28.2.13

ROAD TO JAPAN: Toshiyuki Takagi

Bentornati a tutti voi, cari lettori. Siamo qui nuovamente oggi per parlare di Giappone e chiudere questo mese di febbraio, con un'altra segnalazione su un talento del Sol Levante. Se nell'ultimo numero avevo parlato di un centrocampista dotato di molta fantasia, oggi non mi discosto da questo prototipo: infatti, vi menzionerò di un attaccante, capace di giocare su tutto il fronte offensivo e di spezzare le partite in due. Forse è ancora un po' acerbo, ma si farà senza dubbio: sto parlando di Toshiyuki Takagi, seconda punta dello Shimizu S-Pulse.

SCHEDA
Nome e cognome: Toshiyuki Takagi (高木 俊幸)
Data di nascita: 25 maggio 1991 (21 anni)
Altezza: 1.70 m
Ruolo: trequartista offensivo, seconda punta
Club: Shimizu S-Pulse (2011-?)


STORIA
Toshiyuki Takagi nasce 21 anni fa nella grande metropoli di Yokohama; lo sport era nel suo destino, visto che il padre è stato un famoso giocatore di baseball nella città della prefettura di Kanagawa. Lo stesso vale per i suoi due fratelli: infatti, i figli della famiglia Takagi sono tutti dediti al calcio e sono tutti cresciuti nel florido vivaio del Tokyo Verdy. Se il più piccolo, Daisuke, è un classe '95, Yoshiaki - nato nel 1992 - è già in Europa, seppur la sua avventura con l'Utrecht non stia andando molto bene. E Toshiyuki? Il più grande dei tre fratelli Takagi è ancora in Giappone e sta seguendo un percorso più graduale. Sembrava addirittura che lui dovesse seguire le orme del padre, giocando a baseball; invece, dopo esser cresciuto nell'F.C. Azamino, i verdi della capitale lo acquistano e lo mettono nel settore giovanile. Non ci vuole molto prima che il tecnico della prima squadra lo faccia esordire nell'ottobre del 2009; giusto qualche presenza per prepararlo all'anno successivo. Anzi, il tecnico Kawasatsu decide di andare oltre, schierando entrambi i fratelli Takagi in campo: Yoshiaki gioca più di Toshiyuki, partendo da titolare, ma entrambi danno il loro contributo. Alla fine, il Tokyo Verdy ottiene il quinto posto e si pensa che il futuro possa essere nuovamente in prima divisione. Ma ormai entrambi i fratelli Takagi hanno attirato attenzione: se Yoshiaki emigra in Olanda, Toshiyuki sale di categoria e si trasferisce allo Shimizu S-Pulse, che ha bisogno di sostituire i partenti Hyodo e Fujimoto. Un trasferimento che costa appena 300mila euro.
Takagi ha la piena fiducia del nuovo allenatore dello S-Pulse, l'iraniano Ghotbi; è tale la fiducia in lui che il ragazzo, appena 19enne, gioca ben 37 partite in tutta la stagione, con 4 reti all'attivo. La vera esplosione, però, è arrivata quest'anno: sempre con lo stesso tecnico, lo Shimizu ripete l'andamento della stagione passata, confermandosi a metà classifica. Intanto, Takagi ed Omae fanno ammattire le difese avversarie; se il Omae è più continuo sotto porta, Takagi trova comunque la maniera di realizzare 11 reti e 6 assist nelle 40 partite stagionali giocate. Inoltre, secondo una statistica, ha avuto un tasso di successo nei dribbling del 71%: non male.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Takagi è un giocatore offensivo come se ne trovano molti in Giappone; tuttavia, la sensazione è che sia ancora acerbo. Se questo, da una parte, vuol dire che deve ancora maturare, dall'altra segnala il fatto che il meglio, forse, deve ancora venire. Tatticamente, Takagi è un vero trequartista: nel 4-2-3-1 è capace di occupare tutte e tre le posizioni alle spalle della punta; nel 4-3-3 può giocare su tutti e due gli esterni, mentre nel 4-4-2 può agire da seconda punta. In casi d'emergenza, può giocare anche da punta, ma non è consigliabile. Sacrificarlo come esterno di centrocampo è possibile, ma controproducente: non può stare troppo lontano dalla porta. Una particolarità: è un destro, ma preferisce partire da sinistra, in modo da scaricare un buon tiro, dotato sopratutto di precisione. Takagi possiede anche un buon dribbling nello stretto, mentre perde qualcosa in termini di velocità; infine, il giocatore ha un discreto senso dell'assist.

STATISTICHE
2009 - Tokyo Verdy*: 5 presenze, 0 reti
2010 - Tokyo Verdy*: 26 presenze, 6 reti
2011 - Shimizu S-Pulse: 37 presenze, 4 reti
2012 - Shimizu S-Pulse: 40 presenze, 11 reti
(* = in J-League 2)

NAZIONALE
Diciamo che la situazione riguardante la nazionale è difficile: Takagi gioca in un ruolo fortemente conteso in Giappone. Basti pensare che, nella nazionale nipponica e nel suo 4-2-3-1, ci sono già cinque interpreti semi-sicuri del posto al mondiale: Kagawa, Honda, Okazaki, Kiyotake ed anche Inui sembrano sicuri di essere nei tre che giocano dietro la punta. Sarà difficile per Takagi conquistare spazio in quel ruolo; tuttavia, non c'è bisogno di giocare in nazionale per esser considerati un buon giocatore. Il fantasista dello Shimizu ha vestito la maglia dell'U-20 giapponese tra 2009 e 2010: sette presenze e tre gol nelle qualificazioni al campionato asiatico U-19.

LA SQUADRA PER LUI
Il suo valore non è eccessivo: un milione di euro (fonte: transfermarket.co.uk). Insomma, per lui, un altro anno in Giappone non è da scartare; il talento c'è, ma ha bisogno di esser raffinato. Semmai, se a giugno arrivasse un club belga, olandese o francese (campionati in cui si può maturare serenamente), allora farebbe bene a pensarci. L'Italia è troppo per lui in questo momento, ma chissà in futuro.



24.2.13

Bale Runner.

