28.11.12

ROAD TO JAPAN: Genki Omae

Rieccoci qui con un altro numero della rubrica "Road To Japan", lo spazio che ci permette di dare un'occhiata più vicina ai migliori talenti del Sol Levante. Nell'articolo di oggi parliamo di un nuovo piccolo fenomeno della trequarti, di quelli che il Giappone produce in grande quantità negli ultimi anni, ma che ha recentemente catturato l'attenzione di alcuni club europei, sopratutto dalla Bundesliga. E' notizia di un paio di settimane fa che il Werder l'abbia visionato nella finale della Nabisco Cup, una delle tre competizioni nazionali. Parlo di Genki Omae, imprendibile ala dello Shimizu S-Pulse.

SCHEDA
Nome e cognome: Genki Omae (大前元紀)
Data di nascita: 10 Dicembre 1989
Altezza: 1.66 m
Ruolo: Ala destra, seconda punta, ala sinistra
Club: Shimizu S-Pulse (2008-?) - n°11


STORIA
Genki Omae nasce quasi 23 anni fa nella metropoli di Yokohama, dove molti calciatori giapponesi hanno iniziato il loro percorso. Dopo aver praticato lo sport già alle medie, la svolta arriva - come per altri giovani atleti nipponici - al liceo, precisamente alla Ryutsu Keizai University Kashiwa High School, dove Omae si fa conoscere ed apprezzare per le sue capacità. L'episodio-chiave riguarda la Prince Takamado Cup", torneo giovanile disputato dagli under 18 e dagli under 15. Giocando nella prima delle due categorie sopracitate, la Ryutsu Keizai gioca uno straordinario torneo e lo vince, battendo in finale la squadra U-18 dei Sanfrecce Hiroshima, club professionistico, militante all'epoca nella prima divisione giapponese.
E' un'impresa importante ed è l'ultima vittoria nella competizione di un Under-18 proveniente dal mondo liceale; Omae è capocannoniere del torneo ed è inevitabile che l'attenzione del calcio giapponese si riversi di lui. Vari club di J-League lo seguono, ma è lo Shimizu S-Pulse ad assicurarsi le sue prestazioni dal 2008.
I primi due anni sono perlopiù d'ambientamento; lo squadra di uno dei sobborghi di Shizuoka è molto talentuosa ed annovera nelle sue fila giocatori interessanti come Shinji Okazaki, Jungo Fujimoto e Takuma Edamura. Sono giocatori che occupano lo stesso ruolo di Omae ed il ragazzo è così oscurato; nonostante ciò, rimane alla corte dello Shimizu, giocando appena otto partite in due anni e realizzando il primo gol da professionista in Nabisco Cup.
Nel 2010 trova più spazio e segna anche la prima rete in J-League, ma è il 2011 l'anno della svolta: Fujimoto si unisce ai nuovi campioni del Nagoya Grampus, Okazaki vola verso l'Europa (direzione Stoccarda) e capitan Hyodo parte per Kashiwa. In questo modo, nel 4-3-3 del nuovo tecnico iraniano Ghotbi, c'è più spazio per la crescita di Omae, che comincia a giocare regolarmente. Inoltre, gli viene dato l'incarico di battere le punizioni ed i rigori, migliorando la sua precisione su tiro da lontano.
Lo Shimizu S-Pulse arriva 10° nel 2011, ma quest'anno - grazie anche ad un ringiovanimento della squadra - è tornato nella parte alta della classifica. I gol e gli assist di Omae hanno fatto la differenza: dopo gli 11 in 42 partite dell'anno scorso, quest'anno l'ala è già a quota 18 nello stesso numero di match. Inoltre, il talento del piccolo Genki è stato decisivo per portare lo Shimizu in finale di Nabisco Cup: una sua tripletta nel match di ritorno delle semifinali ha consentito alla squadra di Shizuoka l'accesso alla finale, persa poi contro i Kashima Antlers, nonostante un altro gol di Omae. Infine, il numero 11 arancione è stato in grado di decidere il derby d'andata di Shizuoka, giocato contro il Jùbilo Iwata, realizzando una doppietta.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Alto 1.66, diciamo che il fisico non è certo la sua forza. Come molti trequarti giapponesi, la sua capacità di dribbling e di assist è molto buona, ma sono sopratutto il tiro e gli inserimenti a fare le sue fortune. Ottimo calciatore di rigori e di calci piazzati in generale, realizzando ben sette penalty stagionali. Palla al piede è sempre pericoloso, ha l'intuizione giusta per capire cosa fare e non se la cava male neanche di testa, nonostante non sia un gigante.
Tatticamente preferisce partire da destra in un 4-3-3 o in un 4-2-3-1, in modo da arrivare in area di rigore e poter scaricare il suo destro. Tuttavia, non gli dispiace neanche giocare centralmente o a sinistra, sempre nella batteria di mezze punte che dovrebbero supportare il centravanti. In situazioni d'emergenza può essere anche schierato come punta centrale, ma dev'essere un caso disperato..
A parte il fisico (da migliorare se arriverà al calcio europeo), un piccolo appunto glielo si può fare sul modo di calciare i penalty: il suo tiro è spesso infallibile, ma ha poca prevedibilità. Omae, infatti, preferisce l'incrocio con il suo destro, calciando quasi sempre alla destra del portiere: un occhio attento potrebbe capirlo e neutralizzare più facilmente i suoi tiri.

STATISTICHE
2008 - Shimizu S-Pulse: 6 presenze, 0 gol
2009 - Shimizu S-Pulse: 2 presenze, 1 gol
2010 - Shimizu S-Pulse: 25 presenze, 4 gol
2011 - Shimizu S-Pulse: 42 presenze, 11 gol
2012 (in corso) - Shimizu S-Pulse: 43 presenze, 18 gol

NAZIONALE
Per Genki Omae, le porte della nazionale sono ancora chiuse. Il talento dello Shimizu ha fatto parte di una selezione di giocatori scelti per l'U-19, in una serie di amichevoli disputate in Qatar dalla rappresentativa giovanile nipponica. Inoltre, quand'era al liceo e non ancora professionista, venne scelto per costituire una rappresentativa universitaria in un torneo. Insomma, la sua carriera con la maglia della nazionale deve iniziare; ma il Giappone è quasi qualificato per il prossimo Mondiale e mancano tre partite, più le amichevoli e la Confederations Cup del Giugno 2013. Chissà che per Omae non ci sia una chance già dal solito "training camp" che di solito la nazionale organizza a fine Gennaio, quando la J-League è in pausa. Di certo, in tempi di esperimenti, sarebbe giusto dare una chance anche all'ala dello Shimizu.

LA SQUADRA PER LUI
Un giocatore del genere sarebbe convincente fin da subito in Europa: infatti, la Germania se ne è accorta e - come detto - diverse squadre sono già sulle sue tracce. Dicevamo del Werder che lo ha seguito in finale di Nabisco Cup, ma negli ultimi giorni si fa insistente una voce riguardante il suo trasferimento al Fortuna Dusseldorf, club neo-promosso in Bundesliga che non se la passa benissimo ed avrebbe bisogno di una mezzapunta in grado di scardinare le difese avversarie.
E' giusto dire come la Germania sia il paese più aperto a questo tipo di trasferimenti, grazie a regole più flessibili rispetto all'Italia, ma anche nel nostro paese Omae potrebbe fare bene. Penso al Genoa, al Siena o al Torino, squadre che avrebbero bisogno di una buona seconda punta o di un esterno offensivo, per permettere ai suoi centravanti di realizzare più gol. Insomma, il futuro di Genki pare indirizzato verso l'Europa; la stagione giapponese deve ancora concludersi, ma il percorso pare ormai tracciato.



26.11.12

Tormenti e cinguettii.

La Milano del calcio attraverso un momento opposto: il Milan, dopo il ridimensionamento, soffre per risalire la china, mentre l'Inter tiene botta contro la Juve e stasera potrebbe portarsi a meno uno dai bianconeri. Tuttavia, a tenere banco negli ultimi giorni sono state le vicende di due giocatori estremamente significativi negli ultimi anni delle milanesi: Alexandre Pato e Wesley Sneijder. Uomini molto diversi, dalle storie lontane anni luce fra loro, ma accomunati da un infausto ed attuale destino: i due, infatti, sembrano ai ferri corti con le proprie società. E chissà che non possano dire addio alla Milano calcistica, che li ha fatti conoscere e rivalutare al mondo intero.

Allegri e Stramaccioni devono gestire i casi Pato e Sneijder.

E' inevitabile partire da ciò che sta assumendo le sembianze di una telenovela piuttosto che di un'incomprensione. Wesley Sneijder, 28enne trequartista nerazzurro dal talento indiscusso, è a Milano da tre anni: cresciuto nell'Ajax, sedotto e abbandonato dal Real Madrid, Mourinho lo prese a prezzo di super-saldo nell'estate del 2009. Per 16 milioni di euro, l'Inter si assicurò colui che - a mio modo di vedere all'epoca - gli avrebbe garantito il successo europeo. Non mi sbagliai: alla sua prima nel derby di Milano, l'olandese fece stropicciare gli occhi a molti, chiedendosi se il Real non avesse commesso un errore.
La storia la conosciamo: l'olandese diventa un perno del 4-2-3-1 di Mourinho, gioca la stagione della vita e porta l'Inter al "triplete". Inoltre, Sneijder disputa anche un grande Mondiale in Sudafrica, arrivando a giocarsi la finale e perdendola solo ai supplementari con gli Orange. L'anno si conclude con il quarto posto nella speciale graduatoria del Pallone d'Oro, sebbene l'ex Real meritasse qualcosa in più.
Ormai punto fermo dello scacchiere nerazzurro, i guai cominciano l'anno scorso, con l'arrivo di Gasperini e le incomprensioni tattiche: nel 3-4-3 del tecnico, Sneijder viene impiegato come interno di centrocampo. Una rovina per le sue doti tecniche. Poi, nonostante l'esonero dell'ex Genoa ed il subentro di Ranieri, gli infortuni cominciano a tormentarlo, facendolo rientrare solo a Febbraio. 
Intanto, anche Ranieri se ne va per i risultati poco convincenti e al suo posto arriva Andrea Stramaccioni, tecnico della Primavera nerazzurra, appena diventata campione d'Europa di categoria. Il giovane allenatore, alla prima esperienza tra i professionisti, lo ritiene fondamentale e lo schiera sempre. In estate, Sneijder diventa capitano della nazionale olandese e si pensa che sia giunto per lui il momento del riscatto definitivo.
Non sarà così: dopo un buon inizio di stagione, il trequartista è costretto allo stop per l'ennesimo infortunio; intanto, l'Inter registra una notevole serie di vittorie consecutive senza il suo apporto. L'episodio che mette in luce il contrasto tra il giocatore ed il club nerazzurro è l'annuncio di Sneijder dell'ennesimo infortunio, per il quale va a curarsi in California. La società gli vieta di divulgare su Twitter notizie riguardanti la squadra e l'olandese comincia a sentire qualche crepa nel rapporto con l'Inter.
Intanto, la situazione tecnica è dannosa per l'olandese: in campo, l'Inter fa a meno di lui, appoggiandosi sul tridente Cassano-Palacio-Milito. Stramaccioni ha poi sorpreso tutti, annunciando di non utilizzare Sneijder per scelta tecnica. Dietro questa decisione, sembra chiaro che ci sia anche la mancata volontà dell'olandese di rinnovare a cifre ridotte. 
Visti i risvolti, pare inevitabile l'addio: non è una certezza, ma l'Inter - visti i risultati sul campo e la crescita dei giovani - sembra avere il coltello dalla parte del manico, contando anche sui due anni e mezzo di contratto rimasti con l'olandese. La cessione sembra l'epilogo inevitabile di un amore che è fruttato molti successi.

