30.5.15

ROAD TO JAPAN: Shūichi Gonda

Buongiorno a tutti e benvenuti al quinto numero di "Road To Japan" in questo 2015, la rubrica che vi racconta i migliori talenti provenienti dal paese del Sol Levante. Oggi ci spostiamo nella capitale Tokyo e precisamente nel Football Club Tokyo, l'unica squadra della capitale in prima divisione. Ci occupiamo del suo portiere, Shūichi Gonda.

SCHEDA
Nome e cognome: Shūichi Gonda (権田修一)
Data di nascita: 3 marzo 1989 (età: 26 anni)
Altezza: 1.87 m
Ruolo: Portiere
Club: F.C. Tokyo (2007-?)



STORIA
Classe '89, il giovane Shūichi nasce a Setagaya, il secondo quartiere più grande nella capitale Tokyo, in una famiglia di sportivi (i genitori sono entrambi ex cestisti). Dalle parti di Kanagawa il suo nome è conosciuto e lui entra a soli cinque anni nel Saginuma Soccer Club. Molti lo vorrebbero nelle proprie giovanili: Kawasaki Frontale e Yokohama Marinos lo osservano, mentre lo Shonan Bellmare invita il piccolo Shuichi addirittura per un provino. C'è chi però scavalca tutti: è l'F.C. Tokyo, che inserisce Gonda nella sua U-15 fin dal 2001.
Il successo è immediato: da portiere titolare, vince con le giovanili rossoblu il torneo U-15 del 2003. Passato all'U-18, Gonda frequenta il Kokushikan Junior High School. Tuttavia, il club non ha dubbi sul suo talento e nel 2007 lo fa passare in prima squadra come giocatore designato. In quegli anni, il numero 1 dell'F.C. Tokyo è Hitoshi Shiota, che però comincia ad avere problemi fisici. Prima dell'inizio della stagione 2009, a Shiota viene rilevata un'ipertermia, che poi si trasforma in appendicite. I tempi di recupero si allungano, anche perché ci sono delle complicanze riguardante l'ileo.
Shiota deve star fermo a lungo e Gonda ne approfitta, diventando il titolare dell'F.C. Tokyo. Da quel giorno, non mollerà più il ruolo di numero uno del club. A 19 anni gioca la sua prima annata da professionista in J-League: non aveva mai esordito nei quattro anni da designated player. E non fa affatto male: Gonda alza subito la Nabisco Cup, dove è protagonista di una grande prestazione nel 2-0 in finale contro il Kawasaki Frontale. Il presidente dell'F.C. Tokyo, Kenji Onitake, arriva a definire la sua prestazione da fuoriclasse.
Anche se ormai è il titolare, ci sono alti e bassi. Con il club vince anche la Suruga Bank Championship del 2010 ai rigori. Contro la Liga de Quito (vincitrice della Copa Sudamericana), Gonda si supera e para un penalty. Diverso l'andamento in campionato, dove l'F.C. Tokyo retrocede a sorpresa. Il 2011 è un anno particolare: Gonda gioca solo 25 partite a causa degli impegni con la nazionale olimpica, impegnata nella corsa verso Londra. Shiota prende il suo posto e lui sembra indisporsi, ma alla fine le cose si ricompongono e l'F.C. Tokyo fa il colpo grosso: promozione e vittoria in Coppa dell'Imperatore.
A metter a posto tutto ci pensa Ranko Popović, nuovo allenatore del club e per due anni manager dell'FCT: «Gonda? Per me è il portiere migliore che c'è in Giappone». Ripresosi il posto da titolare, Gonda ha giocato quasi ogni minuto degli ultimi tre campionati. La maturazione è stata notevole, se è vero - com'è vero - che nell'ultima stagione è stato il portiere che ha salvato più tiri nel 2014. Quest'anno si è preso il numero 1 (anche concretamente) e ora punta a diventare il migliore nel suo paese sotto la guida di Massimo Ficcadenti. Anche perché Gonda ha voglia di vincere.

CARATTERISTICHE TECNICHE 
Gonda punta a esser un certo tipo di portiere. Lo capisci quando gli chiedi quali sono i suoi modelli nel ruolo: la risposta del giapponese è doppiamente importante, perché i due modelli sono Peter Schmeichel e Manuel Neuer. Il numero 1 dell'F.C. Tokyo vuole quindi essere un portiere moderno, di quelli che non si vergognano a impostare l'azione e a creare gioco da liberi aggiunti. In effetti, la personalità raggiunta in questo 2015 sembra andare in questa direzione. Gonda non è un portiere esplosivo: spesso costruisce le sue parate con un'attenta lettura dell'azione piuttosto che con un intervento straordinario.

STATISTICHE 
2007 - F.C. Tokyo: 0 presenze, 0 reti subite
2008 - F.C. Tokyo: 0 presenze, 0 reti subite
2009 - F.C. Tokyo: 45 presenze, 48 reti subite
2010 - F.C. Tokyo: 40 presenze, 45 reti subite
2011 - F.C. Tokyo: 25 presenze, 17 reti subite
2012 - F.C. Tokyo: 36 presenze, 43 reti subite
2013 - F.C. Tokyo: 35 presenze, 48 reti subite
2014 - F.C. Tokyo: 36 presenze, 31 reti subite
2015 - F.C. Tokyo (in corso): 18 presenze, 17 reti subite

NAZIONALE
Strano come si possa essere una colonna della nazionale senza in realtà mai giocarci. Gonda conta a oggi appena tre presenze con il Giappone, ma ha fatto parte della spedizione per il Mondiale brasiliano, di quella per la Confederations Cup 2013 e della Coppa d'Asia vinta nel 2011. Da notare come tutte queste presenze sono arrivate sotto la reggenza di Alberto Zaccheroni, spesso visto a Tokyo per osservare le prestazioni del portiere. In quel ragazzo che è passato in tutte le rappresentative giovanili del Giappone Zac vedeva il futuro.
Tuttavia, l'esordio con la Nippon Daihyo è arrivato quando il c.t. era Takeshi Okada, santone del calcio nipponico: in una trasferta senza significati di classifica per le qualificazioni alla Coppa d'Asia del 2011, Gonda è il numero 1 del Giappone in Yemen. Se Aguirre l'ha un po' ignorato, Halilhodzic l'ha ri-convocato dopo alcuni mesi e l'ha anche lodato nella sua prima partita giapponese: «Il portiere del Tokyo non ha giocato male...». Per lui anche un torneo olimpico a Londra 2012 con l'Under 23, nel quale ha mantenuto la porta del Giappone imbattuta in quattro gare consecutive.

LA SQUADRA PER LUI
Sul fatto che sia pronto non ci sono dubbi: è maturato notevolmente. Chissà che non ci sia una chance anche in Italia: nel dicembre 2012, Gonda ha fatto una settimana di prova sia con lo Stoccarda che con l'Hellas Verona, all'epoca in B. E in effetti gli scaligeri avrebbero bisogno di un portiere dal rendimento sicuro. Gonda si era anche sbilanciato: «A me piacerebbe giocare qui: la città è bella e la gente è simpatica». Chissà che Setti non ci ripensi di fronte all'alternanza Rafael-Benussi.

29.5.15

Dieci anni di successi.

Ancora loro. Sempre loro. Quando si parla di Europa League, da oggi in poi saranno considerati la miglior squadra in questa competizione. Il Siviglia vince la finale di Varsavia contro il Dnipro: un 3-2 combattuto nella più facile delle quattro finali che hanno portato il club andaluso a vincere altrettanti trofei in questa manifestazione. E ora (finalmente) ci sarà la Champions.

Ruslan Rotan, 33 anni, capitano del Dnipro e autore del momentaneo 2-2.

