30.8.14

Ultima chiamata.

C'era grande attesa per il sorteggio delle squadre italiane impegnate in Europa: la Juve campione d'Italia e la Roma in Champions, la Fiorentina già qualificata per la fase a gironi dell'Europa League. Diverso il discorso per Napoli, Inter e Torino, soggette ai turni preliminari: se nerazzurri e granata hanno passato il turno, non ce l'ha fatta la squadra di Benitez, eliminata dall'Athletic Bilbao. Nota a margine: da quando è entrata in circolo la riforma Platini, è la quinta eliminazione su sette per una squadra italiana ai play-off di Champions.

Gonzalo Higuain, 26 anni, e il suo Napoli giocheranno l'Europa League.

Un peccato, perché il Napoli aveva tutte le carte in tavola per passare il turno. L'Athletic Blibao si è rivelata una squadra ben messa in campo dal tecnico Valverde, ma obiettivamente lo scarto delle forze in campo era notevole. Ciò nonostante, una campagna acquisti deficitaria e una condizione psicologica pessima hanno messo fuori gioco il Napoli. L'unico a salvarsi tra andata e ritorno è stato Gonzalo Higuain, che l'aria della Champions l'ha respirata spesso e ora si ritrova a non giocare questa competizione per la prima volta da quando è arrivato in Europa.
Passiamo ora ai sorteggi delle italiane che invece in Champions ci saranno. La Juventus può dirsi più che soddisfatta di quanto è uscito dall'urna di Montecarlo. Posizionati in Pot 2, i bianconeri hanno pescato l'Atlético Madrid vice-campione d'Europa. Simeone sarà difficile da affrontare, ma in un'ottica di passaggio del turno la cosa importante è che non ci sia un altro club pericoloso. E in effetti la Juventus può tirare un sospiro di sollievo: a completare il gruppo ci saranno l'Olympiakos e il Malmö. I campioni di Grecia hanno venduto Samaris al Benfica e ceduto Manolas alla Roma, mentre Mitroglou se ne è andato a gennaio. Certo, l'anno scorso l'Olympiakos è stato a un passo dai quarti (se non fosse stato per van Persie...), ma non rappresenta un'insidia per la Juve. Stesso discorso per gli svedesi del Malmö, che hanno fatto un figurone nei preliminari: eliminati gli austriaci del Red Bull Salisburgo, ora la squadra di Åge Hareide punta solo a godersi il palcoscenico europeo. L'obiettivo di Allegri è sicuramente il secondo posto, ma chissà. In fondo l'Atlético ha cambiato molto sul mercato e la Juve ha cambiato allenatore: tutti gli scenari sono aperti.
Diverso il discorso per la Roma : i giallorossi si aspettavano parecchie difficoltà, essendo in Pot 4. Tuttavia, la mano del sorteggio è stata pesante per loro. Il club capitolino si ritrova praticamente nello stesso girone D della passata Champions: Bayern Monaco, Manchester City e CSKA Mosca. Tutto aggravato dal fatto che parliamo comunque di tre campioni nazionali. L'ostacolo maggiore è rappresentato dai tedeschi, allenati da Guardiola e che hanno appena acquistato quel Benatia che ha lasciato Roma in maniera burrascosa. Nessun dubbio che siano i favoriti del girone, ma attenzione al Manchester City: anche l'anno scorso le due compagini si sono incrociate e i Citizens sono riusciti a vincere all'Allianz Arena. Segno di maturità da parte della squadra di Pellegrini, che riparte dalla Premier League vinta l'anno passato e da qualche acquisto che ha puntellato la formazione titolare (Fernando e Mangala dal Porto). Il CSKA, campione di Russia, merita un discorso a parte: nell'ultima stagione, il club di Mosca ha vinto il titolo al foto-finish, sfruttando le amnesie dello Zenit. Non sembra che la squadra abbia subito chissà quali miglioramenti o perdite: guardando l'undici titolare, non si scorge una cifra tecnica migliore di quella giallorossa.
La Roma ha due precedenti che inquietano e fanno sperare al tempo stesso. Il primo richiama il Napoli 2011-12: la squadra di Mazzarri viene inserita in un girone di ferro (Bayern e City, guarda un po'...) e riesce a passare ai danni degli inglesi. E lo fa con un organico - sopratutto in difesa - deficitario. Ma è anche vero che la Roma si ritrova nella stessa situazione della Juventus 2012-13: allora Conte e compagni approdano in Europa con molti giocatori senza esperienza in Champions. Alla Juve è andata bene (quarti con il Bayern campione). A dispetto di quella Juve, Garcia ha già disputato la Champions con il Lille. Mettiamola così: il terzo posto è obbligatorio. Quel che verrà di più sarà ben accetto.


Rudi Garcia, 50 anni, e Francesco Totti, 37, tornano in Champions con la Roma.

Diverso il discorso in Europa League. So che torno su un discorso già fatto un anno fa, ma le italiane hanno una grande chance di vincerla. Anzi, l'opportunità si è fatta ancora più ghiotta. Poche le squadre che possono veramente impensierire super-potenze della competizione come Fiorentina e Napoli: penso all'Everton, al Tottenham e al Wolfsburg. Forse la sorpresa Red Bull Salisburgo, ma ci fermiamo lì. Difficile che si riconfermi il Siviglia, che ha perso diversi pezzi pregiati.
Partiamo da chi doveva esser in Champions e ora si ritrova in Europa League: il Napoli non stima molto questa competizione. Parola del presidente De Laurentiis, che però ora potrebbe (anzi, DOVREBBE) sfruttare l'Europa League per portare a casa magari il trofeo. Saran pochi soldi, ma il prestigio non s'innalza solo con le amichevoli estive con il Barcellona. E il girone è dalla sua parte: inseriti nel gruppo I, gli azzurri dovranno affrontare lo Sparta Praga, lo Young Boys e lo Slovan Bratislava. Squadre che non sfigurano. Anzi, i cechi stanno vivendo una seconda giovinezza, ma lo scarto tecnico impone non solo che il Napoli passi il girone, ma che lo vinca.
La Fiorentina è anch'essa favorita per la vittoria finale, perché Montella e i suoi ragazzi giocano bene, sanno gestire i due impegni e l'anno scorso han fatto pratica. Quest'anno i viola finiscono nel gruppo K, dove affronteranno il PAOK Salonicco, il Guingamp e la Dinamo Minsk. Anche qui il primo posto non è in discussione. La trasferta in Grecia - per calore e tifo - non sarà facile, ma la compagine toscana ha allargato la rosa e non dovrebbe aver problemi.
Diverso il discorso per l'Inter: la finale di Varsavia non è impossibile, ma Mazzarri ha sempre avuto un rapporto conflittuale con l'Europa League. Il tecnico di San Vincenzo non è mai andato oltre i sedicesimi di finale. E forse i nerazzurri sono gli unici che possono storcere il naso dopo il sorteggio di Montecarlo: nel gruppo F affronteranno Dnipro (alla terza sfida consecutiva con un'italiana in Europa League), St. Etienne e Qarabag (altra trasferta azera per l'Inter). L'Inter può arrivare prima, ma non può viaggiare in carrozza. Gli ucraini saranno meno pericolosi senza Juande Ramos alla guida e con la situazione attuale del loro paese. E il St. Etienne - seppur sia una bella squadra, guidata da Galtier - rimane lontano dal punto di vista tecnico. Però forse in casa Inter avrebbero sperato in altro. Infine il Torino, tornato in Europa dopo un ventennio: a differenza delle tre connazionali, i granata erano in Pot 3, perciò un sorteggio benevolo non era scontato. Nel girone B, il club di Ventura giocherà contro Copenhagen, Club Brugge e HJK Helsinki: i belgi sono i migliori, ma il Toro può passare il turno.
Un discorso di incoraggiamento finale lo rivolgo alle italiane: questo è l'anno per tornare a vincere l'Europa League. In Italia manca da 15 anni, quando nel 1999 il Parma sconfisse l'OM nella finale di Mosca per 3-0. Ci sono quattro italiane, di cui due molto forti. E bisogna pensare all'eventualità che la Champions costringa all'uscita le due italiane rimaste: speriamo di no, ma il passato non incoraggia. Per il ranking sarà un anno fondamentale: il Portogallo presto perderà il conteggio dei punti accumulati nel 2010-11, quando arrivò con tre semifinaliste proprio in Europa League, dove vinse il Porto. Germania, Inghilterra e Spagna - i tre paesi davanti a noi - hanno già perso almeno una rappresentante a testa nei preliminari di Europa League (rispettivamente Mainz, Hull e Real Sociedad). Insomma, il 2014-15 ha i crismi di un'ultima chiamata alle armi. Altrimenti, il quarto posto per sempre è un'ipotesi abbastanza percorribile.

Vincenzo Montella, 40 anni, può vincere l'Europa League con la Fiorentina.