Wesley Sneijder, 28 anni, potrebbe lasciare l'Inter dopo tre anni e mezzo.

Se il Biscione piange, il Diavolo non ride. Come se la situazione tecnica non fosse già abbastanza complicata, (dopo gli addii dei senatori, di Thiago Silva e di Ibrahimovic), Pato ha sganciato una bomba dopo il match di Champions contro l'Anderlecht. Nel post-partita, il brasiliano ha dichiarato di voler giocare di più, quasi a cercarsi un posto che non si merita, visti gli infortuni e lo scarso rendimento. Quest'episodio segue quello del dopo Milan-Fiorentina, con i tifosi stanchi delle bizze del brasiliano. Insomma, un problema, come avrebbe ammesso persino Berlusconi, da sempre innamorato del talento calcistico del numero 9 rossonero.
Alexandre Pato, 23enne attaccante verdeoro, è esploso nell'Internacional di Porto Alegre, con il quale ha vinto la FIFA Club World Cup nel 2006. Il Milan, una volta notato il suo precoce talento, lo portò a Milanello per 22 milioni di euro, cifra più alta mai pagata per un minorenne. 
I rossoneri non possono tesserarlo fino a Gennaio del 2008, ma da lì in poi Pato stupisce la Serie A: 9 gol nelle prime 18 partite con il Milan certificano il potenziale dell'attaccante verdeoro. Nei tre anni successivi, nonostante gli infortuni, il "Papero" continua a segnare, passando sempre la doppia cifra e contribuendo al "double" del 2011: scudetto più Supercoppa Italiana. Insomma, il futuro appare luminoso ed i tifosi cominciano a vedere in lui un idolo assoluto. Anche con la nazionale le cose vanno bene: con il Brasile, vince la Confederations Cup del 2009, sebbene non riesca a far parte dei 23 che disputano il Mondiale del 2010.
Dall'anno scorso, però, è cambiato tutto: gli infortuni muscolari sono stati la causa dell'assenza pressoché costante di Pato dal campo. A periodi alterni, essi si ripresentavano, facendo dubitare anche del lavoro svolto dal Milan Lab.
La possibile svolta nello scorso inverno: il Paris Saint-Germain del duo Ancelotti-Leonardo vorrebbe portare il brasiliano all'ombra della Torre Eiffel. L'offerta è da far tremare i polsi: 28 milioni al club di Berlusconi, sei all'anno al giocatore. Per il Milan sarebbe il "delitto perfetto": liberarsi di un giocatore forte, ma dalla dubbia continuità fisica, per comprare Tevez, a quel tempo fuori dai piani del Manchester City. Quando sembra tutto fatto, Pato ferma tutto e rifiuta i parigini, restando al Milan.
Le sole 18 gare giocate nel 2011/2012 (accompagnate da quattro reti) hanno confermato le difficoltà nel gestire il brasiliano. La nuova stagione ha portato un altro infortunio, sebbene il brasiliano sia a quota due gol (europei) in sette gare disputate. Poi, la dichiarazione nello spogliatoio di Bruxelles e la fine dell'idillio: a questo punto, il Milan sta studiando il da farsi. Ancelotti ha già dichiarato di non volerci riprovare dopo il mancato ingaggio a Gennaio, sebbene sia il padre calcistico di Pato. Ci sarà un incontro con Galliani per capire come procedere: l'ipotesi più probabile è di un prestito in Brasile, per permettere a Pato di riguadagnare fiducia, gol e nazionale.
Insomma, tempi difficili per i due nella Milano del calcio: chi di tormenti fisici, chi di cinguettii interattivi.

Alexandre Pato, 23 anni: per lui, invece, il prestito in Brasile sembra probabile.

23.11.12

Il volpone cileno.

La tre-giorni europea è finita, ma c'è chi si può già ritenere soddisfatto. Parlo di un uomo che veniva deriso da tutto il mondo dopo l'esperienza al Real Madrid e che ebbe - come colpa massima - quella di non esser riuscito a battere una delle squadre più forte di tutti i tempi. Nonostante il suo successore José Mourinho c'abbia messo due anni a farcela, Manuel Pellegrini ha dovuto subire in silenzio. Ma l'allenatore cileno non è uno che si lamenta; viene dal Sudamerica, ma non è uno che alza la voce, come fanno molti. Dopo i successi ottenuti con il Villarreal ed il periodo insoddisfacente con i "blancos", è ripartito dai petrodollari di Malaga.
I petrodollari adesso non ci sono quasi più, ma i risultati non mancano: sulla qualificazione in Champions, c'è la firma del tecnico dagli antenati italiani.

Manuel Pellegrini, 59 anni, qui ai tempi del Villarreal, dove il suo successo ebbe inizio.

Manuel Pellegrini, nato a Santiago del Cile il 16 Settembre 1953, è stato un discreto giocatore durante la sua  breve carriera; ha giocato sempre per l'Universidad de Chile, dal 1973 al 1986, collezionando anche diverse presenze con la nazionale maggiore. Una volta appesi gli scarpini al chiodo, ci vuole poco perché Pellegrini cominci ad allenare, viaggiando per il paese; la svolta arriva quando prende per mano l'Universidad Catolica, facendole vincere la coppa nazionale. Da lì, Pellegrini trionferà anche nel campionato ecuadoregno con il LDQ di Quito, per poi portare il San Lorenzo al "double" (Torneo d'Apertura del 2001 più la Copa Mercosur, l'antenata dell'attuale Copa Sudamericana). A quel punto, il River Plate assume Pellegrini ed il tecnico vince ancora, aggiudicandosi il Clausura del 2003.
Ma il viaggio sudamericano si conclude quando il cileno viene ingaggiato dal Villarreal, club della Liga spagnola. Il "sottomarino giallo" (soprannome che diventerà celebre), situato in una cittadina di 50mila anime e che ha solo cinque stagioni alle spalle nella prima divisione spagnola, sarà una mina vagante per gli anni a venire. Chiunque incontri il Villarreal deve stare attento. Il miglior risultato visto al Madrigal è un settimo posto: Pellegrini sarà in grado di migliorare per cinque anni consecutivi questo risultato, raggiungendo addirittura il secondo posto nel 2007/2008.
Non solo: a livello europeo, il Villarreal tocca il cielo con un dito, raggiungendo le semifinali di Champions League nel 2005/2006. Al "Madrigal", nella semifinale di ritorno, Juan Roman Riequelme ebbe il rigore decisivo per mandare la partita contro l'Arsenal ai supplementari, ma lo sbagliò ed il sogno del Villarreal si infranse. Ciò nonostante, "El Submarino Amarillo" ha mostrato un gran gioco e ha messo in luce tanti buoni giocatori sotto la gestione Pellegrini. Giusto per citarne alcuni: Santi Cazorla, Diego Forlan, Nilmar, Robert Pires, Borja Valero, Marcos Senna e lo stesso Riequelme. A questi va aggiunto Giuseppe Rossi, in cui nessuno ha creduto in Italia e che al Villarreal è esploso definitivamente.
Visto il rendimento straordinario del piccolo club della Comunidad Valenciana, Florentino Perez - il presidente dell'era dei "galacticos" del Real, ora nuovamente capo dei "blancos" - volle come suo primo manager proprio il cileno, pagando una clausola di quattro milioni al Villarreal. Sembrava la scelta giusta e Perez mise sul piatto 250 milioni di euro di acquisti: su tutti, le acquisizioni di Cristiano Ronaldo, Kakà e Karim Benzema. Insomma, nonostante i sei trofei vinti dal Barcellona, il Real Madrid sembrava essere la favorita del campionato.
Ma non sarà la stagione che ci si aspetta: Pellegrini ha delle grosse colpe sull'andamento del Real nelle coppe. In Copa del Rey, il Madrid subisce il famoso "alcornazo", un 4-0 da parte dell'Alcorcon (squadra di terza divisione), che diventa una favola calcistica; in Champions, il Real esce agli ottavi per mano del Lione, come da sei anni a quella parte. Ma in Liga il rendimento è buono ed i "blancos" faranno lo stesso numero di vittorie del Barcellona (31), realizzando più gol dei blaugrana. A metà campionato, il Real riprende la testa della classifica, ma poi perde il Clasico al Bernabeu e da lì non riesce più a recuperare i rivali. A parziale difesa di Pellegrini, va detto che il rendimento di alcuni non è quello che si aspetta, vuoi per gli infortuni (Kakà), vuoi per un pessimo periodo di forma (Benzema, Raul Albiol).
Così, nonostante il massimo di punti per il Real nella sua storia in Liga - poi battuto da Mourinho - Pellegrini viene licenziato ed il portoghese verrà assunto da Perez, dopo il "triplete" realizzato con l'Inter.

Pellegrini ed il Real Madrid: un anno di tormenti per il tecnico cileno.

Nonostante un'offerta della nazionale messicana per il dopo-Aguirre, Pellegrini decide di aspettare: è la scelta giusta. Il Malaga qatariota licenza Jesualdo Ferreira, visto il rendimento da zona-retrocessione, e chiama il tecnico cileno per risollevare la squadra: è il Novembre del 2010. Gli andalusi stazionano sul filo della Liga Adelante per molto tempo, per alcune giornate sono anche ultimi, ma gli acquisti di Gennaio e la guida di Pellegrini tirano su il club, fino a farlo risalire - a fine campionato - in un 11° posizione. Un risultato insperato, ma non del tutto inaspettato, dato che Pellegrini è un volpone e conosce bene il calcio spagnolo.
Con la guida della squadra fin dall'inizio della stagione, il Malaga si presenta ai nastri di partenza della Liga 2011/2012 con grandi ambizioni. In estate sono arrivati Van Nistelrooy, Demichelis, Isco, Buonanotte, Joaquin e Toulalan; la compagine biancoazzurra è così rinforzata, ma sopratutto guadagna in esperienza. Quando vedi il Malaga targato Pellegrini, non pensi che siano imbattibili, ma che siano più esperti e ben organizzati dal punto di vista tattico. Se poi il cileno "resuscita" anche Eliseu e Julio Baptista, la stagione diventa più facile: il Malaga rimane in lotta per i preliminari di Champions League fino alla fine. Alla Rosaleda, ci si diverte quasi sempre e la costanza premia i "bosquerones", che alla fine raggiungono il traguardo agognato, con il record di punti e la miglior posizione di sempre ottenuta nella storia del club in Liga.
L'ultima estate porta qualche sconvolgimento in società: si parla dell'addio dei qatarioti al club e così partono sia Cazorla che Rondon. Ma una volta sistemato il bilancio, il Malaga riparte, assicurandosi l'esperienza di due ex-enfants prodigé del calcio europeo: Roque Santa Cruz e Javier Saviola. Nonostante una squadra depotenziata, il sorteggio europeo è benevolo con gli andalusi: il Panathinaikos non è un avversario invalicabile e così Al-Thani raggiunge in due anni l'obiettivo dichiarato degli sceicchi, portare il Malaga in Champions League.
Nella Liga di quest'anno, il club viaggia in zona Europa. Ma è sopratutto nella massima competizione continentale che il Malaga ha stupito tutti: finito in un gruppo composto da Zenit, Milan e Anderlecht, la squadra di Pellegrini non sembrava favorita per la qualificazione. Invece, non solo ha centrato l'obiettivo, ma lo ha fatto con due turni d'anticipo e da prima nel raggruppamento. Una soddisfazione incredibile per Pellegrini, che si è finalmente rilanciato ad ogni livello. Adesso, alla "Rosaleda", si sogna l'avanzata europea, in attesa dei sorteggi. Intanto, il club ha raggiunto il massimo storico, grazie a quel vecchio volpone cileno.

