28.11.16

ROAD TO JAPAN: Ataru Esaka

Buongiorno a tutti e benvenuti al penultimo numero del 2016 riguardo "Road to Japan", la rubrica che cerca di scoprire i nuovi talenti che si fanno largo nel panorama nipponico. Oggi ci spostiamo a Saitama, dove si festeggia il primo titolo degli Urawa Reds in un decennio, ma c'è anche la miglior stagione dell'Omiya Ardija. Tra loro, c'è Ataru Esaka.

SCHEDA
Nome e cognome: Ataru Esaka (江坂任)
Data di nascita: 31 maggio 1992 (età: 24 anni)
Altezza: 1.75 m
Ruolo: Ala, seconda punta, esterno di centrocampo
Club: Omiya Ardija (2016-?)



STORIA
Nato a Sanda (prefettura di Hyōgo) nel maggio del 1992, Esaka frequenta la Kobe Koryo Gakuen High School prima di iscriversi alla Ryutsu Keizai University. L'università di Ryugasaki è famosa soprattutto per la sua squadra di calcio, che milita in Japan Football League (quarta divisione), nonché capace di vincere il 1st stage del 2016.
Da quell'ambiente sono usciti giocatori come Tomoya Ugajin, Yuki Muto, Kazuya Yamamura e Akihiro Hayashi. E anche Esaka si fa notare, portando la sua squadra a discreti livelli e vincendo alcuni premi individuali. Quando si tratta di compiere il salto da professionista, la scelta ricade su una compagine di J2, il Thespakusatsu Gunma.
Da sempre in lotta per rimanere nella categoria, Esaka è la chiave per il 2015 del Thespa. La squadra di Gunma si salva con qualche giornata d'anticipo e soprattutto permette al ragazzo di esprimersi al meglio: 13 gol, tante buone prestazioni e il soprannome Prince of Thespa. Normale che i club della prima divisione si fiondino su di lui.
A sfruttare l'occasione è l'Omiya Ardija, appena tornato in J1 e che ha potuto assistere da vicino al potenziale dell'ala. Il 4-4-2 - a volte 4-2-3-1 - dell'Omiya gli è congeniale, ma il tecnico Hiroki Shibuya lo lascia cuocere un po' in panchina: vuole dargli minuti gradualmente, senza buttarlo subito nella mischia rischiando di bruciare il ragazzo.
Quando però l'Omiya decolla e dimostra di poter stare nelle posizioni di testa, Esaka trova sempre più spazio. Non solo: ha dimostrato di poter giocare anche più centralmente, mostrando una discreta duttilità. Il bilancio di 40 presenze e 10 reti (di cui sei nel girone di ritorno) è incoraggiante per il futuro.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Esaka sembra una prosecuzione della grande tradizione di trequarti offensivi che il Giappone e la J. League stanno regalando negli ultimi anni. Se c'è però un tratto che sembra contraddistinguerlo, è il fatto che il talento dell'Omiya abbia un filo meno di tecnica e più attenzione tattica, nonché intelligenza nel capire dove andrà la partita.
Quest'anno Shibuya l'ha fatto giocare ovunque: all'inizio da esterno sinistro nel 4-4-2 per sfruttare i suoi tagli verso la porta. Poi seconda punta nel duo d'attacco, infine centravanti in rari casi d'emergenza e a causa della scarsa forma di Mrdja durante la stagione.
Ha funzionato un po' ovunque, tanto da ricordarci i difetti: eccellere in qualcosa è importante, così come rinforzare la struttura fisica. Impressiona la sua buona preparazione nel fondamentale dei colpi di testa, visto che spesso l'abbiamo visto in gol con questa modalità.

STATISTICHE
2015 - Thespakusatsu Gunma: 43 presenze, 13 reti
2016 - Omiya Ardija (in corso): 40 presenze, 10 reti

NAZIONALE
Parlare di nazionale è difficile. Mi auguro che Halilhodzic non vada solo a vedere gli Urawa quando si trova a Saitama, perché quest'anno l'Omiya ha offerto tre-quattro giocatori che meriterebbero almeno la chiamata a uno stage. Con Honda e Kagawa in pessime condizioni, però, non è detto che Esaka non abbia una chance prima o poi.