C'era una volta un ragazzo di Cardiff, dove lo sport principale è il rugby. Aveva le stimmate originarie del suo idolo d'infanzia, Ryan Giggs; non ci è voluto molto prima che quel prodigio venisse notato da diverse squadre inglesi. Oggi, dopo anni di miglioramenti, è uno dei primi 10 giocatori al mondo. Personalmente è nei primi cinque. Il suo nome è Gareth Bale e troverà nuovamente sulla sua strada un'italiana, l'Inter, nei prossimi ottavi di Europa League.

Bale in nazionale gallese, di cui è stella indiscussa e grande patrimonio.

L'ala del Tottenham sta stupendo il mondo nelle ultime settimane, ma non è stato sempre così. Classe 1989, Bale si è fatto notare in Galles per le sue straordinarie capacità: il più lesto nel prelevarlo è stato il Southampton, che l'ha tesserato a soli 16 anni. Bale debutta nel 2005/06, mettendo insieme due presenze e sfiorando il record di giocatore più giovane con la maglia dei Saints
La crescita del gallese impressiona nella stagione successiva, quando il Southampton sfiora la promozione in Premier anche grazie alle sue magie. Parte una nuova asta ed è il Tottenham ad avere la meglio, accordandosi per un trasferimento che ha raggiunto - grazie a bonus e premi - la quota di 11 milioni di euro; non male, visto che il ragazzo aveva solo 18 anni all'epoca.
Nei suoi primi tempi al "White Hart Lane", il gallese non ha fortuna: la prima stagione sembra andare bene quando si rompe il legamento ed è costretto a saltare il resto di quell'annata. Non va meglio in quella successiva, dove si prende il numero 3, ma perde il posto da titolare a favore di Assou-Ekotto; non solo, perché viene quasi ritenuto un amuleto negativo, visto che - quando Bale scende il campo - il Tottenham non vince per 24 partite consecutive. 
Quando si fa male nuovamente, nell'estate del 2009, sembra la fine. Eppure il nuovo tecnico, Harry Redknapp, crede fortemente in lui e dà al gallese una nuova chance: quando Bale scende in campo, l'allenatore ha una intuizione notevole, visto che sposta il gallese dal ruolo di terzino a quello di ala. Quest'intuizione, combinata al suo talento e alla crescita permessagli da Redknapp, trasformano il ragazzo in un'arma da guerra.
Il Tottenham centra la qualificazione ai preliminari di Champions League nel 2010, quando Bale gioca ancora da terzino. L'anno successivo è quello della sua consacrazione, sopratutto grazie a una partita, quell'Inter-Tottenham 4-3 dove Bale surclassa Maicon, facendogli passare una delle più brutte serate della sua vita da giocatore. 
Il gallese realizza una tripletta che, per poco, non permette agli Spurs di sfiorare una clamorosa rimonta, L'Inter vince, ma tutti si accorgono che Gareth Bale non è un giocatore qualsiasi. A confermarlo è il premio conferitogli dalla associazione calciatori inglese, che lo nomina miglior giocatore della Premier League 2010/11.

Un giovanissimo Bale a segno con la maglia del Southampton, con cui è cresciuto.

Insomma, tutto questo trambusto per Bale non è nuovo: da quando ha avuto questo miglioramento, la sua media-gol si è alzata e i più grandi club del mondo si sono fatti avanti per lui. Il problema è che, quest'anno, il gallese sta dominando in lungo e largo: il gioco di Villas-Boas lo valorizza ancor più di prima e lui è migliorato ulteriormente. 
Basta osservare il suo score personale: tra nazionale e club, il gallese ha totalizzato la bellezza di 20 reti e 10 assist in 35 presenze stagionali. E siamo solo a febbraio... la sensazione è che non si possa parlare più solo di top-player, ma di vero e proprio fenomeno del calcio. Ho spesso detto come Messi e Cristiano Ronaldo non siano soli, che vi siano un altro paio di giocatori capaci di avvicinarli.
Uno di questi è Radamel Falcao, di cui ho spesso lodato le prestazioni; l'altro, forse, è Gareth Bale, che sta facendo passi da gigante in questi anni. L'avere Harry Redknapp come allenatore l'ha aiutato, ma l'ala sta dimostrando di avere doti che molti non immaginavano sue; un fenomeno a 360 gradi, come quando, da piccolo, avrebbe voluto emulare le gesta del suo grande idolo d'infanzia: Ryan Giggs
Ora che il "mago gallese" del Manchester United ha quasi 40 anni e gioca ancora alla grande, l'augurio è che Bale possa fare altrettanto, sebbene il suo gioco sia più atletico e meno tecnico di quello del suo connazionale e mito d'infanzia. Tuttavia, in questo momento, sarebbe sciocco negare il fatto che Bale è assimilabile ai grandi del calcio mondiale. 
C'è chi dice che andrebbe testato in un club più grande: potrebbe esser vero, ma ciò non toglie nulla alla grandezza di questo atleta, che forse sarebbe stato tagliato anche per gli 800 metri alle Olimpiadi. Teniamocelo stretto e speriamo che duri a lungo; se poi giocherà con Messi o Cristiano Ronaldo, vorrà dire che ci sarà da divertirsi per chi li allenerà. Lunga a vita a Bale Runner: preservatecelo sano e forte come ora.

Gareth Bale, 23 anni, l'uomo più decisivo del momento in Premier.

18.2.13

Il bomber dimenticato.

Strana la vita: un giorno sei l'eroe di un paese intero ed alzi trofei al cielo, quello dopo sei un di più di cui sbarazzarsi. Forse David Villa non se l'aspettava, quando firmò per il Barcellona nell'estate del 2010: eppure, si è arrivati a questo punto. Non passa sessione di mercato in cui l'attaccante non venga costantemente accostato a nuove piazze che lo vorrebbero, con il Barcellona già alla ricerca di altre punte per sostituirlo. E' degli ultimi giorni la notizia che i blaugrana starebbero pressando il Porto per aver Jackson Martinez nella prossima estate. Del resto, è noto come "El Guaje" sia prossimo alla partenza dalla Catalogna; una fine triste per un campione forse dimenticato troppo in fretta.

L'esplosione di Villa avvenne con il Real Zaragoza tra il 2003 ed il 2005.