E pensare che un decennio fa al Ramón Sánchez Pizjuán si festeggiava un sesto posto in campionato (per il secondo anno consecutivo) e l'entrata in Europa. Magari pesava il -2 dai cugini del Betis, pronti per i preliminari di Champions, ma si poteva esser soddisfatti. Non che non ci fossero stati segnali: a quel tempo, il Siviglia aveva in squadra il compianto Puerta, Dani Alves e Jesús Navas. Se ne sono andati Esteban, Júlio Baptista e Reyes, quell'estate arriveranno Maresca, Adriano, Kanouté e Luís Fabiano.
Da due anni il presidente è diventato José María del Nido, mentre dal 2000 alla scrivania come d.s. siede Monchi, l'uomo delle plusvalenze. Nessuno avrebbe forse immaginato quanto il club sarebbe cresciuto negli anni successivi. A metà anni 2000, il Siviglia aveva una bacheca con otto trofei: quattro titoli di Liga Adelante, tre coppe nazionali e una Liga risalenti agli anni '40. Dieci anni dopo, ci sono altrettanti trofei in più: quattro Europa League, una Supercoppa spagnola, una Europea e due Copa del Rey.
Forse qualcuno pensava che, dopo il trionfo di Torino, il Siviglia non si sarebbe ripetuto in questo 2014-15. È partito capitan Rakitić, che ora si giocherà la finale di Champions con il Barcellona. Hanno lasciato il club anche Alberto Moreno e Federico Fazio, direzione Inghilterra. Queste cessioni hanno fruttato circa 45 milioni di euro. Di questi, solo la metà sono stati spesi in entrata, con i soliti acquisti intelligenti: i francesi Trémoulinas e Kolodziejczak per la difesa, il tuttofare Aleix Vidal per la corsia destra.
Due le intuizioni da segnalare: il polacco Krychowiak (a segno in finale) e il discontinuo, ma geniale Banega (pagato appena due milioni di euro). In più, le conferme a titolo definitivo di Carriço e Pareja. Da menzionare anche lo strano caso di Stephane M'Bia: leader spirituale del gruppo, ha portato il Siviglia a Torino con il gol decisivo nella semifinale di ritorno. Quest'estate il Siviglia non gli aveva rinnovato il contratto, poi l'ha ripreso per un anno. Ora a giugno scade nuovamente l'accordo: chissà cosa accadrà...
La partita non ha detto nulla di nuovo sulle stagioni delle due squadre. Il Dnipro ha segnato subito con un'incornata di Kalinic e ha cercato subito una partita difensiva. Il gol di Krychowiak ha cambiato però l'inerzia della gara e il raddoppio di Bacca l'ha messa sui binari del Siviglia. Il pareggio di Rotan è stato solo un'illusione, perché il Dnipro non ha creato quasi nulla nella ripresa. Non è bastato uno straordinario Konoplyanka (fortunato chi lo prenderà a parametro zero) per sfondare. Al 3-2 di Bacca non è seguita nessuna reazione: ucraini troppo stanchi, spagnoli in pieno controllo della gara.
In realtà, si è capito che gli andalusi avrebbero rivinto la coppa dopo due risultati: il 2-2 in rimonta a San Pietroburgo contro lo Zenit e il 3-0 in casa contro una Fiorentina sciupona. Troppo quadrati, troppo cattivi per tutti.

Carlos Bacca, 28 anni, doppietta ancora una volta decisiva.

L'onore delle armi va al Dnipro di Myron Markevych, un vero genio del male che ha compiuto un mezzo miracolo. C'è da stupirsi fino a un certo punto, perché il tecnico era già arrivato ai quarti di Coppa Uefa con il Metalist Kharkiv. Arrivato quest'estate a Dnirpopetrovsk, ha fatto benissimo. Ciò che stupisce è quanto il Dnipro sia dovuto cambiare per arrivare alle vette della piramide ucraina: la situazione nel Donbass ha influito, ma due anni fa a Dnipropetrovsk assistevano a un calcio molto più bello a firma Juande Ramos.
Eppure solo con Markevych si è arrivati alla finale, mentre il secondo posto in campionato è ancora possibile. A lui il merito di aver lanciato alcuni giocatori: penso al portiere Boyko, al giovanissimo Luchkevych (classe '96!) o al centrale Douglas. Ottima anche la presenza di Matheus (grande paura per lui, ma è tutto ok: solo una commozione cerebrale). Ora i giocatori sono pronti anche per il grande salto. Konoplyanka partirà, ma se gli altri rimarranno, c'è il materiale per tentare il grande salto di qualità in Champions League.
Se parliamo di tecnici, Unai Emery è ormai un re a Siviglia. Forse anche più di Juande Ramos (lo so, torna spesso nel discorso). Perché fare un double europeo con questa squadra era molto più difficile. Non ci sono stelle. Ci sono alcuni buonissimi giocatori, altri discreti soldati, ma nessun fuoriclasse. Eppure il Siviglia in un anno è stato in grado di trovare nuovi protagonisti. Da Beto a Sergio Rico, da Rakitić a Krychowiak, da Moreno a Trémoulinas. Senza dimenticare che alcune certezze rimangono, come una panchina fondamentale: i gol di Kévin Gameiro ci sono sempre quando servono.
Ora il Siviglia avrà di nuovo la possibilità di giocare la Champions, competizione dalla quale manca fin dal 2010-11. In quella stagione, gli andalusi sono usciti clamorosamente al preliminare contro il Braga di Paciência. L'anno prima, invece, si erano fatti buttar fuori dal Cska Mosca agli ottavi di finale. A questa società è mancato solo un traguardo: una vera consacrazione nella massima competizione europea. Nonostante la squadra avuta sul finire degli anni 2000, il miglior risultato è proprio il superamento del girone. Con i soldi della partecipazione ai gironi, bisogna e si può far meglio.
Molto dipenderà anche da chi rimarrà. La partecipazione alla Champions blinda molti campioni, ma di fronte a certe offerte non si potrà far spallucce. Penso proprio a Carlos Bacca, che ha pianto per tanti motivi sulle panchine di Varsavia. Non solo per la vittoria. Non solo per l'essersi riscattato da una vita da pescatore. Ma anche perché molti lo osservano sul mercato e forse la plusvalenza milionaria è dietro dell'angolo.
In ogni caso, a Siviglia se la caveranno. I ragazzi guidati da Emery hanno una dote che pochi posseggono: le famose "palle". Può sembrare retorico, ma in realtà la forza degli andalusi è proprio il collettivo, l'organizzazione. Non si può che spiegare così la capacità di cambiare la propria storia in un decennio senza grossi colossi economici alle spalle. La programmazione prima di tutto. E siamo sicuri che il Siviglia sarà una squadra che molti vorranno evitare in quel di Montecarlo nella prossima Champions League.

Unai Emery, 43 anni, alla seconda Europa League consecutiva.

26.5.15

La marea giallonera.

Ci siamo finalmente: sono passati due anni, ma una parte di Atene può tornare a festeggiare. Se il campionato greco continua a esser problematico, fermato e vinto in sequenza dall'Olympiacos (nel 2014-15 è arrivato il quinto titolo consecutivo), l'Aek Atene ha festeggiato la promozione dalla Football League dopo l'1-0 ottenuto nella gara contro l'Iraklis.