LA SQUADRA PER LUI
L'opzione consigliabile sarebbe un acquisto anticipato, magari lasciando il ragazzo ancora a Saitama fino a giugno. In fondo, una conferma sarebbe auspicabile e il sito di mercato transfermarkt per ora mette una price tag da 400mila euro sulla testa di Esaka. Un prezzo fattibile, specie se guardato in prospettiva.

20.11.16

Mr. Trinita says goodbye.

È una domenica chiaro-scura quella a Tottori. È appena finita la stagione di J3 League, che ha regalato la promozione all'Oita Trinita: la squadra del Kyushu - seguitissima e con un impianto fantastico - tornerà in J2 dopo appena un anno di purgatorio. Ma non c'è una festa totale, perché è anche l'ultima con l'Oita di Daiki Takamatsu, Mr. Trinita.

I tifosi dell'Oita Trinita celebrano il loro capitano in curva.

Classe 1981, Takamatsu è nato Ube, nella prefettura di Yamaguchi. Daiki frequenta la Takagawa Gakuen High School e nel '99 il Sanfrecce Hiroshima mette gli occhi su lui e un suo compagno di scuola, Genki Nakayama. Ma se quest'ultimo firmerà per il club di Hiroshima l'anno successivo, le cose andranno diversamente per Takamatsu.
Nakayama ha girato il Giappone tra Hiroshima, Sapporo, Hiratsuka e Yamaguchi, dove oggi è tornato: coetaneo di Takamatsu, ha smesso nel 2012 e oggi Nakayama è uno dei coach per l'U-18 del Renofa. C'è da sorridere pensando a come sarebbe andata la carriera di Takamatsu se fosse stato scelto dai Sanfrecce. Invece, Oita lo aspetta.
L'Oita Trinita si è appena affacciato al professionismo, visto che la squadra del Kyushu è uno dei dieci club originari nella stagione inaugurale della J2 League, la seconda divisione nipponica. Dal 2000 Takamatsu è entrato nel club, instaurando un rapporto straordinario con l'ambiente di Oita e con i tifosi del Trinita.
Non è mai stato un bomber: in carriera, Takamatsu ha superato la doppia cifra stagionale solo due volte, di cui solo una contando le reti in campionato. Tuttavia, ha sempre giocato parecchio durante tutti gli anni 2000, raggiungendo il massimo di 12 reti nella J1 League 2006. L'Oita per un po' è rimasto in prima divisione, poi è retrocesso.
Tuttavia, il momento più importante per Takamatsu è stato nella stagione 2008. Non solo per il miglior piazzamento nella storia del club (quarto e a un passo dalla qualificazione per l'AFC Champions League), ma soprattutto la vittoria nella J. League Cup, nella quale Takamatsu è stato fondamentale per alzare il trofeo più importnate.
Nella finale di Tokyo, Takamatsu segna il gol d'apertura contro lo Shimizu S-Pulse con un'incornata decisa. Quando viene sostituito al minuto 82, lui si toglie a fascia di capitano e il pubblico lo applaude. Qualche minuto più tardi, Ueslei segnerà il raddoppio e Takamatsu alzerà il secondo (e ultimo) trofeo nella breve storia del club.
Takamatsu ha fatto parte di un club che ha contribuito alla storia e allo sviluppo del calcio giapponese: quel 1° novembre 2008, l'Oita ha messo in campo Masato Morishige Mu Kanazaki. In panchina c'erano Akihiro Ienaga e Hiroshi Kiyotake, tutti giocatori che oggi - in patria o all'estero - hanno avuto una discreta, se non ottima carriera.