Asturiano classe 1981, David Villa non è mai stato uno che si arrende: da piccolo, ebbe un gravissimo infortunio che avrebbe potuto pregiudicarne i sogni di gloria. Quando ha quattro anni, il ragazzo si rompe il femore destro, ma lui ed il padre lavorano nel frattempo sul sinistro, permettendo a Villa di diventare un abile tiratore ambidestro, grazie all'aiuto del padre; sempre la famiglia gli consigliò di continuare a giocare quando - 14enne - ebbe contrasti con il suo coach dell'epoca. Insomma, un ragazzo con grande forza di volontà, sostenuto come si deve dai propri cari: ci vuole poco, allora, perché Villa si faccia notare. Le doti non gli mancano, ma il Real Oviedo - il più grande club delle Asturie - lo boccia perché troppo "corto"; non c'è problema. Villa viene ingaggiato dallo Sporting Gijon, dove segna 35 reti in due stagioni con la squadra B, prima di farne 40 con i titolari. Il salto in Liga arriva grazie al Real Zaragoza, che acquista l'attaccante da uno Sporting con problemi finanziari; sono tre milioni di euro spesi benissimo. L'asturiano si adatta immediatamente alla massima serie spagnola e segna subito 17 reti. Non solo: "Villa maravilla" - come intonano i suoi tifosi - gioca una parte importante nella conquista della Coppa del Re del 2004, in cui il Zaragoza batte addirittura il Real Madrid, così come nella Supercoppa vinta l'estate successiva. 41 reti in due anni con gli aragonesi sembrano abbastanza per attrarre il Valencia e la nazionale spagnola: se i primi pagano 12 milioni di euro al Zaragoza per averlo, Aragonés comincia a convocarlo nel 2005, convinto che Villa possa dare qualcosa in più alle "furie rosse".
Cambia città, ma la costanza di rendimento mostrata dal bomber è spaventosa: 28 marcature stagionali al primo anno, con tanto di gol clamorosi (come quello da metà campo contro il Deportivo al "Riazor"). Villa rimarrà a Valencia per cinque anni, non scendendo mai sotto la quota di 20 gol per stagione e vincendo la Coppa del Re con i "murciélagos" nel 2008; quando deciderà d'andar via, nel 2010, avrà realizzato la bellezza d 128 reti con la maglia del Valencia. Nel frattempo, Villa s'impone con la nazionale spagnola: l'asturiano si comporta bene al Mondiale del 2006, ma è l'Europeo del 2008 la svolta della sua carriera con le "furie rosse". L'attaccante è così importante per Aragonés da spodestare Raul Gonzalez Blanco, fino ad allora capitano e bomber principe della Spagna; la scelta si rivelerà più che giusta, viste le quattro reti che rendono l'asturiano capocannoniere della manifestazione. Convocato anche per la Confederations Cup dell'anno successivo, Villa stabilisce alcuni record importanti per la Spagna: maggior striscia di partite in cui va in gol (6), maggior numero di gol in una fase finale di Coppa del Mondo (6) e maggior numero di gol in ambito internazionale in un anno (12). Il capolavoro, però, arriva nel Mondiale sudafricano: scelto come "puntero" di una nazionale imbattibile, Villa realizza cinque gol, quasi tutti decisivi per i passaggi dei vari turni. Nel finale scompare un po', ma l'attaccante è fondamentale nei primi turni, quando bisogna scremare la concorrenza; così, Villa diventa campione del mondo e, nonostante la cinquina di reti, vince solo la "Silver Shoe", dato che Muller ha fatto più assist di lui. Poco male: il mondo è ai suoi piedi, come lo sarà l'intera Spagna qualche mese dopo. Infatti, il 25 marzo 2011, l'asturiano sorpassa il record di gol in nazionale di Raul (44 reti) e diventa il miglior marcatore nella storia della nazionale spagnola.

Villa in nazionale spagnola, della quale detiene il record di gol dal 2011.

Se in nazionale le cose vanno benissimo, nei club sembrano poter andare meglio: prima del Mondiale del 2010, Villa si trasferisce al Barcellona per la cifra di 40 milioni di euro. Come i suoi idoli Luis Enrique e Quini, l'attaccante passa dallo Sporting Gijon ai blaugrana; inoltre, non si smentisce, segnando 23 gol stagionali. Ma sopratutto, dopo la Coppa del Mondo e gli Europei, si fregia anche della Champions League; nella finale di Wembley, segna il 3-1 al Manchester United e grida la sua gioia al mondo. Sembra tutto perfetto; ma Villa non sa che il destino è pronto a tendergli una trappola. Nella Coppa del Mondo FIFA per club, che si svolge in Giappone nel dicembre 2011, l'attaccante si rompe la tibia e deve rinunciare a tutta la stagione, oltre che agli Europei della scorsa estate. Nei già delicati equilibri con Guardiola, Villa è costretto a guardare e, al suo ritorno, la situazione è cambiata: infatti, quest'anno, l'asturiano sta spesso partendo dalla panchina, ma sopratutto gioca raramente 90' interi. Chiaro che rientri anche nella logica di una buona ripresa dall'infortunio, ma Villa ha ripreso il contatto con il campo in agosto e non sembra che abbia conquistato posizioni nelle gerarchie di Vilanova. Con Messi ormai al centro dell'attacco, per l'ex Valencia non sembra esserci più spazio; specie nel Barcellona visto quest'anno.
Le speculazioni di mercato vanno avanti da diversi mesi. A Villa sono stati accostati più club europei (Juventus, PSG, Liverpool, Chelsea, Arsenal), così come il Barca si sta guardando intorno per cercare nuovi esterni d'attacco (vedi Neymar): insomma, il destino non sorride al bomber delle Asturie, che sembra ormai pronto all'addio in estate. Un peccato: perché sì, questo Barcellona corre, ma Villa avrebbe bisogno solo di rimettersi al centro di un progetto. Forse, però, quel progetto non può essere quello blaugrana, dove il piedistallo principale è occupato da un signore che ha vinto quattro Palloni d'Oro. Resto convinto che Villa abbia bisogno di continuità e di minutaggio nelle gambe: uno che va in doppia cifra per 12 stagioni consecutive, di sicuro, non è scarso. Così come credo che Villa possa riprendersi la nazionale ed il ruolo di interprete principale: Torres non si è ancora ripreso, Soldado non è considerato, Llorente e Negredo non sono al livello di "El Guaje". Intanto, una colica renale lo costringerà a stare fuori per qualche giorno; speriamo che questo bomber dimenticato possa ripartire. Non può e non deve finire così la carriera di un giocatore straordinario come David Villa.

