30.11.17

ROAD TO JAPAN: Jun Amano (天野 純)

Buongiorno a tutti e benvenuti al numero 11 del 2017 per "Road to Japan", la rubrica che vi consente di scoprire i migliori talenti del panorama nipponico. Oggi ci spostiamo a Yokohama, dove la ricostruzione dei Marinos procede bene sotto Erick Mombaerts: la nuova stella che affianca Manabu Saito (di cui parlammo qui) è Jun Amano.

SCHEDA
Nome e cognome: Jun Amano (天野 純)
Data di nascita: 19 luglio 1991 (età: 26 anni)
Altezza: 1.75 m
Ruolo: Trequartista, centrocampista, seconda punta
Club: Yokohama F. Marinos (2014-?)



STORIA
Nato nel luglio '91 a Miura (nella prefettura di Kanagawa), Jun Amano ha frequentato la Juntendo University, ma in realtà ha frequentato gli Yokohama F. Marinos e il suo settore giovanile per tutti gli anni 2000. Un legame a doppio filo, visto che poi - finita l'università - Amano è tornato a Yokohama per giocare da professionista con i Marinos.
In fondo, qualcosina si era già visto da giocatore-accademico: con la Juntendo University, Amano ha giocato due partite nella Coppa dell'Imperatore 2010, segnando due reti nella gara del primo turno contro il Vanraure Hachinohe (vinta ai supplementari per 5-4). Le solite parole d'introduzione al club - «Sono contento di realizzare questo sogno: vestire la maglia dei Marinos è qualcosa che volevo sin da piccolo» - sono più vere del solito.
Anche il primo anno a Yokohama è stato sulle stesse cifre, perché imparare richiede tempo. Un 2014 da due presenze e una rete, proprio in Coppa dell'Imperatore nella gara contro l'Honda Lock in un facile 3-0. Ci è voluto però un cambio in panchina per lanciare Amano definitivamente, assieme a un'altra dinamica.
Se Yasuhiro Higuchi è l'uomo che ha fatto esordire Amano, Erick Mombaerts è colui che l'ha fatto maturare. Assieme all'arrivo del tecnico francese, va considerato un'altra dinamica: gli Yokohama F. Marinos venivano da una generazione arrivata a fine ciclo e avevano bisogno di un ricambio generazionale, che sta avvenendo in questi anni.
Assieme a Kurihara, capitan Nakazawa e Iikura, c'è una serie di giovani che si sono ormai inseriti (Kida, Togashi, Endo, Maeda). E tra loro, Amano - che è un po' più grande, visto che è un classe '91 - si è fatto sentire. Dalle due presenze del 2014 si è arrivati alle 35 di quest'anno, accompagnate da cinque reti, anche di pregevoli fattura.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Non sono pochi quelli che in lui rivedono uno Shunsuke Nakamura meno dotato. E in effetti, negli anni in cui hanno giocato insieme, si sono viste delle somiglianze: il mancino letale, le punizioni, l'andamento dinoccolato, le movenze, il dribbling compassato, ma secco. Fisicamente è leggerino, ma rimane un giocatore interessante per certi contesti.
Lo è anche dal punto di vista tattico: trequartista, Mombaerts ha avuto modo anche di testarlo nel 4-2-3-1 qualche metro più indietro, un ruolo che potrebbe ricoprire anche nella veste di regista qualora il suo moto dinamico si riduca ulteriormente con l'età.

STATISTICHE
2014 - Yokohama F. Marinos: 2 presenze, 1 rete
2015 - Yokohama F. Marinos: 12 presenze, 0 reti
2016 - Yokohama F. Marinos: 24 presenze, 2 reti
2017 - Yokohama F. Marinos (in corso): 35 presenze, 5 reti

NAZIONALE
Un peccato che l'EAFF Asian Cup l'abbia visto fuori dalle convocazioni del ct Vahid Halilhodžić, che evidentemente non lo considera. A differenza di tanti altri profili di cui abbiamo parlato in questa rubrica, la speranza è che Amano abbia la possibilità di giocare in nazionale giusto per il merito di avere una presenza in JNT. 
In fondo, Amano ha già all'attivo un'Universiade a Kazan 2013 per il Giappone. Sicuramente non rientrerà nelle scelte dell'attuale commissario tecnico almeno fino al giugno 2018, data del Mondiale. A quel punto avrà già 28 anni ed è difficile pensare che possa rientrare nel giro di scelte del prossimo allenatore. Tuttavia, se Yusuke Minagawa e Tatsuya Sakai hanno una presenza in JNT, perché non lui?

