi ci sono a ogni latitudine.
Il Bhutan è stato raccontato diverse volte nel cinema. Viene il mente il bellissimo documentario di Thomas Balmès Happiness, che racconta della diffusione della tv nel paese per volere del longevo re del Bhutan, Jigme Singye Wangchuck, e di come essa cambierà la vita dell'ultimo villaggio raggiunto dal piccolo schermo. Ma ancora più interessante è The Other Final: anch'esso documentario, il lavoro del 2002 a cura di Johan Kramer e Matthijs de Jongh (sopra c'è il video YouTube in inglese) racconta la partita di quell'anno tra Bhutan e Montserrat.
Giocata a Thimphu, la gara vedeva in campo le ultime due nazioni del ranking Fifa, con i caraibici a chiudere la classifica. Il titolo non è un caso, perché la partita si gioca nello stesso giorno della finale Mondiale del 2002 tra Brasile e Germania, ovvero il 30 giugno. All'inizio il match sembra difficile da organizzare, ma col tempo l'idea prende corpo. Davanti a 15 mila spettatori e a 2500 metri di altezza, la gara si conclude 4-0 per il Bhutan, che vince il suo primo match (seppur in amichevole).
È strano come la storia si sia capovolta in 13 anni. Il ct Nima ha detto qualche tempo fa: «Possiamo fare la storia del calcio bhutanese se lavoriamo insieme». Un primo passo è stato fatto, ma la strada per Mosca è ancora lunga.

Erano in 15 mila ieri per sostenere il Bhutan nella gara di ritorno.

14.3.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Mayke

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Under the Spotlight", la rubrica che ci consente di scoprire i nuovi talenti del calcio in giro per il mondo. Oggi ci spostiamo in Sudamerica e precisamente in Brasile, dove il Cruzeiro guidato da Marcelo Oliveira è reduce da due titoli vinti in altrettante stagioni. Tra i titolari della Celeste, sta brillando il nome di Mayke Rocha Oliveira, detto "Mayke".

SCHEDA
Nome e cognome: Mayke Rocha Oliveira, detto Mayke
Data di nascita: 10 novembre 1992 (età: 22 anni)
Altezza: 1.78 m
Ruolo: Terzino destro
Club: Cruzeiro (2010-?)



STORIA
Classe '92 e nato a Carangola, nello stato di Minas Gerais, Mayke ha finora avuto un unico club nella sua carriera da professionista: il Cruzeiro. Con la maglia della Raposa, Mayke ha vissuto due anni nelle giovanili, con le quali ha vinto il titolo nazionale U-20. Poi arriva l'esordio con i grandi nel 2012. Marcelo Oliveira, appena arrivato alla guida del club, nota qualcosa in quel ragazzo di appena vent'anni e lo getta in prima squadra.
Il titolare è Ceará, appena tornato da un'esperienza di cinque anni al Paris Saint-Germain. L'esperto difensore rimane titolare, ma Mayke trova gradualmente spazio alle sue spalle. E nel 4-4-2, il terzino può crescere senza fretta. Impara tanto, anche perché il Cruzeiro torna a vincere il titolo della Série A dopo dieci anni. Alla prima stagione da pro, il 2013 vede un bilancio discreto, comprendente anche la prima rete tra i pro (realizzata contro il Vitória). La rivista Placar lo ricompensa anche con la Bola de Prata, che gli permette di entrare nella top 11 del campionato.
Nel 2014, si può solo crescere. L'età di Ceará non depone a suo favore e così Mayke diventa il titolare del Cruzeiro. Il club trionfa di nuovo in Série A, ma (stra)vince anche il campionato statale e torna a giocare la Libertadores. Mayke mette nove assist durante tutta la stagione, ma sopratutto mostra che la sua affermazione nella stagione precedente non è stata frutto del caso.
Il 2015 è il suo anno per esplodere a livello mondiale. Con il Cruzeiro in ricostruzione, al Mineirão lo chiamano Diamante Azul, perché tutti sanno qual'è il suo enorme potenziale. E lo sanno anche sul mercato, viste le numerose attenzioni che Mayke sta ricevendo.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Dal punto di vista tattico, Mayke continua la grande tradizione dei terzini destri brasiliani: da Cafu a Maicon (che ha iniziato la sua carriera proprio nel Cruzeiro), da Dani Alves al più recente Danilo. Da questo punto di vista, il Brasile vive una sorta di benedizione: in un mondo calcistico in cui trovare terzini validi è difficile, i verdeoro ne hanno avuti diversi solo negli ultimi vent'anni. E Mayke continua questa catena con la sua velocità, la sua capacità di vedere cosa accade attorno a sé e metter degli assist di ottima qualità.
Atleticamente parlando, l'ottima resistenza fisica gli permette continue sovrapposizioni con l'esterno destro di centrocampo. Così facendo, Mayke diventa un'ala aggiunta nel gioco del Cruzeiro: il piede educato - come già visto nel 2014 - gli consente di fornire numerosi assist. Inutile dire che in Europa uno così serva a diverse squadre (anche al top del calcio continentale).