A Malaga, Pellegrini si è preso numerose rivincite, in Liga ed in Europa.

21.11.12

Quando i double non bastano.

Era nell'aria dopo i tre gol subiti ieri allo Juventus Stadium, ma adesso è ufficiale: Roberto Di Matteo non è più l'allenatore del Chelsea. L'elvetico di origine italiane si è dovuto arrendere, alla fine, ai risultati ed al volere del suo vulcanico presidente, Roman Abramovich, già poco convinto in estate sulla sua riconferma, nonostante le vittorie in F.A. Cup e (sopratutto) in Champions League. Una coppa, quella dalle grandi orecchie, che l'owner del Chelsea bramava da anni e che Di Matteo era incredibilmente riuscito a consegnargli su un piatto d'argento. Purtroppo, la fortuna non è una dinamica ripetibile nel calcio e alla fine le pecche del tecnico sono venute fuori. Mi viene da dire "te l'avevo detto", caro Roman: a Settembre, avevo pronosticato come il gioco difensivo di Di Matteo avrebbe probabilmente ucciso le speranze europee del Chelsea, come Mancini ha fatto con quelle dei Citizens.

Roberto Di Matteo, 42 anni, alza la Champions vinta con il suo Chelsea.

Roberto Di Matteo, nato nel Canton Sciaffusa in Svizzera 42 anni fa, è stato un buon giocatore nella sua carriera: una colonna della Lazio a cavallo degli anni '90, ha fatto la storia con il Chelsea (segnando un gol nella finale di F.A. Cup e vincendo la Coppa delle Coppe) ed è stato un elemento di rilievo per la nazionale italiana. In seguito, un gravissimo infortunio - una triplice frattura con tanto di dieci operazioni per tentare il recupero - lo ha tenuto lontano dai campi fin dal Settembre del 2000, per fargli poi dire addio al calcio due anni dopo, alla giovane età di 31 anni.
Di Matteo è stato bravo a ripartire dalla conclusione della sua carriera e, sei anni dopo, si è rituffato nell'universo del football, raccogliendo la panchina del Milton Keynes Dons, squadra di terza categoria e nata dalle ceneri del glorioso Wimbledon F.C. Non era compito facile per Di Matteo, dato che doveva sostituire Paul Ince, il manager che aveva riportato il club in League One e che aveva trionfato anche nel Johnstone Paint Trophy, simile alla Coppa Italia di Lega Pro. Con l'MK Dons, Di Matteo arriva a due punti dalla promozione diretta, perdendo poi ai rigori la semifinale dei play-off contro lo Scunthorpe United.
Nonostante il salto di categoria sfumato, ormai Di Matteo ha fatto una buona impressione a molti e così il West Bromwich Albion lo assume per tentare l'immediata risalita in Premier League; inoltre, l'assunzione del tecnico italiano è approvata all'unanimità da parte del CdA della società. E' la scelta giusta: i "baggies" raggiungono la seconda posizione a fine campionato e devono arrendersi solamente ad un Newcastle superiore al resto della categoria; tuttavia, con questo risultato, il WBA può tornare in Premier e Di Matteo esordire nella massima serie inglese da allenatore.
L'inizio è buono (nonostante un 6-0 subito allo Stamford Bridge) ed il tecnico vince anche il premio di miglior manager del mese a Settembre, ma il club attraversa un pessimo stato di forma tra Dicembre 2010 e Gennaio 2011, vincendo solo una delle dieci gare previste. Quando il Manchester City vince 3-0 contro il WBA all'Etihad Stadium, la proprietà decide di esonerare il tecnico, nonostante molti tifosi siano ancora fedeli a Di Matteo. Fortunatamente per lui, non passa molto tempo prima che Di Matteo trovi una nuova occupazione: André Villas-Boas, nuovo allenatore del Chelsea e fresco profeta del calcio offensivo con il Porto, lo sceglie come suo vice per la sua avventura londinese.

Di Matteo con l'MK Dons: sarà l'inizio della sua carriera da allenatore.

Purtroppo, il tecnico portoghese non riesce ad inserirsi bene nell'universo inglese ed i suoi dettami di gioco non vengono totalmente recepiti dai suoi giocatori. Così, dopo una sconfitta - guarda caso - con il WBA, il 4 Marzo l'allenatore portoghese si dimette; ufficialmente, l'ex giocatore di Lazio e Chelsea è solo un traghettatore in attesa di nuovo tecnico per i "blues" di Londra. Ma tre vittorie consecutive e la rimonta miracolosa contro il Napoli in Champions League spengono le voci sul suo successore, lasciandolo in carica almeno fino alla fine dell'anno.
Abramovich non è affascinato dal suo gioco, ma se l'assetto difensivista di Di Matteo non paga abbastanza in Premier, perlomeno porta avanti il Chelsea in Europa: dopo il Napoli, anche il Benfica cade sotto i colpi dei "blues" e si arriva così alla semifinale contro il Barcellona. E se in campionato il Chelsea non arriva neanche nelle prime quattro, la sfida contro i blaugrana diventa un elogio (riuscito) del difensivismo. Nell'andata a Stamford Bridge, il Barcellona domina, ma sono i blues a segnare il gol dell'1-0 con Drogba; al ritorno, nonostante un doppio vantaggio ed un uomo in più, grazie all'espulsione di Terry, il Chelsea accorcia. Sul 2-1, Messi ha il rigore per chiudere la pratica, ma centra la traversa; nel finale, Torres chiude su contropiede la questione ed il 2-2 consegna la finale a Di Matteo, che improvvisa una sfrenata corsa alla Mourinho.
La finale di Monaco di Baviera contro il Bayern sembra segnata: la squadra di Heycknes ha convinto di più contro il Real Madrid e ha un gruppo tecnicamente migliore dei "blues". Nonostante una partita sotto tono, i tedeschi giocano comunque meglio del Chelsea e vanno in vantaggio con Muller a dieci minuti dalla fine; ma il Bayern non ha fatto i conti con Didier Drogba e Petr Cech. L'ivoriano pareggia su calcio d'angolo con un'incornata, il portiere para un tiro dal dischetto a Robben e così la partita giunge ai rigori. Durante la lotteria dei penalty, Schweinsteiger - che aveva segnato il rigore decisivo al Bernabeu - sbaglia e Drogba chiude i conti, regalando la prima Champions al club di Londra. A questa va aggiunta la F.A. Cup vinta in finale a Wembley contro il Liverpool.
In estate, Abramovich è combattuto sulla riconferma del tecnico italiano, ma deve cedere di fronte al trionfo europeo di quello che viene definito come il "miglior manager ad interim della storia". Nonostante gli acquisti di Oscar, Hazard e Azpilicueta, il Chelsea ha continuato a mostrare certi limiti di gioco, sopratutto in campo europeo. L'attuale terzo posto in Premier delude Abramovich, ma è sostanzialmente la posizione che vale questo Chelsea, che non è certo più forte delle due squadre di Manchester.
In campo continentale sono arrivate le peggiori batoste stagionali: prima la lezione dall'Atletico Madrid di Falcao e Simeone in Supercoppa Europea, poi le prestazioni sotto tono in Champions, dove prima la Juve e poi lo Shakhtar hanno fatto soffrire parecchio i blues. Ora l'uscita in Europa League pare la soluzione più probabile per il Chelsea, salvo miracoli dal prossimo turno, dove gli inglesi dovranno battere il Nordsjealland e sperare che gli ucraini - già qualificati - battano la Juventus.
Ieri sera è calato il sipario sulla brevissima "era Di Matteo" allo Stamford Bridge: la Juve ha letteralmente dominato i campioni d'Europa uscenti e la decisione di partire con Juan Mata (una trequartista) come punta centrale ha spiazzato tutti. La gestione di Fernando Torres, in questo caso, è stata pessima ed anche questo dettaglio ha probabilmente pesato sull'esonero di Di Matteo, vicino ad un record: il Chelsea rischia di essere la prima squadra campione d'Europa ad uscire nella fase a gironi.
Insomma, nel bene e nel male, Roberto Di Matteo verrà ricordato, così come ha confermato il comunicato della società nel quale si annunciava la dipartita dal tecnico italiano. L'esonero dell'allenatore del Chelsea ci ricorda come il calcio sia un lavoro instabile: a volte, non bastano neanche dei "double" per tenersi la panchina..

La sconfitta in Champions con la Juve ha chiuso l'era Di Matteo al Chelsea.

18.11.12

Quei Poveri Ricchi.

Il rapporto tra calcio e soldi è stato sempre a stretto giro di vite e si è sempre pensato che il capitale finanziario potesse automaticamente fornire possibilità di successo. Se questo può essere vero per alcuni casi, viene comunque da dire che non è un'equazione esatta: soldi = successo non è una formula infallibile. Se ne stanno accorgendo in quel di Londra, dove la squadra più disastrata della Premier League continua a regalare spettacoli poco edificanti ai suoi appassionati tifosi. Parlo ovviamente del Queens Park Rangers, o QPR se preferite: l'ultimo posto con quattro punti in 12 giornate di campionato sta cominciando a diventare una situazione tragica.

Tony Fernandes, 48 anni, malese e multi-milionario proprietario del QPR dal 2011.