LA SQUADRA PER LUI
Un esperimento europeo sarebbe interessante, ma sarebbe meglio aspettare anche la stagione 2018, giusto per capire se Amano si può prendere i Marinos definitivamente sulle spalle o se c'è qualche remora tecnica o di leadership nel guidare la squadra alla transizione ultima, che dovrebbe concludersi l'anno prossimo.
Nel caso andasse tutto bene, vederlo in Olanda - soprattutto in quest'Eredivisie - sarebbe una grossa curiosità. Specie se dovesse scegliere qualche piazza di metà classifica.


26.11.17

UNDER THE SPOTLIGHT: Fahad Al-Muwallad (فهد المولد)

Buongiorno a tutti e benvenuti al numero 11 del 2017 riguardante Under The Spotlight, la rubrica che vi consiglia alcuni talenti nascosti in giro per il mondo. Oggi ci spostiamo in Arabia Saudita, dove Fahad Al-Muwallad sta lentamente crescendo ed è già un riferimento sia per la nazionale che per l'Al-Ittihad, uno dei più grandi club del paese.

SCHEDA
Nome e cognome: Fahad Mosaed Al-Muwallad (فهد المولد)
Data di nascita: 14 settembre 1994 (età: 23 anni)
Altezza: 1.66 m
Ruolo: Ala, mezzala, seconda punta
Club: Al-Itthiad (2011-?)


STORIA
Nato nella popolosa Gedda nel '94, pare che il talento di Fahad Al-Muwallad fosse cristallino già quand'era piccolo, tanto che la leggenda riporta persino come sia stato avvicinato da uno scout del Barcellona in età giovanissima. In realtà, il suo sogno è sempre stato giocare per l'Al-Ittihad, il club con il quale ha militato fin dall'età di sei anni.
L'hype che l'ha seguito a livello locale è stato talmente forte da creare attesa persino per il suo debutto, avvenuto all'età di 16 anni contro l'Al-Raed FC nella Saudi Professional League. Qualcuno avrebbe detto di andarci piano, ma nessuno al club ha mai pensato di lasciarlo da parte: ha giocato persino una semifinale di Champions League asiatica a 18 anni appena compiuti.
Già nel 2012-13 - la prima stagione piena da professionista - si vedevano i progressi compiuti da Al-Muwallad. Il peccato è che l'Al-Ittihad in questi anni ha avuto un rendimento al ribasso: dalla metà degli anni 2000 - in cui il club aveva vinto la Champions League asiatica due volte di fila, partecipando al primo Mondiale per club -, sono arrivati pochi titoli.
Nessun titolo nazionale, solo due vittorie nelle coppe: la King Cup of Champions del 2013 e la Crown Prince Cup del 2017. Tuttavia, nessuno dei vari manager che si è succeduto ha mai pensato di rinunciare al suo talento: da Matjaž Kek (l'uomo che l'ha lanciato) all'ultimo José Luis Sierra, passando per Beñat San José e Victor Pițurcă. Nessuno. 
Dopo la Coppa d'Asia del 2015, il prossimo Mondiale sarà ovviamente una vetrina fondamentale.

CARATTERISTICHE TECNICHE
L'area del Middle East per Forbes ha riportato come la FIFA abbia segnalato il ragazzo tra i dieci talenti che stanno emergendo più velocemente al mondo. Ala di professione (la fascia è quasi indifferente), Al-Muwallad può anche giocare da mezzala in uno schieramento particolarmente offensivo (non te lo puoi permettere spesso) o da seconda punta.
Duttile e fisicamente grezzo, il ragazzo ha delle capacità atletiche notevoli: corsa muscolare, dinamica e particolarmente potente in progressione, specie senza palla. Inoltre, può contare su un buon feeling con la porta: su cinque stagioni piene da pro, quattro sono finite in doppia cifra. Non è poco: un salto europeo lo migliorerebbe tatticamente.