28.8.14

ROAD TO JAPAN: Daigo Nishi

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero estivo di "Road To Japan", la rubrica che tenta di mostrarvi una panoramica sui migliori prospetti del calcio giapponese. Oggi vi voglio parlare di un ragazzo tornato alla ribalta negli ultimi round della J-League e che da qualche anno gioca nella massima divisione giapponese. Dopo tanta gavetta nella sua città natale, ha giocato a Niigata per un anno e poi è passato immediatamente al club più titolato del paese: sto parlando del giramondo Daigo Nishi, terzino dei Kashima Antlers.

SCHEDA 
Nome e cognome: Daigo Nishi (西 大伍)
Data di nascita: 28 agosto 1987 (età: 27 anni)
Altezza: 1.76 m
Ruolo: Terzino destro
Club: Kashima Antlers (2011-?)



STORIA
Nato a Sapporo (Hokkaido) nel 1987, Daigo Nishi è cresciuto calcisticamente nella sua città natale, dove ben presto l'ha tesserato il più importante club della città, il Consadole. Nelle giovanili Nishi ha avuto come compagno un altro giocatore che si sta ben disimpegnando in giro per il mondo: Mike Havenaar, cannoniere del Ventforet Kofu e ora al Cordoba, in Spagna. Nelle rappresentative giovanili del Consadole, Nishi ha giocato anche in mediana e come "volante". Con l'Under 18 del club, Nishi raggiunge la finale della Prince Takamado Cup, competizione riservata alle U-18 e U-15 del paese.
Nel 2006 Nishi viene promosso in prima squadra, ma in realtà non gioca con essa. La carriera del terzino si è caratterizzata per le escursioni in altri lidi del globo: la prima è stata in Brasile nel 2007, quando Nishi ha fatto un breve periodo all'estero nell'Esporte Clube Vitória, club che allora gravitava tra la Serie B e C verdeoro. Una sorta di stage che dura però un mese, perché Nishi viene richiamato a Sapporo per giocare nel finale di stagione e aiutare il club a raggiungere la promozione in J-League. L'anno successivo, Nishi esordisce nella massima categoria del calcio giapponese e dimostra di saperci fare, sebbene il Consadole torni immediatamente in J2.
A questo punto, il giocatore vuole rimanere in J1: un'altra stagione a Sapporo, poi il passaggio all'Albirex Niigata nel 2010. Un trasferimento in prestito, ma che serve a mettere in evidenza Nishi: 38 presenze stagionali, un gol e la consacrazione come terzino destro. Concluso il prestito con l'Albirex, ad acquistare Nishi ci pensa il Kashima Antlers, una delle squadre più blasonate del paese. In generale, il terzino è stato sempre presente in questi anni, mettendo insieme più di un centinaio di presenze per il club di Ibaraki.
Curioso è stato il caso di quest'inizio di 2014: Nishi si è trasferito per una settimana al Maritimo, squadra della Primeira Liga portoghese. A procurare l'affare è stato l'FC Osaka, che l'anno precedente è riuscito a mandare un suo giocatore al club portoghese, tale Soichiro Taijima. Il tempo di una foto da pubblicare su un sito ufficiale e Nishi è già agli ordini del mister... della squadra B! Dopo cinque giorni di allenamento, il terzino è tornato al Kashima, lasciando un certo alone di mistero sulla vicenda. Fatto sta che, con lo svecchiamento della squadra per la stagione 2014, Nishi è diventato uno dei senatori del Kashima Antlers. E quest'anno si è tolto anche la soddisfazione di un gran gol nella gara contro i Sanfrecce Hiroshima (vedere il video alla fine dell'articolo).

CARATTERISTICHE TECNICHE
La forza di Nishi è sopratutto dal punto di vista tattico, data la duttilità del giocatore di Sapporo. Nasce come mezzala, ma col tempo si è evoluto prima in un esterno di centrocampo, poi è diventato terzino destro. Attualmente occupa quel ruolo nella difesa a quattro dei Kashima Antlers, ma può ben disimpegnarsi anche a sinistra. La resistenza è l'altro punto forte di Nishi: corse instancabili, dal 1' al 90'. Insomma, un giocatore dal rendimento sicuro e dall'essenza poliedrica in campo.

STATISTICHE
2006 - Consadole Sapporo*: 0 presenze, 0 reti
2007 - Consadole Sapporo*: 5 presenze, 1 rete
2008 - Consadole Sapporo: 34 presenze, 3 reti
2009 - Consadole Sapporo*: 42 presenze, 7 reti
2010 - Albirex Niigata: 38 presenze, 1 rete
2011 - Kashima Antlers: 34 presenze, 1 rete
2012 - Kashima Antlers: 45 presenze, 1 rete
2013 - Kashima Antlers: 38 presenze, 0 reti
2014 - Kashima Antlers (in corso): 11 presenze, 1 rete
* = in J-League Division 2

NAZIONALE
Qui il compito si fa più difficile. Indubbiamente Nishi ha le doti - e ormai anche l'esperienza - per giocare in nazionale. O quanto meno per starci. Il problema è che il reparto dei terzini è forse quello con più concorrenza attualmente nel Giappone: Nagatomo e Uchida sono i titolari indiscussi. E non va meglio con le riserve, con i due Sakai che tentano di farsi luce in Germania (Gotoku nello Stoccarda, Hiroki nell'Hannover). Quindi sarà difficile tornare nella Nippon Daihyo. Già, perché Nishi ha una presenza all'attivo: Zac lo ha inserito a gara in corso nell'amichevole contro il Perù, disputata nel giugno 2011 e conclusasi 0-0. Lo stesso Zaccheroni lo ha previsto anche nella rosa dei pre-convocati per la Coppa d'Asia dello stesso anno, sebbene Nishi non rientrò nella lista finale.

LA SQUADRA PER LUI
Al cominciare della stagione 2015, Nishi entrerà nel suo ultimo anno di contratto con i Kashima Antlers. Logico che la scadenza dell'accordo con il suo club sarà un'ottima opportunità per chiunque volesse acquisire le prestazioni del terzino giapponese. Avrei visto molto bene il Cesena a tentare un colpo stile-Nagatomo per la prossima Serie A, ma non è andata così. Vedremo se l'inverno porterà nuovamente Nishi da qualche parte in giro per il mondo...

26.8.14

Il colpo dell'estate.

I grandi colpi arrivano solitamente nelle prime settimane del mercato, ma c'è voluto un po'. La trattativa più importante dell'intera sessione di calciomercato sta andando in porto. Altro che David Luiz. Certo, James Rodriguez al Real è importante. Ma il vero colpo - salatissimo, ma è un colpo - lo porta a casa il Manchester United: Ángel Di María è quasi un giocatore dei Red Devils. L'argentino vestirà la magica 7, che all'Old Trafford vale parecchio, se è vero che l'han vestita George Best, David Beckham e Cristiano Ronaldo.

Di María festeggia il gol segnato alla Svizzera negli ottavi dell'ultimo Mondiale.

Lungo il cammino da Rosario a Manchester. Ángel Di María è partito da casa per arrivare fino a uno degli stadi più importanti del mondo. Due anni al Rosario Central, poi il passaggio in coppia con Andrés Díaz al Benfica per sei milioni. La scena è sembrata la stessa di quando Rambert e Zanetti arrivarono all'Inter nell'estate del 1995. Se Rambert e Díaz sono stati etichettati come le stelle, gli altri due sono riusciti a fare carriera. E Di María ha imparato parecchio in Portogallo, dove ha trascorso tre anni e si è fatto conoscere a livello internazionale sotto la guida di diversi tecnici. Su tutti, Jorge Jesus ha dato qualcosa in più all'argentino. Tanto che persino Diego Armando Maradona si è scomodato all'epoca per definire Di María "la prossima superstar dell'Argentina".
Per altro, l'ala si è fatta notare anche con le rappresentative giovanili della sua nazionale. Di María ha fatto parte di quella grandiosa squadra che è stata l'U-20 argentina ai Mondiali di categoria del 2007: in Canada, lui e qualche altro discreto giocatore (Agüero, tanto per dirne uno) hanno distrutto la concorrenza e portato a casa l'oro. La stessa cosa è successa alle Olimpiadi di Pechino dell'anno successivo, dove l'Argentina ha vinto l'ennesimo oro. Di María segna anche il gol decisivo in finale con uno splendido pallonetto d'esterno. Non stupisce che Maradona l'abbia poi portato ai Mondiali sudafricani del 2010, dove però El Fideo ("lo spaghetto", soprannome dovuto alla sua corporatura esile) non ha avuto molta fortuna.
Dopo quella Coppa del Mondo, ci sono stati i quattro anni a Madrid, sponda Real. Mourinho ha preteso l'argentino da quando si è seduto sulla panchina dei Blancos: 25 milioni (più 11 di bonus) al club lusitano e un'ala perfetta per il 4-2-3-1 del portoghese. Tuttavia, nonostante la crescita ulteriore di Di María e un nuovo contratto fino al 2018, l'argentino sembrava un po' in ombra rispetto ai vari Cristiano Ronaldo, Kaká, Özil e compagnia bella. Come se non si apprezzasse abbastanza il lavoro dell'ex Rosario Central. E non è un caso che la scorsa estate già si parlasse dell'addio di Di María, con Chelsea e Monaco alla finestra. Forse lo stesso Mourinho - tornato a Londra - l'avrebbe voluto volentieri con sé.
Poi è arrivato Ancelotti, che ha spostato l'argentino dal ruolo di esterno sinistro a mezzala. Un'intuizione ottima, visto il 2013-14 di Di María. Non solo una pensata felice per l'argentino, ma anche per il Real Madrid, che ha potuto continuare a giocare il suo calcio offensivo. L'aggiunta di Gareth Bale - acquistato dal Tottenham per 95 milioni di euro - rischiava di togliere spazio all'argentino. Ma il tecnico dei Blancos ha pensato che Di María potesse esser ugualmente utile con la sua dinamicità in mezzo al campo, in modo da legare bene i reparti. Mossa azzeccata, visto che Di María ha disputato la stagione migliore della sua carriera. L'argentino è stato straripante. Se guardate la finale dell'ultima Champions, noterete che l'argentino è forse l'unico motivo - insieme a una sana dose di fortuna - del perché il Real è arrivato fino al 120' e poi è riuscito anche a vincere quella gara. Il gol del 2-1 di Bale è per buona parte merito suo, visto che Di María al minuto 111 era ancora in grado di saltare mezza difesa dell'Atlético con le sue accelerazioni.