Due anni fa vi avevo raccontato la parabola discendente dell'Aek, sempre più preda di problemi finanziari e risultati deludenti. A questi si sono aggiunti l'esultanza a sfondo fascista di Katidis e poi la decisione del board del club di iscrivere la squadra alla terza serie. È stata la prima discesa dell'Aek, diventato all'improvviso un club amatoriale, nonché il primo caso di retrocessione auto-inflitta. Una retrocessione già arrivata sul campo, ma che è diventata un doppio salto all'indietro per evitare problemi economici più grandi.
Un evento per il calcio greco, visto che il club di Atene vanta nella sua bacheca 11 campionati e 14 coppe nazionali. E pensare che l'Aek ha avuto giocatori molto interessanti nelle sue fila durante l'ultimo decennio. Penso a Kostas Manolas, oggi colonna della Roma, ma cresciuto tra le fila giallonere. Oltre a loro, ci sono stati anche Eidur Gudjohnsen, Pantelis Kafes, Rivaldo. Per non parlare di altri giocatori che a oggi militano in Serie A: Sorrentino ha fatto un'esperienza all'Aek, mentre Tachtsidis e Koné ci sono cresciuti.
Nel 2013, alla guida del club è arrivato Dimitris Melissanidis, un uomo da un patrimonio di 3,4 miliardi di dollari. Il proprietario è lui, che era stato già presidente a periodi alterni durante gli anni '90. Melissanidis avrebbe voluto comprare il club già nel 2008, ma non ci riuscì. L'Aek avrebbe dovuto restituire alle banche 170 milioni di euro e il patron del club sta lavorando bene in tal senso. Ha persino promesso un nuovo impianto a Nea Filadelfia, uno stadio esclusivamente giallonero pronto dal 2016. L'ha progettato lo stesso architetto dello Juventus Stadium e dovrebbe ricordare l'architettura della Basilica di Santa Sofia a Istanbul. Del resto, il club è stato fondato da esuli turchi in Grecia nel 1924. Per altro, lo stadio dovrebbe posizionarsi proprio dov'era il leggendario impianto dell'Aek, il Nikos Goumas.
Intanto, sul piano sportivo, la squadra sta risalendo bene. Nel 2013-14, ha dominato il suo gruppo in terza divisione: 23 vittore, tre pareggi, una sola sconfitta. Arrivato in Football League, l'Aek ha stravinto il gruppo meridionale e si è presentato al girone promozione. Con il gol di ieri a firma Anakoglou, il ritorno nella Super League è cosa fatta. Per altro ci sono già stati i primi incroci con le vecchie rivali del calcio greco ed europeo. Nell'estate 2014, l'Aek ha battuto in amichevole il Panathinaikos. Storico l'incrocio con l'Olympiacos nei quarti della coppa nazionale. Per due motivi: a) l'Aek ha strappato un bel pareggio nell'andata fuori casa; b) al ritorno ha perso 3-0 a tavolino per le solite intemperanze dei tifosi gialloneri dopo il gol decisivo di Jara.
La risalita è dovuta anche ad alcuni innesti che hanno ben figurato. Il primo è Miguel Ángel Cordero, ex Siviglia e mediano tuttofare della squadra. C'è stato spazio anche per Bruno Cirillo, ormai un'istituzione in Grecia (tre anni con l'Aek e altrettanti con il Paok). Bisogna citare anche Hélder Barbosa, ex Porto ed ex nazionale lusitano. Ma sono sopratutto i due nomi nuovi per l'Aek: il primo è quello di Christos Aravidis, attaccante da 19 gol stagionali. Il secondo è quello di Petros Mantalos, trequartista che ha fatto benissimo e che ha stabilito un particolare record: ha esordito con la Grecia da giocatore di seconda divisione grazie all'intuizione di Claudio Ranieri.

Nikolaos Georgeas, 38 anni, all'Aek per 14 stagioni.

A riportare l'Aek in alto ci ha pensato sopratutto Traianos Dellas, che per i tifosi gialloneri è un mito. Uno dei primi ellenici ad approdare in Serie A, il centrale difensivo ha vinto un Europeo con la sua nazionale. Cresciuto nell'Aris, l'unica grande greca per la quale ha giocato è proprio l'Aek. Quando ha capito che Roma non faceva più per lui, è tornato in patria. L'Aek l'ha accolto a braccia aperte per due volte, finché nel 2012 non si è ritirato dal calcio giocato. Nell'aprile 2013 ha preso la guida della squadra in panchina e ha riportato l'Aek in alto. L'ondata di tradizione ha coinvolto anche Akis Zikos, per sei stagioni all'Aek e oggi direttore delle giovanili.
Molto importante è stato anche Nikolaos Georgeas, uno dei pochi simboli del calcio moderno. Questa è la sua 14° stagione con la maglia dell'Aek e i tifosi lo amano alla follia: Georgeas ha seguito un percorso particolare. Professione terzino (su entrambe le fasce), ha segnato il suo primo gol con l'Aek solo nel 2011 contro il Larissa. Poi hanno provato a schierarlo come mediano e ha funzionato piuttosto bene. Georgeas aveva lasciato l'Aek nel 2012, quando la retrocessione era solo un miraggio. Una stagione al Veria, poi la decisione di tornare in giallonero quando il peggio era arrivato. È stato uno degli eroi della doppia promozione, un vero simbolo.
Ora dalle parti di Atene sognano. Vincere il campionato è fuori discussione, ma tornare in Europa al primo anno sarebbe bellissimo. L'ultimo viaggio continentale è datato 2011, quando l'Aek fece una pessima Europa League. Sarebbe meglio rimediare, no? In fondo, l'Aek è una delle poche squadre ad aver un particolare record: i gialloneri sono rimasti imbattuti nel 2002-03 in Champions League. Neanche una sconfitta contro il Real Madrid dei Galacticos o la Roma vice-campione d'Italia. Dove c'era Dellas. Il destino non finisce mai di stupirti e la marea giallonera è pronta a festeggiare nuovi traguardi.

Traianos Dellas, 39 anni, l'uomo che ha riportato l'Aek in alto.

20.5.15

Come un'auto da corsa.

Appena un decennio di vita ed è già Bundesliga: probabilmente un mezzo miracolo, ma con un gruppo industriale come l'Audi alle spalle tutto è possibile. Nella giornata di domenica, l'FC Ingolstadt 04 ha festeggiato la vittoria della seconda divisione tedesca, nonché la prima promozione in Bundesliga nella storia del club. Una festa grande, ma non una sorpresa a tutti gli effetti.

Ralph Hasenhüttl, 47 anni, manager del club e l'uomo della promozione.

Già, perché l'FC Ingolstadt ha rapidamente scalato la piramide del calcio tedesco e i progressi erano sotto gli occhi di tutti. Il club è nato nel 2004 dalla fusione dell'ESV e del MTV, le due formazioni della città fino a metà anni 2000. L'ESV Ingolstadt ha giocato anche in Zweite, ma a quei tempi ha rischiato la sparizione per una difficile situazione economica; diversa la sorte del MTV, che non si è sciolto e oggi milita in decima serie. Uno dei club più antichi del calcio tedesco (nato nel 1881) e polisportiva di valore, il MTV è arrivato in quarta divisione nel 2004.
Proprio da quella categoria è partita la storia dell'FC Ingolstadt 04. La crescita del club è stata velocissima: sotto la guida di Jürgen Press, in quattro anni i rossoneri sono passati dalla quarta serie alla Zweite Bundesliga, proprio nel momento in cui entrava in circolo la riforma del calcio tedesco. La prima apparizione in seconda divisione è stata breve, con l'immediata retrocessione. Tuttavia, l'FC Ingolstadt è tornato subito in Zweite dopo un doppio spareggio con l'Hansa Rostock. Il club è rimasto lì, fino a ieri pomeriggio.
La fortuna sta anche nell'avere una compagnia come l'Audi alle proprie spalle, che a Ingolstadt ha il proprio quartiere generale dal 1964. A oggi nel CdA della società ci sono diversi ex membri della compagnia automobilistica; quest'ultima è anche lo sponsor del club bavarese. In questo quadro va aggiunto che il nuovo stadio - l'Audi Sportpark, un impianto da 15 mila posti costato venti milioni di euro e aperto nel 2010 - è stato finanziato dalla GmbH dell'Audi (una società a garanzia limitata, perché le società per azioni sono più complicate da gestire in Germania), che dal 2013 ha rilevato le quote di maggioranza del club.
Il 2014-15 è l'anno della definitiva esplosione. Dopo quattro salvezze tranquille, il club vuole puntare più in alto. Forse però nessuno si aspettava un miglioramento del genere. Va elogiato il lavoro del d.s. Thomas Linke la scorsa estate, ex giocatore del Bayern Monaco. Proprio lui, che sa come arrivare alla vetta, ha costruito un'ottima squadra. Il club ha comprato a titolo definitivo Da Costa dal Bayer Leverkusen e sono arrivati l'austriaco Hinterseer e il ceco Pekhart per rinforzare l'attacco. Sopratutto, l'acquisto di Mathew Leckie - australiano dal piede veloce e reduce da un ottimo Mondiale - ha fatto la differenza. Ottima la mossa di prenderlo prima della rassegna brasiliana, dove il suo prezzo è arrivato fino a 10 milioni di euro.
Il campionato è stato un trinofo. Dopo le prime giornate combattute, l'FC Ingolstadt ha vinto per 1-0 in casa del Karlsruher: presa la testa della classifica, non l'ha più mollata per il resto della stagione. Inoltre, il club bavarese ha stabilito un primato in Zweite, rimanendo imbattuti per un anno in trasferta (una striscia di 20 gare consecutive). Con il 2-1 al RB Lipsia di ieri pomeriggio, è arrivata la storica promozione. La rimonta firmata dalle reti di Leckie e Lex è valsa anche la vittoria del campionato con una giornata d'anticipo.