STATISTICHE
2011/12 - Al-Ittihad: 2 presenze, 0 reti
2012/13 - Al-Ittihad: 31 presenze, 10 reti
2013/14 - Al-Ittihad: 39 presenze, 12 reti
2014/15 - Al-Ittihad: 25 presenze, 10 reti
2015/16 - Al-Ittihad: 31 presenze, 3 reti
2016/17 - Al-Ittihad: 23 presenze, 13 reti
2017/18 - Al-Ittihad (in corso): 6 presenze, 2 reti

NAZIONALE
Al-Muwallad ha partecipato al Mondiale U-20 del 2011, in cui l'Arabia Saudita uscì agli ottavi contro il Brasile e lo stesso giovane centrocampista andò a segno contro la Croazia in una delle partite del girone. Dopo una brevissima apparizione con l'U-23, il nuovo ct Bert van Marwijk gli ha aperto le porte della nazionale maggiore.
Il tecnico olandese si è reso conto che con Al-Muwallad avrebbe potuto contare su un patrimonio tecnico e atletico notevole. La scelta ha pagato, visto che dopo l'esordio - arrivato nel gennaio 2013, sotto Juan Ramón López Caro (in gol contro la Cina) - il ragazzo è rimasto cardine della nazionale, segnando il gol decisivo contro il Giappone per tornare al Mondiale dopo 12 anni.

LA SQUADRA PER LUI
Il recente accordo tra la federazione spagnola e quella saudita permetterà di vedere qualche faccia nuova nel mercato invernale: diverse squadre di Liga e Segunda División accoglieranno in prestito giocatori della nazionale, in modo da far guadagnare loro esperienza in vista del prossimo Mondiale.
E se l'accordo sembra un po' tardivo e pasticciato per fare qualche differenza nell'immediato futuro, ciò nonostante c'è curiosità nel vedere Al-Muwallad inserito in quel contesto. Soprattutto in qualche compagine di Segunda División - Rayo Vallecano o Tenerife due soluzioni da testare -, il giocatore potrebbe crescere e persino trovare un suo spazio in Europa.

17.11.17

Last chance.

Roma non è stata costruita in un giorno. E di certo, il Giappone non troverà rivelazioni improvvise da qui a giugno 2018: il dado è tratto e racconta di una squadra solida, ma totalmente diversa da quatro anni fa. Anche nel mood: nel 2013 c'era eccitazione, oggi sembra regnare la rassegnazione. L'EAFF East Asian Cup è l'ultima chance di cambiare registro.

La resa dei conti è arrivata per il ct Vahid Halilhodžić, 65 anni.