Per il club di Loftus Road c'è poco da sognare, nonostante i soldi che il suo proprietario, il malese Tony Fernandes, ha portato ai SuperHoops. La storia della squadra non racconta di grandi successi, ma di appena una Coppa di Lega (l'attuale Carling Cup) vinta nel 1967; inoltre, il QPR si è affacciato alla prima divisione nazionale solamente nell'anno successivo a quella vittoria, alternando un buon periodo di stabilità in Premier League al saliscendi tipico di chi si deve salvare. E così, il QPR scese in Championship nel 1996, per rimanervi per molto tempo, con tanto di capatina nella terza serie per tre stagioni tra il 2001 ed il 2004. I SuperHoops vivono nell'anonimato della seconda divisione e fa notizia più per i suoi proprietari che per i suoi risultati. Infatti, il QPR viene prelevato nel 2007 dalla coppia Ecclestone-Briatore, famosi più per la loro capacità nel mondo motoristico che in quello della palla rotonda. I due, insieme al milionario indiano Mittal, gestiscono il club di Londra per quattro anni e riescono a trovare l'uomo della risalita per il QPR: Neil Warnock.
Infatti, il manager di Sheffield prese i SuperHoops e riuscì a trovare la stagione della vita per riportare nuovamente il club in Premier League. Nel 2010/2011, la squadra opera bene sul mercato ed acquista tre giocatori fondamentali per il destino del QPR: il portiere Paddy Kenny dallo Sheffield, l'ala James Mackie dal Plymouth e il fantasista Adel Taarabt dal Tottenham. Queste operazioni potenziano lo scacchiere tattico di Warnock e gli consentono di mettere insieme una striscia di 19 risultati utili consecutivi, che fanno volare il QPR da Agosto a Dicembre. I SuperHoops concludono il campionato da primi in classifica e vengono promossi con diverse giornate d'anticipo; inoltre, Taarabt - nominato capitano da Warnock - è anche il miglior giocatore della Championship di quell'anno.
Quando poi la coppia Briatore-Ecclestone viene sostituita dal multimilionario malese Tony Fernandes nell'Agosto del 2011, i tifosi si aspettano solo il meglio dal ritorno in Premier. Difatti, l'uomo che detiene aziende come l'AirAsia o la Lotus di F1 può mettere sul tavolo i denari necessari ai grandi investimenti; così, negli ultimi giorni di mercato arrivano Joey Barton, Armand Traoré, Anton Ferdinand e Shaun Wright-Phillips. Sono acquisti che alzano notevolmente il livello della squadra, ma non bastano a ripetere i risultati dell'anno passato; dopo sole quattro vittorie nelle prime 20 giornate, Warnock viene esonerato dalla guida tecnica del QPR, in piena zona-retrocessione.
Se Warnock però trova subito un altro lavoro (essendo assunto dal Leeds United), non va meglio per i SuperHoops neanche sotto la guida di Mark Hughes, che era reduce da una buona stagione con il Fulham.

Neil Warnock, 63 anni, l'uomo che ha riportato il QPR in Premier.

Il mercato invernale porta a Loftus Road Djibril Cissé e Bobby Zamora, più i prestiti di Federico Macheda e Taye Taiwo. Insomma, se c'era bisogno di un intervento tecnico, il proprietario malese lo mette in pratica. Ma i nuovi arrivi non smuovono di troppo la classifica, visto che il QPR staziona sempre sul filo della zona retrocessione. Cinque vittorie (tutte casalinghe) nelle ultime dieci giornate salvano miracolosamente i SuperHoops, sebbene il club rischi fino all'ultimo minuto dell'ultima giornata, dove conduceva sul campo del Manchester City per 2-1, prima di essere ripreso e rimontato.
Nonostante la strizza, la salvezza è raggiunta e l'estate è lunga per poter lavorare.. o almeno così sembra. Sul mercato, Tony Fernandes non bada a spese ed esaudisce qualunque desiderio di Mark Hughes: arrivano il discusso portiere Robert Green, gli esperti Ryan Nelsen e Andy Johnson, ma sopratutto Park Ji-Sung dal Manchester United e Junior Hoilett dal retrocesso Blackburn. Con gli acquisti di Julio Cesar, Bosingwa, Esteban Granero e Stéphane Mbia nelle fasi finali della sessione estiva di mercato, il QPR dimostra che ha fatto tutto ciò che si poteva fare. Ma è davvero così?
Bastano poche partite a dimostrare il contrario: i SuperHoops hanno costruito una squadra di stelle, magari esaurendo ogni bizza del proprio tecnico, ma hanno peccato in fase difensiva, dove la squadra soffre troppo. E serve a poco avere un portiere esperto come Julio Cesar se la retroguardia biancoblu lascia voragini agli avversari: tre miracoli alla settimana non equivalgono sempre ad una porta imbattuta. Nella Premier di quest'anno si è notato subito l'errore di costruzione della squadra: il QPR è ultimo in classifica, quattro punti in 12 giornate e non sembra che neanche il genio di Taarabt o i gol di Cissé possano risolvere i problemi.
Il dato più inquietante è però un altro: Mark Hughes ha realizzato una striscia di 12 partite senza vittorie. Già, perché i SuperHoops non hanno ancora vinto una partita nella Premier League 2012/2013 ed i quattro punti sono frutto di soli pareggi. Aggiungiamoci una terribile sindrome da trasferta ed il gioco è fatto, dato che il QPR non vince lontano da Loftus Road dal 19 Novembre.. del 2011!
Insomma, i tifosi del club di Londra non sembrano passare un bel periodo. Nell'ambiente non si respira una buona aria; la situazione diventa ancor più assurda se si analizza anche il curioso episodio di Stéphane Mbia. Infatti, l'ex Marsiglia ha espresso qualche preoccupazione recentemente, anche perché - al momento della firma con il QPR - pensava di andare a giocare in Scozia, confondendo il club di Londra con quello dei Rangers di Glasgow. E questo signore è costato sette milioni di euro..
Purtroppo, tutto ciò non fa che confermare quello che ho sempre pensato: i soldi, senza una buona programmazione ed un po' di fortuna, non servono a niente. Questo è il Queens Park Rangers. Anzi, sfruttando il loro acronimo, "Quei Poveri Ricchi". Perché i denari sono utili solo se portano risultati.

Adel Taarabt, 23 anni: mai talento fu così cristallino e così discusso.

15.11.12

UNDER THE SPOTLIGHT: Henrikh Mkhitaryan

Benvenuti nuovamente all'appuntamento di metà mese "Under The Spotlight", dove questo blog vi propone i potenziali campioni del domani. E prestate particolare attenzione a questo numero: potremmo parlare del prossimo "boom" del calcio mondiale. Il ragazzo sta dimostrando le sue doti nel campionato ucraino, in Champions League e sopratutto con l'Armenia; sia nel club che in nazionale, il prospetto di cui vi racconteremo sta mostrando tutte le sue doti, oltre che una grande personalità. E chissà che un domani, accanto a Messi, Cristiano Ronaldo e Falcao, non ci sia anche questo ficcante e rapido cursore d'attacco. Parlo di Henrikh Mkhitaryan, centrocampista offensivo della nazionale armena e dello Shakhtar Donetsk.

SCHEDA
Nome e cognome: Henrikh Mkhitaryan
Data di nascita: 21 Gennaio 1989
Altezza: 1.78
Ruolo: Trequartista, seconda punta
Club: Shakhtar Dontetsk (2010-?), n°22


STORIA
Nato in quel di Yerevan (capitale dell'Armenia) il 21 Gennaio 1989, Mkhitaryan entra a sei anni nel sistema delle giovanili della più forte squadra nazionale, il Pyunik. Per un decennio rimane nelle rappresentative minori, finché non fa il suo debutto ufficiale da professionista a 17 anni. Dal 2006 al 2009 gioca per il club che lo ha cresciuto, vincendo sette fra campionati e coppe nazionali; inoltre, gioca anche in Europa, seppur mai nelle fasi finali o a gironi. Il destino vuole che nel 2007, durante proprio uno di questi turni preliminari della Champions, il Pyunik incroci lo Shakhtar Donetsk; non c'è storia, gli ucraini sono troppo forti e vincono con un totale di 4-1 tra andata e ritorno. Ma intanto il giovane Henrikh ha già incontrato quel che sarà il suo futuro.
Intanto, nel 2009, il giocatore armeno si trasferisce nella Premier League ucraina, unendosi al Metalurg Donetsk, la seconda squadra della città. E' praticamente un affare: Mkhitaryan viene a costare poco meno di 400mila euro e sarà fondamentale per la stagione del Metalurg. Sul settimo posto ottenuto dal team a fine stagione, c'è la firma del talento armeno, che colleziona 14 gol tra campionato e preliminari di Europa League. Per la successiva annata, il Metalurg gli consegna addirittura la fascia di capitano, nonostante Mkhitaryan abbia solo 21 anni. La partenza a razzo dell'armeno (tre gol nelle prime otto partite di campionato) suscita l'interesse dello Shakhtar, la principale squadra di Donetsk; i "minatori" lo prendono all'ultimo giorno di mercato per nove milioni di euro.
E' una grande mossa: Mkhitaryan non ci mette molto ad integrarsi nel modulo di gioco di Lucescu, sebbene il primo anno abbia qualche difficoltà in zona-gol (solo quattro reti stagionali). Difficoltà che vanno risolvendosi al secondo anno, nel quale realizza mette a segno 11 marcature; inoltre, per lo Shakhtar è un'epopea di successi, con cinque trofei in due annate. E Mkhitaryan viene votato miglior giocatore della squadra, grazie ad un sondaggio on-line a cui rispondono i tifosi del club.
La stagione 2012/2013 è iniziata alla grande per l'ex Pyunik: in appena due mesi è stato in grado di eguagliare il numero di reti realizzato nel campionato precedente. Ad oggi, l'armeno è a quota 16 marcature nella Ukranian Premier League; grazie al contributo del numero 22, lo Shakhtar è primo con ben 14 punti di vantaggio sui rivali del Dinamo Kiev. In Champions, Mkhhitaryan ha realizzato una doppietta contro il Nordsjaelland e ha ben figurato anche allo Juventus Stadium di Torino. Insomma, il futuro appare brillante per l'armeno, inserito anche nella lista di 100 giocatori migliori dall'UEFA.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Mkhitaryan parla ben cinque lingue: armeno, inglese, portoghese, francese ed inglese. Ma c'è una lingua che sta imparando meglio di qualunque altra: quella del gol. Infatti, grazie ai suoi scatti ed alle sue progressioni in dribbling, l'armeno è in grado di trovarsi facilmente in zona-gol e ha una buona freddezza sotto porta. Eppure, non è solo la capacità di evitare gli avversari a renderlo famoso; il suo "stare in campo" a livello tattico è già molto buono nonostante la giovane età. Non tutti i 23enni sanno posizionarsi così bene sul terreno di gioco.. ma Mkhitaryan sì. Infine, l'attaccante dello Shakhtar è dotato anche di un buon senso dell'assist, così che riesce a smarcare i compagni.  Insomma, un giocatore dalle grandi doti atletiche, tecniche e tattiche: difficile volere di più da un ragazzo del genere. Lucescu se ne è accorto e, difatti, l'armeno è sempre in campo. Aggiungiamoci anche la forte personalità che si ritrova ed abbiamo un potenziale fenomeno.