David Villa, 31 anni: tempo di rinascere in una piazza diversa da Barcellona?

15.2.13

UNDER THE SPOTLIGHT: Abdul Fatawu Dauda

E' finita la Coppa d'Africa, ma abbiamo potuto assistere alla nascita di molteplici talenti, in grado di spostare gli equilibri della competizione continentale. Molti di loro appaiono grezzi, come se ci si dovesse lavorare in maniera importante; tuttavia, alcuni mostrano degli sprazzi di grandezza di un certo livello: tra questi, è spuntato un portiere ghanese, dalla faccia pazza e dal talento incredibile. Ricorda alcuni suoi grandi predecessori e potrebbe mettere in pericolo Enyeama e Khune per il ruolo di "miglior portiere africano": parlo di Abdul Fatawu Dauda, estremo difensore delle "black stars".

SCHEDA
Nome e cognome: Abdul Fatawu Dauda
Data di nascita: 6 aprile 1985
Ruolo: Portiere
Altezza: 1.80 m
Club: Ashanti Gold Sporting Club (2006-?)


STORIA
Nato nel sud del Ghana, a Obuasi, poco meno di 28 anni fa, Dauda è sulla scena del calcio ghanese da molto tempo; nella regione della "Obuasi Gold Mine", dove c'è una delle dieci più grandi miniere d'oro del mondo, nasce una pepita interessante, che sboccerà solo negli anni a seguire. Dauda viene tesserato dall'Okwawu United, squadra che milita all'epoca nella Division League 1, ovvero la seconda categoria ghanese. Nel 2006, il ragazzo trova il modo di tornare nella sua città-natale, quando accetta l'offerta dell'Ashanti Gold Sporting Club, uno dei maggiori club della Ghana Premier League. Nella stessa compagine che ha lanciato Wakaso Mubarak (altro talento di questa Coppa d'Africa) verso la Spagna, Dauda s'impone come prima scelta per la difesa della porta, guadagnando facilmente il posto da titolare. Nonostante non abbia mai vinto il campionato con la sua squadra, Dauda ha avuto la possibilità di partecipare a due edizioni della Champions League asiatica, dalla quale l'Ashanti Gold SC è uscito nella fase a gironi. Nel 2008, viene anche nominato miglior portiere della nazione e, da quel momento in poi, la crescita è proseguita gradualmente.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Fermo restando che è sempre difficile giudicare un giocatore di cui si sa poco, Dauda ha mostrato diverse caratteristiche e capacità all'interno dell'ultima Coppa d'Africa: su tutte, l'esplosività fisica lo aiuta a giostrarsi bene all'interno dei pali, ma non solo. Il senso della posizione sembra più sviluppato che in altri giovani portieri; deve migliorare in uscita, ma ci sono portiere europei e sudamericani meno dotati di Dauda.
I portieri tendono a maturare con l'età e perciò trovare un estremo difensore giovane e preparato è difficile; figurarsi in Africa, dove certi basi tattiche non vengono recepite immediatamente, per cui lo sviluppo dei "guardiani della porta" è complicato ancor di più da queste difficoltà.

STATISTICHE
Spiace non poter dare ulteriori informazioni a riguardo, ma trovare risorse riguardanti le statistiche di Dauda è stato - per la prima volta - praticamente impossibile. Troviamo qualcosa solo sulle presenze in nazionale maggiore.
2008 - Ghana: 2 presenze, 2 gol subiti
2009 - Ghana: 0 presenze, 0 gol subiti
2010 - Ghana: 0 presenze, 0 gol subiti
2011 - Ghana: 0 presenze, 0 gol subiti
2012 - Ghana: 2 presenze, 0 gol subiti
2013 (in corso) - Ghana: 7 presenze, 6 gol subiti

NAZIONALE
Dauda ha cominciato a far parte della nazionale maggiore dal 2008, quando viene chiamato in prima squadra, senza però mai essere impiegato dal C.T. Le Roy; tuttavia, riesce ad entrare nei 23 che partecipano alla Coppa d'Africa di quell'anno, che ottengono un terzo posto finale. Una volta cambiato l'allenatore, Dauda esce totalmente dai piani del nuovo tecnico Rajevac, che lo lascia a casa per ben due anni, facendogli perdere anche i Mondiali del 2010. Nonostante il Ghana sfiori le semifinali, il tecnico serbo va via e così, dopo il periodo Stevanovic, arriva James Kwesi Appiah. Il nuovo coach non si fa problemi e richiama Dauda in prima squadra; non contento, lo rende primo portiere della nazionale. Dauda ripaga il tecnico con prestazioni ottime, tanto da ottenere il premio di "parata del torneo", grazie ad uno splendido gesto atletico nei quarti di finale contro Capo Verde.

LA SQUADRA PER LUI
150mila euro (fonte: transfermarket.it): questo è il valore di Dauda, tranquillamente affrontabile per la maggior parte dei club europei, anche quelli appartenenti a campionati di seconda fascia. Questi ultimi, forse, si potrebbero permettere una scommessa del genere: un azzardo, però, che potrebbe rivelarsi vincente e florido. Dauda rappresenta ciò che di più vicino - apparte Enyeama - c'è alla figura leggendaria Jacques Songo'o: il portiere camerunense ha fatto la storia, quello ghanese potrebbe comunque ritagliarsi un ruolo importante nel calcio africano. In Italia non ci sarebbe bisogno di lui, visto che la scuola è molto sviluppata; chissà che non possa imporsi in paesi come il Portogallo o il Belgio, ottimi per lanciare talenti nascosti e sempre attenti ai giocatori africani. Speriamo che non rimanga famoso solo per la sua espressione pazza contro Capo Verde..



12.2.13

Il volo delle (super) aquile.