Alla guida di questo gruppo c'è Ralph Hasenhüttl, tecnico 47enne che si è tolto una grossa soddisfazione. Ex nazionale austriaco, da attaccante ha finito la sua carriera nella squadra riserve del Bayern Monaco. Sulla panchina dell'Ingolstadt dall'ottobre 2013 dopo i miracoli con l'Aalen, l'anno scorso ha fatto un po' d'apprendistato salvandosi molto bene. Ieri la grande gioia per la seconda promozione personale: «Sensazionale, non pensavo potesse accadere per davvero. Siamo orgogliosi di quanto abbiamo fatto».
Ora lo Stoccarda - immischiato nella folle corsa-salvezza in Bundesliga - pensa a lui per il futuro, ma l'allenatore austriaco dovrebbe rimanere a Ingolstadt. E pensare che la scorsa settimana era tutto pronto per festeggiare, ma la sconfitta per 3-1 sul campo del Bochum ha costretto a rinviare la grande gioia per l'arrivo nella massima serie. Per Hasenhüttl conta il gruppo prima dei singoli. Lo dimostra anche la classifica cannonieri, dove non c'è un giocatore dell'Ingolstadt in doppia cifra (Hinterseer e Lex sono a quota nove, ma c'è l'ultima giornata per rimediare). 
Tuttavia, se c'è un giocatore che si è distinto in questa stagione, non c'è dubbio che sia Pascal Groß. Numero 10 dell'Ingolstadt, Groß è cresciuto nel vivaio dell'Hoffenheim e ha già giocato in Bundesliga proprio con la maglia dei Blau-weiß, ma alla fine il club che l'ha lanciato non gli ha mai dato una grossa fiducia. Così lui è passato prima al Karlsruher in 3. Liga, poi all'Ingolstadt. Da lì una crescita costante: quest'anno il suo score è di 15 assist e sette reti. Ha contribuito a 22 gol della sua squadra: un piccolo Kevin de Bruyne. Solo Niederlechner dell'Heidenheim è stato decisivo come lui in Zweite.
L'anno prossimo sarà la prima volta dell'Ingolstadt in Bundesliga. La prima volta dei derby bavaresi con il Bayern Monaco, ma sopratutto con l'Augsburg, squadra con la quale si è sviluppata una certa rivalità nel passare degli anni. La prima volta dell'Audi Sportpark tra gli impianti della massima serie tedesca. Bisognerà cercare di non smontare quanto costruito. La crescita dell'FC Ingolstadt è veloce come quella di un'auto da corsa. Praticamente come... un Audi.

Pascal Groß, 23 anni, numero 10 e assist-man della squadra.

16.5.15

Caduta libera.

Manca poco, purtroppo. Non ci si crede, se si pensa giusto a dieci anni fa: il Widzew Łódź sta per retrocedere in terza divisione. Una delle più grandi compagini del calcio polacco è pronta a scomparire: la discesa non è ancora matematica, ma con cinque giornate a disposizione e l'ultimo posto a dodici punti di distacco dallo spareggio, non c'è da star ottimisti.

I tifosi del Widzew Łódź in trasferta: la squadra sta retrocedendo.

Il Widzew Łódź è parte della storia della Polonia. Non si può negarlo. La bacheca parla di quattro campionati vinti, più una supercoppa e una coppa nazionale. A questi titoli, vanno aggiunti alcuni grandi traguardi europei, come ad esempio la semifinale di Coppa dei Campioni del 1983, persa contro la Juventus di Trapattoni (poi sconfitta in finale dall'Amburgo). Per quanto riguarda la massima competizione europea, solo il Legia Varsavia è riuscito a fare di meglio, raggiungendo i quarti di finale nel 1996).
Una squadra che ha giocato 117 match europei e che nella classifica all-time del calcio polacco è al settimo posto. La società ha lanciato diversi giocatori interessanti, ma su tutti c'è ne è uno che non è mai stato dimenticato: Zbigniew Boniek, detto Zibì. Quando l'avvocato Agnelli pose gli occhi su di lui e sul suo straordinario talento (strabordante nel Mondiale '82), Boniek era il miglior giocatore del Widzew. Oggi rimane comunque un personaggio di spicco, visto che è il presidente della federazione polacca.
A Łódź si è dominato sopratutto dalla fine degli anni '70 all'alba del 2000, quando il Widzew portò a casa quasi tutti i titoli conquistati. E poi ho sempre avuto un ricordo vivido di questa squadra, perché negli anni '90 ha spesso incrociate le italiane in Europa. Tutte sconfitte, ma i polacchi hanno sfidato Parma e Udinese nel 1997-98. L'anno dopo sfidarono la Fiorentina nei preliminari di Champions League. E poi la grande stagione 1996-97: il Widzew arriva ai gironi di Champions. Uscirà subito, ma si toglierà la soddisfazione di fermare sul pareggio i futuri campioni del Borussia Dortmund.
Da quel momento in poi, è arrivato il declino. La vittoria in campionato manca dal 1997 e il Widzew stava già affrontando un periodo difficile: sceso per due volte in seconda divisione negli anni 2000, il club è riuscito sempre a risalire. Poi è arrivato il 2013-14, dove il Widzew si è piazzato ultimo durante la stagione regolare (la Polonia ha un campionato molto simile a quello belga nel formato). Nel girone per evitare la retrocessione, il Widzew è riuscito solamente a sopravanzare un'altra nobile decaduta come il Zagłębie Lubin. Retrocesse entrambe, il Zagłębie quest'anno è in corsa per la promozione (al momento è primo). Ben diversa la sorte toccata al club di Łódź.


La stagione 2014-15 è andata male sin dall'inizio: oggi la squadra scenderà in campo sul terreno del Bytow, ma le sole quattro vittorie e i 20 punti conquistati in quest'annata non hanno mai dato segnali di ottimismo. Né di salvezza, figuriamoci per quanto riguarda il ritorno nell'Ekstraklasa (stavolta impossibile). Nonostante i giovani lanciati e la guida di elementi esperti come InjacLisowski (anche tre presenze per lui con la Polonia), la compagine di Lodz sta deragliando verso i bassifondi della classifica.
E così quella squadra che ha fornito quattro giocatori alla Polonia terza nel Mondiale 1982 (oltre a Boniek, c'erano anche Zmuda, Smolarek e Młynarczyk) scomparirà dal calcio professionistico. L'ultima che è riuscita ad accedere a una fase a gironi della Champions, visto che il Legia Varsavia ha al massimo disputato i preliminari. Non è detto per altro che il futuro sia migliore, visto che alcuni tifosi in contrasto con la dirigenza hanno creato il TMRF Widzew, che è partito dall'ottava serie e punta a risalire la piramide del calcio polacco.
Intanto il club continua a perder soldi e chissà cosa prevede il futuro prossimo. Una cosa è certa: quei ricordi nella tv degli anni '90 rischiano di rimanere tali, perché il Widzew è in caduta libera.