STATISTICHE
2006 - Pyunik Yerevan: 12 presenze, 1 gol
2007 - Pyunik Yerevan: 32 presenze, 12 gol
2008 - Pyunik Yerevan: 32 presenze, 9 gol
2009 - Pyunik Yerevan: 13 presenze, 13 gol
2009/2010 - Metalurg Donetsk: 38 presenze, 14 gol
2010/2011 (Lug.-Ago. 2010) - Metalurg Donetsk: 8 presenze, 3 gol
2010/2011 - Shakhtar Donetsk: 27 presenze, 4 gol
2011/2012 - Shakhtar Donetsk: 37 presenze, 11 gol
2012/2013 (in corso) - Shakhtar Donetsk: 21 presenze, 18 gol

NAZIONALE
L'Armenia non ha mai goduto di un talento del genere, perciò è normale che i tifosi della nazionale siano felici di assistere alle sue prestazioni con la maglia del suo paese. Mkhitaryan esordisce ancora minorenne con l'Armenia in un'amichevole contro Panama del 2007; da quel momento in poi, il talento dello Shakhtar non ha più lasciato il suo posto in nazionale. E' la stella incontrastata ed è probabilmente destinato a diventare il record-man sia di presenze che di gol; sopratutto nella graduatoria delle reti, è a -1 dal primo in classifica. L'Armenia sta crescendo come movimento calcistico; nelle ultime qualificazioni all'Europeo, la nazionale ha sfiorato l'accesso ai play-off, perdendolo solo contro l'Irlanda di Trapattoni. Anche contro nell'Italia, nel recente match per le qualificazioni mondiali, Mkhitaryan è andato a segno e ha dimostrato di essere fondamentale per il destino del suo paese.

LA SQUADRA PER LUI
Forse è inutile ricordarlo, ma vale la pena fare un tentativo: un talento del genere, con la crisi economica delle squadre italiane, è impossibile immaginarlo in Serie A. Il costo è proibitivo e lo Shakhtar è un club in ottime condizioni economiche; perciò i "minatori" potrebbero chiedere cifre esorbitanti. Più probabile che, a fine stagione, le grandi potenze europee facciano la fila per acquisire le sue prestazioni. Mkhitaryan farebbe un figurone sia nel Manchester City di Mancini che nel Barcellona di Villanova. Sono due scuole diverse, ma entrambe le squadre ne trarrebbero beneficio. I Citezens avrebbero ancora più fantasia da affiancare a Dzeko e Aguero, magari evitando l'anti-calcio di cui fa spesso sfoggio Mancini, sopratutto in Europa. I catalani, invece, avrebbero un fenomeno da mettere accanto a Messi; chissà se potrebbe reggere il paragone con la "pulga" argentina..


12.11.12

Futuro pianificato.

Tempo di pausa per il campionato di Serie A: mercoledì sarà la nazionale a guadagnarsi l'attenzione che merita, visto che giocherà un test-match non da poco a Parma contro la Francia. Ma l'Italia può contare su un futuro luminoso, sopratutto grazie ad un centrocampo potenzialmente fantastico. Già, perché il C.T. Prandelli ha finalmente convocato in nazionale Alessandro Florenzi, tuttofare di metà campo della Roma; nella rosa degli Azzurri ci sono già Claudio Marchisio e Marco Verratti. Questi tre giocatori insieme potrebbero rappresentare uno delle mediane migliori della storia azzurra.

Riguardo uno dei leader maximi della Juventus, c'è poco da dire. In un precedente articolo ne abbiamo tessuto le lodi, definendolo uno come dei migliori esponenti del ruolo; un centrocampista moderno, in grado di segnare, inserirsi e contribuire in modo tangibile al gioco della propria squadra. Ma ciò che non si è messo in conto è che lo juventino potrebbe essere il futuro della nazionale, proprio insieme a questi due "ragazzini".

Claudio Marchisio, 26 anni, punto di riferimento per la nazionale azzurra.

Marco Verratti, nato il 5 Novembre 1992 a Pescara, non è nuovo a chi mastica di calcio: il suo nome è rimbalzato su giornali e trasmissioni sportive per molti mesi. Grazie al suo contributo, il Pescara di Zeman ha disputato una stagione straordinaria, portando a compimento il percorso che portò alla promozione dalla B alla A. Il piccolo Marco (non è proprio un gigante..) ha conquistato da tempo la sua città natale: il Pescara lo ha cresciuto da quando aveva otto anni e lo ha fatto esordire a 16, quando gli abruzzesi militavano addirittura in Lega Pro. Nell'ambiente tranquillo dell'Adriatico, Verratti ha potuto crescere in pace, senza gli assilli del risultato a tutti i costi; in tal modo, il suo talento è potuto crescere, fino a rendersi indispensabile per la prima squadra. Nato come trequartista, Verratti si è imposto in questo ruolo ed è stato ben gestito dal club, che non lo ha gettato nella "fossa dei leoni" senza controllo, ma lo ha centellinato sul campo. Una volta che il Pescara raggiunge la promozione in Serie B, il piccolo trequartista diventa titolare ed il tecnico Di Francesco non esista a mandarlo sempre in campo: saranno 29 le presenze (con un gol) nel suo primo anno di serie cadetta, durante il quale viene chiamato dall'U-19 azzurra. Passa un anno e Zeman, arrivato a Pescara tra l'entusiasmo generale, ha un'intuizione geniale: spostare Verratti nella posizione di regista. Difatti, nel 4-3-3 del boemo, non c'è spazio per il trequartista e così il tecnico prova una mossa alla Ancelotti, che aveva trasformato Pirlo da numero 10 a regista puro.
Per Verratti è l'anno della consacrazione. Zeman azzecca la mossa della vita ed il Pescara ne beneficia; inoltre, grazie ad altre intuizioni di buon livello, il boemo porta il club abruzzese in Serie A. All'Adriatico, ogni settimana, va in onda lo show di "Zemanlandia", di cui Verratti è interprete principale, sfornando ben nove assist. Nel frattempo, anche l'U-21 lo convoca, facendolo esordire nella rappresentativa giovanile del calcio azzurro.
A quel punto, molte squadre si portano su Verratti: Napoli e Juve vorrebbero il talento di Pescara, ma non sono troppo decise nel mettere i soldi sul banco. Al posto loro, lo fa il Paris Saint-Germain, dove Ancelotti ha capito di poter avere un genio in mezzo al campo e non esita a farlo suo: 12 milioni agli abruzzesi e Verratti realizza il sogno di giocare in Champions League con i parigini. Ibrahimovic non è più soltanto qualcosa di lontano, ma un compagno di squadra decisivo.
E le soddisfazioni non finiscono qui: Prandelli si accorge del talento del ragazzo e, nonostante giochi in B, lo chiama per lo stage pre-Europeo. Alla fine Verratti non segue i compagni in Polonia e Ucraina, ma viene stabilmente convocato, esordendo in un'amichevole contro l'Inghilterra in Agosto. Insomma, il dopo-Pirlo è assicurato con questo fenomeno della regia, che si sta confermando in Ligue 1 e che ha avuto un'escalation continua di successo.

Marco Verratti, 20 anni: la nuova regia azzurra sarà affidata a lui?

La storia di Alessandro Florenzi è ben diversa. Non ha mai avuto il talento da genio di Verratti o il dono da predestinato di Marchisio, ma ha sempre corso. Tanto e comunque. Nato il 11 Marzo del 1991 a Roma, il centrocampista non ha avuto tecnica o colpi da fuoriclasse, ma due polmoni inesauribili; a suo vantaggio, va anche detto che gli dei del calcio l'hanno premiato con una dote d'inserimento fuori dal comune.
Cresciuto nelle giovanili dei giallorossi, ha il merito di vincere il Campionato Primavera nel 2011 con la squadra allenata da Alberto De Rossi. Tra i Caprari, i Montini, gli Antei ed i Piscitella, questo mediano dalla corsa inesauribile non sembra spuntare come uno dal futuro assicurato. Intanto, il ragazzo si toglie una soddisfazione incredibile, esordendo in Serie A contro la Sampdoria nell'ultima giornata del campionato 2010/2011. 
Tolto questo desiderio dalla lista, per Florenzi giunge l'ora di farsi valere in Serie B: la Roma lo presta al Crotone, che sarà il luogo della sua esplosione. In serie cadetta, non passa domenica in cui non si faccia notare: con 11 gol in 37 partite, il centrocampista vince il premio di "miglior giovane" della Serie B e torna alla casa madre con ottime credenziali. Oltretutto, l'Under-21 si accorge di lui già prima delle ottime prestazioni di Crotone e Florenzi diventa punto di riferimento per la nazionale di Ferrara.
Riscattato dai calabresi per 1,2 milioni di euro, la giovane mezz'ala deve conquistarsi un posto nelle gerarchie di Zeman nonostante la folta presenza in mezzo al campo per la Roma. Alla seconda di campionato, in trasferta contro l'Inter, Florenzi ne approfitta per farsi conoscere e segna il primo gol in Serie A; non ci mette molto a ripetersi la settimana successiva, stavolta all'Olimpico contro il Bologna. La cosa strabiliante è che Florenzi è stato fondamentale in quest'inizio di campionato giallorosso: su 12 partite giocate, in 10 è partito titolare, nelle altre due ha comunque giocato almeno un quarto d'ora. Quando un giocatore si dice "fondamentale"..
Inoltre, Florenzi ha messo la sua firma anche sulla qualificazione dell'Under-21 al prossimo Europeo di categoria, segnando uno delle tre reti che hanno consentito di battere la Svezia in terra straniera e garantirsi l'accesso alla fase finale. E adesso è arrivata anche la chiamata di Prandelli.


Alessandro Florenzi, 21 anni, la nuova rivelazione della Roma zemaniana.

Insomma, un futuro perlomeno assicurato. Non vorrei esagerare, ma il futuro - se gestito in maniera adeguata - pare luminoso. Un centrocampo a tre con Verratti (classe '93) in regia, accompagnato da Marchisio (classe '86) e Florenzi (classe '91) come mezz'ali, potrebbe rappresentare uno dei più forti nella storia della nazionale italiana. E' presto per fare osservazioni concrete, ma se le premesse saranno mantenute, c'è da essere ottimisti. Anzi, meglio spingersi oltre: se il resto della squadra avrà metà della qualità di questo centrocampo, il Mondiale del 2014 sarà più facile da affrontare.

10.11.12

El Mata-d'oro.

Pensando al passato, viene da sorridere: la vita cambia in fretta e spesso senza che uno se ne accorga. Edinson Cavani è un bomber affermato ormai, ma ricordare come a Palermo fosse criticato per la mancanza di freddezza sotto porta fa sembrare il passato ancora più lontano. Sono passati due anni dal suo trasferimento a Napoli, dove il giocatore uruguaiano è definitivamente sbocciato. Scaricato dai compiti di copertura rivestiti a Palermo ed in nazionale, il ragazzo ha fatto il botto in maglia azzurra. C'è voluto un po' per arrivare fino al poker di reti realizzato giovedì contro il Dnipro, ma ormai lo si può dire ad alta voce: Cavani è un top-player, forse il migliore dell'intera Serie A. Anzi, come l'ha definito Riccardo Trevisani di Sky, "un mostro".