STATISTICHE
2013 - Cruzeiro*: 24 presenze, 2 reti
2014 - Cruzeiro: 44 presenze, 1 rete
2015 - Cruzeiro (in corso): 6 presenze, 0 reti
* non disponibili i dati sul Campionato Mineiro

NAZIONALE
Ancora nessuna chiamata per Mayke da parte del ct Dunga, anche perché in quel ruolo per ora la nazionale è coperta. Negli ultimi tempi il posto da titolare se lo giocano Danilo e Fabinho del Monaco, ma Dani Alves e Maicon non sono fuori dal giro. Inoltre, va considerato il fatto che anche Mário Fernandes è stato chiamato di recente. Insomma, per Mayke sarà una grande battaglia; ma se ne uscirà vincitore, allora potrà dirsi un grande giocatore. Anche per la Seleção.

LA SQUADRA PER LUI
Il Cruzeiro si sta pian piano smontando: è partito Ricardo Goulart, è andato via Marcelo Moreno. Possibile che il prossimo sia proprio Mayke, corteggiato da molti club europei. Anche perché il suo contratto con la Raposa scade nel dicembre 2016 e monetizzare il suo talento sembra opportuno per il club brasiliano. Il Porto starebbe pensando al terzino della Celeste per sostituire Danilo, finito in orbita Real Madrid e probabile partente in estate. Le italiane possono far qualcosa? Se qualcuna di queste avesse qualche milione da spendere, sì.

9.3.15

Coach Vahid.

Il Giappone si è risvegliato male in questo 2015: dopo un Mondiale deludente, è arrivata anche l'eliminazione ai quarti della Coppa d'Asia nel gennaio scorso. In più, Javier Aguirre - ct dal luglio scorso - è stato esonerato per il coinvolgimento nel caso spagnolo delle scommesse riguardante il Real Zaragoza. Ora però c'è una (quasi) certezza da cui ripartire: Vahid Halilhodžić sarà il nuovo ct della Nippon Daihyo dal 12 marzo.

Javier Aguirre, 56 anni, esonerato da ct del Giappone nel febbraio 2015.

Il Giappone si è separato da Javier Aguirre dopo l'ultima Coppa d'Asia. No, i risultati non c'entrano nulla. Il tecnico messicano - sin dal suo insediamento dopo il Mondiale - era tra i sospettati in un'indagine della federazione spagnola su alcune partite truccate. Lui ha sempre negato di esser stato coinvolto in una combine durante la Liga 2010-11: nell'ultima giornata di quel campionato, il suo Real Zaragoza si salvò con un 2-1 sul Levante. 
Un caso che ha coinvolto persino Gabi, capitano dell'Atlético Madrid. Molti hanno spesso pensato che quella gara fosse truccata. Quando il messicano è stato iscritto al registro degli indagati nel processo che è partito a febbraio, la JFA ha fatto quello che molti ipotizzavano: licenziamento di Aguirre e ricerca di un nuovo ct. La JFA sapeva quanto quest'ipotesi fosse concreta: ciò nonostante, si è preso il rischio e ora tocca ricominciare da capo.
Il tecnico messicano lascia il Giappone con un 70% di vittorie e la sensazione che (forse) il suo lavoro avrebbe potuto portare la nazionale a un nuovo livello. Non ne abbiamo la certezza, ma sicuramente si è visto qualcosina di diverso rispetto a Zaccheroni. Personalmente preferisco il 4-2-3-1 dell'ex tecnico di Udinese e Milan, ma il 4-1-4-1 di Aguirre ha permesso al Giappone di dominare ancor di più le gare della Coppa d'Asia. 
Dopo una sconfitta contro l'Uruguay alla prima da ct e una batosta firmata Neymar contro il Brasile, la squadra si era adattata a questo tipo di formazione. Tuttavia, nei momenti decisivi, è mancato quel killer-instinct che da sempre latita tra i giocatori nipponici. Credo che i quarti contro gli Emirati Arabi Uniti (qui le statistiche) parlino da soli nel dimostrarlo.
Nonostante le lodi, qualche difetto Aguirre l'ha palesato. Si è dimostrato incapace di far ruotare la squadra, tanto che molti giocatori sono arrivati esausti ai quarti di finale. Non è una giustificazione, ma ha pesato. Inoltre, qualche freccia al suo arco dalla panchina in più l'avrebbe potuta avere.
Nonostante tutte le critiche che si è preso nei pochi minuti giocati, Yohei Toyoda in certe gare - specie come quella dei quarti di finale - poteva esser utile. Il fatto che non abbia segnato in quei 65' giocati non vuol dire che non fosse da provare. Stessa cosa vale per Shibasaki, decisivo ma forse impiegato tardi. Infine, la scelta di far giocare Kagawa da mezz'ala e Honda esterno sono IMHO dei suicidi, ma è inutile piangere sul latte versato.