La disperazione di Tomasz Lisowski, 30 anni, ex nazionale polacco.

13.5.15

L'altra Parigi.

Una già festeggia, l'altra potrebbe celebrare a breve. Manca poco, eppure Parigi ribolle. No, non per il PSG, che quasi certamente vincerà la Ligue 1. Se il Red Star - nobile club del calcio francese - può già esultare per il ritorno in Ligue 2, al Paris FC manca davvero poco per esser promosso. Se in Francia il PSG è un cult, queste squadre della capitale ora promettono battaglia.
Piccola. Forse è troppo definirla così. Non si può definire tale una società che vive nei meandri della capitale e che ha uno stadio - il Sébastien Charléty - di 20 mila spettatori. Solo lo Strasburgo, nobile decaduta del calcio transalpino, ha un impianto dalla capacità maggiore. Effettivamente il Paris Saint-Germain gioca in questo stadio, ma con la sua squadra femminile. Dal 2007, è anche la casa del Paris FC.
Nel 1969, il club nasce per sopperire alla mancanza di club professionistici a Parigi. Tuttavia, si fonde quasi subito con lo Stade-Germain, fondando così il Paris Saint-Germain. Alcuni tifosi e persino il consiglio comunale di Parigi rimangono contro questa mossa e fondano un nuovo Paris FC, che rimane in Ligue 1 e si tiene anche l'utilizzo del Parco dei Princiipi, mentre il PSG va in terza divisione.
Oggi la situazione si è completamente capovolta e il Paris FC ha disputato per lo più campionati nelle divisioni amatoriali. Il suo maggior successo è la vittoria del CFA nel 2006, la prima delle leghe non-professionistiche nella piramide del calcio francese. Tra i suoi allenatori, c'è stato quel Roger Lemerre che ha guidato la Francia alla vittoria di Euro 2000 e della Confederations Cup 2001. Per non parlare del vivaio del club, che ha lanciato giocatori come Mahmadou Sakho (poi capitano del PSG...), Lassana Diarra e Gabriel Obertan.
Dopo anni di mancate promozioni, questa sembra essere l'annata buona. La dirigenza ha spesso avuto l'ambizione di salire in Ligue 2, ma molte volte è mancata la giusta competitività. Ora invece il sogno è distante due punti (che potrebbero anche non servire): già la prossima partita casalinga contro il Bourg-Peronnas (terzo in classifica) potrebbe dare la promozione diretta al club. Le cinque lunghezza di vantaggio sullo Strasburgo consentono di dormire sonni tranquilli.
Quest'estate sono arrivati alcuni giocatori esperti, come Loïc Poujol: una vita spesa con il Sochaux per il mediano, ma oggi è uno dei punti di riferimento del Paris FC. Importante è stato anche l'arrivo di Richard Socrier, bomber esperto della Ligue 2, dove ha giocato ben dieci stagioni nella sua carriera. Nell'unica annata della sua vita in National, ne aveva segnati 16 con lo Cherbourg: nel 2014-15, a 36 anni, siamo a 12 gol.
Senza dimenticare l'apporto del tecnico, Christophe Taine: tanti prima di lui si sono cimentati in quest'impresa, ma lui sembra esser l'unico che sia in grado di averla portata a termine. Proprio lui, che aveva iniziato la sua carriera da giocatore in questo club. La sua squadra ha avuto in mano la prima posizione per diversi mesi, poi ha mollato. Ciò nonostante, venerdì sera potrebbe esser il giorno giusto per festeggiare un ambito traguardo.

Loïc Poujol, 26 anni, uomo d'esperienza del Paris FC.

Chi ha già festeggiato, invece, è il Red Star: definirlo "un piccolo club" è complicato. In verità, la squadra è dei dintorni di Parigi (Saint-Ouen per la precisione, un sobborgo appena fuori la città), ma è stata fondata nella capitale. E non da un signore qualsiasi, bensì da Jules Rimet, l'uomo che dato il suo nome al trofeo del Mondiale e che è stato presidente della Fifa dal 1919 al 1942. Il Red Star è anche uno dei club fondatori della Ligue 1: l'ultima stagione disputata nella massima divisione francese risale a quarant'anni fa.
Rimet non faceva differenze di classe nell'accogliere i giocatori: un'usanza strana per la Francia di fine Ottocento. Uno spirito che si è mantenuto oggi nella tifoseria: sulla carta a-politica, essa raccoglie i cittadini della periferia. Lo stesso presidente, Patrice Haddad, ha confermato una forte connotazione politica di sinistra. Con la maglia biancoverde, hanno giocato persino l'argentino Guillermo Stábile (poi anche manager del club negli anni '30) e il bosniaco Safet Sušić, che in Francia ha avuto un'ottima carriera.
Il mercato è stato di quelli esaltanti nell'estate 2014: è arrivato persino David Bellion, ex enfant prodigé del Manchester United. L'intento dichiarato - come per il Paris FC - era quello di risalire in Ligue 2. Un risultato raggiunto venerdì sera, quando il Red Star ha travolto in casa per 4-0 l'Istres. In primavera la squadra ha preso la testa della classifica e non l'ha più mollata. Un risultato importante, se si pensa che il club dieci anni fa versava in pessime condizioni economiche ed è arrivato addirittura a giocare in sesta divisione.
Allo Stade Bauer - l'impianto di casa, danneggiato da una tempesta nel 1999 - non vedono l'ora di giocare nuovamente in Ligue 2, dove il Red Star manca da 15 anni. Potrebbe esser necessario uno spostamento momentaneo allo Stade Jean-Bouin, ma i tifosi vorrebbero rimanere nello storico impianto, che però non è a norma. Chissà che una mano non possa darla anche François Hollande. Sì, proprio il presidente della repubblica francese, tifoso del Red Star e che ha anche presenziato in occasione di una partita di Coppa di Lega.
Anche in questa promozione ci sono stati dei protagonisti indiscussi. In campo, il rendimento di Kevin Lefaix è stato fondamentale: 18 gol, secondo nella classifica cannonieri della National. Cresciuto nelle giovanili del Rennes, a 33 anni è una bella rivincita dopo aver speso molto tempo nelle divisioni inferiori. Semplice soddisfazione invece per l'allenatore della squadra, Sébastien Robert, definito come un figlio del club: «È strano: ho vissuto molte emozioni qui a Parigi, ma avevo solo immaginato una festa del genere».
Ora si pensa al futuro, come ha sottolineato Steve Marlet, ex nazionale francese e oggi d.s. del club: «Sono contento: voglio restituire ciò che il club mi ha dato. L'anno prossimo? Vogliamo salvarci in Ligue 2. Sarebbe stupido dire che punteremo a qualcos'altro». Intanto, però, l'altra Parigi sogna.

Kevin Lefaix, 33 anni, l'uomo dei gol-promozione per il Red Star.

10.5.15

De dextrae mutatio (Of Fair Change, OFC).

Sono passati tre anni da quando ho aperto questo blog. Col senno di poi, mi rendo conto che avrei dovuto farlo prima. Ma se c'è un modo per festeggiare questo traguardo, è quello di dedicare un momento a una causa che mi sta a cuore nel calcio. Riguarda l'Oceania, la Coppa del Mondo e quel che sarà del futuro di questo sport.

La Nuova Zelanda del Mondiale 2010: imbattuta in tre gare.