Edinson Cavani, nato in quel di Salto il 14 Febbraio 1987, è cresciuto sostanzialmente in Argentina, prima di ritrasferirsi in Uruguay all'età di 12 anni. Lì non c'ha messo molto a farsi notare dal Danubio, club di Montevideo nel quale diventerà appetibile per il resto del mondo. Soprannominato "El Botija" ("il bambino") a causa della sua gracilità fisica all'epoca, Cavani si fa strada grazie alle 12 reti realizzate con la maglia del Danubio in un anno e mezzo, nel quale vince anche il Torneo Apertura del 2006 e partecipa al Torneo di Viareggio, famosa competizione italiana per le squadre giovanili.
Intanto, Maurizio Zamparini e Rino Foschi l'hanno notato e lo portano a Palermo durante il mercato invernale del 2007.. Il presidente dei rosanero lo paga cinque milioni di euro su indicazione del suo d.s. e ancora adesso Zamparini rivendica tale colpo come uno dei migliori della sua gestione. L'esordio è datato 11 Marzo contro la Fiorentina: se poi segni anche un gran gol, tutto è più facile. La stagione si conclude a causa di un infortunio, ma il ragazzo ha fatto intravedere ciò che vale. Se nell'annata successiva è costretto a sacrificarsi giocando esterno d'attacco per volere di Guidolin, quando Amauri parte per la Juve nell'estate del 2008, l'uruguaiano può finalmente avere lo spazio che vuole davanti. Ballardini, nuovo allenatore rosanero, non esita ad accoppiarlo con Miccoli, creando un duo d'attacco di ottima fattura: sono 15 le marcature stagionali dell'ex Danubio. E saranno le stesse nella stagione 2009/2010, l'ultima di Cavani con la maglia del Palermo, ma anche quella in cui i rosanero sfiorano l'accesso ai preliminari di Champions. Delio Rossi, allora tecnico del Palermo, non esita a definirlo "un attaccante moderno, dotato di forza fisica, agonismo e duttilità verso vari schieramenti di gioco".
Inoltre, le cose vanno discretamente anche in nazionale: convocato per la prima volta all'inizio del 2008, Cavani è ormai una chiamata stabile nelle convocazioni del C.T. Tabarez. Purtroppo il problema è lo stesso che si era presentato qualche anno addietro a Palermo: nel 4-2-3-1 del tecnico, per Cavani non c'è spazio in attacco, dove Suarez e Forlan sono giocatori più importanti e rendono meglio in quelle posizioni. Così, l'attaccante deve sacrificarsi sulla fascia, dove Tabarez lo schiera regolarmente: sei presenze ed un gol per Cavani nella competizione sudafricana, dove l'Uruguay coglie un'incredibile quarto posto. Il C.T. aveva ragione su Forlan e Suarez, ma non sa che "El Bojita" sta per esplodere.

Cavani con la maglia del Palermo: in tre anni e mezzo, 37 gol in 117 gare.

Difatti, Cavani decide di cambiare aria ed il Napoli ne approfitta, prendendolo in prestito con diritto di riscatto: cinque milioni per il prestito, 12 per il riscatto, per un totale di 17 milioni. Una cifra irrisoria per il valore che attualmente Cavani può avere. Un'operazione ragionata da parte di De Laurentiis e di Mazzarri; sopratutto il tecnico non ha intenzione di sacrificarlo in fase di copertura, bensì vuole sfruttarne al massimo le doti realizzative. In un trio d'attacco completato da Hamsik e Lavezzi, l'uruguaiano finalmente esplode in tutta la sua potenza: il 2010/2011 è la stagione della sua consacrazione. Sono 33 i gol segnati da Cavani nelle 47 partite disputate; di questi, 26 in campionato e sette in Europa League, dimostrando una certa vocazione per le reti importanti. Aggiungiamoci che l'ex Palermo realizza quattro triplette e la sua maturazione pare completata. Queste marcature consentono al Napoli di tornare in Champions dopo i fasti dell'era Maradona. Dopo il riscatto del giocatore da parte del Napoli, si attende la stagione successiva per capire se è stato un fuoco di paglia o l'uruguaiano ha solo avuto molta fortuna.
I critici devono però darsi pace in un mese: neanche inizia la stagione e Cavani timbra sia in Champions League che in campionato, dove peraltro rifila una tripletta ai campioni d'Italia del Milan. Insomma, più decisivo di così si muore. E' un tratto che non abbandona mai il suo rendimento durante l'anno, anzi diventa ancora più marcato quando si tratta di chiudere certe partite: è lui a far sognare i tifosi nella massima competizione europea ed è sempre lui a segnare il primo gol in finale di Coppa Italia contro la Juventus, vinta per 2-0. Così, sotto la congiunta gestione Mazzarri-De Laurentiis e grazie anche ai suoi gol, un trofeo torna in casa Napoli dopo ben 22 anni.
Visti i numeri e la storia di Cavani, non dovremmo stupirci della sua stagione fin qui: ancora decisivo in campionato, quasi storico in Supercoppa Italiana, strabiliante in Europa League. Ed i quattro gol realizzati contro il Dnipro hanno mostrato due lati di questo giocatore alla squadra ed alla città. Da una parte, si può notare come il Napoli, senza Cavani, perda molto. Se questo è dovuto al fatto che non è stato preso un adeguato vice dell'uruguaiano, è anche sensato chiedersi: c'è qualcuno che possa veramente sostituire uno che fa quattro reti a partita? L'attaccante è troppo importante per il 3-5-1-1 di Mazzarri, che annaspa senza un vero punto di riferimento davanti.
Dall'altra, si è potuto vedere quale affare il Napoli abbia messo a segno comprando l'uruguaiano due anni fa. Il club ha saputo intravedere le sue potenzialità ed è stato bravo anche Mazzarri a valorizzarle, in modo da migliorare i successi di squadra. Pagato 17 milioni, ora ne dovrebbe valere - vedendo i prezzi di mercato - almeno una sessantina. E ci andiamo piano, perché di questi tempi si strapaga chiunque. Ma "un mostro" (cit. Trevisani) costa ed è giusto che i top-teams debbano scucire molti soldi se vogliono accapararsi le prestazioni del numero 7 azzurro. Per ora, siamo a 13 gol in 13 partite stagionali: uno a partita. Ed il futuro appare luminoso anche in nazionale, dove Forlan annaspa e la coppia Suarez-Cavani potrebbe dare anche maggiori soddisfazioni rispetto al passato.
Insomma, altro che Matador; forse è più giusto chiamarlo "El Mata-d'oro".

Edinson Cavani, 25 anni, e la sua gioia dopo il poker realizzato in Europa League.

7.11.12

Il fu Petit Zizou.

Cosa c'è di peggio dell'essere etichettati ancor prima di aver dimostrato di cosa si è capaci? Forse nulla, almeno nel campo lavorativo. Specialmente se il tuo mestiere è il calciatore. Lo sa bene Yoann Gourcuff, che ancora maledice il giorno in cui venne nominato dalla stampa francese come l'erede designato di Zinedine Zidane. L'asso transalpino aveva appena concluso la sua gloriosa carriera ed il giovane talento era stato comprato dal Milan, in previsione di una possibile partenza di Kakà. Parliamo del 2006: sembra un'era fa. Come si è arrivati a sentire il presidente del Lione (la sua attuale squadra) definirlo "cedibile" a cuor leggero?
Eppure questa è la realtà: Gourcuff non è più fondamentale, ma nemmeno necessario per uno dei maggiori club della Ligue 1. Sei anni fa, la storia fu ben diversa.

Yoann Gourcuff, 26 anni: a Bordeaux ha dato il meglio della sua carriera.

Yoann Gourcuff, nato l'11 Luglio 1986 in quel di Ploemeur, è sempre stato legato al calcio, fin da quando era un bambino. Il padre, Christian, è stato infatti un buon giocatore nel campionato francese durante gli anni '70 e '80. Non solo: Gourcuff senior divenne allenatore a 27 anni, accompagnando questa figura a quella di giocatore per diversi anni. Una volta appesi gli scarpini al chiodo, egli è diventato un tecnico a tutti gli effetti, occupandosi sopratutto del Lorient, squadra che allena per il 24° anno. Grazie a lui, il club bretone è riuscito ad arrivare in Ligue 1 per la prima volta nel 1998, mantenendola tutt'ora nella massima categoria nazionale. Insomma, uno che ce l'ha fatta.
Il figlio, talentino bretone di razza pregiata, decise di abbandonare il tennis per dedicarsi anima e corpo al calcio; l'inizio è proprio nel club allenato dal padre, il Lorient. Dopo essersi unito alle giovanili della squadra, nel 2001 segue il tecnico nel trasferimento al Rennes, i rivali regionali; lì il ragazzo esplode in tutta la sua potenza. Sono tre le stagioni da professionista che Gourcuff disputa con la maglia del Rennes: nelle prime due si limita a comparire senza regolarità nella formazione titolare; ma il 2005/2006 è l'anno decisivo. Boloni, tecnico del club, gli assegna la maglia numero 10 e lo promuove titolare. Gourcuff, dal canto suo, lo ripaga con un'ottima stagione, in cui è sempre presente (42 presenze) e fornisce un contributo decisivo (sei gol e sette assist) ai risultati dei rossoneri di Bretagna. Inoltre, Yoann si fa notare anche all'Europeo U-21, dove la Francia arriva in semifinale e perde solo per mano dei futuri campioni dell'Olanda.
L'attenzione su di lui è massima e l'estate del 2006 è un susseguirsi di voci e rumours: Ajax, Valencia e Arsenal lo seguono, ma alla fine lo prende il Milan di Adriano Galliani, assicurandoselo per 5 milioni di euro. C'è molta eccitazione attorno al francese, si pensa che possa addirittura superare uno come Kakà. Ma le attese vengono deluse: 33 presenze portano in dote due gol e cinque assist, numeri poco sostanziosi. Tutto questo nonostante il Milan vinca addirittura la Champions League; ma i giovani non bisogna bruciarli e perciò Gourcuff rimane in squadra, seppur oscurato dai vari campioni rossoneri. E l'integrazione con i compagni di squadra non è buono, tanto che capitan Maldini rivelerà di come il ragazzo si fosse estraniato dallo spogliatoio. Infine, l'essere in competizione con un Pallone d'Oro non è proprio il massimo per un ragazzo molto fragile dal punto di vista psicologico. L'era di Gourcuff al Milan si conclude alla fine della stagione 2007/2008, quando colleziona appena 18 presenze (e un gol); per lui, non c'è spazio, né consacrazione.
E così il ragazzo torna in Ligue 1, seppur in prestito, dove ad attenderlo c'è il Bordeaux e Laurent Blanc. Guarda caso, i girondini furono anche l'ultima squadra francese che ebbe nei suoi ranghi Zinedine Zidane. Sembra la fine, ma nessuno sa che l'ex difensore di Inter e Napoli è pronto a rilanciarlo.

Gourcuff con la maglia del Milan: un amore mai nato quello per l'Italia.