Per ripartire, la JFA ha scelto un generale tra diversi candidati. Un uomo dai toni duri ma che - se seguito in maniera compatta - trasforma un gruppo in invincibile. Vahid Halilhodžić ha una carriera che parla per lui: ex grande attaccante yugoslavo degli anni '80, il bosniaco è diventato un tecnico conosciuto a cavallo tra anni '90 e 2000. 
Halilhodžić prende il Lille, allora impelegato nella zona retrocessione in Ligue 2: li salva, li fa promuovere e poi li porta persino al terzo posto della Ligue 1 alla stagione d'esordio. Memorabile l'arrivo in Champions League nel 2001-02: da lì Halilhodžić diventa Coach Vahid, che però lascia a fine anno, accusando i suoi dirigenti di non avere abbastanza ambizione.
Da lì Rennes, PSG, Trabzonspor, un biennio con la Costa d'Avorio e infine la Dinamo Zagabria. Ma il vero capolavoro di Halilhodžić è rappresentato dall'Algeria. Prende il comando delle Volpi del Deserto nel luglio 2011, dopo aver lasciato Zagabria. 
Gli inizi sono incoraggianti, ma il progetto sembra naufragare dopo la Coppa d'Africa 2013, nella quale l'Algeria esce nella fase a gironi e senza vittorie. La federazione algerina decide di tenersi Halilhodžić: scelta saggia, visto che il bosniaco porta la squadra in Brasile.
Io stesso pensavo che l'Algeria sarebbe stata una delle squadre più deboli della competizione. Anzi, ricordo una discussione con un utente su Facebook riguardo le possibilità dei nord-africani. Lui era convinto che sarebbero andati avanti. E aveva ragione: ignorando le parole dell'Avvocato Buffa, Halilhodžić mi ha dimostrato come la sua Algeria valesse molto. 
Pareggio con il Belgio, grandissima vittoria con la Corea del Sud e un punto con la Russia per passare. Poi l'Algeria è stata anche l'avversaria che più ha fatto tremare la Germania nel suo cammino verso la Coppa del Mondo: un 2-1 ai supplementari molto sofferto. Insomma, il cammino dei nord-africani è stato straordinario.
Halilhodžić è un uomo di concretezza, che è stato capace di affrontare il Mondiale con diversi moduli (da un 3-4-3 difensivo a un 5-4-1). Il bosniaco è tornato in estate a Trebisonda, ma il suo secondo stint non è andato bene e le parti si sono separate a novembre. Già dalle prime scelte che farà per le prossime amichevoli capiremo che tipo di taglio vorrà dare al suo Giappone. 
Il ct è atteso da due match: il 27 marzo la Tunisia a Oita, il 31 l'Uzbekistan a Tokyo. Intanto, a definire Halilhodžić ci ha pensato una sua citazione: «It is better to win ten times 1-0 than to win once 10-0». Se non è concretezza questa... quella che al Giappone sarà certamente utile. いらっしゃい, coach Vahid!

Vahid Halilhodžić, 62 anni, è il nuovo ct del Giappone.