Se fosse un film, sarebbe un thriller dal copione per nulla scontato; se fosse un numero di magia, ti lascerebbe a bocca aperta: già, la Coppa d'Africa regala sempre molteplici emozioni, mai scontate. Se agli Europei e in Copa America a trionfare (solitamente) sono i favoriti, ci fosse una volta che capiti la stessa cosa nella massima competizione africana. E' passato un mese dal mio articolo di presentazione, ma a trionfare sono state le Super Aquile della Nigeria, vincenti in un'inedita finale contro il Burkina Faso. E pensare che Ghana e Costa d'Avorio avrebbero potuto finalmente coronare i loro sogni di vittoria; per alcuni, è stato l'ultimo treno della carriera (leggi Didier Drogba).

Didier Drogba, 34 anni: una carriera di successi, ma niente Coppa d'Africa..

I super-favoriti hanno deluso, qualcuno si è confermato, altri hanno decisamente sorpreso: è stata una bella Coppa d'Africa. Non sul piano del gioco, come al solito da migliorare per le compagini del continente, bensì sul piano delle sorprese, che non sono mancate. La mia previsione iniziale (Costa d'Avorio vincente in finale sul Ghana) è totalmente andata a male, sopratutto per colpa degli "elefanti". Se il Ghana, infatti, ha replicato il quarto posto dell'anno scorso dopo aver dominato le sue precedenti gare, la Costa d'Avorio ha deluso tutti: nel girone di qualificazione ha fatto più punti di tutti (proprio insieme alle "black stars"), salvo poi uscire con la Nigeria. In generale, la sensazione è che le nuove stelle non fossero ancora pronte a guidare la squadra, mentre i vecchi eroi fossero troppo stanchi per trascinare ancora una volta i compagni. L'esempio è Didier Drogba: appena un gol, sostituito se non messo in panchina e con la testa altrove; il capitano ha segnato un gol contro l'Algeria, ma la zampata non è arrivata. Il nuovo acquisto del Galatasaray chiude la sua carriera con un rimpianto notevole, proprio quello di non aver mai conquistato la competizione continentale, nonostante una squadra ottima e le sue doti universalmente riconosciute: se mi si permette un paragone, Drogba chiude alla George Weah, con il dettaglio (non irrilevante) che la sua Liberia non era la Costa d'Avorio di questi anni.
Anche il Ghana è rimasto a mani vuote, ma qui il discorso è diverso: le "black stars" hanno già un rinnovamento in atto ed il paese ha trovato nuovi eroi per il futuro (Wakaso, Atsu o il portiere Dauda, tanto pazzo quanto interessante), per cui avranno altre occasioni. L'inesperienza si è sentita sopratutto in semifinale, quando il Ghana è uscito senza attenuanti. Passando alle altre delusioni, l'intera area nord-africana ha di che riflettere. All'inizio del torneo, prevedevo che Marocco e Tunisia avrebbero almeno passato il girone: niente da fare. I marocchini hanno tanto talento in squadra, ma pochissima concretezza; invece, i tunisini non sono stati continui, ma hanno in Msakni un futuro talento africano. Sull'Algeria c'era poco da aspettarsi: con Djebbour a casa, davanti si è fatta persino fatica a tirare in porta. Chiusura con lo Zambia campione uscente: parlare di delusione è difficile. Quello dell'anno scorso è stato un exploit; certo, pensavo che passasse almeno il girone, ma il Burkina Faso era decisamente più interessante della compagine di Renard. Un pensiero anche al Mali: non è stata una delusione, ma poteva fare di più. La squadra di Seydou Keita è riuscita a ripetere il terzo posto dell'anno scorso; tuttavia, la semifinale è stata un dramma e ha rischiato anche nei quarti di finale contro i padroni di casa.

Aristide Bancé, 28 anni, eccentrico, ma efficace attaccante del Burkina Faso.

Passiamo anche alle note positive, che non sono state poche. La prima esperienza di Capo Verde in Coppa d'Africa è stata da ricordare, così come l'invasione in conferenza stampa dopo la qualificazione ai quarti di finale: contro il Ghana, l'ex colonia portoghese ha giocato benissimo, ma si è scontrata contro un Dauda straordinario e ha ceduto. Bene anche il Sudafrica, che ha mostrato una piccola rinascita. Ma sono state sopratutto tre squadre a sorprendere: la meno citata è il Togo di Didier Six, che ha passato il girone per il rotto della cuffia, ma che ha mostrato il miglior calcio di tutta la competizione. Un peccato che sia uscita ai quarti, ma ha dovuto cedere agli outsider del torneo, il Burkina Faso del C.T. rumeno Paul Put. Indicazioni salienti: schieramento corto, ripartenze veloci e molta concentrazione; le stelle erano poche, ma c'erano. Alain Traoré avrebbe potuto vincere il titolo di MVP, se non si fosse infortunato nella fase a gironi; il premio è comunque andato a Jonathan Pitroipa, decisivo contro il Togo nei quarti e poi costretto a saltare la finale per un'espulsione ridicola; infine, una nota di merito va anche ad Aristide Bancé, uno di quei personaggi pittoreschi di cui il calcio ha bisogno.
Ma è chiaro come la palma dei migliori vada a chi ha vinto il trofeo. La Nigeria era nel gruppo delle "seconde favorite", dietro Ghana e Costa d'Avorio; il rinnovamento post-Mondiale 2010 stava andando bene, ma nessuno pensava stesse procedendo così bene. Nell'intervallo della terza partita del girone, la Nigeria era fuori; tuttavia, è innegabile che avere certi giocatori davanti aiuti. Moses, Emenike e Mikel hanno guidato i più inesperti e giovani, un Enyeama straordinario ha chiuso più volte la porta ed il C.T. Keshi ha fatto il resto. Già, proprio lui che alzava da capitano l'ultima Coppa d'Africa vinta dalla Nigeria, nel lontano 1994; ora l'ha fatto da allenatore e se ne è andato da vincitore, salvo poi ripensarci e ri-discutere il suo futuro in queste ore. Vedremo cosa accadrà: intanto, le "super aquile" si godono la terza Coppa d'Africa e diversi giocatori interessanti. Onazi, mediano della Lazio, è stato importante; allo stesso modo, i vari Mba e Obabona hanno contribuito, sebbene giochino ancora in patria. I quarti di finale, vinti contro la Costa d'Avorio, hanno rappresentato la svolta: dopo quel risultato, la Nigeria era obbligata a provarci. Ha punito il Mali in semifinale e poi ha dominato in finale contro il Burkina Faso, nonostante l'assenza di un grande bomber come Emenike. Adesso andrà in Confederations Cup in estate, dove credo che non creerà problemi a Spagna ed Uruguay, ma dove i suoi ragazzi potranno fare ulteriore esperienza. Il volo delle "super aquile" continua, vedremo se planeranno in Brasile anche nell'estate del 2014.