Infatti, Blanc ha capito che Gourcuff può essere fondamentale per spezzare il dominio del Lione, vincitore degli ultimi sette campionati. Grazie alla sua organizzazione tattica ed al genio del talento bretone, il Bordeaux torna a trionfare in Ligue 1, vincendo il sesto titolo nella storia del club. Inoltre, i girondini vincono anche una delle due coppe nazionali e realizzano il secondo "double" nella loro vita calcistica. La ciliegina finale è rappresentata dai riconoscimenti finali: Gourcuff è eletto miglior giocatore dell'anno ed entra in competizione per il Pallone d'Oro, nella votazione del quale raccoglie addirittura sei voti. L'esordio in nazionale, poi, è solo il tocco finale a quella che sembra una resurrezione degna di un romanzo; infatti, Yoann diventa una chiamata fissa da parte del C.T. Domenech, che lo vede bene in campo con Franck Ribery. A quel punto, è naturale il riscatto da parte del Bordeaux, che paga 13 milioni di euro per tenere il giocatore in squadra, nonostante i tentativi di Leonardo ed Ancelotti di convincerlo al ritorno a Milano.
Purtroppo per lui, però, giocate come quella contro il PSG (gol dell'anno della Ligue 1 2008/2009) rimangono lampi di una stagione straordinaria, ma irripetibile. Nella successiva annata, infatti, Gourcuff non riesce a continuare a stupire ed il paragone con Zidane torna incombente nella mente del trequartista.
La partenza è a razzo, con reti sia in campionato che in Champions, dove il Bordeaux fa fuori addirittura la Juventus; grazie a queste prestazioni, Gourcuff viene eletto "giocatore francese del 2009" da parte di France Football. Il contributo del talento bretone è buono, ma non come quello della stagione passata; in più, un infortunio ed un periodo di scarsa forma lo limitano durante l'anno. Ciò nonostante, prima dell'inizio della Ligue 1 2010/2011, il ragazzo chiede di poter essere trasferito al Lione, che lo prende per 22 (!) milioni di euro. All'epoca non sembrano tanti, sopratutto grazie ai 24 gol e 26 assist che Gourcuff ha fornito durante la sua permanenza biennale a Bordeaux. A posteriori, i girondini staranno ancora leccandosi i baffi dell'affare compiuto: una plusvalenza d'altri tempi. Tanto più che il ragazzo non ha fatto una grande impressione al Mondiale sudafricano, beccandosi anche un rosso nella partita finale dei galletti, eliminati nel girone.
A Lione, il ragazzo sarà più un caso che una risorsa. Gourcuff, infatti, sembra esser tornato quello visto al Milan: perso, discontinuo e non decisivo. Nella prima stagione il bretone fatica ad adattarsi allo stile di gioco del tecnico Claude Puel e colleziona solo 4 gol e 5 assist in 36 presenze stagionali. Poco, troppo poco.
E gli infortuni non lo aiutano nell'annata successiva, facendogli saltare la preparazione e condizionandolo successivamente, con appena due gol e due assist in 23 partite in tutte le competizioni.
Così, si è arrivati al punto di rottura: il Lione, arrivato quarto nell'ultimo campionato e non più in grado di dominare la Ligue 1 come una volta, ha deciso di tagliare qualche ingaggio. Gli introiti dell'Europa Leauge non sono come quelli della Champions e quindi il presidente Aulas si è mosso in estate per ridurre i costi del club. E' di pochi giorni fa la voce della probabile cessione a Gennaio di Gourcuff, per cui si è fatto avanti anche l'Arsenal di Wenger.
Forse è la soluzione migliore per tutti. Anche per lo stesso Gourcuff, che deve ripartire dopo aver perso anche la nazionale; non è bastato avere Blanc come C.T. per garantirsi il posto con le prestazioni di Lione. Inoltre, gli infortuni lo stanno perseguitando anche in questa stagione. Insomma, non sarà facile per quel che fu il "Petit Zizou" riprendersi. Basterà il suo talento a tirarlo fuori da questa spirale negativa?

Zinedine Zidane, 40 anni, e Yoann Gourcuff: un paragone forse irraggiungibile.

4.11.12

Non tutte le rane vanno in Europa.

"La rana non morde, perché non ha denti". Riprendendo un proverbio italiano, è quello che molti debbono aver pensato per lungo tempo del Levante Union Deportiva, piccola squadra situata a Valencia e che gioca attualmente nella prima divisione spagnola. La sua storia non racconta di grandi trofei, né di momenti da ricordare con particolare attenzione nella storia del calcio; eppure, nonostante questo, negli ultimi due anni il Levante si è fatto riconoscere anche in Spagna, andando così ad occupare un posto importante nell'attuale Liga. E se non è bastata la straordinaria (ed inaspettata) stagione 2011/2012, quest'anno le "rane" (simbolo del club) sembrano determinare a fare ancora meglio.


Juan Ignacio Martinez, 48 anni, tecnico e regista del miracolo Levante.

Nato nel 1909, il club è nato cronologicamente prima rispetto al più blasonato Valencia Futbol Club, fondato dieci anni più tardi; il suo nome prende spunto da una spiaggia presente a Valencia, la "Levante" di La Malvarrosa. Nel 1937, la squadra vince una versione non-ufficiale della Copa del Rey, chiamata "Copa de la Espana Libre", giocata solo in quella stagione. Ancora oggi, la Federazione spagnola non si è espressa se effettivamente questa vittoria possa essere considerata come un successo in Copa del Rey: misteri del calcio.
Comunque, due anni più tardi, avviene la fusione con un'altra società. Infatti, durante la guerra civile, il Levante ha visto distrutto il proprio campo, mentre il Gimnastico ha perso molti dei suoi giocatori; così, le due squadre si associano e si forma il "Levante Union Deportiva-Gimnastico", rinominato più semplicemente "Levante Union Deportiva" dagli inizi degli anni '40. 
Entrato nelle competizioni ufficiali dal 1941, il Levante gioca la sua prima stagione in Liga solo nel 1963; vi rimane due anni, prima di retrocedere dopo la sconfitta nei play-out contro il Malaga. Se c'è una cosa poi che caratterizza la storia del club di Valencia, sono le difficoltà economiche: infatti, la squadra ne soffre già dall'inizio degli anni '60 e non riesce ad uscirne nemmeno vendendo i migliori giocatori. I problemi finanziari diventeranno così grandi da costringere il club a vendere il vecchio stadio, il "Vallejo", e comprare nuovi terreni per costruire quello dove gioca attualmente, il "Ciudad de Valencia". 
Nonostante ciò, i travagli economici si ripresentano anche negli anni '80 e '90, quando il Levante si regala l'acquisto di Johan Cruijff nel 1981: l'olandese rimarrà solo sei mesi, ma non è da tutti poter dire di aver avuto uno come l'ex Ajax nella propria squadra. Dopo aver fatto l'ascensore tra Segunda, Segunda B e addirittura Tercera, il Levante si assesta finalmente nella seconda divisione spagnola dal 1999. Nel 2004, i rossoblu raggiungono la Liga spagnola per la seconda volta nella storia; dopo esser retrocessi alla fine di quella stagione, si ripetono nel 2006, stavolta rimanendovi per due anni. Purtroppo, l'ennesima crisi economica - con tanto di ritardo nei pagamenti degli stipendi - causò l'ammutinamento della squadra e la cessione di molti giocatori; il debito nei confronti dei giocatori era così ampio da essere stato stimato in 18 milioni di euro di stipendi arretrati. Il caso fu seguito con grossa attenzione in Spagna, tanto da causare diverse proteste da parte dei giocatori del Levante: per diversi secondi dall'inizio della partita con il Deportivo, i giocatori non si mossero, in segno di protesta. Il problema venne risolto alla fine del campionato, grazie ad un'amichevole tra il Levante ed una selezione di giocatori della Liga, il cui incasso venne utilizzato per pagare gli stipendi arretrati.
Risolti gli ennesimi guai finanziari, dopo aver rischiato addirittura il doppio salto all'indietro, le "rane" rimasero in Segunda Division per due stagioni. Nel 2010, la squadra viene nuovamente promossa in Liga e mantiene la categoria   nell'annata successiva. Fin qui non sembra che ci sia nulla di nuovo da raccontare: una squadra con difficoltà finanziarie che fa l'ascensore tra le varie divisioni del campionato nazionale. Non è poi una grande novità. L'unico legame particolare che si può registrare è quello che il Levante ha stretto negli ultimi anni con il nostro calcio: infatti, in quel di Valencia hanno giocato Damiano Tommasi, Marco Storari, Bruno Cirillo, Christian Rigano. Inoltre,  il Levante è stato anche allenato da un italiano, Gianni De Biasi, attuale C.T. dell'Albania.


18 Settembre 2011: Koné fulmina Casillas per l'1-0 sul Real Madrid.

Ma qualcosa di nuovo effettivamente è accaduto l'anno passato. Il Levante si presenta alla partenza della Liga con il solito obiettivo: salvarsi. La squadra non sembra entusiasmante e l'età-media è una delle più alte mai viste: 28,16 anni. Con la partenza di Felipe Caicedo per Mosca, rimane poco o niente da valorizzare; i nomi più noti sono quelli di Del Horno (ex Chelsea), Farinos (ex Inter) e di Arouna Koné, un gol (!) in 40 presenze e cinque anni di Siviglia. Mettiamoci che per il mercato vengono spesi 400mila euro e che la somma degli stipendi dei giocatori della squadra valenciana non supera il mega-compenso di Cristiano Ronaldo ed abbiamo un quadro più completo.
Tuttavia, la compagine di Juan Ignacio Martinez - tecnico reduce da buone stagioni in Segunda - mette la quarta e parte a razzo, vincendo addirittura contro il Real Madrid di Mourinho. La squadra vince sette partite consecutive e conquista il primo posto in solitaria, evento mai accaduto nella storia del Levante in Liga. Insomma, un mezzo trionfo, ma molti continuano a pensare che sia solo un fuoco di paglia, destinato a spegnersi con il procedere del campionato.
Eppure le "rane" non mollano e rimangono per tutto il torneo in zona Europa. Solo dopo 27 giornate escono dalla zona-Champions, lasciando spazio al Malaga, ma non rinunciano ad entrare almeno in Europa League. In quella che venne definita dai tifosi "la partita più importante della sua storia", il Levante batte 3-0 l'Athletic Bilbao, con doppietta di Ghezzal (sì, quello di Siena e Bari) e gol di Farinos. E' Europa League e nessuno ci avrebbe puntato 10 euro; eppure, è successo. Anzi, l'inesperienza priva i valenciani di un sogno più grande, dato che finiscono a tre punti dal Malaga, che conquista invece il posto per i preliminari di Champions League. Poco male: sarà la prima comparsa europea del Levante in una competizione continentale.
In una stagione - la migliora della centenaria storia del club della Comunidad Valenciana - si sono superati il record di punti, quello di vittorie consecutive, quello del maggior numero di gol da parte di un giocatore del Levante e quello del numero di stagioni consecutive in Liga. Ma non basta. Molti pensano che la storia finisca qui e che questa'annata straordinaria sia solo un caso, un miracolo costruito per un anno. Non è così: la squadra perde in estate Ghezzal, Farinos, Valdo, Xavi Torres e l'attaccante "da 17 gol", Arouna Koné, che va al Wigan. Ma il club si rinforza adeguatamente e in maniera parsimoniosa: su tutti arrivano Lell (ex Bayern), Pedro Rios dal Getafe, ma sopratutto Theofanis Gekas ed Obafemi Martins. Due attaccanti che già in questi primi mesi della nuova stagione stanno facendo la differenza in quel di Valencia.
La favola del "JIM team" non è finita. In Europa, la squadra è attualmente seconda nel girone L dell'Europa League, con buone chances di qualificazione ai sedicesimi di finale già nel prossimo turno; nella Liga, il Levante è sesto. Non solo: è una delle poche squadre ad aver bloccato la capolista Atletico Madrid e ha vinto il derby con il Valencia. Insomma, il futuro sembra luminoso come non mai dalle parti del "Ciudad de Valencia".. anche perché non tutte le rane vanno in Europa. E se questo non è un evento comune, beh, ci sono complimenti per questa favola fatta di organizzazione societaria e tecnica.