Non è stato sempre facile, però. Nel 2011, quando il suo stipendio sembra troppo alto per le casse del club, Takamatsu va in prestito al F.C. Tokyo, retrocesso in seconda divisione. Solo cinque presenze a causa di un brutto infortunio, prima di tornare all'Oita Trinita. Takamatsu ha anche vestito la maglia del Giappone, disputando due gare con la Nippon Daihyo.
Tuttavia, l'età avanza per tutti e si pensava che prima o poi l'addio fosse pronosticabile, specie con la discesa dell'Oita in J3. L'annuncio del ritiro è arrivato dallo stesso attaccante in un blog che lui stesso gestisce: «Sono sicuro che l'Oita Trinita tornerà in alto anche senza di me. Sono contento di aver dato 16 anni alla causa del club. Grazie a tutti».
L'occasione per salutare tutti è arrivata nell'ultima gara in casa contro lo YSCC: l'Oita non solo ha festeggiato il sorpasso ai danni del Tochigi per la promozione diretta in J2 con un ottimo 3-0, ma ha potuto celebrare Takamatsu. Apparso commosso ai microfoni di fronte a 11mila persone, l'attaccante ha salutato i propri fan, anche se la J3 non era ancora conclusa.
Attenzione: non è che le occasioni per festeggiare Mr. Trinita fossero mancate. Già ad agosto scorso molti tifosi si erano riuniti per celebrare la storia di Takamatsu. E lo stesso club, in occasione dell'ultima gara casalinga, ha proiettato un breve filmato che riassumeva i 16 anni di Takamatsu al Trinita.
Oggi tutto si è concluso: Takamatsu non figurava neanche in panchina, ma la vittoria dell'Oita per 4-2 sul campo del Gainare Tottori ha permesso al club di tornare in J2. Un ritorno ben voluto, visto il pubblico appassionato del Kyushu. Ma ai gialloblu forse mancherà quel numero 13, che speriamo possa esser ritirato. Goodbye, Mr. Trinita.

Daiki Takamatsu, 35 anni, saluta l'Oita Trinita dopo 16 stagioni.

14.11.16

UNDER THE SPOTLIGHT: Yerry Mina

Buon pomeriggio a tutti e benvenuti al penultimo numero di "Under the Spotlight" per questo 2016, la rubrica che vi consente di scoprire i talenti che emergono nel mondo del calcio. Oggi ci spostiamo in Brasile, anche se parliamo di un giocatore colombiano: Yerry Mina ha le stesse quantità di esuberanza, talento e rischio che ci vogliono per parlare di un prospetto sudamericano.

SCHEDA
Nome e cognome: Yerry Fernando Mina González
Data di nascita: 23 settembre 1994 (età: 22 anni)
Altezza: 1.95 m
Ruolo: Centrale difensivo
Club: Palmeiras (2016-?)


STORIA
Yerry nasce nel municipio di Guachené, uno dei più giovani del territorio colombiano (è stato costituito solo nel 2006). In Colombia il calcio è una religione e Mina non può che partecipare, ma il suo destino sarebbe potuto essere molto diverso. Da piccolo, infatti, veniva schierato da portiere per sfruttare l'altezza maggiore rispetto ai coetanei.
A cambiare il destino del giovane Yerry è stato il padre: «Quando ho cominciato, giocavo da portiere. Tuttavia, mio padre ha insistito affinché abbandonassi quella posizione e giocassi in mezzo al campo. Lui e mio zio mi hanno sempre dato molti consigli, tra cui quello di star concentrato ed esser motivato una volta sul terreno di gioco».
Tutto giusto: infatti Yerry cresce e sfrutta la sua altezza oltre il metro e novanta per diventare un centrale difensivo. L'esordio da professionista arriva con il Deportivo Pasto nel 2013, quando il suo allenatore Flabio Torres lo lancia in campo per una gara di coppa contro il Deportivo Cali. Subito ci si accorge che il ragazzo rimarrà poco nel sud-ovest del paese.
Basta un anno affinché l'Independiente Santa Fe lo prenda con sé. Dal 2014 Obelisco - soprannome paradigmatico, direi - è un nuovo giocatore de Los Cardenales, dove avrà modo di farsi ricordare. Il Santa Fe, infatti, è in nuovo rinascimento, tanto da vincere una Superliga colombiana e soprattutto la Copa Sudamericana del 2015.
In quei successi (e in diverse finali raggiunte, ma perse), la figura di Yerry Mina è fondamentale. Soprattutto sotto la guida di Gerardo Pelusso, il centrale diventa troppo importante, mettendo anche la firma in uno dei due gol che regaleranno la Superliga colombiana al Santa Fe. Con le conferme del 2016, era ovvio che qualcuno ci provasse.
Nonostante il calcio brasiliano di club non stia vivendo un gran momento, il Palmeiras ha acquistato Mina nel maggio scorso. Si è dovuta attendere la conclusione del campionato colombiano, ma alla fine il tecnico Cuca ha avuto il rinforzo difensivo di cui necessitiva.
La prima esperienza di brasiliana di Mina è stata contraddittoria: il colombiano continua a sembrare esplosivo, ma un infortunio l'ha costretto a rinunciare alle Olimpiadi di Rio, a cui il centrale difensivo teneva parecchio. Il Palmeiras è vicinissimo a vincere la Série A 2016 (primo titolo dopo 22 anni!), ma Mina potrebbe non esserci a gennaio.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Il fatto di essere un totem da 195 centimetri con certe capacità atletiche ha aiutato (e aiuterà) la carriera di Mina. Stupisce come possa essere così esplosivo con un corpo del genere. Fisicamente sembra - SEMBRA - di assistere a una replica del primo Paul Pogba in una posizione diversa. Mina appare ancora un filo grezzo nei movimenti, ma può solo migliorare.
Fin dai tempi del Deportivo Pasto, ciò che gli si riconosceva era una duttilità notevole: centrale difensivo, in realtà Mina ha giocato anche da mediano, dove può farsi valere sugli avversari grazie a discreti fondamentali e un fisico straripante. Non credo sia un caso se su YouTube campeggiano compilation con titoli come «la miglior difesa è l'attacco».
M26 deve solo curare la troppa esuberanza: Madre Natura l'ha dotato di caratteristiche non si possono insegnare, lui ha una buona comprensione del gioco, ma a volte sembra troppo sicuro di sé. In un mondo diverso da quello sudamericano, potrebbe pagare questa costante effervescenza.