Stephen Keshi, 51 anni: il suo contributo è stato decisivo per la Nigeria.

9.2.13

Mamma li turchi.

C'è un vecchio andazzo che recita "mamma li turchi": molti ne parlano, ma in pochi sanno dell'origine di questo detto. Un vero e proprio grido d'aiuto, che ricorda i tempi medievali, nei quali le città sulle riviere meridionali dell'Italia venivano attaccate e saccheggiate periodicamente dai pirati ottomani, tanto da far urlare a chiunque li avvistasse il famoso motto. Ecco, mai come in questo momento l'andazzo sembra ripetersi: si parla di calcio e non più di invasioni, si parla di scorribande, ma al massimo nell'area avversaria.. chi si troverà di fronte il Galatasaray avrà molto da temere. In un mercato invernale privo di grandi botti, i migliori sono stati proprio quelli di Istanbul, capaci di prendersi Sneijder e Drogba nel giro di un mese.

Didier Drogba, 34 anni, il neo-acquisto del Galatasaray.

E dire che, nel calcio, la Turchia faticava a brillare da un po' di tempo. Una nazione che aveva stupito il mondo a cavallo tra gli anni '90 e quelli 2000, quando Fatih Terim guidò il Galatasaray d'allora a diverse imprese: la Coppa UEFA vinta dopo i rigori contro l'Arsenal fu l'apice di quella ascesa. Una crescita che, però, non si fermò solo a quel trofeo; tre mesi dopo, Jardel (sì, quello di Ancona..) punì il Real Madrid campione d'Europa ed i turchi si portarono a casa anche la Supercoppa europea, stavolta guidati da Mircea Lucescu. Quel Galatasaray aveva due anime: da una parte, la squadra era composta dalle colonne della nazionale, come Okan Buruk, Bulent Korkmaz, Ergun Penbe, Emre Belozoglu, Hasan Sas, ma sopratutto quel Hakan Sukur che suscita brutti ricordi nelle menti dei tifosi interisti; dall'altra, il team era nobilitato dalla presenza di alcuni giocatori esteri, come i romeni Hagi e Popescu o i brasiliani Jardel, Capone e Taffarel. Insomma, una generazione d'oro di calciatori, che suggellò la propria carriera portando la Turchia al terzo posto nel mondiale nippo-coreano del 2002. Inoltre, chi non ricorda le disavventure del povero Milan in quel di Istanbul? Ben prima del Liverpool, furono i turchi a ricordare come la capitale non fosse luogo di conquista per i colori rossoneri.
Un'epoca d'oro, contrassegnata da grandi successi. Ma si sa come si dice: "più in alto si sale, più forte è la caduta": la Turchia calcistica non fece eccezione ed il Galatasaray, la sua squadra più rappresentativa, ne è stato il simbolo. La nazionale ha mancato l'ingresso agli Europei del 2004 ed ai Mondiali del 2006, mentre solo il Fenerbahce ha ottenuto qualche risultato rilevante nel panorama europeo. Negli ultimi dieci anni, il dominio del Galatasaray si era concluso (tre titoli conquistati) e si attendeva la rinascita, che ora è finalmente giunta. Infatti, quest'anno, i giallorossi di Istanbul si stanno distinguendo per grandi risultati: il tutto grazie ad alcuni giocatori-chiave ed al ritorno di Fatih Terim.

17 maggio 2000: il Galatasaray vince la Coppa UEFA contro l'Arsenal.

Già, perché l'"Imperatore" se ne era andato dopo la conquista della Coppa UEFA nel 2000, voglioso di cercare fortuna in Europa ed imporre il suo gioco. L'Italia è stato il suo test, forse fallito per tanti motivi: alla Fiorentina non ebbe il supporto finanziario, mentre al Milan sbagliò alcune scelte e fu esonerato dopo tre mesi. Per Terim va fatto lo stesso discorso di Zeman: il suo calcio totale, fatto di un offensivismo forzato, non andò bene all'epoca per il mondo italiano, sopratutto a certi livelli. Tuttavia, una nuova esperienza con la Turchia l'ha fortificato e le semifinali raggiunte ad Euro 2008 sono state un check-point importante, che dimostrava come l'"Imperatore" avesse ancora qualcosa da dire. A quel punto, tornare al Galatasaray per la quarta volta (la terza da allenatore) è stata la scelta giusta. Anche perché il club si è rimesso dalle difficoltà finanziarie avute a metà degli anni 2000 ed è tornato a vincere la Liga turca nella scorsa stagione, dopo quattro anni di astinenza. Il nuovo presidente, Unal Aysal, ha un patrimonio di 600 milioni di euro ed il suo peso economico ha portato molti nuovi giocatori ad Istanbul, oltre ad aver costruito la nuova e scintillante Turk Telekom Arena. Ma ciò che colpisce è sopratutto la dimensione familiare che il Galatasaray assunto: nella squadra nuovamente allenata da colui che è il vate del calcio turco, i due assistenti sono Hasan Sas ed Umit Davala, mentre il preparatore dei portieri è Claudio Taffarel: insomma, tutti uomini che hanno fatto grande il Galatasaray quando erano giocatori, proprio sotto la guida di Terim. In più, gli acquisti estivi hanno già fatto la differenza: il ritorno di Hamit Altintop, il riscatto di Felipe Melo, ma sopratutto l'acquisto di Burak Yilmaz hanno permesso il rientro a grandi livelli dei giallorossi. E adesso si sono aggiunti anche Drogba e Sneijder, a confermare la salute economica della Turchia, un paese che vede il proprio PIL crescere di 5% ogni anno e la popolazione dell'1,3%. Mettiamoci anche che l'ivoriano ha dichiarato come gli piacerebbe vincere la Champions per la seconda volta ed ecco che i sogni dei tifosi volano liberi. Gli ottavi contro lo Schalke 04 saranno il banco di prova: che ci tocchi dire "mamma li turchi" un'altra volta?