All'ultimo Mondiale, se togliamo l'armata tedesca, Di María è stato probabilmente il miglior giocatore della manifestazione. Anzi, togliamo il "probabilmente". Lo è stato, di gran lunga. La mossa azzardata di Ancelotti alla fine è stata abbracciata anche dal ct argentino Sabella. Grazie a quest'intuizione, l'Argentina si è guadagnata un giocatore teoricamente inafferrabile e la finale del Mondiale. Perché sì, senza Ángel Di María, forse l'Argentina la finale l'avrebbe guardata dalla tv di casa: basti pensare al gol decisivo nei supplementari degli ottavi di finale contro la Svizzera.
E i motivi sono tanti: l'Argentina del Mondiale brasiliano era una squadra che voleva far convivere Messi, Agüero e Higuaín tutti insieme in un 4-3-3 di puro attacco. Tre giocatori che, nei rispettivi club, fanno sostanzialmente le prime punte. Il tutto avrebbe dovuto combaciare con l'equilibrio della squadra e una solidità di ferro. Il risultato - riuscito a metà - è stato ottenuto anche e sopratutto grazie alla corsa di Di María. Non è un caso se l'Argentina - una volta perso l'ala nei quarti contro il Belgio - non abbia convinto in semifinale. E all'ultimo atto, se è mancata la zampata, è proprio perché l'Argentina è andata a folate. Ha impensierito la Germania, ma non in modo continuo. Chissà, magari con Di María sarebbe andata diversamente.
Grazie a Carlo Ancelotti, Di María si è guadagnato un posto tra i top player di questo sport. Da ala sinistra nel 4-2-3-1, l'argentino era un ottimo giocatore, ma non era nei primi dieci interpreti al mondo. Nessuno l'avrebbe mai affermato. Oggi invece, da mezzala di centrocampo, è potenzialmente inarrestabile. La butto lì: Ángel Di María è tra i tre giocatori più forti al mondo. Sì, accanto ai due mostri sacri Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. E sarà ancora più decisivo nel 3-5-2 di van Gaal, che sta provando a trasportare il modulo che lo ha fatto giungere terzo al Mondiale anche all'Old Trafford. Per ora senza successo. Del resto, non tutte le squadre hanno Daley Blind e Dirk Kuyt in rosa...
Tuttavia, piazzare Di María da interno di centrocampo darà la spinta necessaria per accelerare la manovra d'attacco. E non credo che l'argentino soffrirà la fisicità della Premier, visto che prima di buttarlo giù, lo devi prendere... e non è facile. In ogni caso, Di María ha lasciato un buon ricordo a Madrid: basti guardare il video che lo ritrae salutare i compagni in lacrime. E la memoria non corre solo al ragazzo, ma anche alle sue statistiche: 190 gare con il Real Madrid, 36 gol e 72 (!) assist (24 solo nell'ultima stagione). Cifre da capogiro. Come quelle del suo trasferimento: poco meno di 80 milioni al Real, con Florentino Perez che potrà colmare l'esborso consumato per James Rodriguez. A Di María un ingaggio tra i sei e i sette milioni netti l'anno, almeno da quanto si legge sul web. Intanto, però, lo United ha piazzato il colpo dell'estate: El Fideo sbarca all'Old Trafford.

La maglia di Ángel Di María, 26 anni, nuova stella del Manchester United.

22.8.14

Why always him?

Se ne è parlato per un'intera estate. Così tanto che il momento sembrava non avvicinarsi mai. Ma alla fine l'affare si è sbloccato, nel giro di una notte: manca solo l'ufficialità, ma Mario Balotelli è un nuovo giocatore del Liverpool. L'attaccante se ne va da Milano e dal club rossonero senza rimpianti, ma è l'ennesima fuga di uno dei talenti più discussi del calcio italiano. Al Milan andranno venti milioni di euro, al giocatore sei all'anno d'ingaggio (una follia, ma il suo procuratore è Mino Raiola...).

Balotelli e una delle ultime foto con la maglia del Milan nella tournée nordamericana.

Che dire, le parole di Silvio Berlusconi riecheggiano ancora nella mia memoria. A luglio, in un incontro con il presidente del Consiglio Renzi (complimenti per il tempismo), il presidente del Milan dice: «Altro che Italia, il Mondiale l'ho perso io, perché stavo vendendo Balotelli a una squadra inglese per svariati milioni, ma dopo questo Mondiale chi me lo compra più?». Le sue preghiere sono state esaudite. Il Milan cede uno dei talenti più problematici degli ultimi anni del calcio italiano, più o meno per la stessa cifra con la quale lo ha riportato in Italia nel gennaio 2013. Insomma, pochi soldi persi, anche se la svalutazione c'è stata. A questa probabilmente ha contribuito anche il Mondiale, deficitario da parte di Super Mario.
Dal punto di vista tecnico, il Milan potrà dire che ci ha guadagnato o perso solo il 31 di agosto, quando il mercato sarà finito e i rossoneri avranno (forse?) fatto qualche altro acquisto. Galliani sta inseguendo Cerci da un'intera estate per potenziare il 4-3-3 del neo-tecnico Inzaghi. Il Milan va a caccia di una punta, quando in realtà sarebbe a posto con i centravanti: quel Giampaolo Pazzini tanto vituperato andrebbe benissimo e Niang potrebbe essere il suo vice. Ma si sa, a Milanello hanno gli occhi foderati di prosciutto e così si va alla caccia non solo di Cerci, ma di Jackson Martinez. Che è sì in partenza dal Porto, visto che il club lusitano ha già preso Aboubakar dal Lorient, ma costa anche 25 milioni di euro. L'operazione non è facile, così come è quasi impossibile l'ipotesi Falcao dal Monaco. Al Milan servirebbe qualcosa in difesa, ma vaglielo a spiegare a Galliani e compagnia.
Se i venditori beneficeranno comunque di 20 milioni freschi freschi, ci si chiede cosa c'abbia guadagnato il Liverpool. Intanto, sembra che i tifosi Reds approvino l'acquisto di Balotelli. Con quest'ultimo trasferimento, la campagna acquisti della squadra di Rodgers acquista tratti biblici: quasi 150 i milioni spesi quest'estate, nove i giocatori arrivati ad Anfield. Certo, gli 81 milioni incassati dalla cessione di Suarez al Barcellona hanno finanziato parte di questa campagna, ma era parecchio tempo che il Liverpool non si disimpegnava così in una sessione di calciomercato.
Tuttavia, c'è più di un dubbio sulla fattibilità tattica dell'operazione: il 4-3-3 di Brendan Rodgers è un ottimo sistema, ormai ben collaudato e con certi giocatori. Vero che il tecnico ha rivitalizzato gente come Coutinho e Sturridge (chiusi con Inter e Chelsea), ma è anche vero che Balotelli è difficile da piazzare in un modulo del genere. Super Mario ha dimostrato di non saper fare la prima punta né al Milan, né in nazionale. Un ruolo in cui il Liverpool avrebbe già Daniel Sturridge, Rickie Lambert e volendo anche Fabio Borini. Spesso, invece, Balotelli si muove lungo tutto l'arco degli ultimi 30 metri, anche perché gli piace spesso cercare la conclusione da lontano. E da ala Balotelli dovrebbe sacrificarsi ben di più di quanto faccia adesso. In quel ruolo, per altro, c'è un'abbondanza spaventosa in casa Liverpool: Sterling, Assaidi, i neo-arrivati Lallana e Markovic, più gli adattabili Coutinho e Borini.