Intendiamoci: non avverrà. Finora Vahid Halilhodžić si è dedicato al suo sport preferito, ovvero il "blastare" la J. League in lungo e in largo. Se da una parte non c'è dubbio che ci sia bisogno di nuove figure dirigenziali, magari provenienti dal campo, dall'altra non si capisce cosa si aspettasse il tecnico bosniaco quando ha accettato l'incarico nel marzo 2015.
Si aspettava la Ligue 1? No, la J. League è già adesso uno dei 15 migliori campionati al mondo per organizzazione e livello tecnico, ma non siamo ancora lì. Si aspettava uno spirito calcistico sviluppato? Il professionismo è arrivato solo 25 anni fa in Giappone. Si aspettava più rispetto? Finora è stato persino poco pungolato.
A questo dobbiamo aggiungerci il fatto che la stessa natura dell'EAFF East Asian Cup, che non è un torneo importante, ma un modo per sperimentare giocatori che stanno in patria. Purtroppo non è facile farlo in tre partite. Prendiamo tre atteggiamenti diversi in esame.
Nel 2010, il torneo si disputa a febbraio, qualche mese prima del Mondiale sudafricano. L'allora ct Takeshi Okada decide di portare 23 giocatori: 16 di questi saranno poi sull'aereo per Città del Capo. C'è però una postilla non da poco: all'epoca di giapponesi in Europa ce n'erano pochi ed era più facile testare la nazionale che poi avrebbe giocato il Mondiale.
Nel 2013, con Alberto Zaccheroni sulla panchina nipponica, si fanno dei veri esperimenti, perché la situazione è cambiata: sono diventati tanti i giocatori impegnati in Europa e si gioca a luglio. Quel gruppo vincerà il torneo e sei di quei ragazzi andranno poi in Brasile: di fatto, in quelle tre gare diventa chiara l'importanza di Osako e Kakitani.
Vahid Halilhodžić ha già all'attivo una partecipazione, quella del 2015: il peggior risultato del Giappone, che arriva ultimo. Il nuovo ct chiama qualche volto nuovo, ma alcuni non vengono nemmeno schierati e di fatto si concentra su quelli che già fanno parte del gruppo. Un errore che probabilmente verrà ripetuto in vista dell'edizione di quest'anno.
Infatti il Giappone ospiterà a dicembre il torneo - che si tiene ogni due anni - e non escludo che Halilhodžić trolli tutti, portando una squadra che già conosce. La J. League sarà finita e lui avrà ampia scelta, ma non mi stupirei se vedessi una formazione così disposta: Nishikawa; G. Miura, Shoji, Makino, Kurumaya; Ideguchi, Yamaguchi, Nagasawa; Kurata, Sugimoto, Koroki.

Il punto più basso dell'ultima edizione, nel 2015: la sconfitta subita in rimonta dalla Corea del Nord. Quell'edizione la vincerà la Corea del Sud; Yuki Muto, il miglior giocatore per il Giappone in quella competizione, non verrà più convocato, ma ha comunque segnato 25 gol negli ultimi due campionati con l'Urawa.

La verità, però, è che questa competizione è l'ultima reale occasione di testare gente che la nazionale non l'ha mai vista, l'ha vista poco o non la vede da tanto tempo. So che il tecnico bosniaco non lo farà, ma io ci provo a immaginare una nazionale del tutto nuova, con giocatori che potrebbero rivelarsi, rientrare dopo diverso tempo o prendersi una sorta di riconoscimento alla carriera (per i giapponesi è un onore giocare in nazionale anche in tornei così).

Portieri - Non capirei il senso di chiamare sia Nishikawa che Higashiguchi, che sono nel gruppo da una vita e non hanno nulla da dimostrare. Che piaccia o meno a Hali, è il turno di Kosuke Nakamura (Kashiwa Reysol). Con lui, chiamare Akihiro Hayashi (FC Tokyo) e... bella domanda. 
Non ci sono tanti portieri giapponesi affidabili: premierei a sorpresa Hiroki Iikura (Yokohama F. Marinos), che è uno dei motivi per cui i Marinos si stanno ancora giocando un posto nella prossima Champions League asiatica.

Terzini - Va confermato Shintaro Kurumaya (Kawasaki Frontale), che ha esordito in nazionale e può beneficiare di una vetrina del genere. Con lui, ci sarebbe Tomoya Ugajin (Urawa Red Diamonds), che da terzino è meno affidabile che da esterno a tutto campo, ma andrebbe provato. A sinistra, anche le opzioni Fukumori e Matsubara sarebbero invitanti.
A destra Genta Miura (Gamba Osaka) è da tenere in queste brevi rotazioni, anche perché è già stato convocato. Accanto a lui, segnalerei Ryuta Koike (Kashiwa Reysol), un classe '95 che in tre anni è passato dal giocare in quarta divisione nel Renofa Yamaguchi all'esser titolare in J. League.