6.3.15

«Futebol está no meu sangue»

Gioco del destino più beffardo non poteva esserci. A dicembre, Nelsinho Baptista ha deciso di cambiar vita: ha lasciato il Kashiwa Reysol dopo anni di successi per iniziare una nuova vita calcistica altrove. Poi l'offerta del Vissel Kobe è stata troppo vantaggiosa per esser rifiutata e così il brasiliano continuerà la sua avventura nipponica. E la prima giornata di J-League propone proprio l'incrocio col recente passato al Noevir Stadium Kobe.

Nelsinho è stato per cinque stagioni il tecnico dei Kashiwa Reysol.

Domani sarà un gran giorno non solo per l'apertura della J-League (che torna a essere - purtroppo - una 2-stage season), ma anche perché Vissel-Kashiwa è il piatto principale della giornata. E non potrebbe essere altrimenti non solo per i valori in campo - visto che si affrontano due squadre molto interessanti - ma anche perché Nelsinho Baptista sarà al centro dell'attenzione. L'uomo di Campinas è sicuramente uno degli allenatori più vincenti mai transitati in Giappone dall'avvento del professionismo e uomo dai risultati sicuri.
Classe '50, Nelsinho è stato un giocatore discreto negli anni '70, durante i quali ha vestito le maglie di San Paolo e Santos. Poi il passaggio alla panchina, con varie esperienze in patria. Il primo passaggio nipponico è stato nel biennio 1995-1996, quando diventa il tecnico della squadra più forte all'epoca in J-League, ovvero i Verdy Kawasaki. Nelsinho vince una Coppa dell'Imperatore e poi rischia addirittura di diventare il ct del Giappone, ma la Jfa all'ultimo sceglie Shu Kamo e così Nelsinho torna in patria. Vorrebbe imporsi in Brasile, ma il tecnico non riesce a vincere più di qualche campionato statale.
E poi quel legame con il Giappone è inevitabile. Tra il 2003 e il 2005 Nelsinho allena anche i Nagoya Grampus Eight, senza però lasciare chissà quale traccia. Il vero incontro del destino è con i Kashiwa Reysol, che assumono l'allenatore brasiliano nel luglio 2009. All'epoca il club rischia la retrocessione e nemmeno l'assunzione di Nelsinho cambia il trend. E lì poteva cambiare la storia: il board del club - di proprietà della Hitachi - avrebbe potuto cacciarlo. Invece, la dirigenza lascia in carica Baptista e gli permette di progettare la risalita per il 2010.
Altro che risalita. Sarà un trionfo. All'Hitachi Stadium arriva dal Cruzeiro Leandro Domingues e i giovani Kudo, Barada, Hiroki Sakai e Tanaka crescono velocemente. I Kashiwa Reysol ritornano in J-League dopo un solo anno di purgatorio, vincendo il campionato. L'anno dopo l'obiettivo sembra solo salvarsi, invece c'è un'altra annata straordinaria: il Kashiwa Reysol è il primo club neo-promosso a vincere la J-League. Lo fa meritatamente, grazie all'aggiunta di giocatori come Jorge Wagner e alla definitiva maturazione di un gruppo unito. Una squadra che negli anni successivi vince altri quattro trofei: la Coppa dell'Imperatore e la Supercoppa giapponese nel 2012, la J-League Cup 2013 e il Suruga Bank Championship nel 2014. In più, una cavalcata nella Champions League asiatica, conclusasi solo in semifinale contro il Guangzhou Evergrande di Lippi.
Nelsinho aveva già lasciato Kashiwa nell'agosto 2013, ma poi tutto è rientrato e il brasiliano ha continuato fino al dicembre scorso. L'addio si è consumato nella penultima gara stagionale, giocata in casa contro l'ormai salvo Shimizu S-Pulse. Del risultato finale non importava molto a nessuno: tutti erano lì per salutare Nelsinho. Un addio commosso, perché il brasiliano è stato fondamentale nella crescita dei Reysol. Forse solo Akira Nishino con il Gamba Osaka è riuscito - come Nelsinho - a cambiare il volto di una città, di un club, di una tifoseria per sempre.

P.S. Comunque, nell'ultima gara, Nelsinho ha lasciato un regalo d'addio mica male: con il 2-1 ottenuto contro l'Albirex Niigata, il Kashiwa Reysol si è piazzato al quarto posto, valido per i preliminari della Champions League asiatica.