A maggio 2014, ho dato il là a una petizione per dare un posto automatico all'Ofc - la confederazione oceanica - al Mondiale. Ammetto di non aver avuto molta fortuna, ma perché l'ho fatto? Perché attualmente l'Ofc ha diritto a "mezzo" posto, cioè a uno spareggio. In tal modo, la Coppa del Mondo dimostra di non rappresentare veramente tutti i continenti in egual maniera.
Nell'ultimo Mondiale in Brasile, 32 nazionali hanno preso parte alla competizione: 13 europee, 4 asiatiche, 5 africane, 4 nord-centro americane e ben 6 sudamericane (compreso il Brasile padrone di casa). E l'Oceania? Beh, l'Ofc non ha avuto nessun rappresentante dalla sua zona. Questo perché la Nuova Zelanda non ha superato gli spareggi contro il Messico. Uno spareggio dall'esito abbastanza scontato.
Quella brasiliana è stata la prima rassegna mondiale senza una rappresentante dalla zona Ofc. Nei due precedenti tornei, almeno una nazionale si era qualificata: nel 2006 l'Australia dopo lo spareggio con l'Uruguay, quattro anni dopo la Nuova Zelanda dopo il doppio play-off contro il Bahrain. Nelle edizioni precedenti, la stessa Australia aveva spesso fallito l'obiettivo Coppa del Mondo proprio negli spareggi.
La domanda che voglio porre a molti di voi è questa: perché la zona Oceania non ha un posto automatico al Mondiale? Come si può parlare di "Coppa del Mondo" se non sono rappresentate tutte le confederazioni? Forse pensate che sia giusto così, ma in realtà non lo è. Per questo oggi ve ne parlo.
Lo scopo della petizione era (e rimane) quello di sensibilizzare gli appassionati su questo tema e permettere un giorno all'Oceania di avere un posto automatico al Mondiale. So che queste poche parole non faranno cambiare opinione a un'organizzazione mondiale come la Fifa, ma spero possano sensibilizzare almeno noi tifosi, che siamo la linfa vitale di questo grande spettacolo chiamato calcio (checché ne dicano molti).
Il consiglio è di dare all'Ofc un posto automatico alla fase a girone dei Mondiale. E chi dovrebbe sacrificarsi? La proposta più semplice vedrebbe la confederazione del paese che ospita la Coppa del Mondo ogni volta rinunciare a un posto. Esempio: nel 2018 sarà la Russia a ospitare la rassegna e l'UEFA dovrebbe dare un posto all'OFC. E così via scorrendo, a seconda di quale confederazione ospiti il Mondiale. Non mi sembra una misura difficile da applicare.


C'è un altro problema. Molti osserverebbero che - Nuova Zelanda a parte - le altre nazionali dell'Ofc sono molto scarse. Il caso di Tahiti alla Confederations Cup è indicativo: i Toa Aito hanno ottenuto tre sconfitte senza storia (6-1 contro la Nigeria, 10-0 contro la Spagna e 8-0 contro l'Uruguay). Invece, voglio andare controcorrente e dimostrarvi come quel caso illustri quanto sia giusto dare un posto automatico all'Ofc.
Pensate che risultato avrebbe potuto ottenere Tahiti se avesse già giocato contro squadre del genere. E come può farlo, se non giocando nella Confederations Cup o al Mondiale? Pensate che la Spagna si presenterà a Tonga o il Brasile andrà a giocare nelle Isole Salomone? Non succederà. Se volessi poi citare un esempio positivo di rappresentante Ofc al Mondiale, c'è quello della Nuova Zelanda al Mondiale sudafricano del 2010. Gli All Whites sono stati gli unici a uscire imbattuti da quel torneo, un risultato che non è stato raggiunto nemmeno dalla Spagna campione.
Nel 2016 ci sarà l'Ofc Nations Cup, la rassegna continentale che sarà un passaggio fondamentale per il Mondiale russo di due anni dopo. La Fifa per ora non si muove e la Nuova Zelanda ha addirittura chiesto ospitalità alla Conmebol, ricevendo una risposta negativa. Un peccato, perché scappare non risolverà la situazione. Spesso ci dimentichiamo anche che queste partecipazioni portano dei miglioramenti in questi movimenti calcistici.
Dopo il Mondiale sudafricano, Chris Wood è diventato un attaccante interessante per la scena inglese. Winston Reid è oggi il capitano del West Ham United, mentre il suo compagno di difesa Tommy Smith è una colonna dell'Ipswich Town. Il tahitiano Steevy Chong Hue ha sostenuto un provino con il Lorient dopo la Confederations Cup del 2013. Georges Gope-Fenepej, attaccante della Nuova Caledonia, è di proprietà del Troyes e ha debuttato in Ligue 1.
E se ci spostassimo nell'ambito di club, l'Auckland City è arrivato terzo nell'ultima Fifa Club World Cup svoltasi in Marocco. Il tutto avviene a giusto un paio di mesi dalla Coppa del Mondo U-20, organizzata dalla Nuova Zelanda e dove invece ci saranno ben due rappresentanti dell'Ofc. Segno che il cambio di tendenza è possibile. Per altro, c'è gran voglia di calcio in Oceania: basti guardare i dati sulle presenze alle finali della Ofc Champions League.
Per questo, vi invito a firmare questa petizione. Sarebbe un bel segnale da dare a questo mondo, spesso troppo attento allo show-biz e poco alla sostanza, fatta anche da queste storie. Quella di Tahiti è stata bellissima, al di là dei risultati. E la rappresentatività è più importante della forza delle squadre. Perciò firmate pure. E ricordate: non c'è Coppa del Mondo se non possono essere rappresentati tutti.

La squadra di Tahiti, l'ultima dell'Ofc alla Confederations Cup.

7.5.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Benik Afobe

Buongiorno a tutti e benvenuti a "Under the Spotlight", la rubrica che vi parla dei talenti che stanno emergendo in giro per l'Europa. Oggi ci spostiamo in Championship, la seconda divisione inglese. Vi parlo di un pallino personale: il Wolverhapton ha concluso un gran campionato e a gennaio si è garantito l'acquisto che potrebbe riportare il club in Premier League nel 2016. Sto parlando di Benik Afobe, attaccante dei Wolves.

SCHEDA
Nome e cognome: Benik Tunani Afobe
Data di nascita: 12 febbraio 1993 (età: 22 anni)
Altezza: 1.83 m
Ruolo: Centravanti, seconda punta
Club: Wolverhampton Wanderers (2015-?)


STORIA
Classe '93, Afobe nasce a Waltham Forest, piccolo borgo di Londra. Viene subito notato dagli scout dell'Arsenal, la squadra a cui rimarrà legato per 15 anni. All'età di sei anni, il piccolo Benik viene considerato speciale, tanto che l'Arsenal gli fa un contratto nel 2001. Da lì, la crescita di Afobe è costante: nelle categorie giovanili segna montagne di gol (basti pensare ai 40 realizzati negli U-16 dell'Arsenal nel 2007-08). Nel 2010 i Gunners devono rinnovargli il contratto per non perderlo, visto che su Afobe c'è anche il Barcellona.
Tuttavia, la verità è che non scenderà mai in campo con la maglia dell'Arsenal. Nel 2011, Afobe comincia una girandola di prestiti infinita, a partire dall'Huddesfield Town, in League One. Il centravanti segna otto reti e fornisce dieci assist, dimostrando che già a 18 anni può esser decisivo. Purtroppo, da quel momento in poi si perde. Il ragazzo impressiona nel pre-campionato e con le riserve, ma Wenger non lo fa giocare.
Così arrivano altri prestiti. Il primo è al Reading, dove però non vede quasi mai il campo nei due mesi finali del 2011-12. Nella stagione successiva, Afobe si divide tra il Bolton e il Millwall: malino con i Wanderers, malissimo con i Lions, tanto che il ragazzo torna all'Arsenal per curarsi dopo un infortunio. Neanche il 2013-14 è positivo, visto che allo Sheffield Wednesday sembra essersi definitivamente perso. In tre stagioni, ha segnato cinque gol.
Eppure Afobe ha solo vent'anni: forse è presto per considerarlo finito. Lo pensa Karl Robinson, manager del Milton Keynes Dons. Finora Afobe è sceso solo una volta in League One (ha sempre giocato in prestito in Championship), ma il centravanti si convince che sia la mossa giusta. La serata per esplodere è quella contro il Manchester United in League Cup. Se i Dons dimostrano che valgono la promozione, Afobe fa venire il mal di testa alla banda di van Gaal. Nel 4-0 finale, due gol sono suoi. E a gennaio il ragazzo ha una media-gol straordinaria (19 reti in 30 gare).
I suoi progessi non passano inosservati e il Wolverhampton decide di tentare l'azzardo: a gennaio il passaggio ai Wolves è fatto per tre milioni di euro. I tifosi dell'Arsenal ancora non hanno capito quest'affare, ma per i tifosi gialloneri comincia una festa senza fine. Al Molineux si canta: «Dicko, Afobe, Sako. It's magic, you knooooow». La squadra ha mancato di poco i play-off, ma l'anno prossimo tenteranno di risalire in Premier.
Afobe ha concluso la stagione come il giocatore più prolifico nelle quattro divisioni professionistiche inglesi. Vedremo se Kane o Aguero lo supereranno, ma lui si è già preso una piccola rivincita sulla squadra che l'avrebbe dovuto lanciare: «Penso che l'Arsenal abbia sbagliato qualche volta nel girarmi in prestito, ma ora penso solo al Wolverhampton. I prestiti? Non sono stati fallimenti: ho tratto qualche insegnamento da ogni posto in cui sono stato. Qui i tifosi dei Wolves sono fantastici».