Centrali difensivi - Shoji e Makino, pur giocando in patria, non hanno bisogno di esser presenti. Sarebbe meglio testare Naomichi Ueda (Kashima Antlers) e Shinnosuke Nakatani (Kashiwa Reysol). Gli altri due nomi vedrebbero una sfida a tre, a mio modo di vedere.
Da una parte Yuta Nakayama (Kashiwa Reysol) e Tatsuki Nara (Kawasaki Frontale), che hanno certamente fatto meglio di Takuya Iwanami (Vissel Kobe); dall'altra, Kentaro Oi (Jubilo Iwata), per il quale la convocazione per questo torneo sarebbe un premio alla carriera e alla stagione 2017. Io andrei per un mix, a voi la scelta del giovane di turno.

Tanto per fare un nome a caso: Mu Kanazaki, 28 anni.

Centrocampisti - Kazuki Nagasawa (Urawa Red Diamonds) ha esordito con la nazionale nell'amichevole contro il Belgio: scelta random di Halilhodžić, visto che il centrocampista non aveva visto troppo spazio. Tuttavia, è giusto che rimanga nel pacchetto. A lui vanno affiancati subito due nomi facili.
Ryota Oshima e Shogo Taniguchi (Kawasaki Frontale) sono diversi, ma di fatto sono due giocatori a cui va dato più spazio. Entrambi hanno già giocato in nazionale (rispettivamente una e due presenze), ma continuare a ignorarli non fa bene a nessuno. Il primo è un play creativo, il secondo gioca in difesa, ma potrebbe esser schierato da mediano.
A loro vanno aggiunti Riki Harakawa (Sagan Tosu), che sotto Massimo Ficcadenti ha trovato il giusto pace, mentre Kazuya Yamamura (Cerezo Osaka) si è rifatto una reputazione giocando da semi-trequartista dopo una vita in difesa. L'ultimo nome è Kento Misao (Kashima Antlers), che sta silenziosamente prendendosi il suo spazio.

Ali - Di ali potremmo sceglierne una marea, ma Shoma Doi (Kashima Antlers) merita una chance definitiva: al Mondiale per club ha fatto sfaceli, eppure la JFA e Halilhodžić continuano a ignorare gli Antlers. Con lui ci dev'essere a sinistra Hiroyuki Abe (Kawasaki Frontale), che lontano dal Gamba Osaka è esploso e ha giocato una stagione super.
A destra la situazione è più complessa. I due nomi sono facili: da una parte c'è Junya Ito (Kashiwa Reysol), un'iradiddio che per qualche motivo non è stato notato da nessuno; dall'altra la logica direbbe di scegliere un profilo nuovo, ma come si fa a non testare Yu Kobayashi (Kawasaki Frontale), che è stato il MVP indiscusso della J. League 2017?

Centravanti - La fredda realtà dirà che Halilhodžić chiamerà Shinzo Koroki e Kenyu Sugimoto, che però non sembrano aver bisogno di tale vetrina per dimostrare ciò che sanno o non sanno fare (per altro, Koroki c'era due anni fa con Halilhodžić in Corea).
La fantasia e la logica imporrebbero altri due nomi, entrambi in casa Kashima Antlers. Il primo è quello di Yuma Suzuki, che sarà un personaggio discusso, ma è un giocatore in divenire e sarà un buon attaccante in futuro. E l'altro nome crea persino più problemi.
Da quando è rientrato in Giappone con la maglia degli Antlers, Mu Kanazaki è stato il miglior giocatore che si sia visto in J. League per continuità ed efficacia. Eppure Halilhodžić l'ha preso per un po' in considerazione, poi l'ha scaricato a metà del 2016. C'è bisogno di lui: un jolly così non ce l'hai spesso tra le mani.

Uno come Junya Ito, 24 anni, nel 4-3-3 deve essere almeno provato.