Ora parte una nuova sfida con il Vissel Kobe: l'obiettivo è ripetere quanto fatto già a Kashiwa, ma con molti più soldi. Già, perché il Vissel ha diverse risorse finanziarie (finora spese nel baseball, sport con maggior presa in Giappone). E oltretutto il Vissel ha finora ottenuto un nono posto come miglior risultato nella storia del club in J-League. Chiaro che Nelsinho possa far di meglio di un nono posto, specie con la squadra che si ritrova a disposizione. In fondo, già nel 2014 a Kobe hanno assaggiato l'aria dell'alta classifica sotto la guida di Ryo Adachi.
Il manager dell'anno nel 2011 può fare di meglio. Come ha riassunto Steve Barme su Japanfooty, il Vissel Kobe si prepara a essere un dark horse, un outsider da guardare in questa J-League. Se Nelsinho riuscisse a tener sotto controllo la situazione e a tirar fuori il meglio dai suoi giocatori dal punto di vista motivazionale, allora a Kobe si possono preparare a una stagione straordinaria. La campagna acquisti è stata ambiziosa, con gli arrivi dell'esperto Yasuda dal Sagan Tosu, di Takahashi dall'Omiya Ardija e di Watanabe dall'F.C. Tokyo. L'attacco è pieno di talento, sebbene l'umorale Pedro Junior dovrà dimostrare più continuità.
Gli ingredienti perché Nelsinho confermi di essere uno dei migliori allenatori mai passati in J-League ci sono tutti. Ma prima c'è l'ostacolo Kashiwa, da affrontare subito. Via il dente, via il dolore per ciò che è stato e non tornerà più. «Ho un gruppo di vincenti, adesso sta a me vincere qualcosa», ha detto Nelsinho nel pre-season. Chissà se riuscirà a ripetere quella straordinaria epoca di successi avuta a Kashiwa. Intanto suo figlio allena lo Sport Recife, dove Nelsinho ha fatto bene. Tornando in Brasile nel gennaio scorso, il tecnico ha detto: «Dopo sei anni in un club, ho deciso di andare a Kobe. Ho preso una sfida ancora più grande: ho siglato un contratto di due anni e voglio rispettarlo. Dopo quello, solo Dio sa cosa accadrà». E allora godiamoci questo biennio di Nelsinho a Kobe: come ha detto lui, «futebol está no meu sangue».


Nelsinho Baptista, 64 anni, promette grandi cose per il suo Vissel Kobe.

4.3.15

#BoycottQatar2022

La follia è un tratto dell'uomo che non passa in un secondo, ma ci vogliono anni. Così non stupisce che la Fifa vada avanti per la sua strada per quanto riguarda i Mondiali del 2022, assegnati al Qatar con 12 anni d'anticipo e che (probabilmente) si giocheranno d'inverno. Tutto ciò nonostante i mille dubbi dei club, degli addetti ai lavori e persino di semplici osservatori come l'Espn, che ha prodotto un ottimo documentario sulle condizioni dei lavoratori per costruire gli stadi del Mondiale 2022.


Ci sarebbero tanti punti da rivedere. Non scopriamo oggi che la Fifa sia un'organizzazione dai mille problemi: corruzione, malaffare, clientelismo, disordine. Io stesso vi avevo parlato dei problemi su Qatar 2022 nel luglio 2013, quando l'evento era ancora in dubbio e il processo d'assegnazione reversibile. E il Mondiale brasiliano ha dimostrato come anche in un paese ben organizzato tanti problemi possono sorgere, specie se non si ha il supporto della volontà popolare. Tuttavia, a sette anni dal Mondiale qatariota, sembra giusto sviscerare più attentamente quanto sta accadendo in questi giorni.
Da un punto di vista squisitamente tecnico, organizzare la Coppa del Mondo in Qatar ha lo stesso valore che organizzarla in Niger o in Guatemala: la squadra non è assolutamente pronta. Se volete una dimostrazione recente di quanto vi sto dicendo, guardate la performance del Qatar nell'ultima Coppa d'Asia: tre sconfitte, due gol fatti, sette subiti. Non è solo una squadra inesperta, non è neanche tra le migliori della parte araba del continente. Gli Emirati Arabi Uniti, la Giordania e l'Arabia Saudita sono squadre nettamente superiori. E non sto parlando di una rassegna che ha avuto luogo anni fa, ma nel gennaio 2015. Difficile capire come questo parco giocatori possa migliorare in sette anni, anche perché non credo che una vittoria dell'U-19 a livello continentale basti per migliorare il proprio tasso tecnico.