Riguardo il punto di vista umano e professionale, l'affare l'ha fatto certamente il Milan. E devo dire che spesso, guardando Balotelli, mi è venuto semplice fare il paragone con l'altro talento "sotto-espresso" del calcio italiano: Antonio Cassano. Fin dall'esplosione ai tempi dell'Inter, il confronto tra i due mi è sembrato naturale. Entrambi hanno iniziato dal basso, per poi esplodere in una grande e lasciare la A per volare all'estero. Ma è lì che il paragone si è rotto (e solo ora me ne rendo conto): Cassano, pur nella sua ignoranza, è un ragazzo semplice e schietto. All'epoca - era il 2007 - ha deciso di ripartire da zero e tornare con la Samp, allora una squadra di metà classifica. Da lì ne ha combinate parecchie ed è spesso mal sopportato, però è riuscito a rinascere un'altra volta a Parma.
Si potrà mai dire che Balotelli è sbocciato una volta per tutte? La butto là, ma temo di no. Nonostante i 30 gol in 56 partite con la maglia del Milan, l'impressione è che il ragazzo non mostrerà mai il 100% del suo immenso potenziale. E questo per due motivi: una personalità "schizzata", che lo porta a esagerare e a non avere mai il controllo delle sue azioni, e sopratutto una pressione che gli gira costantemente intorno. Balotelli non è mai andato sotto la doppia cifra dal 2010, ma solo al primo anno di City e nei primi sei mesi al Milan è sembrato veramente devastante. Altrimenti, Super Mario ha dimostrato di esser discontinuo e molto umorale, sia nel mood che nel gioco. Al Milan né Allegri, né Seedorf l'han saputo gestire, mentre in nazionale non è bastato un Prandelli padre di famiglia a renderlo sereno. Vedremo se il nuovo ct Antonio Conte saprà fare di meglio.
Ora Mario Balotelli riparte da una nuova avventura, ancora in Premier League, dove è stato già dal luglio 2010 al gennaio 2013 con la maglia del Manchester City. All'Etihad Stadium ha vinto un campionato, una F.A. Cup e una Community Shield. Trofei che hanno arricchito la sua bacheca, ma la permanenza al City è finita male, visto che il club ha portato in tribunale il calciatore per una multa da 400mila euro. Insomma, un ragazzo capace di decidere una semifinale di Europeo quasi da solo (Italia-Germania 2-0), ma anche di sparire dal campo per lunghi tratti. Di esser prolifico a livello realizzativo, ma anche di non esserci quando veramente conta. Di fare il figo nelle pubblicità della Puma, di finire sulla copertina di "Time", ma anche di esser poco cool nel rapporto con la stampa e con tutto ciò che circonda il calcio. Un discontinuo, uno che della concretezza se ne fa poco. Tanto che viene da chiedersi perché il calcio gli doni certe occasioni. Il talento può essere una scusa che regge fino a certo punto. Insomma, why always him?

Mario Balotelli, 24 anni, e la sua nuova maglia dei Reds: una nuova avventura.

19.8.14

Bandiere ammainate.

Può una leggenda subire critiche feroci dopo una carriera di elogi? Certo che può. La Premier League è iniziata da qualche giorno, ma a tener banco nelle ultime settimane è stato il caso di Frank Lampard: il centrocampista ha lasciato il Chelsea dopo tredici anni e tantissime soddisfazioni. Praticamente il numero 8 dei Blues ha vinto tutto quello che poteva vincere con la maglia tanto amata. Poi l'addio, il passaggio al New York City FC e il prestito - di sei mesi - al Manchester City. Ai Citizens, sì.

Maggio 2014: Lampard saluta il Chelsea dopo tredici anni di militanza.

Non aspetterò tutto l'articolo per dire la mia: una possa decisamente poco saggia da parte del grande Frank, che avrebbe potuto scegliere ben altri lidi per svernare sei mesi prima di iniziare l'avventura in Major Soccer League dal 2015. Basti prendere come esempio un altro grande giocatore che sarà suo compagno di squadra dalla prossima stagione: David Villa, anche lui già confermato nel roster del NYCFC. Lo spagnolo ha scelto di andare sei mesi in Australia, al Melbourne City FC: un'opzione logica, visto che le due società sono collegate. Purtroppo non è sembrato altrettanto logico al suo collega inglese. Mettiamola così: se son rimasto deluso io - ammiratore di Lampard e non tifoso del Chelsea - figuriamoci i supporters dei Blues. Che hanno visto la loro leggenda prestarsi al City per metà anno: in tal modo, la storia di Frank Lampard si è un filino "sporcata".
In realtà, si potrebbe anche accusare i tifosi del Chelsea di esser un po' ingenui. Con la firma per il New York City FC, Lampard è entrato nell'universo del Manchester City. I proprietari dei Citizens - tramite il City Football Group - hanno acquisito il Melbourne Heart (in collaborazione con il club di rugby Melbourne Storm). Ecco perché Villa ha scelto l'opzione in terra Aussie. Non solo: il gruppo di Abu Dhabi ha poi partecipato alla fondazione del New York City FC nel maggio 2013, avvenuta anche con il contributo dei New York Yankees. Una "modica" operazione costata 100 milioni di dollari e che porterà la prima vera franchigia nell'area di New York, visto che i Red Bulls di Henry giocano nel New Jersey.
Frank Lampard ha lasciato il Chelsea nel maggio 2014, dopo 13 anni trascorsi allo Stamford Bridge. Figlio di Frank Lampard sr. (terzino per gli Hammers tra gli anni Settanta e Ottanta), il giocatore classe '78 è cresciuto nel West Ham. Al Boleyn Ground, però, Lampard ha sofferto la nomea del padre e non è riuscito a sbocciare come avrebbe voluto. Allora nell'estate 2001 è arrivato il trasferimento dal West Ham al Chelsea per undici milioni di sterline. Una bella cifra, spesa dai Blues nell'ottica di aver un futuro campione in casa. In effetti, Lampard all'epoca aveva 23 anni e un futuro tutto da scrivere. Tredici anni dopo, la storia parla da sé: svezzato da Ranieri e fatto esplodere da Mourinho, Lampard ha vestito la maglia del Chelsea per 648 volte. Il centrocampista ha segnato 211 gol, diventando il capocannoniere nella storia del club.
Inoltre, la lista dei trofei vinti a Stamford Bridge è lunghissima: tre Premier League, quattro F.A. Cup, due League Cup, due Community Shield, una Champions League e un Europa League. Insomma, ha avuto tutto ciò che poteva ottenere a livello di club. Infine, la lista dei riconoscimenti personali: giocatore dell'anno in Premier per due volte tra il 2004 e il 2006, per quattro stagioni Lampard è stato top-scorer della sua squadra. E poi c'è il rimpianto del Pallone d'Oro 2005: la logica vorrebbe - per tornei vinti e giocate - che la vittoria andasse a Lampard, ma la giuria sceglie di premiare il più appariscente Ronaldinho. Due grandissimi giocatori, ma il numero 8 del Chelsea finisce secondo dietro al brasiliano del Barcellona e davanti a Steven Gerrard, l'altro grande centrocampista della sua generazione.

Luglio 2014: Lampard annuncia l'accordo con il neonato New York City FC.

L'addio, consumatosi a maggio scorso, lasciava immaginare di tutto, meno che il ritorno in Premier. Abbracci, lacrime, cori per quello che è stato a lungo il vice-capitano del Chelsea, dietro all'immancabile John Terry. E la speranza di un rinnovo, naufragata poco prima del Mondiale. Dopo l'uscita prematura dell'Inghilterra in Brasile, si è attesa con ansia la scelta della prossima destinazione da parte di Lampard. Quando si è sentito parlare di New York, è sembrato lo sbocco naturale per la parte finale della sua carriera. Anche perché da un paio d'anni si è paventata l'ipotesi di un Lampard a stelle e strisce. Poi la delusione al passaggio - seppur in prestito - al Manchester City campione uscente.
Insomma, una scelta che non ci si aspetterebbe da Lampard. Anche perché i tifosi del Chelsea l'hanno presa tutt'altro che bene. Sulla falsa riga di quanto capitato con il trasferimento di Fernando Torres dal Liverpool al Chelsea nel gennaio 2011, i supporters più accaniti si sono ritrovati anche a bruciare la maglietta dell'ex idolo. Anche se è vero che la squadra di Manchester non è annoverata tra le più accanite rivali del Chelsea, il passaggio di Lampard al City è comunque uno svendersi al miglior offerente quando c'erano altre opzioni percorribili.
Domenica il City ha esordito sul campo del Newcastle, ma al St. James' Park Lampard non è apparso nemmeno in panchina: la squadra di Pellegrini ha vinto 2-0 e ora si attende l'esordio dell'ex Chelsea con i Citizens. Le sfide tra le due squadre saranno il 21 settembre all'Etihad Stadium e il 31 gennaio allo Stamford Bridge. Tecnicamente, Lampard potrebbe giocarle entrambe e poi rientrare negli Stati Uniti per l'inizio della MLS, quando il NYCFC sarà pronto a esordire nella stagione 2015. Chissà cosa accadrebbe se Lampard scendesse in campo contro la sua squadra del cuore. Insomma, non è stata una scelta saggia. Eppure uno studio del 2009 da parte dell'allora dottore del Chelsea, Brian English, stabilì che il quoziente intellettivo di Lampard superasse 150. Nonostante ciò, le scelte sbagliate sono sempre dietro l'angolo. E le bandiere rischiano di ammainarsi in certi casi.