STATISTICHE
2013 - Deportivo Pasto: 24 presenze, 1 rete
2014 - Santa Fe: 52 presenze, 3 reti
2015 - Santa Fe: 54 presenze, 4 reti
2016 - Santa Fe: 18 presenze, 5 reti / Palmeiras (in corso): 13 presenze, 4 reti

NAZIONALE
Visto che i giocatori colombiani più in vista hanno attraversato un 2016 orrendo, l'esplosione di Mina deve esser sembrata una liberazione a José Pekerman, che l'ha convocato già per la Copa América Centenario e lo sta schierando con una certa continuità (quattro presenze e un gol) durante l'anno solare. Come detto, Mina sperava di esserci a Rio, ma un infortunio l'ha tenuto out dall'evento.

LA SQUADRA PER LUI
Mina avrebbe un contratto fino al 2021 con il Palmeiras, ma la verità è che le grandi d'Europa stanno già facendo un'asta per lui. Addirittura si dice che Barcellona e Manchester City siano sulle tracce del colombiano per gennaio. Personalmente credo che gli ci voglia un'esperienza intermedia: un biennio in Portogallo o nella nostra Serie A gli farebbe bene.

8.11.16

Leader calmo.

Quando giocava, è stato il capitano del Real Madrid, ereditando la leadership di Manolo Sanchís. Non era un compito facile per chi era cresciuto nella tranquilla provincia di Málaga e aveva cominciato il suo percorso calcistico al Real Valladolid. 25 anni più, Fernando Hierro ha un profilo ben diverso da quello degli esordi.

Hierro è stato capitano del Madrid, qui con un giovane Iker Casillas.