CARATTERISTICHE TECNICHE
Nato come centravanti, con gli anni Afobe ha affinato la sua capacità di stare in campo. I progressi più grandi si sono notati nell'ultimo periodo al Wolverhampton: alla prima esperienza da titolare in Championship, Afobe ha saputo destreggiarsi non solo al centro dell'attacco (da prima o seconda punta), ma anche sulle fasce.
Dal punto di vista tecnico, Afobe è dotato di un buon tiro. A guardare quei 183 centimetri di statuaria massa corporea non si direbbe, ma il ragazzo possiede anche una buona progressione palla al piede. Di certo i difensori che l'hanno incontrato quest'anno non se lo dimenticheranno a breve.

STATISTICHE
2010/2011 - Arsenal: 0 presenze, 0 reti
2010/2011 -  Huddersfield Town*: 35 presenze, 8 reti
2011/2012 -  Reading: 3 presenze, 0 reti
2012/2013 -  Bolton Wanderers: 23 presenze, 3 reti
2012/2013 -  Millwall: 5 presenze, 0 reti
2013/2014 -  Sheffield Wedsneday: 13 presenze, 2 reti
2010/2011 -  Milton Keynes Dons*: 30 presenze, 19 reti
2014/2015 - Wolverhampton Wanderers: 21 presenze, 13 reti
N.B. Afobe ha finora giocato al massimo in Championship.
* in Football League One

NAZIONALE
Per lui ancora nessun esordio con la nazionale maggiore, ma le rappresentative giovanili sono state casa sua da diverso tempo. Anzi, nell'Europeo U-17 del 2010 ha fatto anche parte della top 11 finale. Se mai decidesse di rimanere con i Wolves dopo l'estate, viene da chiedersi se potrà eguagliare il record di Jay Bothroyd, che è stato convocato da Capello nonostante giocasse in Championship con la maglia del Cardiff City. Personalmente non ci vedrei nulla di male: il ragazzo merita certe ribalte.

LA SQUADRA PER LUI
Quest'estate su di lui ci sarà sicuramente qualche club, ma per crescere ancora - a 22 anni - un altro anno di Championship non sarebbe la scelta sbagliata. Anche perché il rischio è di esser devastanti, maturare ancora e regalare un'altra promzione. Stavolta a beneficiarne potrebbero essere i Wolves, che mancano in Premier League da tre anni. Del resto, il tecnico Kenny Jackett è stato molto chiaro: «Non andrà da nessuna parte. Lo abbiamo preso perché vogliamo costruire una squadra attorno a lui».

5.5.15

Il vecchio cecchino.

Nell'ultimo week-end i campionati della Football League hanno chiuso i battenti: ora spazio all'appendice dei play-off. Nonostante le sorprendenti promozioni di Bournemouth (in Premier League) e Milton Keynes Dons (in Championship), un ragazzo di 39 anni si è distinto sui "campetti" della League Two. Si chiama Jamie Cureton e molti di voi staranno sentendo il suo nome per la prima volta.

Un giovanissimo Cureton con il Norwich in Premier League.

Sabato, il Dagenham & Redbridge ha chiuso il suo campionato con una sconfitta sul campo dell'Exeter City. Il 2-1 finale dice poco sulla stagione dei Daggers, che si sono salvati con diverse giornate d'anticipo. L'ultima gara di questo 2014-15 è stata una sconfitta netta, ma al 91' Cureton ha messo dentro il gol numero 20 della sua annata (una rete da illustre ex, per altro). E il ragazzo si prepara a compiere quarant'anni il 28 agosto prossimo.
Di giocatori longevi il calcio inglese ne produce parecchi. Basti pensare a Kevin Phillips, che si è ritirato solo l'anno scorso (dopo la promozione con il Leicester) e in carriera ne ha fatte di cose discrete (tra cui segnare 282 gol da professionista). Cresciuto nel vivaio del Norwich, Cureton ha giocato le uniche partite della sua carriera in Premier League proprio con i Canaries. Dopo la retrocessione, non è più tornato a quei livelli: «Pensavo saremmo risaliti subito: segnavo per divertimento. Ma non è andata così».
Nel 1996, Cureton viene ceduto al Bristol Rovers, tornando nella città in cui è nato. In terza serie segna tanti gol: saranno 79 in 192 partite, ma i Rovers non riescono a salire in First Division. Quindi Cureton lascia Bristol e si trasferisce al Reading nel 2000, dove incontra un manager di nome Alan Pardew. È sempre nella stessa categoria, ma alla fine ottiene ciò che vuole: la promozione arriva in casa del Brentford, dove Cureton segna il gol decisivo. I tifosi dei Royals gli dedicano persino una stella nella costellazione di Perseo.
Quando però si arriva in seconda divisione, Cureton fa fatica: non ha lo stesso rendimento devastante che ha avuto nel decennio precedente. Così, l'attaccante decide di fare quello che ancora oggi definisce «un grande sbaglio»: l'esperienza in Corea. Nel 2003, Cureton firma per il Busan IPark (all'epoca I'Cons) della K-League. Non si trova bene, segna poco, l'Inghilterra è lontana. Meglio tornare a casa.
Prima il QPR, poi lo Swindon Town e quindi il Colchester, dove finalmente ritrova una discreta forma. Il Norwich lo riprende nel 2007, ma solo la prima stagione del suo ritorno è positiva. Quando chiude il prestito con lo Shrewsbury Town nel 2010 a secco e i Canaries lo rilasciano al termine del contratto, la sua carriera sembra finita. A 35 anni sarebbe anche normale.
Cureton, però, non demorde: trova di nuovo la strada del gol all'Exeter City, dove spenderà due anni e mezzo con i Grecians. Due stagioni da 20 gol ciascuna (una in League One, l'altra in League Two) lo rendono nuovamente appetibile. Nel 2013-14, le 11 marcature con il Cheltenham Town hanno dimostrato che l'attaccante ha ancora voglia di giocare.
Alla fine, è arrivata la firma con il Dagenham & Redbridge per questa stagione. Nel 2014-15, Cureton è stato il giocatore di movimento più vecchio a giocare nelle quattro divisioni del calcio professionistico inglese. Nonostante l'età avanzata, Cureton ha segnato 20 gol (19 in League Two, uno in League Cup) ed è stato nominato giocatore dell'anno dai tifosi dei Daggers. È arrivato secondo nella classifica cannonieri, a solo due reti da Matt Tubbs.