Rosa completa (tra parentesi le presenze in nazionale):
GKs - Hayashi (0), Iikura (0), K. Nakamura (0)
FBs - Koike (0), Kurumaya (1), G. Miura (0), Ugajin (0)
CBs - Nakatani (0), Nara (0), Oi (0), Ueda (0)
DM/CMs - Harakawa (0), K. Misao (0), Nagasawa (1), Oshima (1), Taniguchi (2), Yamamura (1)
WGs - H. Abe (0), Doi (0), J. Ito (0), Y. Kobayashi (8)
CFs - Kanazaki (10), Y. Suzuki (0)

Divisione per squadre:
6 - Kawasaki Frontale
5 - Kashima Antlers
4 - Kashiwa Reysol
2 - Urawa Red Diamonds
1 - Cerezo Osaka, FC Tokyo, Gamba Osaka, Jubilo Iwata, Sagan Tosu, Yokohama F. Marinos

Presenze totali in JNT: 24

Good luck, Vahid. Sappiamo che ci deluderai.

Nishikawa verrà chiamato probabilmente per le buone prestazioni in campionato.

14.11.17

Programmazione e pazienza.

Ha perso l'Italia delle battute sull'Ikea, quella delle "macchinate ignoranti" e delle risse dei genitori alle partite dei figli; della presunzione, del pressapochismo e del bomberismo imperante. Ma anche quella dei sani appassionati, di tre campioni del Mondo e di diversi giovani che saranno comunque marcati a vita: l'Italia non ci sarà a Russia 2018.

Alessandro Florenzi, 26 anni, sconsolato a fine gara: è stato il migliore in campo (di gran lunga).

C'è poco da dire: la gara di ieri racconta un risultato bugiardo. L'Italia avrebbe dovuto vincere almeno 1-0 e portare la partita ai supplementari. La prova discreta di Milano, però, fa il paio con quella di Solna, dove l'Italia ha prestato il fianco a una Svezia aggressiva e ha di fatto compromesso le sue chance di qualificazione a Russia 2018.
E se c'è una cosa che l'intero ciclo ha insegnato (in particolare la gara di Madrid contro la Spagna), è che questa gestione Ventura non sembra aver retto bene la pressione mediatica. Il ct ha delle colpe notevoli, soprattutto a livello tattico: l'entrata di Bernardeschi come mezzala è stata il top. Però... la domanda verte anche su chi l'ha scelto.
Non sto parlando di un gran dirigente, ma Giancarlo Abete si dimise immediatamente dopo la debacle del 2014. Carlo Tavecchio farà lo stesso? Ne dubito. E in fondo, se volete trovare un colpevole a chi l'ha messo lì, fatevi un giro nella nostra Serie A: indebitamente, questi presidenti sono anche i mandanti indiretti del rinnovo di Ventura fino al 2020.
C'è anche un'altra domanda che nessuno sembra essersi fatta: perché non si è rinnovato questo gruppo prima? Sia Barzagli che De Rossi hanno ribadito che avrebbero chiuso dopo l'Europeo del 2016, ma qualcuno li richiamati, invece di ripartire da zero. Cosa che si sarebbe dovuta fare gradualmente anche con Buffon e Chiellini.
E invece siamo fuori, con un'ingente ricostruzione da fare. Eppure guardate dall'altra parte del guado: la Svezia non andava a un Mondiale dal 2006, quando la vecchia generazione smise di esser decisiva e di fatto Ibrahimovic divenne l'unico leader incontrastato della nazionale. Con Hamrén ct dal 2009 al 2016, la Svezia si è condannata alla mediocrità.
Tre Europei disputati uscendo in tutti i casi ai gironi, due Mondiali mancati e tutti a lodare Ibrahimovic. Un atteggiamento miope, che ha offuscato anche il giudizio sulla Svezia nei play-off. La generazione che ha vinto l'Europeo U-21 due anni fa è gradualmente entrata in squadra e ha migliorato di parecchio la qualità media del gruppo.
A questo aggiungeteci un nuovo ct, che ha fatto un miracolo vincendo il campionato con il Norrköping (25 anni dopo): Janne Andersson è il vero vincitore di questa contesa, l'indiscusso eroe. Ha ridato linfa alla nazionale scandinava, riportandola ai Mondiali senza la stella dello United e ha persino lasciato da parte il personaggio tipicamente nordico.
A domanda precisa del pre-gara sulle considerazioni di Ventura nella gara d'andata, Andersson ha risposto così: «Non m'interessa ciò che dice». E anche ieri è sembrato piuttosto fumantino: al di là della tattica, è il giusto profilo per i suoi ragazzi. 