Frank Lampard, 36 anni, è pronto per uno stint di sei mesi con il Manchester City.

16.8.14

Tra canti, sogni e ritorni.

Se penso al "Boavista", la mente torna a quand'ero piccolo. All'epoca passavano gli highlights della Champions, ma in una fascia oraria particolare: il sabato mattina. Vedevo le immagini del Willem II o del Lens sul più grande palcoscenico europeo. Poi sono arrivate le medie e i sabati mattina li trascorrevo a scuola. Ma un giorno, rimasto a casa, ho visto delle maglie a scacchi sfidare il Liverpool e il BVB. Dopo anni di difficoltà economiche, il Boavista torna alla gloria: stasera inizia la sua nuova avventura nella Primeira Liga.

A Bola del 19 maggio 2001: il Boavista è campione di Portogallo.

Ci sono voluti diversi anni per riprendersi, ma alla fine il Boavista - squadra di Oporto - è tornato nella massima divisione portoghese. Un verdetto giunto a sorpresa, bisogna ammetterlo. Perché il club non ha riacquistato la promozione in Primeira Liga sul campo, ma tramite il ribaltamento di una sentenza ritenuta illegittima e che aveva condannato il club alla retrocessione in terza divisione nel 2008. Sono stati anni difficili quelli trascorsi dal club bianconero. A causa dello scandalo Apito Dourado, il Boavista è stato indagato e alla fine retrocesso per corruzione: il suo presidente, Valentim Loureiro, tentò di corrompere diversi arbitri: un illecito che ha portato alla condanna di Loureiro per tre anni. Non solo: nel processo non-penale Apito Final, il Boavista alla fine è stato retrocesso nel 2008 in Liga de Honra (la seconda divisione portoghese) per corruzione e coercizione degli arbitri oggetto del processo.
Un colpo duro, che però non è stato il solo alla storia del club. Nel 2008-09, è arrivata anche la seconda retrocessione sul campo. All'inizio, un caso di corruzione riguardante l'F.C. Vizela è sembrato annullare la retrocessione della squadra, ma le difficoltà finanziarie ed economiche del club hanno spinto comunque il Boavista alla discesa: il 2009-10 rappresenta la prima volta in 41 anni che il Boavista ritorna in terza divisione. E la storia non è andata meglio negli anni successivi: in cinque stagioni trascorse in Segunda Divisão, non è mai arrivata la promozione. Intanto, pian piano, il patrimonio tecnico del Boavista si è dissipato.
E pensare che ci son stati bei momenti nella storia del club. Il Boavista aveva già minacciato il dominio dei Big Three di Portogallo (Benfica, Porto e Sporting) nel 1975-76, quando è giunto secondo in classifica generale. Ma il momento più grande è stato nel 2000-01. Dopo esser arrivati nuovamente secondi nel 1999, il Boavista vince il campionato nazionale per un punto, davanti al famigerato Porto. Il trionfo è celebrato il 18 maggio 2001, dopo la vittoria per 3-0 sul proprio campo contro il Desportivo das Aves. Alla presidenza João Loureiro (figlio di Valentim), in panchina Jaime Pacheco. E in campo Nuno Frechaut, Petit, Ricardo e il boliviano Erwin Sánchez, capitano di quella squadra. La vittoria è rimasta nella mente di molti, anche perché è stata una delle due volte in cui il campionato non è stato vinto dal Porto, dal Benfica o dallo Sporting Lisbona. L'altra è capitata al Belenenses, che però ha vinto il titolo nel 1946.
L'anno dopo, il Boavista stupisce tutti in Champions League: elimina il Borussia Dortmund e fa soffrire sia Liverpool che Bayern Monaco. Quel momento è il tramonto del Boavista sul calcio portoghese: dalla semifinale raggiunta in Coppa Uefa nel 2003, presto il club scenderà di posizioni e andrà incontro a un destino infausto, dovuto anche alle difficoltà economiche. Queste sono partite dalla costruzione dell'Estádio do Bessa, splendido impianto per Euro 2004: la spesa per lo stadio sarebbe dovuta esser condivisa con le istituzioni (45 milioni, ma lo stato ne ha pagati sette) e alla fine l'ha pagato il Boavista. Che ha dovuto tagliare il budget per gli acquisti.


Tuttavia, c'è chi non si è arreso mai in questi anni. Come il presidente João Loureiro, numero uno del club dal 1997 al 2007 e tornato in auge negli ultimi anni. Loureiro è stato coinvolto nello scandalo Apito Dourado, ma alla fine ne è uscito pulito. Sopratutto, l'ex presidente ha lottato per la riabilitazione non solo della sua figura, ma anche di quella del Boavista. Molti tifosi e azionisti del club hanno chiesto il suo ritorno, che si è concretizzato nel gennaio 2013. A quel punto, Loureiro si è messo in moto per riportare il Boavista dove merita: una lunga battaglia legale conclusa nel giugno dell'anno scorso, quando il club si è riguadagnato il diritto di giocare in Primeira Liga. Inoltre, Loureiro è stato bravo anche a rinegoziare i debiti del Boavista, passati da 65 a 20 milioni di euro e pagabili in dodici anni. E ha persino ottenuto un indennizzo dalla FPF (la federazione calcistica del Portogallo).
Loureiro nella vita fa l'avvocato, ma non solo: ha avuto persino il ruolo di leader e cantante della band BAN durante gli anni '80 e '90. Il gruppo ha fatto numerose hit e ha pure rilasciato un altro album appena quattro anni fa. Inoltre, l'avvocato ha fatto anche un'apparizione in politica nelle file del PSD come deputato. Insomma, Loureiro è un tutto fare, innamorato dei colori bianconeri. Ora si riparte dalla Primeira Liga, dopo diversi cambiamenti avvenuti nell'ultimo anno e mezzo. E c'è tanto entusiasmo dalle parti dell'Estádio do Bessa, con molti tifosi che stanno tornando al primo amore. Chiaramente sarà dura, perché si riparte da una squadra che l'anno scorso ha faticato in terza divisione e da acquisti fatti in fretta e furia per rinforzare l'organico. Tuttavia, la Primeira Liga si è allargata a 18 squadre e quindi le possibilità di salvarsi sono più ampie.
Inoltre, si riparte dal passato: Petit è l'allenatore del Boavista sin dal giugno 2012, quando è tornato dall'esperienza in Germania con il Colonia e si è ricongiunto alla maglia del suo cuore. Con il club, da giocatore, ha giocato solo per due anni in Primeira: erano gli anni della vittoria del campionato e delle comparsate in Champions. Poi è tornato per chiudere la sua carriera in terza divisione e da lì è diventato l'allenatore degli Axadrezados. Ora lo attende una nuova avventura, a partire dalla gara di stasera sul campo dello Sporting Braga, poi ci sarà l'esordio casalingo. E non un esordio qualsiasi: arriverà il Benfica campione di Portogallo. Son tornati i tempi delle gioie, dei canti, dei sogni. Questo è il da Bessa, stasera va in scena il Boavista.


I tifosi del Boavista hanno ottenuto giustizia: è nuovamente Primeira.

13.8.14

UNDER THE SPOTLIGHT: Johnny Russell

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Under The Spotlight", la rubrica che prova a consigliarvi i talenti più in vista sulla scena del calcio europeo. Oggi facciamo un'escursione in Inghilterra e specialmente in Championship: è sempre bello trovare nuove storie nei campionati minori. Anche perché le serie inferiori inglesi ne regalano tante. Nella giornata odierna ci concentriamo su Johnny Russell, che potrebbe avere una seconda stagione brillante con la maglia del Derby County.

SCHEDA
Nome e cognome: Jonathan "Johnny" Russell
Data di nascita: 8 aprile 1990 (età: 24 anni)
Altezza: 1.78 m
Ruolo: Seconda punta, ala
Club: Derby County (2013-?)