Credo che lo spagnolo sia stato uno dei migliori nel mescolare una leadership calma e decisa a un concentrato di classe, che non è rimasto sopito pur trasformandosi in un centrale difensivo. Sembra quasi un peccato che la Spagna abbia cominciato a vincere quando giocatori come lui - fondamentali negli anni '90 e nei primi 2000 - sono scomparsi dalla scena.
Classe '68, Hierro è nato a Vélez-Málaga, dove è cominciata anche la sua scalata nel calcio. Dal 1980 al 1987 gioca nella squadra della sua città-natale, con un breve intermezzo al Málaga: sì, quello che recentemente è stato oggetto di attenzione da parte dei petroldollari qatarioti e che ha sfiorato una semifinale di Champions League con Pellegrini in panchina.
Hierro dura pochi mesi a Málaga, perché - con grande sorpresa - gli viene comunicato che è stato scartato. Nonostante abbia 16 anni, il club dice al ragazzo che non avrà un futuro in questo mondo. Il tutto mentre i due fratelli maggiori di Fernando hanno entrambi militato per il Málaga, con Antonio che ne è stato un pilastro.
Poco importa, ci pensa Manolo, il secondo fratello di Fernando. Nel 1986, Manolo Hierro è un giocatore della Real Valladolid e propone al club di prendere suo fratello minore nel vivaio: i Blanquivioletas accettano e in un anno il giovane Hierro esordisce anche in Liga, disputando poi due ottime stagioni al José Zorrilla.
Sarà un caso, ma il Real Valladolid ottiene nel 1988-89 il miglior piazzamento della propria storia, arrivando sesto. Non solo: il club arriva anche in finale di Copa del Rey, perdendo 1-0 l'ultimo atto contro il Real Madrid. Al Santiago Bernabeu hanno capito che Hierro potrebbe esser utile in blanco e così il difensore passa al Real nell'estate '89.
In realtà, il Valladolid l'avrebbe già venduto all'Atlético Madrid, ma Hierro preferisce giocare dall'altra parte della città. Quando a Madrid arriva Radomir Antić, Hierro viene usato come mediano e centrocampista (21 gol nel 1991-92). A trasformarlo definitivamente in un centrale difensivo è Jorge Valdano nel '94, quando l'argentino è il coach del Real.
Sulle cose fatte a Madrid da Hierro si potrebbero spendere fiumi d'inchiostro. Non sarò io a delineare la grandezza e l'eleganza del personaggio: la spina centrale del 2000 - quella con Redondo a centrocampo e Raúl davanti - è forse la personificazione sul campo del concetto di leggerezza unito alla tecnica sublime di cui i tre erano disposti.

Non male, eh.

Non è un caso che sotto Hierro si sia avuta la miglior epoca del Real: del Bosque gli consegnava le chiavi della squadra, poi i Galacticos e una squadra inimitabile hanno fatto il resto (con il capitano che ha superato 100 gol in carriera). E non è una coincidenza il fatto che Hierro abbia lasciato il Real con il proprio tecnico nell'estate 2003.
Messo alla porta dal board, due le correnti di pensiero sul perché dell'addio: da una parte la voglia del Real di iniziare un nuovo ciclo, dall'altra la ricca offerta dei qatarioti dell'Al-Rayyan (uno dei primi a trasferirsi nella QSL). Dopo un anno, la sua carriera si è chiusa con un'ultima recita in Premier League con la maglia dei Bolton Wanderers.
Il grande rimpianto è la nazionale: Hierro ha partecipato a quattro Mondiali e due Europei, con 89 presenze e ben 29 reti (4° nella classifica cannonieri all-time) con la Roja. Eppure la sua enorme classe non l'ha fatto partecipare all'epoca vincente del calcio spagnolo. Tuttavia, un patrimonio così può esser utile anche fuori dal campo, come dimostrato in seguito.
Dal 2007 al 2011, Hierro è stato dirigente della federazione spagnola, diventando poi direttore tecnico del Málaga: un idillio durato appena un anno, ma valso la qualificazione ai preliminari di Champions League. Dal 2014, il Real l'ha rivoluto a casa per entrare nello staff di Carlo Ancelotti: tutto questo è stato l'antipasto di quanto successo nello scorso giugno.
Il Real Oviedo, grande ex della Liga, ha voglia di tornare in prima divisione e decide di assumere Hierro come manager del club. L'obiettivo è riabbracciare la Liga entro un periodo tra i prossimi tre-cinque anni: non impossibile, ma comunque difficile. Tuttavia, l'entusiasmo a Oviedo è stato palpabile anche in sede di presentazione.
Il club ne sembra soddisfatto («è un tecnico di primo livello»), i tifosi ne sono felici e lui stesso è apparso entusiasta della sfida: «Ho avuto diverse possibilità negli ultimi sei-sette mesi, ma in due-tre ore ho capito che questo progetto è valido. Era impossibile trovare un ambiente migliore per la mia prima esperienza da allenatore».
Per ora i primi risultati danno fiducia: sebbene lontano dal Levante capolista (-10), il Real Oviedo è secondo in classifica, ha diversi giocatori superiori alla categoria e spera di poter risalire già da quest'anno, anche se il progetto ha tempo per crescere. El Mariscal ha fatto così bene da giocatore e dirigente; farlo da allenatore sarebbe il completamento delle sue ambizioni.