(ah, per chi se lo chiedesse, a quell'Europeo U-21 la Svezia affrontò l'Italia di Di Biagio nel girone, superandola 2-1. Forse non è una sorpresa che ieri tre di quei ragazzi fossero in campo, mentre dall'altra parte... uno.)
La Svezia è tornata ai Mondiali dopo 12 anni con un'impresa e la prima domanda dei giornalisti italiani per Janne Andersson è se Ibrahimovic tornerà in nazionale... NON CE LA FAREMO MAI.

Viene da chiedersi cosa possa riservare il futuro in queste condizioni. Non sarà facile: non perché l'Italia non abbia le potenzialità per risalire da questa voragine, ma perché ci vuole tempo, pazienza e risorse ben allocate. Tre cose di cui storicamente il nostro paese sembra volentieri fare a meno in cambio di un'esaltazione momentanea.
Prendiamo anche i media: non è stato un fallimento il racconto di questa Svezia? Non è stato un fallimento il continuo ricorso al patriottismo in un calcio come quello d'oggi, dove le emozioni contano meno a un certo livello? Non è stato un fallimento il video di sopra, dove un giornalista nostrano chiede di Ibrahimovic? Siamo davvero così poveri?
Sì. Lo siamo, altrimenti non saremmo qui a parlarne. Bisogna ricordare come tutti invochino la testa di Ventura e Tavecchio, ma dopo? Il grande lavoro di Antonio Conte a Euro 2016 ha coperto parzialmente i buchi, ma può darsi che non si abbia la stessa fortuna nel prossimo biennio. A Euro 2020 si andrà al 99%, ma non vuol dire che i problemi siano risolti.
Questo è lo stesso modus operandi che si vede in Italia nel caso di terremoto: paura, poi delusione mista a benaltrismo, infine indifferenza. L'Aquila è ancora in ricostruzione, no? Eppure son passati otto anni: è mai possibile? Certo che lo è, se la programmazione non è seriamente al centro di tutto. Noi italiani siamo così. Per dirla con le parole di Ferdinando Martini:

«Chi dice che gli italiani non sanno quello che vogliono? Su certi punti, anzi, siamo irremovibili. Vogliamo la grandezza senza spese, le economie senza sacrifici e la guerra senza morti. Il disegno è stupendo... forse è difficile da effettuare».

Ora ci saranno Euro 2020 e probabilmente Qatar 2022. Tra un decennio, riparleremo di dove siamo arrivati da questa serata. Per ora, solo indignazione e tanto brusio di sottofondo. 

Janne Andersson, 55 anni, è l'uomo del miracolo, nonché la dimostrazione che i buoni allenatori sono più importanti delle star o del patrimonio tecnico a tua disposizione.

4.11.17

Consacrarsi in Oriente.

La stagione è praticamente finita in Cina: in Champions League asiatica non c'è nulla da festeggiare, il Guangzhou Evergrande è di nuovo campione e manca solo la finale di F.A. Cup. Tuttavia, in League One, Juan Ramón López Caro si è preso una bella rivincita: il tecnico spagnolo si è creato un profilo interessante nel panorama asiatico.

Juan Ramón López Caro, 54 anni, qui con il suo Dalian Yifang.