STORIA
Nato a Glasgow nell'aprile del 1990, Johnny Russell non è finito per esser la stella di una delle due squadre principali della città e d'Europa: niente Celtic, né Rangers per il ragazzo, cresciuto e sbocciato in un decennio con il Dundee United. L'esordio con la maglia dei Terrors è arrivato nel maggio 2007, quando il ragazzo ha appena 17 anni. Da lì in poi, c'è voluto un po' di tempo prima che Russell si integrasse a pieno nei meccanismi del club. Infatti, l'attaccante è stato prestato per tre volte: due al Forfar Athletic (in quarta divisione) e una al Raith Rovers (in seconda divisione).
Tornato alla base in maniera definitiva nell'estate del 2010, Russell è riuscito a guadagnarsi a vent'anni lo spazio che da tempo sperava di avere. Al Tannadice Park il ragazzo è cresciuto gradualmente: 9 gol alla prima stagione piena con la squadra (nella quale segna anche durante la vittoria del Dundee sul campo dei Rangers) e 15 alla seconda (gol più veloce della storia del Dundee, sempre contro i Rangers). Ma sono sopratutto le 20 marcature alla terza annata a dare una sterzata alla sua carriera: il suo contratto con il Dundee scade nel giugno 2014. E Russell palesa l'intenzione di non rinnovare con i Terrors. A quel punto, con le offerte del Catania e del Derby County alla porta, il club decide di cederlo.
Lo scozzese non ha dubbi: niente Sicilia, meglio restare vicino alla madre patria. E continuare a crescere in un calcio simile a quello scozzese, ovvero quello della Championship. Così a giugno 2013 Russell ha firmato un contratto con il Derby County: il trasferimento è andato a buon fine per una cifra di poco inferiore al milione di euro. Un affare per i Rams, che si sono portati a casa un giocatore capace di esplodere nel giro dei prossimi anni. Un buon colpo anche per Russell, che può crescere in una realtà tranquilla e che aspetta giorni migliori dopo anni di difficoltà. Tempi migliori che sono giunti proprio quest'anno, con l'arrivo in panchina di Steve McLaren e il terzo posto conquistato nell'ultima Championship. Il Derby è arrivato in zona play-off e ha sfiorato la promozione diretta, per poi perdere la finale di Wembley contro il QPR. Tuttavia il primo anno in Championship si può dire positivo per l'attaccante scozzese (9 gol in 39 presenze): anche perché Russell si è portato a casa il premio di gol dell'anno per il Derby County (vedi qui).

CARATTERISTICHE TECNICHE
Seconda punta naturale, Russell ha una progressione palla al piede molto veloce. Dotato di un ottimo scatto e velocità di pensiero, a volte lo scozzese può perdersi nel suo esser irrefrenabile. Tatticamente, seppur nasca come seconda punta, può esser utilizzato anche come esterno su entrambi i lati in un 4-3-3 (come accade nel Derby County). Lo scozzese preferisce rientrare da sinistra, ma può giocare sui due sides del campo. Inoltre, in emergenza, Russell può esser utilizzato da punta centrale.

STATISTICHE
2006/07 - Dundee United: 2 presenze, 0 gol
2007/08 - Dundee United: 2 presenze, 0 gol
2008/09 - Dundee United: 1 presenza, 1 gol
2008/09 - Forfar Atheltic**: 26 presenze, 8 gol
2009/10 - Dundee United: 1 presenza, 1 gol
2008/09 -  Raith Rovers***: 28 presenze, 5 gol
2010/11 - Dundee United: 33 presenze, 9 gol
2011/12 - Dundee United: 43 presenze, 15 gol
2012/13 - Dundee United: 38 presenze, 20 gol
2013/14 - Derby County*: 42 presenze, 9 gol
2014/15 - Derby County* (in corso): 1 presenza, 0 gol
* = in Championship
** = in Scottish Third Division
*** = in Scottish First Division

NAZIONALE
Russell deve ancora esordire con la nazionale scozzese, che però sta sfornando dei discreti attaccanti negli ultimi anni. Steven Fletcher, Jordan Rhodes, Ross McCormack, Steven Naismith, ma anche Leigh Griffiths e il compagno di club Chris Martin. D'altro canto, Russell ha già giocato nelle rappresentative giovanili della Scozia: una ventina di presenze totali tra Under 19 e Under 21.

LA SQUADRA PER LUI
Un altro anno al Derby County è l'ideale per l'attaccante. Anche perché Russell deve ancora crescere e trovare la definitiva esplosione. L'anno scorso con il club ha sfiorato la promozione in Premier, quest'anno se la potrebbe prendere di cattiveria. Uno come lui farebbe benissimo in Bundesliga, ma difficile che uno scozzese si sposti dal Regno Unito. La storia insegna. Sarebbe utile al Manchester United o al Tottenham, che però per il 2014-15 sono già pieni davanti. Johnny, goditi il Pride Park: magari l'anno prossimo sarai altrove...

8.8.14

Spettacolo al Borussia Park.

Sono stati parecchi i cambiamenti negli ultimi anni di Bundesliga. Non sono molti i tecnici che si sono confermati: il Bayern Monaco, lo Schalke 04, il Bayer Leverkusen, il Wolfsburg, l'Amburgo e persino il Werder hanno cambiato tecnico. Pochi hanno confermato il proprio allenatore: se Jurgen Klopp è rimasto al Borussia Dortmund, un altro confermato d'alto borgo è certamente Lucien Favre. Il tecnico svizzero si prepara alla sua quinta stagione in Bundesliga e promette spettacolo con il suo Gladbach.

Favre e il Servette, un connubio durato undici anni tra campo e panchina.

La carriera di Lucien Favre da calciatore è stata discreta: riferimento della nazionale svizzera, ma sopratutto del Servette, Favre è diventato campione di Svizzera nel 1985. Discreto play-maker di centrocampo, si è ritirato nel 1991. Diventato allenatore, Favre è ancora ricordato al FC Echallens, dove è rimasto per quattro anni: per due ha fatto il tecnico delle giovanili, poi ha condotto una giovanissima prima squadra alla promozione della seconda divisione svizzera. Ancora oggi è uno dei più grandi risultati del club. Poi Favre passa all'Yverdon-Sport FC, dove fa un altro miracolo: la squadra all'epoca vivacchia nei bassifondi della seconda divisione, Favre li salva e li porta alla promozione. Nel successivo campionato, il tecnico porta l'Yverdon anche al quinto posto della Nationalliga A.
Dopo quasi dieci anni di miracoli, Favre è tornato al primo amore: i due anni al Servette hanno portato una vittoria in Coppa nel 2001 e un'ottima annata in Coppa Uefa, dove la squadra di Ginevra è stata eliminata dal Valencia, che da lì a poco avrebbe vinto la Liga con Rafa Benitez. In seguito Favre ha vissuto un ottimo quadriennio allo Zurigo: due Swiss Super League e una Coppa di Svizzera vinta. I due campionati vinti dal club sono arrivati sul filo di lana e all'ultima giornata. In particolare, a Zurigo ricordano ancora con piacere l'annata 2005-06: il campionato è stato vinto all'ultimo atto in casa dei rivali più acerrimi. Allo St. Jakob di Basilea, lo Zurigo è dietro di tre punti. Solo la vittoria garantirebbe la conquista del campionato, ma fino a pochi minuti dalla fine la gara è ferma sull'1-1. Il gol finale di Iulian Filipescu al 93' porta l'inerzia dalla parte dello Zurigo, che vince il campionato. Inoltre, nel 2007 Favre vince il campionato con un Zurigo dall'età media di 21 anni e mezzo: alla faccia dell'esperienza.
Tuttavia, nel 2007 per Favre è tempo di lasciare la Svizzera dopo anni di successi. L'occasione buona è quella con l'Hertha Berlino: tre anni di accordo tra il club della capitale e l'allenatore svizzero. Dopo un primo anno d'ambientamento (10° posto), la squadra di Berlino ha uno straordinario 2008-09: non ci sono grandissimi bomber (solo Pantelic e Voronin vanno in doppia cifra), ma l'Hertha gira che è una meraviglia. Ancora una volta, il merito è da ascrivere a Favre: dopo l'eliminazione sia dalla DFB-Pokal che dalla Coppa Uefa, il cammino sembrava compromesso. Invece, il tecnico svizzero rimette insieme i pezzi e porta i suoi ragazzi al quarto posto, con le vittorie anche su Bayer Leverkusen e Bayern Monaco. Anzi, se non fosse stato per il misero bottino nelle due giornate finali (un punto su sei), l'Hertha sarebbe stato in corsa per il titolo, poi vinto dal Wolfsburg di Magath. Ciò vale a Favre persino il premio di manager dell'anno in Germania. La stagione successiva chiude un buon biennio a Berlino, visto che in estate la squadra viene smantellata, con le cessioni di Simunic, Voronin e Pantelic. L'Hertha parte male e a settembre 2009 Favre viene esonerato. Tuttavia, la sua storia in Germania è tutt'altro che finita.