Michael J. Garcia, l'autore del Garcia Report per conto della Fifa.

Per non parlare della data di questo Mondiale: solitamente si gioca d'estate, ma la Fifa - per ovviare al problema del caldo - ha proposto un periodo compreso tra novembre e dicembre 2022. Una follia per diversi motivi. Primo: si rivoluzionerebbe un intero calendario. L'Australia subirebbe lo spostamento dell'A-League, mentre la Premier League è pronta a far causa alla Fifa per i soldi persi nel Boxing Day e a Natale. Secondo: a gennaio 2023 si dovrebbero giocare Coppa d'Asia e Coppa d'Africa. Cosa facciamo, Giappone e Ghana giocano Mondiale e rassegna continentale in tre mesi, rubando i giocatori ai rispettivi club per 90 giorni?
Si pensa di ospitare la Coppa d'Africa 2023 in Guinea durante l'estate. Ma se c'è un problema di caldo per il Mondiale qatariota, non credo che in Guinea farà meno caldo. Anche perché c'è un piccolo dettaglio: a giugno in Guinea parte la stagione dei monsoni! Inoltre, spostando queste due competizioni in estate, si creerebbe un affollamento intercontinentale: così facendo, l'estate 2023 vedrebbe quattro competizioni continentali (si aggiungerebbero anche la Gold Cup e la Copa America)! Terzo: l'estate è il momento ideale per giocare un Mondiale, quando la stagione volge al termine. Giocarlo in mezzo all'anno non avrebbe molto senso.
Ci sono anche altri due problemi. Il primo riguarda un'investigazione sulle modalità con il quale il Qatar ha conquistato l'ambito evento c'è stata. Il Garcia Report - redatto da Michael J. Garcia in due anni - ha voluto scavare in questo torbido affare. Garcia non ha potuto sentire Mohammed bin Hammam, ex-vice di Blatter e autore di molti atti di corruzione nel favorire il Qatar. Un report zoppo, senza aiuti e che avrebbe tentato di investigare anche sull'assegnazione alla Russia del Mondiale 2018.
La redazione finale di Hans-Joachim Eckert, capo della commissione etica della Fifa, ha lasciato Garcia interdetto, anche perché sono state pubblicate solo le conclusioni di Eckert e non l'intero report. Secondo Eckert, Russia e Qatar hanno la facoltà di ospitare rispettivamente i Mondiali del 2018 e del 2022, sebbene venga precisato come l'indagine non è stata completa (alcuni account email distrutti, impossibile l'accesso alla Russia per Garcia, etc.). La Germania voleva la pubblicazione dell'intero report e la Fifa è arrivata addirittura a denunciare sé stessa alla polizia svizzera. Garcia si è poi dimesso (sentendosi giustamente preso in giro) dal comitato etico della Fifa e ora tutti ci ritroviamo a brancolare nel buio. Esattamente come due anni fa.
Il secondo problema non è di poco conto: nonostante il petrolio sul quale galleggia, secondo Bloomberg il Qatar avrebbe chiesto - nell'aprile del 2013 - di tagliare le location del Mondiale da 12 a 8-9. Questo perché i costi della manifestazione stanno di gran lunga superando i 95 miliardi di dollari previsti.