Cureton non è un attaccante dal dribbling fulminante o dall'atletismo straordinario. È uno che ha lavorato duro per affinare il suo tiro (negli ultimi 20 metri è letale) e che ha un senso del gol fuori dal comune in Inghilterra. La sua capacità di trovare la posizione in area è da invidiare. Nonostante i 279 gol da professionista, è stato inserito solo una volta nel PFA Team of the Year (nel 2012-13 con la maglia dell'Exeter). A vederlo fare una stagione da venti reti a 39 anni, viene da chiedersi perché uno così non abbia avuto una chance seria in Premier League.
In realtà, una possibilità c'è stata. Quando è un giovane prodotto del vivaio del Norwich e un centravanti dell'Under 18 inglese, Sir Alex Ferguson pensa a Cureton per rinforzare il Manchester United. Il manager scozzese si presenta a casa Cureton per proporre l'ingaggio, ma la risposta del ragazzo spiazza tutti. Il giovane Jamie - nonostante sia un fan dello United - risponde: «Grazie, ma preferisco di no». Forse per lealtà al Norwich, chissà.
Lo stesso Cureton ha spiegato qualche tempo dopo il rifiuto di quell'offerta: «Sono stato a Old Trafford diverse volte. David Beckham è vecchio solo qualche mese più di me. Alla classe del '92 (i vari Giggs, Butt, Beckham che poi hanno giocato nello United, ndr) mancava solo un centravanti prolifico, ciò quello che ero io all'epoca. Qualcuno si chiederà come sarebbe potuta essere la mia carriera. Ma non puoi sbatterci troppo la testa. Mi sono divertito durante la mia carriera e amo ancora giocare a calcio».
E ora? Il futuro dovrebbe essere ancora al Dagenham & Redbridge. Quest'anno i Daggers erano più vicini alla zona play-off che a quella retrocessione, nonostante il budget del club sia di gran lunga inferiore rispetto a quello di realtà più appetibili. L'accordo per un altro anno a Victoria Road è quasi fatto, come confermato dal manager Wayne Burrett: «Siamo vicini a un accordo. Penso che sarà qui anche il prossimo anno e siamo molto contenti di questo». Del resto, è difficile rinunciare a un cecchino del genere.

Jamie Cureton, 39 anni, bomber del Dagenham & Redbridge.

2.5.15

Incroyable.

La stagione volge al termine e anche la Ligue 2 è agli sgoccioli. Tra le 20 squadre della lega transalpina, la più osservata forse era il Clermont. Questo perché il tecnico del CF63 è Corinne Diacre, ex giocatrice della Francia. Una donna al comando. All'inizio tanti dubbi, ma ora il club può festeggiare la salvezza con tre giornate d'anticipo.

La Diacre ha giocato 121 partite con la nazionale francese femminile.

Non che fosse la prima volta di una donna al comando di un club professionistico nel mondo. In Italia, Carolina Morace ha guidato per poche giornate la Viterbese nel 1999, quando il club era nelle mani di Luciano Gaucci. Ma la Diacre è diventata la prima a vivere quest'avventura in Francia. Per altro, non è certo una sprovveduta: ben 19 gli anni spesi con la maglia del Soyaux, mentre per un decennio è stata la colonna della difesa francese.
Classe '74, la Diacre ha giocato tre Europei e un Mondiale con la sua nazionale. Un infortunio al legamento crociato l'ha fatta smettere a 33 anni, ma lei è passata dal campo alla panchina: la Diacre diventa assistente con la Francia e guida il Soyaux per sei stagioni. Quando dice addio alla squadra che è stata sua per vent'anni, non si nasconde: «Cerco nuove sfide». Passa poco tempo prima che le si presenti l'occasione giusta.
Il Clermont ha concluso al 14° posto la stagione 2013-14. Quando il tecnico Brouaird lascia il club, il presidente Claude Michy non pensa di assumere una donna: «Poi Sonia Souid - un agente di calcio a Clermont - mi ha proposto l'idea. E l'ho trovata interessante». Michy punta su Helena Costa, allenatrice di squadre femminili ad alto livello: il 7 maggio 2014 c'è l'annuncio dell'ingaggio. Ha cominciato a vent'anni e da lì non si è più fermata. Si alzano molti applausi, ma la Costa lascia Clermont prima dell'inizio della stagione.
Le colpe? Secondo la portoghese, il direttore sportivo avrebbe fatto determinati acquisti senza il suo consenso. Una decisione improvvisa, ma sapete il proverbio: «Chiusa una porta, si apre un portone». E così la Diacre diventa l'allenatrice del Clermont. Al suo primo match - il 4 agosto, il giorno del suo 40° compleanno - il tecnico del Brest, Alex Dupont, le porta un mazzo di fiori. Molti lo vedono come un segno di maschilismo, ma la Diacre ammette serenamente: «A me è sembrato solo un regalo di compleanno come altri».
Le titubanze sono state tante, ma i giocatori si sono abituati presto. I risultati, invece, sembravano trasparire qualche difficoltà. Allo Stade Gabriel Montpied c'era la paura di tornare in terza categoria, dopo un inizio da 11 punti in 12 gare. Fino a dicembre, il CF63 è stato in zona retrocessione. Poi quattro vittorie primaverili hanno allontanato la squadra dai guai e ora si festeggia la salvezza. Dopo 35 giornate, la squadra è al 12° posto ed è a +18 sullo Châteauroux, la prima delle pericolanti.


Il lavoro della Diacre è stato ottimo. Il CF63 fatto 46 punti: con tre gare da giocare, il club ha già un punto in più della passata stagione. E per il Clermont - squadra che ha avuto nelle sue fila Alessandrini, Benatia e Brahimi, ma non ha mai giocato in Ligue 1 - va bene così. Inoltre, sotto la Diacre, si sta valorizzando un giocatore come Idriss Saadi, che ha realizzato ben undici reti durante questo 2014-15. Peccato che la sua stagione sia finita per un infortunio al legamento crociato. E poi ci sarebbe un altro dettaglio da aggiungere.
Prima citavo il +18 sullo Châteauroux, che però è penultimo in classifica. In realtà, una retrocessione è stata decisa dalla giustizia sportiva, con il Nimes coinvolto nello scandalo scommesse. Tuttavia, anche senza questa discesa a tavolino, il Clermont sarebbe oggi matematicamente salvo. Il distacco sull'Ajaccio (terzultimo) è di 12 punti: in sostanza, la Diacre avrebbe salvato il club in anticipo in ogni caso. Tutto secondo i piani dell'allenatrice: «Non sono qui per perorare qualche causa, ma per raggiungere gli obiettivi che mi sono posta. Sono la prima donna ad allenare una squadra di Ligue 2, ma non voglio esser la prima a far retrocedere il Clermont».
Il futuro? Tutto da scrivere. Già a ottobre Michy si diceva molto soddisfatto della Diacre, figurarsi ora che il club è ampiamente in salvo. L'impressione è che l'avventura continuerà, anche perché al Clermont sono contenti. E nonostante alla Diacre non importi fare del suo lavoro una crociata in favore del femminismo, molte donne saranno contente di questo successo a tinte rosa nel mondo del calcio. E c'è anche qualche appassionato che la propone come manager dell'anno in Ligue 2, anche se i nomi di Jean-Marc Furlan e Thierry Laurey potrebbero avere qualcosa da ridire.
La storia di Corinne è un bellissimo segnale in vista della Coppa del Mondo femminile, che avrà luogo in Canada e inizierà il 6 giugno prossimo. La Francia ci arriva dopo il quarto posto dell'Olimpiade di Londra del 2012. E la Diacre rimpiange di non aver vinto nulla con i transalpini mentre giocava: «Come giocatrice o allenatrice, sono i trofei sono ciò che ti definiscono». A quarant'anni, esser la prima allenatrice di successo nel calcio ad aver ottenuto buoni risultati in un campionato come la Ligue 2 potrebbe averla ripagata di quelle mancanze. Un traguardo pazzesco. Anzi, incroyable.

Corinne Diacre, 40 anni, tecnico del Clermont: salvezza raggiunta.