Wesley Sneijder, 28 anni, è l'altro botto del mercato invernale dei turchi.

8.2.13

Il nuovo Radamel.

Quando si parla del Porto, il pensiero corre ai giocatori valorizzati dai Dragoni negli ultimi 15 anni; eppure non finiscono mai di stupirci. Dopo la vittoria dell'Europa League, molti eroi di quell'impresa se ne sono andati, ma la forza più grande del Porto è quella di sostituirli, guadagnandoci tanti soldi. Tra i nuovi, c'è un centravanti che sta stupendo molti, ma non tutti: i dati dicono che Jackson Martínez è un altro colpaccio.

Martínez con la maglia dei Jaguares: in Messico, ha fatto faville.

Jackson Martínez - classe '86 di Quidbò, Colombia - non è uno come gli altri. L'avrei voluto già segnalare in giugno, quando ho iniziato la rubrica "Under The Spotlight" ed era ancora in Messico; purtroppo, il Porto mi ha anticipato e l'ha comprato prima che potessi scrivere qualsiasi cosa. Un peccato, ma ho intuito che i lusitani avessero fatto l'ennesimo colpo. 
Già, perché Martínez ha fatto la gavetta ed è pronto per l'esplosione a livello internazionale: l'Indipendente Medellìn gli fornisce la vetrina giusta e lui non sbaglia, portando a casa due titoli in cinque anni e fornendo un solido contributo in fase realizzativa. Sono 65 i gol realizzati da Martínez in Colombia, diventando così il sesto marcatore di sempre nella storia del club. 
Da lì, arriva l'esordio in nazionale e le attenzioni di squadre argentine; tuttavia, sono i messicani del Jaguares de Chiapas a prelevarlo per la cifra di quasi tre milioni di euro. Tanti, ma non troppi per un attaccante che ha enormi margini di miglioramento; infatti, Martinez disputa ottime stagioni con il nuovo club, tanto da portarlo a numerosi traguardi. 
I Jaguares - nati solo nel 2002 - raggiungono la possibilità di disputare la Copa Libertadores nel 2011: è un'annata trionfale, in cui i messicani raggiungono i quarti della massima competizione sudamericana, mentre l'attaccante segna tre gol in cinque partite. Inoltre, i Jaguares vincono anche il primo trofeo della loro storia - la Copa Mesoamericana - e il colombiano realizza cinque reti, di cui tre in finale. 
Il bilancio conclusivo della sua avventura messicana è di 32 gol in 64 partite: una media di uno ogni due match, che lo mette al secondo posto nella classifica cannonieri all-time dei Jaguares. Quando poi si comincia a parlare di club esteri, si sentono i nomi di grandi club: Liverpool e Manchester City su tutti. 
Come al solito, però, il Porto è più veloce degli altri e ne approfitta, pagandolo quasi nove milioni di euro. Per ora, ben ripagati. Del resto, i Dragoni erano in difficoltà: con l'addio di Falcao, il club è andato alla ricerca di un nuovo centravanti, ma l'acquisto del brasiliano Klèber dal Maritimo non ha portato gli effetti sperati (appena nove gol stagionali). Jackson Martínez dovrebbe essere la soluzione a tutti i problemi.


Finora il colombiano non si è smentito: alla prima apparizione con il Porto, è subito andato a segno in Supercoppa di Portogallo. E non un gol qualunque, ma quello decisivo per l'1-0 finale all'Academica, che gli ha anche fruttato la palma di "Man of the match". Se il buongiorno si vede dal mattino, allora si può dire che l'arrivo di Martínez al Porto è stato un bellissimo giorno di sole.
Il colombiano sta incantando per la facilità con la quale trova la via del gol. Reti che, per altro, tendono a non essere mai banali: basti pensare alla sforbiciata contro il Beira-Mar o al tacco magico contro lo Sporting Lisbona. Non solo quantità, ma anche qualità: intanto, però, il ragazzo è giunto a 23 gol in 27 presenze stagionali. 
Inoltre, c'è un dettaglio importante: Martínez è rimasto all'asciutto solo in tre dei 17 match giocati in campionato sinora. Non siamo ai livelli di Falcao, ma non manca molto; mentre il mondo si interroga se sia più forte El Tigre o Cavani, sembra sorgere un terzo contendente sulla scena. Già, perché quel ragazzo di Quibdò non ha intenzione di fermarsi e neanche gli addetti ai lavori sembrano voler stoppare questa crescita.
C'è chi lo paragona al bomber dell'Atletico (sebbene Martinez non ci pensi), c'è chi lo vede con la maglia dei Colchoneros qualora l'Atletico dovesse perdere Falcao in estate. Tuttavia, un pensiero mi folgora: i tifosi colombiani sono felici e - al tempo stesso - un filo tristi, perché i Cafeteros hanno due centravanti così forti, ma non li schiereranno insieme in ogni caso. Forse sarebbe tatticamente difficile far coesistere due così. E pensare che il c.t. Pekerman potrebbe contare anche su Muriel.
Insomma, Jackson Martínez si gode il presente, affermando che sente di poter migliorare ancora: personalmente me lo auguro. L'ho scoperto su un famoso gioco di calcio, l'ho comprato per la carriera che facevo allora e pensavo di esser stato oggetto dei famosi career-mode goggles: pensavo che Martinez fosse forte solo nel gioco, non nella realtà. Non sarebbe stato strano, ma il colombiano sta smentendo tutti e il Porto è in lotta per campionato e Champions. Chissà che Martínez non ci stupisca ancora..

Jackson Martínez, 26 anni: al Porto sta esplodendo. Una nuova miniera d'oro?

4.2.13

L'incoscienza di Zeman.

Alla fine della corsa, il circo dei sogni non si è ripetuto e la mancanza di spettatori e di applausi ha portato alla sua chiusura: è un peccato, ma Zdenek Zeman è stato esonerato sabato dalla guida della Roma. Un cammino discontinuo, condito da alcune figuracce, ha portato il boemo all'allontanamento, dopo i grandi sogni dell'estate e la consapevolezza di essere all'ultima grande occasione. Che non è stata sfruttata per tanti motivi, ma tra questi c'è stata anche l'incapacità del boemo di riprodurre il suo calcio-spettacolo a certi livelli. Finisce un sogno per i tanti adepti di "Zemanlandia", mentre i suoi detrattori esultano per il fallimento del tecnico. Del resto, Zdenek Zeman è così, un personaggio che divide: o lo ami o lo odi.