Come ci ricorda Daniel Barker su Twitter, però, il fatto più grave è che molta gente stia morendo per organizzare questo Mondiale. Il documentario dell'Espn all'inizio dell'articolo mostra come in realtà il governo qatariota stia coprendo queste morti - giunte a quota 1200 nel febbraio di quest'anno - con la causa di "attacco cardiaco". Lo fa addirittura contattando le ambasciate, costringendole a negare le vere cause dietro le morti dei loro connazionali. Il Qatar sta sfruttando le parti più povere del mondo - India, Nepal, Pakistan e altri paesi del sud asiatico - per farle lavorare a condizioni disumane e paghe ridicole. Come ha detto John Oliver qualche mese fa: «L'organizzazione del Mondiale 2022 rischia di essere la più grande costruzione mortale dopo la realizzazione delle piramidi in Egitto».
Eppure nulla cambia. A breve si terranno le elezioni della presidenza Uefa, dove Michel Platini è l'unico candidato per la tornata elettorale del 24 marzo prossimo. Non si è fatto neanche lo sforzo di proporre un avversario. E nonostante i tanti screzi con Blatter, alla fine entrambi si sono trovati d'accordo sul giocare il Mondiale 2022 d'inverno, con buona pace dei club che si lamentano. Platini si prepara al terzo mandato (è presidente dal 2007) e ha già pronto l'Europeo itinerante nel 2020: un'idiozia senza precedenti. Così come il Fair-Play Finanziario, del quale stiamo aspettando la scure sui grandi club, mentre Rayo Vallecano e Malaga hanno dovuto rinunciare alla qualificazione all'Europa League 2013-14.
Per non parlare delle elezioni per la presidenza Fifa. Quelle del 29 maggio prossimo vedranno Sepp Blatter fronteggiare qualche avversario: Michael van Praag, presidente della federazione olandese ed ex patron dell'Ajax; Luis Figo, ex stella del calcio portoghese e scandalizzato dalla mancata pubblicazione del Garcia Report; infine, il principe giordano Ali Bin Al-Hussein, già vice-presidente Fifa e voglioso di sfidare l'attuale numero uno. Personalmente sarei a favore degli ultimi due, ma Rumenigge ha riassunto per tutti il quadro vigente: «Finché Blatter si candiderà, vincerà. Ha una base di potere troppo forte». Del resto, 17 anni da numero uno della più importante organizzazione calcistica si può spiegare solo così.
Mi rendo conto che noi tifosi abbiamo veramente poco potere in mano. Ed è un peccato, perché sarebbe bello coinvolgere i supporters di tutto il mondo nelle decisioni del calcio mondiale. Una sorta di parlamento del pallone, in grado di portare le giuste domande a chi comanda nei piani alti del calcio. Invece, siamo di fronte alle solite farse. E quel che è peggio è che ci prepariamo ad altri anni di prese in giro, quando ci sarebbe invece tanto da sistemare in questo mondo del calcio così confusionario.
Probabilmente è una follia, ma ci sarebbe da lanciare un hashtag: #BoycottQatar2022. I tifosi non vogliono il Mondiale lì. E un Mondiale senza tifosi, non sarà bello. Su questo non ci sono dubbi. Se la Fifa intende regolarizzare questa follia - per altro nelle maniere che già conosciamo - io non ci sto. Spero che tanti la pensino come me. Amo i Mondiali: credo siano la manifestazione sportiva più bella insieme alle Olimpiadi. Tuttavia, il pensiero di accendere la tv e dare legittimazione al comportamento di coloro che hanno così tanti morti sulle spalle è un peso troppo grande da sopportare.

La Coppa del Mondo 2022 si svolgerà in Qatar. O forse no?

2.3.15

Yes, they Caen.

Sembravano spacciati: alla fine del girone d'andata, la classifica recitava ultimo posto e solo 15 punti conquistati. Poi la svolta: il Caen è la squadra del momento non solo in Ligue 1, ma anche in Europa. Sei vittorie e un pareggio nelle ultime sette in campionato. Lo scalpo dell'OM, del Saint-Etienne e un pareggio in rimonta al Parco dei Principi. Un'impresa incredibile, se pensiamo dov'era lo Stade-Marbelhe a dicembre scorso.