Fernando Hierro, 48 anni, è il tecnico del Real Oviedo da giugno.

1.11.16

Ciambelle senza buco.

Tra le confederazioni che compongono la FIFA, quella che ha fatto certamente più passi avanti è l'AFC. In Asia si sono mossi molto bene, allargando la competizione continentale a 24 squadre per l'edizione 2019 e riformando il processo di qualificazione al Mondiale. Eppure non tutto può riuscire bene al primo tentativo, vedi l'AFC Solidarity Cup.

Il logo ufficiale dell'AFC Solidarity Cup.

Domani in Malesia partirà la prima edizione di questo nuovo torneo, pensato per dare spazio e partite a quelle nazionali che altrimenti avranno poche chance di potersi esercitare e migliorare. Una buona idea, se non fosse che sembra partita col piede sbagliato e che soprattutto sembra cozzare la nuova struttura delle qualificazioni asiatiche.
L'AFC Solidarity Cup sostituisce l'AFC Challenge Cup, torneo che aveva le stesse modalità, ma una partecipazione maggiore. Infatti, con il vecchio formato delle qualificazioni asiatiche, molte nazionali venivano eliminate nei primi round e non avevano poi la chance di giocare altre partite ufficiali o competitive. Oggi non è più così.
L'AFC Challenge Cup ha permesso ad alcune squadre di scrivere la storia: tra queste, l'ultima edizione - disputata alle Maldive e vinta dalla Palestina in finale contro le Filippine - è stata forse la più iconica, anche perché ha permesso ai vincitori del 2014 di qualificarsi per la Coppa d'Asia giocata sei mesi più tardi in Australia.
Il Bhutan - che ha passato i play-off ed è arrivato ultimo nel suo girone - giocherà altre sei gare per cercare un'improbabile qualificazione alla Coppa d'Asia. Avrà così disputato 18 partite competitive nel giro di due anni, forse un numero di gran lunga superiore a quello che avrebbe potuto disputare con il formato precedente. Ma c'è chi non ha voglia di tirarla per le lunghe.
Nove squadre avrebbero potuto giocare questo torneo: le sei eliminate nel primo turno delle qualificazioni Mondiali nel marzo 2015 (Pakistan, Brunei, Nepal, Mongolia, Brunei, Sri Lanka) più le tre perdenti della seconda fase di play-off dopo i gruppi, disputata tra l'estate e l'autunno di quest'anno (Bangladesh, Timor Est e Laos).

L'ultima recita del precedente formato: l'AFC Challenge Cup ha visto la vittoria della Palestina.

I problemi, però, sono iniziati da subito: già a settembre, dieci giorni dopo il sorteggio dei gruppi, il Pakistan ha annunciato la rinuncia al torneo, visto lo stato di agitazione nel quale il football nazionale vive da qualche tempo. Poco male: un formato a otto squadre poteva essere anche più adatto, ma le grane sono continuate.
Eliminato dai play-off della seconda fase, anche il Bangladesh ha espresso la sua volontà di rinunciare al nuovo formato. Una volontà che avrebbe riguardato in ogni caso anche la vincente di quei 180', con il Bhutan che invece continuerà la sua incredibile (e sognante) cavalcata verso un sogno che appare impossibile.
La Malesia ospiterà quindi quello che forse è il primo errore della nuova gestione dell'Asian Football Confederation: il torneo sembra più un peso che un beneficio per chi ha giocato diverse gare. Se pensiamo che anche squadre come il Pakistan - che ne avrebbe avuto bisogno - ci rinunciano, la portata dell'evento diminuisce ulteriormente.
Inoltre, l'AFC Solidarity Cup è appunto un esercizio di solidarietà, perché non darà più l'accesso alla Coppa d'Asia (cosa che invece garantiva il precedente formato). Siamo sicuri quindi che questo torneo serva a qualcuno? Nel panorama deserto di Kuching, domani inizia una ciambella che probabilmente è venuta senza buco.

Dudley Lincoln Steinwall, 42 anni, ct e simbolo del calcio dello Sri Lanka.