Lo sconosciuto Zeman guida il Foggia a tre stagioni consecutive in Serie A.

Difficile restare indifferenti a quel fare da uomo che ne ha viste troppe dalla vita, che ha detto cose forti anche quando nessuno ne parlava; un tecnico che predilige la bellezza al risultato, il divertimento alla concretezza, lo sfarzo alla praticità. Zdenek Zeman, 65enne di Praga, si è fatto conoscere con il "Foggia dei miracoli", quando la squadra pugliese fece grandi cose in Serie A all'inizio degli anni '90. Il suo 4-3-3, fatto di verticalizzazioni ed inserimenti, fece impazzire molte difese della massima lega italiana ed i pugliesi sforarono la qualificazione in Europa per ben due stagioni. Dopo la Puglia, Zeman arrivò a Roma, dove rimase per cinque anni: bene alla Lazio, benissimo alla Roma, rimanendo nel cuore sopratutto dei tifosi giallorossi, sebbene avesse ottenuto un secondo posto con la Lazio. Poi la girandola di luoghi (Turchia, Napoli, Salerno ed Avellino), fino ad arrivare alla resurrezione con il Lecce: i salentini, nel 2004/2005, stabilirono un primato più che unico, diventando la prima squadra con la peggior difesa della Serie A a non retrocedere. Da lì, le esperienze con il Brescia ed in Serbia non hanno portato bene, ma Zeman ha avuto modo di rilanciarsi a Foggia, in Lega Pro. Il resto è storia più recente: il Pescara lo sceglie come allenatore ed il boemo ripaga gli abruzzesi con una stagione indimenticabile, chisusasi con la vittoria della Serie B. Io stesso mi sono ritrovato ad elogiare l'annata di Zeman, pur sapendo come quel giocattolo potesse funzionare con tutti gli interpreti allo stesso posto. Sappiamo poi come è andata: il Pescara perde rapidamente Immobile ed Insigne, vende Verratti al Paris Saint-Germain e Zeman di guidare la Roma nella stagione successiva, che lui stesso definì all'epoca "l'ultima occasione della mia vita a grandi livelli". A posteriori, è facile dire che sia il Pescara che Zeman ci hanno rimesso: tuttavia, l'entusiasmo è stato giustificato, visto l'amore dei tifosi romanisti per il boemo. La Roma ha disputato sinora una stagione discontinua più che brutta. Ci sono state giornate straordinarie (le vittorie contro Inter, Milan e Fiorentina), altre invece sono state disastrose (sconfitte con Juventus, Bologna o nel derby), ma tutto sommato la zona europea è a sei punti, mentre i giallorossi hanno anche la possibilità di arrivare in finale di Coppa Italia. Insomma, la stagione non è ancora da buttare; tuttavia, la dirigenza ha ritenuto che ci volesse una scossa ed è sicuramente più facile cambiare l'allenatore in corsa che calciatori o dirigenti. E' una legge del calcio: i cocci si rompono insieme, ma a pagare è il tecnico; a Roma, non c'è stata l'eccezione a tale massima, compromettendo così un'altra stagione, dopo le confusioni sulla gestione tecnica già evidenziate con Luis Enrique.

Pescara e Zeman: è stato un amore profondo, finito con la promozione in A.

Già, perché anche con l'asturiano si sono commessi diversi errori, dovuti sostanzialmente alla fretta, che regna sovrana in piazze come quelle di Roma. Ci sono casi in cui la pazienza è anche troppa (Ferrara e la Samp sono un esempio d'obbligo), ma ci sono anche esperienze problematiche come quelle di Zeman con la Roma. Anzitutto, dopo la poca pazienza dimostrata l'anno scorso con il "progetto" di Luis Enrique, si è fatta la stessa cosa quest'anno: l'ex Barca andava probabilmente tenuto un altro anno, invece ci si è lasciati trascinare dall'ipotesi di un Zeman di ritorno. Tuttavia, questa non ha fruttato come sperato per tanti motivi, di cui uno viene subito alla mente: il boemo non è mai arrivato a certi livelli del calcio. E questo non (solo) perché è stato osteggiato spesso da coloro che comandavano questo mondo, ma anche perché "Sdengo" ha portato avanti un modello di calcio che non può far vincere la Serie A o la Champions League. Non è un caso se Zeman ha lasciato i migliori ricordi in provincia, dove aveva società che lo seguivano in tutto e per tutto e giocatori che pendevano dalle sue labbra. Si può parlare del Foggia degli anni '90, ma anche del Lecce di Vucinic e Ledesma, dove la squadra si salvò per un nulla, ma fornì un livello di piacere assoluto. Infine, l'esperienza di Pescara dell'anno passato: perché gli abruzzesi hanno raggiunto un risultato così straordinario? Proprio per i motivi che citavo sopra: giocatori giovani, ma volenterosi e disponibili ad assorbire il volere del tecnico; società che lo ha cercato e poi gli ha dato carta bianca; pubblico innamorato. Se ci aggiungiamo un livello di gioco (la Serie B) in cui Zeman sguazza serenamente, ecco che il risultato è ottenibile; ben più difficile è replicare questo modello ai piani alti, dove ci vuole anche altro, come la cattiveria agonistica di Conte o la pragmaticità di Mazzarri. Doti che il boemo non ha mai avuto e che non avrà mai: ma in fondo lo si è amato proprio per questo. Come diceva Venditti in una sua canzone: "Perché non cambi mai.."; il problema è che i dirigenti della Roma non hanno mai messo in conto questo problema e adesso scaricano sul tecnico tutte le colpe di una gestione globale altamente sbagliata. Paga Zeman, ma chissà che non paghi qualcun altro a fine anno; intanto, per il boemo è "game over". Le occasioni ad alto livello sono finite, ma spero di rivederlo altrove. Del resto, come ha detto anche lui dopo l'esonero, gli dovranno sparare per farlo smettere di allenare.

E' finita l'avventura di Zdenek Zeman, 65 anni, alla guida della Roma.