Il Caen non è una società dalla storia importante. Nata nel 1913, ha per lo più militato nelle divisioni inferiori, fino ad arrivare in Ligue 1 nel 1988. Gli anni '90 sono stati sopratutto in prima divisione, mentre alla fine di quelli 2000 si è arrivati all'ascensore, ovvero a una salita e discesa continua tra prima e seconda serie. Retrocessi nel 2011, i ragazzi di Garande si sono ripresi la Ligue 1 l'anno scorso, quando sono arrivati dietro a Metz e Lens in Ligue 2. Un miracolo fatto di 12 risultati utili consecutivi, che hanno portato l'SM da metà classifica alla promozione.
Quest'estate il Caen ha perso diversi giocatori importanti. Autret e Kodjia erano stati due colonne della promozione, ma erano in prestito e i due sono tornati rispettivamente al Lorient e all'Angers. Le due perdite più grandi però sono state altrove. Molla Wague, che oggi vediamo con la maglia dell'Udinese in Serie A, è stato fino a qualche mese fa un giocatore del Caen (nonché prodotto del settore giovanile), lasciando poi i rossoblu a parametro zero. Stessa sorte per Fayçal Fajr, trequartista franco-marocchino: leader degli assist nella scorsa Ligue 2 con il numero-record di 15 passaggi vincenti, il fantasista ha lasciato Caen per firmare con l'Elche.
I primi guai sono stati evidenti e immediati. Con tutti questi cambiamenti, la squadra ha faticato a trovare la quadratura del cerchio. Nonostante il primo posto della Ligue 1 raggiunto dopo tre giornate, i primi risultati sono stati un inganno. Dopo il mese di agosto, il Caen ha ottenuto una sola vittoria nelle successive 17 giornate, per un totale di nove punti. Pochissimi, tanto che la retrocessione sembrava scontata. Mettiamoci anche il coinvolgimento del presidente del club, Jean-François Fortin, nell'inchiesta delle partite truccate in Francia e abbiamo un quadro completo e difficile per il club rossoblu.
Da metà gennaio, lo Stade-Marbelhe ha ottenuto 19 punti in sette gare e la salvezza sembra molto più vicina. Lo testimoniano anche i dati di Squawka. Se restringiamo l'analisi al periodo magico dei rossoblu, il Caen diventa la prima squadra nelle categorie dei gol segnati, dei gol da fermo e dei punti fatti in questo periodo. Se allargassimo lo sguardo alle medie per gara delle squadre nelle prime cinque leghe europee, il Caen è terzo nell'intero continente per gol fatti (dietro solo a Barcellona e Bayern!) e primo per rete su palla da fermo.


A garantire la continuità ci ha pensato il tecnico, Patrice Garande. Già assistente dal 2009 al 2012 del grande Franck Dumas (per sette anni alla guida dell'SM), Garande ha preso la guida della squadra in Ligue 2. All'epoca il Caen navigava a metà classifica in seconda divisione, poi la promozione e la grande corsa invernale di quest'anno. A Marsiglia, nell'ultima vittoria clamorosa (in rimonta da 0-2 a 3-2), Garande ha spiegato la chiave del successo: «Mettere pressione su Imbula». Ovvero il cervello della squadra di Bielsa. Sebbene il contratto del tecnico sia in scadenza il giugno prossimo, il rinnovo non pare in dubbio.
La svolta l'hanno data anche i rinforzi di gennaio. In questo mercato invernale, il Caen si è mosso molto: via in prestito il deludente Raspentino e Mathieu Duhamel (capocannoniere fin lì della squadra con otto reti), dentro Emiliano Sala dal Bordeaux e Nicolas Benezet dall'Evian (arrivato nell'ambito dello scambio con Duhamel). L'argentino è stato importante, con quattro gol in altrettante gare per il Caen, mentre l'ex Evian ha portato l'ultima vittoria a Marsiglia. E poi c'è stata anche l'esplosione di Sloan Privat, arrivato quest'estate dal Gent: tre reti nella striscia vincente di gennaio-febbraio. Ci sono anche alcuni giovani che stanno crescendo nel 4-3-3 di Garande: da Lenny Nangis (ala classe '94) a N'Golo Kanté, fino a Damien Da Silva.
In più, avere l'esperienza a proprio vantaggio aiuta. Remy Vercoutre e Julien Féret sono stati considerati troppo presto due ferri vecchi, incapaci di incidere ancora a certi livelli. Se l'ex Lione si sta rivelando uno dei migliori portieri di questa Ligue 1 (quarto per media-parate), il numero 25 del Caen è secondo nel performance score di Squawka, terzo per media-gol segnati e secondo per media-assist nel periodo vincente dei rossoblu. Senza dimenticare l'apporto di Nicolas Seube, alla 14° stagione con la maglia del Caen.
Allo Stade Michel-d'Ornano ora si sogna. Si sogna una salvezza con anticipo. Si sogna di battere il miglior piazzamento del club nella storia, un quinto posto datato 1991-92. Magari è troppo, ma con questo ritmo indemoniato e a nove punti di distanza dal St. Etienne, nulla è impossibile. Il gruppo dell'SM sembra essersi improvvisamente cementificato e ora qualunque squadra farà fatica contro di loro. Intanto, però, la salvezza non appare più irraggiungibile. Ha parlato per tutti il d.g. Xavier Gravelaine: «Ci sono stati un paio di temporali, ma ora ci siamo». Eccome se ci sono. Sono meglio del Real Madrid, almeno in questo periodo.

Julien Féret. 32 anni, il cervello di questo straordinario Caen.