25 Ottobre 2012: un anno dopo, il Levante batte in Europa League il Twente.
Qui Miguel Herrero, 24 anni, e Juanlu, 32.

1.11.12

El Niño perdido.

"It's a hard life", cantavano i Queen a metà degli anni '80. Se Freddie Mercury e la sua band si riferivano ai fatti della vita in generale, tuttavia la canzone inquadra perfettamente il momento-no che sta attraversando uno dei grandi del calcio europeo: Fernando Torres. E' passato un anno e mezzo dal suo discusso trasferimento dal Liverpool al Chelsea, ma "El Niño" non ha ancora trovato la definitiva consacrazione in maglia blues. A nulla sono serviti tre allenatori diversi o schemi di gioco che lo facessero sentire parte del progetto; lo spagnolo è ancora un corpo estraneo all'interno del team di Londra. Neanche il double Champions-Europeo ha migliorato il suo umore o - peggio ancora - il suo rendimento in campo.

Fernando Torres, 28 anni, qui con la maglia dell'Atletico Madrid, dove tutto ebbe inizio.

Eppure Fernando José Torres Sanz, nato a Fuenlabrada (provincia di Madrid) il 20 Marzo del 1984, non ha avuto sempre queste difficoltà; anzi, la sua carriera parla di grandi glorie e titoli conquistati anche da protagonista. Da piccolo sognava di fare il portiere, poi la fortuna volle che fosse schierato attaccante: 55 gol in una stagione con una formazione giovanile lo portarono dritto alle giovanili dell'Atletico Madrid quando era un 11enne. Quattro anni più tardi, firma il suo primo contratto da professionista e lo fa proprio con i biancorossi. Nonostante poi la rottura di una tibia, il giovane Nando esordisce con la maglia dell'Atletico nel Maggio del 2001, a 17 anni; la settimana successiva realizza anche il suo primo gol ufficiale per i "rojiblancos". Purtroppo per il club, i "colchoneros" non riescono a centrare la promozione dalla Segunda alla Primera Division e quindi la crescita del Nino dovrà continuare nella seconda serie spagnola.
Ma Torres ormai è pronto e viene promosso titolare nella stagione successiva, nella quale contribuirà alla risalita in Liga dell'Atletico. Negli anni, il ragazzo cresce a dismisura e diventa anche il capitano della squadra a 19 anni, stabilendo una qualche sorta di record. Il club crede ciecamente nel ragazzo e resiste alle insidie che, negli anni, provengono dal Regno Unito, dove già nel 2005 il Chelsea vorrebbe portarlo via. Ma l'importanza del giocatore nella squadra e l'arrivo di Sergio Aguero nel 2006 convincono Torres a restare per un paio d'anni.
Inoltre, El Niño esordisce nella nazionale maggiore, dopo aver vinto gli Europei U-16 e U-19 con le giovanili da MVP. L'esordio è datato 6 Settembre 2003 contro il Portogallo, il primo gol arriva nella partita di Genova contro l'Italia, dove Roberto Baggio - un altro grandissimo del calcio - dirà addio alla maglia azzurra. A quel punto, Torres entra a far parte stabilmente della rosa della nazionale: infatti, egli viene convocato sia per gli Europei del 2004 che per il Mondiale del 2006.
Intanto, il centravanti capisce che è ora di partire e chiude l'avventura all'Atletico con 91 gol in 243 presenze. L'offerta del Liverpool è quella giusta. I Reds pagano la somma più alta di sempre (fino all'arrivo di Carroll nel Gennaio 2011) per acquisire le prestazioni dell'attaccante madrileno: il prezzo è di 25 milioni di euro più il cartellino di Luis Garcia. L'accordo sarà la fortuna di entrambi: il Liverpool, già tornato nel top del calcio europeo con Benitez, trova un centravanti letale per il suo 4-2-3-1; lo spagnolo, in tandem con Gerrard, fa impazzire le difese di Premier per un triennio. Il primo anno, Torres impressiona tutti: la sua capacità d'adattamento al calcio inglese è strabiliante, sembra quasi esser più tagliato per la Premier che per la Liga! Lo spagnolo batte molti record del club e, nonostante i Reds arrivino solo quarti e falliscano l'accesso alla finale di Champions, sembra che l'ex Atletico possa essere un fattore decisivo affinché il Liverpool possa tornare a vincere la Premier League. Infatti, il centravanti batte il record di gol in una stagione d'esordio da parte di un giocatore non-inglese, detenuto allora da Ruud Van Nistelrooy.
Purtroppo per i Reds, neanche Torres riuscirà nell'impresa: il miglior piazzamento è un secondo posto del 2008/2009, anno nel quale probabilmente la squadra di Benitez meritava di più sia in Europa, dove il cammino si chiude ai quarti sempre contro il Chelsea, che in campo nazionale. L'anno successivo Torres continua a segnare e la squadra raggiunge le semifinali di Europa League, salvo essere eliminati proprio dall'Atletico Madrid. Con l'addio di Benitez e l'arrivo di Roy Hogdson, il rendimento del Liverpool cala proprio mentre El Niño attraversa i primi guai fisici; ciò nonostante, la Spagna vince la Coppa del Mondo e Torres diventa campione, ma non realizza nessun gol nella fase finale. Al ritorno con la maglia del Liverpool, l'ex Atletico torna a segno, sebbene non sia brillante come al solito; tutto ciò accade finché non arriva l'offerta del Chelsea, che già aveva provato a prendere lo spagnolo anni prima.

Torres ed il Liverpool: un sodalizio che ha funzionato alla grande per entrambi.

81 gol in 142 partite: è questo lo straordinario bilancio di Fernando Torres quando decide di lasciare Liverpool. I tifosi, che lo amavano alla follia, bruciano maglie e dimostrano il loro sdegno per l'addio del proprio idolo, bollato come mercenario. L'offerta dei blues è praticamente irrinunciabile: 58 milioni di euro, il trasferimento più costoso nella storia del calcio inglese. E già questa è una responsabilità pesante per El Niño, che dovrà convincere Ancelotti di non aver fatto un errore, nonostante la presenza già in squadra sia di Didier Drogba che di Nicolas Anelka.
Ma le cose non vanno bene in quel di Londra: Torres fatica a trovare il feeling con la porta e la squadra può fare a meno di lui. Da fondamentale ad uno dei tanti, sia in Nazionale che con il Chelsea; insomma, Liverpool sembra lontanissima. E non serve interrompere il digiuno di reti durato 903 minuti solo ad Aprile; il 2010/2011 di Torres si chiude con un gol (!) in 18 presenze. Un bilancio nero.
Per tutta l'estate, non si parla d'altro: lo spagnolo saprà giustificare i milioni spesi per lui a suon di marcature e prestazioni convincenti? A posteriori, è facile dire di no. C'è un momento che fotografa la sua stagione: l'errore a porta vuota nella partita contro il Manchester United a Old Trafford. Perché lì c'è tutto il repertorio del Niño: scatto in profondità, capacità di giocare sulla linea del fuorigioco e grande dribbling a DeGea. Peccato che ci sia anche il Torres di adesso, che sbaglia anche a specchio spalancato.. insomma, è stata una stagione difficile quella del numero 9 blues. Per sei mesi (da Settembre 2011 a Marzo 2012) non segna in Premier ed il bilancio finale è di 11 gol in 49 partite stagionali: una media di 0,22 reti a partita. Una miseria per uno così. L'unico lampo di grandezza in un'annata del genere è stato il gol segnato al Camp Nou per il 2-2 finale tra il Chelsea ed il Barca; una rete che ha dato la certezza ai blues di giocarsi la seconda finale di Champions della sua storia, preludio alla prima vittoria in questa competizione per il club di Londra. El Niño, perlomeno, si è tolto qualche soddisfazione in nazionale: convocato a sorpresa da Del Bosque per l'Europeo di quest'estate, Torres ha vinto ancora con la Spagna, segnando tre gol. Uno di questi lo ha realizzato in finale contro l'Italia, insieme ad un assist; stupendo un po' tutti, è stato decretato così capo-cannoniere dell'ultima rassegna continentale.
In estate, si è ripartiti con il dilemma: Torres è veramente degno dei soldi spesi per il suo trasferimento a Londra? Dopo aver saputo che lo spagnolo avrebbe voluto tornare a Liverpool già a Febbraio, Abramovich e Di Matteo hanno puntato definitivamente su di lui. E, per farlo, ha lasciato andare un condottiero come Didier Drogba, leone di mille battaglie in otto anni di Chelsea e principale protagonista della vittoria in Champions. Purtroppo, già i primi tre mesi di competizioni hanno confermato che Torres è più un problema che una risorsa per i blues. Basti guardare cosa è successo in Supercoppa Europea: l'Atletico Madrid ha asfaltato il Chelsea grazie ad una tripletta di Radamel Falcao, eroe indiscusso della serata. E subito si è parlato - dopo averlo fatto già quest'estate - di un possibile trasferimento del colombiano a Londra, a discapito proprio del Niño. Un'ipotesi che potrebbe rinascere in Gennaio, quando il Chelsea farà la sua mossa, sebbene l'Atletico abbia già chiarito che sarà difficile il passaggio di Falcao a stagione in corso; più probabile che avvenga in estate, in modo da risanare i debiti del club. In questo modo, Torres sarebbe messo da parte, nonostante Abramovich vorrebbe vederli in coppia.
Anche Di Matteo sta perdendo le speranze e l'espulsione per simulazione di domenica contro il Manchester United non aiuta. Tanto da aver chiesto il rientro di Lukaku dal West Bromwich Albion, dove è attualmente in prestito. Il motivo sembra che sia la mancanza di un vice-Torres, ma chissà che il belga non soffi il posto all'attuale Niño: un giocatore triste, poco motivato ed apparentemente messo da parte. Insomma, "perdido".

Torres durante la Supercoppa Europea: il confronto con Falcao fu impietoso.