Favre ai tempi dell'Hertha Berlino: vinse il premio di manager dell'anno in Buli.

Dopo un abbondante anno sabbatico, Lucien Favre è pronto a rientrare. A cogliere l'occasione è il Borussia Mönchengladbach, che versa in uno stato di classifica profondamente deficitario. Il Gladbach, infatti, prende Favre a febbraio 2011, nel momento in cui la squadra è all'ultimo posto della Bundesliga, con appena 16 punti in 22 gare. Nelle restanti 12 partite, Favre mette insieme quello che possiamo definire un miracolo. Con un 4-4-2 classico, il Gladbach ottiene subito un'ottima vittoria con lo Schalke 04 e batte addirittura il Borussia Dortmund campione di Germania. A fine stagione, i venti punti ottenuti da Favre consentono alla squadra di disputare il play-off contro il Bochum, terzo in Zweite: il 2-1 totale consente al club di rimanere in Bundesliga.
Ma la storia non è finita qui, perché il Borussia si spara una stagione ancor più straordinaria nel 2011-12. Favre ottiene subito la vittoria contro il Bayern Monaco all'Allianz Arena: nelle prime sette giornate, il Gladbach fa 16 punti e vola. Poi rallenta progressivamente, ma non molla mai la zona europea. La squadra di Favre stupisce tutti per il bel gioco e ottiene anche risultati: due cose difficilmente coniugabili, ma non per il tecnico svizzero. Che a fine anno festeggia il quarto posto che vale i preliminari di Champions: un risultato incredibile, se si pensa quanto successo l'anno prima. Alla fine il Gladbach in Champions non ci va (sconfitta nei preliminari contro la Dinamo Kiev), ma la squadra continua a stupire. Prima è arrivato un ottavo posto, poi il sesto del 2013-14, che ha riconfermato il club in Europa League.
Ottimi risultati, ma quest'anno Favre può nuovamente puntare al bersaglio grosso, oltre ad aver ottenuto il rinnovo fino al 2017. Se c'è una squadra che ha fatto gli innesti giusti al posto giusto, è proprio il Gladbach. Certo, ter Stegen e Arango hanno salutato la compagnia: sono due pezzi da novanta che lasciano il Borussia Park proprio nel momento sbagliato. Tuttavia, il club ha rimpiazzato gli assenti. Innanzitutto ha piazzato un buon colpo in uscita, liberandosi di quel Luuk de Jong che ha stranamente fallito con la maglia del Gladbach: otto gol in 45 gare al Borussia Park. Pochini per pensare in una riconferma. Però sono arrivati cinque acquisti che rinforzeranno nei punti giusti il 4-4-2 di Favre. Fabian Johnson ha fatto un gran Mondiale, ma già all'Hoffenheim si è comportato discretamente. Yann Sommer, arrivato dal Basilea, servirà a colmare il vuoto lasciato da ter Stegen: si è scelto un portiere di esperienza, che ha già raggiunto la maturazione.
Ma le vere novità sono sugli esterni: confermato Patrick Hermann, Favre avrà altre tre frecce al suo arco. Ibrahima Traoré ha già avuto lo svizzero come allenatore all'Hertha Berlino, ma dopo la stagione a Stoccarda sarà un giocatore importante. André Hahn ha sfiorato il Mondiale e all'Augsburg lo ricordano tutti con piacere. Infine, Thorgan Hazard non è solo il fratello di Eden, ma un giocatore pronto a sfondare definitivamente. Insomma, c'è il materiale per andare alla caccia della Champions. E per dimostrare che lo spettacolo al Borussia Park, con Favre in panchina, non finisce mai.

Lucien Favre, 56 anni, è pronto a stupire con il suo Gladbach.

5.8.14

Due stelle diverse, un unico futuro.

Compagni in nazionale, ma destinati a esser rivali con i rispettivi club. Per ora sono solo giovani virgulti, ma in futuro chissà. Il calcio spagnolo si è rialzato dopo la pessima figura del 2013, quando Real e Barcellona sono state umiliate dalle tedesche. Oggi, il Real è campione d'Europa, l'Atlético ha vinto la Liga e il Siviglia l'Europa League. Ma è il futuro della nazionale a preoccupare: dopo il Mondiale, ci vuole un riscatto. E ci sono due ragazzi che saranno utili alla Roja: Jesé Rodriguez del Real e Gerard Deulofeu del Barcellona.

Jesé Rodriguez, 21 anni, stella del Real Madrid e (forse) futuro erede di CR7.

Due destini diversi, due storie incrociate. Jesé Rodriguez è un classe '93, di cui per altro vi ho già parlato nella scorsa estate, temendo che il Real non gli avrebbe dato spazio, né rinnovato il contratto suo e di Morata. Se l'ariete ora è a Torino con la Juventus, il giovane Jesé ha avuto un discreto spazio con Ancelotti e ha contribuito a conquistare la Champions, seppur solo nella fase a gironi. Mourinho ha fatto esordire Rodriguez con il Real quando il ragazzo aveva solo diciott'anni, ma è la Castilla dove il giocatore ha fatto le sue fortune. Specie nel 2012-13, quando Rodriguez ha guidato la squadra B del Real a un'ottima stagione in Segunda División: la Castilla è giunta ottava, addirittura davanti ai pari-età del Barca. Con 22 reti segnate, Jesé ha battuto il record di Emilio Butragueño, che era arrivato a quota 21 in una stagione con la maglia della Castilla. Da lì è arrivato il rinnovo e la promozione in prima squadra: otto gol in 31 presenze. Tra le reti, la prima è stata in un Clásico perso dal Real 2-1 a ottobre 2013. Tutto bene, finché a metà marzo Rodriguez non ha subito la rottura del legamento crociato anteriore nel ritorno degli ottavi di Champions contro lo Schalke 04. Un infortunio che ha concluso la sua prima stagione con i Blancos, ma che ha fatto capire di che pasta è fatto il ragazzo.
La cosa strana è che il destino di Jesé si è incrociato spesso con l'altra stella del calcio spagnolo. Una stella color blaugrana, che ha affrontato due volte nella stagione 2012-13. In quella Segunda División, il Barcellona B schierava Gerard Deulofeu. La storia dell'ala blaugrana - 18 gol in quell'annata - è diversa di quella Jesé. Se il talentino del Real continua a crescere al Bernabeu, per Gerard si è scelta la strada del prestito. Dopo un'ottima stagione con la squadra B del Barcellona, Deulofeu è stato mandato all'Everton per il 2013-14. Un'esperienza molto diversa da quella della Liga, tanto che si è temuto che la Premier potesse essere troppo dura per il giovane talento del Barca. Invece, Deulofeu è stato subito considerato da Martinez e ha rappresentato uno dei punti di riferimento dell'Everton, giunto quinto nell'ultima Premier League. Certo, lo spagnolo ci ha messo un po' a ingranare, ma una volta inserito nei meccanismi dei Toffees ha dato il bianco. Altro che difficoltà fisiche: quattro gol in 29 presenze, ma sopratutto una velocità impressionante di passo e di pensiero. In fondo, neanche a Liverpool lo dimenticheranno: Deulofeu, alla fine dell'avventura, si è premurato di scrivere una lettera di ringraziamento a tutti coloro che fanno parte dell'Everton. Quest'anno torna al Barca con la speranza di sfondare. Curiosità: i contratti di entrambe queste giovani stelle scadono nel giugno 2017. Un destino più incrociato di così è difficile da immaginare.

Gerard Deulofeu, 20 anni: dopo l'Everton, è tornato per conquistare Barcellona.