Non è il primo tecnico iberico e non sarà l'ultimo a essersi creato una nuova carriera in Asia: guardate Gregorio Manzano (al Guizhou, ma qualcuno l'avrebbe voluto anche per la Cina), Ricardo Rodriguez (bene in Thailandia, benino in Giappone) o lo stesso collega Luis García Plaza, che è salito anch'egli dalla League One, ma con il Beijing Renhe.
López Caro non è stato un giocatore rilevante, anzi: a trent'anni era già diventato allenatore. Ha iniziato dalla sua città-natale (Lebrija) fino ad arrivare alla squadra B del Maiorca: nell'intervallo tra la guida di Fernando Vázquez e l'arrivo di Luis Aragonés, ha avuto anche l'occasione di allenare per due gare la prima squadra.
Un paio di occasioni hanno definito la carriera di López Caro: la prima è quella del Real Madrid. I Blancos - all'epoca allenati da del Bosque - lo assumono per guidare la squadra B. Sotto López Caro passeranno diversi giocatori di talento: Álvaro Arbeloa, Juanfran, José Luis Capdevila, ma soprattutto Diego López e Roberto Soldado.
Non solo, però, perché il tecnico porta il Real Madrid B addirittura in Segunda División dopo la promozione del 2004-05: quando la situazione precipita in prima squadra (con l'esonero di Vanderlei Luxemburgo), la scelta è di affidare tutto a López Caro fino alla fine della stagione. E quest'ultimo fa bene: la sua percentuale di vittorie è del 51,5%.
Per altro, il manager spagnolo forse è nella stagione più sfortunata delle difficoltà madrilene negli anni 2000: agli ottavi di Champions League esce contro l'Arsenal, che arriverà poi in finale; in Liga, gli capita il Barcellona di Rijkaard, che è lo stesso che poi vincerà proprio la Champions nella finale di Parigi contro i Gunners.
La riconferma non arriva e allora López Caro vaga per la Spagna: Racing Santander (dove non allena nemmeno per una partita), Levante e Celta, tutte avventure interrotte. E non è fortunata nemmeno la parentesi in Under 21 spagnola, dove l'allenatore riporta la rappresentativa all'Europeo di categoria nel 2009 (dopo nove anni d'assenza), ma esce al girone.
Quella selezione non si è rivelata poi talentuosa come quelle successive (solo Azpilicueta e Javi Martínez si sono mostrati giocatori di un certo livello), ma l'esperienza con il Vaslui rischiava di essere la pietra tombale alle sue ambizioni: l'avventura in Romania dura un mese, poi finisce - come altre volte - in una bolla di sapone.

Non solo allenatore, ma anche narratore.

Forse ormai bruciato in Spagna, López Caro è dovuto ripartire altrove. Lontano dalla sua regione, dai suoi affetti, aperto verso una nuova avventura. L'occasione è capitata ancora più a Est, precisamente in Arabia Saudita: se oggi la nazionale festeggia il ritorno al Mondiale dopo 12 anni, lo deve anche al selezionatore spagnolo.
Prima di Bert van Marwijk, infatti, una buona parte del lavoro era stata svolta da López Caro. Arrivato in Arabia Saudita, la situazione era disastrosa: alla Coppa d'Asia del 2011, i Green Falcons erano usciti nel girone con tre sconfitte contro Giappone, Siria e Giordania. Nelle qualificazioni al Mondiale 2014, non erano arrivati nemmeno all'ultima fase, superati dall'Oman (!).
Con un panorama del genere e un CV inconsistente, López Caro sarebbe potuto crollare. Invece ha fatto un buon lavoro, rimediando ai danni della gestione Rijkaard (sì, proprio l'ex Barcellona) e qualificando l'Arabia Saudita alla Coppa d'Asia del 2015. Ci ha anche aggiunto la finale della Coppa delle Nazioni del Golfo, persa contro il Qatar.
Cosmin Olăroiu ha poi allenato l'Arabia Saudita all'ultima Coppa d'Asia, ma i passi in avanti sono arrivati. E López Caro è rimasto da quelle parti, prendendo l'incarico di ct dell'Oman nel gennaio 2016: un anno non brillante come in Arabia, ma sufficiente a tenersi nel giro, tanto che la vera chance è arrivata quest'anno in Cina.
Il Dalian Yifang era arrivato quinto l'anno precedente, ma nel 2017 ha conquistato promozione e campionato. Il riconoscimento è arrivato anche a livello mediatico, visto che il tecnico spagnolo è stato premiato come miglior manager della League One nella stagione appena conclusa. Ora non rimane che vedere se questa consacrazione orientale proseguirà anche in Chinese Super League...

López Caro ai tempi del Real Madrid: fu l'allenatore per sei mesi.