La domanda però è: quanto spazio possono avere i due nei rispettivi club? Inutile girarci attorno: tutti aspettano il Clásico per vedere la sfida tra due attacchi stellari. Nel Barcellona, il trio Suárez-Messi-Neymar promette sfaceli. Nel Real Madrid, si prospetta un 4-3-3 con davanti Benzema, Bale e Cristiano Ronaldo: insomma, il modulo che ha portato i Blancos a vincere la Champions qualche mese fa. Che però potrebbe diventare 4-2-3-1 per dar spazio a James Rodriguez, magari sacrificando uno tra Di Maria (sempre in partenza) e Kroos. In tutto questo, non sembra esserci spazio per i due giovani promettenti. Deulofeu dovrebbe cercare di togliere il posto a uno dei tre davanti, ma non sarà facile, considerando che anche Pedro è un panchinaro. Jesé Rodriguez invece dovrà sicuramente aspettare: idealmente, potrebbe esser l'erede di CR7, ormai vicino ai trent'anni e ogni estate accostato a nuove avventure (il PSG o il ritorno a Manchester, sponda United).
Più facile capire se per Jesé e Gerard ci sarà spazio nella Spagna per Euro 2016. Il Mondiale brasiliano è stata una bella mazzata per la Roja, che non si aspettava di uscire nella fase a gironi. Tuttavia, c'è lo spazio per ripartire. E in questa ripartenza, le due giovani star possono tornare utili: nel 4-3-3 tutto possesso palla e verticalizzazioni, un po' di corsa e tecnica palla al piede possono esser utili. Non è impossibile immaginare una Spagna al prossimo Europeo con davanti Jesé Rodriguez, Gerard Deulofeu e quell'Álvaro Morata che spera di sfondare alla Juventus. Certo, senza dimenticare i vari Silva, Iniesta e compagnia, che però avranno superato la soglia dei 30 quando si giocherà la rassegna continentale in Francia.
Per altro, Rodriguez e Deulofeu hanno già avuto esperienze di nazionale insieme. I due hanno giocato l'Europeo U-17 nel 2010, l'Europeo U-19 nel 2012 (vinto dalla Spagna) e il Mondiale U-20 nel 2013. E potrebbero essere utili anche in ottica Olimpiadi, quando la Spagna potrebbe riprovarci per la medaglia d'oro, sfuggita malamaente a Londra nel 2012. Una partnership ben collaudata: se questi due giocassero insieme in qualche squadra, quella compagine avrebbe un futuro assicurato. La Spagna ha deluso all'ultimo Mondiale brasiliano, ma il motivo buono per non darla per morta è proprio questo: ci sarà un'altra generazione che conquisterà il Mondo. Spagna e Germania sono le uniche due nazionali europee che hanno almeno due generazioni di fenomeni, attuali e potenziali. La Roja può ripartire dal duo Gerard-Jesé. I due saranno avversari in campionato e per la conquista della Liga, ma in nazionale possono far sfaceli. E rimettere la Spagna sulla mappa (cit.).

I due con la Roja: tre tornei insieme. Il prossimo sarà l'Europeo 2016?

1.8.14

E alla fine vincono i tedeschi.

Non solo Mondiale: il 2014 è pieno di tante piccole competizioni internazionali che possono consacrare nuovi campioni. Tra queste, un occhio di riguardo va all'Europeo U-19 che si è svolto in questi giorni in Ungheria. Un'occasione per gli addetti ai lavori per misurare il livello delle nuove potenziali stelle del calcio europeo. Alla fine, la Germania ha avuto la meglio sul Portogallo nella finale di Budapest, a conferma del loro ottimo momento. Gary Lineker ha ragione: «A calcio si gioca in undici e alla fine vincono i tedeschi».

L'Ucraina ha fatto bene e si è qualificata per il Mondiale U-20 del prossimo anno.

L'anno scorso il titolo di campione d'Europa è andato alla Serbia, che aveva battuto in finale la Francia. Se i serbi sono riusciti a ripresentarsi anche alla competizione di quest'anno, non è andata altrettanto bene alla Francia, eliminata nei primi round di qualificazione. Anche l'Olanda è uscita nei primi turni, mentre l'Italia - pur arrivando terza nel suo gruppo - è riuscita a qualificarsi all'élite round come miglior terza dei dieci raggruppamenti. Nell'élite round - composto da quattro squadre nei sette gironi - le sorprese sono state molte di più. L'Inghilterra ha dovuto cedere il passo all'Ucraina per la gara persa all'ultimo minuto in quel di Burton-upon-Trent; Israele ha fatto punteggio pieno e non ha concesso nemmeno un gol ai suoi avversari, qualificandosi per la prima volta alla fase finale del torneo. La Spagna, sempre famosa a livello giovanile, ha dovuto far spazio alla Germania. Alla fine, a queste si sono aggiunte Austria, Bulgaria e Portogallo, più i padroni di casa dell'Ungheria. Rispetto al torneo del 2013, sono solo due le squadre che si son confermate alla fase finale: Germania e la Serbia campione uscente.
Il torneo si è svolto tra Budapest, Felcsút, Győr e Pápa: queste le quattro città che hanno ospitato la rassegna dal 19 al 31 luglio. Le otto squadre si son divise in due gruppi. Nel girone A, è stato netto il dominio del Portogallo, che ha vinto tutte le gare del raggruppamento e ha concluso in prima posizione. Da notare che tra i 18 convocati dei lusitani, ben 13 giocano nelle giovanili di Porto, Sporting Lisbona e Benfica: le big continuano a esser il serbatoio più grande per la nazionale, anche per le rappresentative giovanili. Si è distinto sopratutto André Silva, centrocampista del Porto. Dietro i lusitani è giunta l'Austria a sei punti, seguita dall'Ungheria a tre, che così almeno ha vinto una gara e strappato il biglietto per il Mondiale U-20 dell'anno prossimo.
Diverso lo scenario del gruppo B, dove la Germania ha fatto il bello e il cattivo tempo. Ha stravinto con la Bulgaria, ha rischiato la sconfitta contro la Serbia (pareggio al 90') e ha chiuso la pratica qualificazione contro l'Ucraina. Dietro i teutonici c'è la Serbia, che ha confermato la capacità di saper produrre giovani talenti. L'Ucraina non ha fatto male: se la Serbia non avesse segnato il gol decisivo al 90' della gara contro la Bulgaria, gli ex-sovietici sarebbero anche passati. Comunque anche loro saranno al Mondiale U-20 in Nuova Zelanda dell'anno prossimo. A differenza del Portogallo, la Germania distribuisce in più squadre i 18 giocatori convocati: nessuno proveniente dal Bayern Monaco campione nazionale, mentre il capitano - Niklas Stark - è un giocatore del Norimberga, che ha già alle spalle diverse presenze in prima squadra. Tutto ciò nonostante Stark sia un classe '95. Quanta differenza rispetto all'Italia...

Davie Selke, 19 anni: origini etiopi, ma bomber della Germania e del Werder.

Nella fase a eliminazione diretta, le semifinali sono state Portogallo-Serbia e Germania-Austria. Se i tedeschi hanno distrutto gli austriaci in un 4-0 senza storia, ben più difficile è stato il compito dei lusitani, che hanno avuto meglio sui pari-età serbi solo ai calci di rigore. Nella serata di giovedì 31 luglio, al Ferenc Szusza Stadium di Budapest, di fronte a 5000 spettatori, la Germania ha trionfato nella finale della competizione contro il Portogallo. L'ennesimo trionfo dei tedeschi e che ha sancito l'affermazione di alcuni ragazzi. Sopratutto di Davie Selke, origini etiopi da parte paterna, ma nato in Germania: capocannoniere del torneo, Selke gioca nel Werder Brema e ha già esordito in Bundesliga con la sua squadra. Chissà che non risentiremo parlare di lui.
Purtroppo l'Italia non si è qualificata alla fase finale di quest'Europeo, a conferma della crisi tecnica che il nostro calcio vive da anni a livello giovanile. Se escludiamo il secondo posto dell'Under 21 azzurra agli Europei di categoria in Israele dello scorso anno, l'Italia fa veramente fatica a creare nuovi campioni o quanto meno a valorizzarli. Lo dimostra l'eliminazione nell'élite round: nel gruppo 2, gli azzurrini sono arrivati ultimi in un raggruppamento che comprendeva Bulgaria (qualificata alla fase finale), Repubblica Ceca e Svezia. Nessuna vittoria, appena un punto conquistato. E anche tra i giocatori convocati alla manifestazione, solo tre provenivano da squadre italiane.
Di contro, l'Europeo ha confermato due tendenze in generale. Primo: le nazionali dell'Europa dell'Est sanno crescere i propri talenti. Che poi essi possano effettivamente trasformarsi in campioni anche nelle categorie superiori, è un altro paio di maniche. Tuttavia, la presenza di Ungheria, Bulgaria, Serbia e Ucraina conferma la tendenza generale. Per altro, le ultime due saranno al Mondiale U-20 dell'anno prossimo. Chissà che non possano riservare sorprese in Nuova Zelanda.
Secondo: la Germania è ovunque. E' il suo grande momento e nessuno può negarlo. Per altro, la Germania è andata incontro a questo trionfo con molti giocatori multi-etnici, un po' come la squadra che ha vinto la Coppa del Mondo quindici giorni fa. Ho già parlato di Selke, ma dei diciotto giocatori convocati dal C.T. Marcus Sorg, cinque hanno origini al di fuori della Germania. Lo stesso match-winner della finale, Hany Mukhtar, ha stimmate sudanesi. Molti di questi potrebbero diventare protagonisti dei prossimi anni in Bundesliga. Ma il concetto rimane lo stesso: alla fine, vincono sempre i tedeschi.

La Germania U-19 è campione d'Europa: dopo il Mondiale, un'altra vittoria.