31.5.18

ROAD TO JAPAN: Taro Sugimoto (杉本太郎)

Buongiorno a tutti e benvenuti al quinto numero del 2018 per "Road to Japan", la rubrica che vi porta a scoprire i possibili talenti che sbocciano nel panorama giapponese. Oggi ci spostiamo a Tokushima, dove un prodigio cresciuto dai Kashima Antlers si sta lentamente imponendo, crescendo bene sotto la guida di Ricardo Rodríguez: Taro Sugimoto.

SCHEDA
Nome e cognome: Taro Sugimoto (杉本太郎)
Data di nascita: 28 dicembre 1996 (età: 21 anni)
Altezza: 1.62 m
Ruolo: Trequartista
Club: Tokushima Vortis (2017-?)



STORIA
Nato nell'estrema coda del 1996 nella prefettura di Gifu, precisamente a Tajimi (famosa soprattutto per la produzione di un particolare tipo di ceramiche, le Mino ware), Sugimoto ha avuto modo di girare il Giappone. Fin da piccolo è stato notato per le sue capacità, tanto che non sono stati pochi i club che hanno messo gli occhi su di lui.
Passato per le formazioni giovanili di Nagoya Grampus e FC Gifu, Sugimoto si è poi iscritto a un liceo di Kani, città situata nella prefettura dov'è nato. Tuttavia, qualcun altro aveva messo gli occhi su di lui: i Kashima Antlers, da sempre attenti sul territorio nazionale, lo tesserano a soli 17 anni per inserirlo direttamente in prima squadra.
Non solo: dopo aver giocato un paio di gare con la selezione J. League U-22 (molto sotto-età per i suoi standard), Sugimoto riesce persino a esordire in campionato. Gioca due partite di fila subentrando a gara in corso sia sul campo degli Urawa Red Diamonds che contro i campioni uscenti del Sanfrecce Hiroshima.
A lanciarlo è Toninho Cerezo, che ha un certo intuito per i talenti. Qualcosa cambia, però, quando Cerezo viene esonerato: al suo posto c'è Masatada Ishii, promosso alla guida della prima squadra dal settore giovanile. Conosce bene Sugimoto, ma nel 2015 non gli concede troppo spazio: eppure il fantasista trova il primo gol da pro in Coppa dell'Imperatore.
Conscio delle potenzialità dei suoi giovani, Ishii ha poi dato molto più spazio a Sugimoto: 21 presenze e due reti nel 2016, ma il ragazzo si è reso conto di avere troppe stelle davanti. E allora si è trasferito in prestito a Tokushima, dove il Vortis ha appena ingaggiato Ricardo Rodriguez, voglioso di implementare il suo gioco di posizione.
Sugimoto è un elemento perfetto e così il ragazzo è cresciuto gradualmente, in un ambiente più tranquillo e con un buon maestro di calcio. Quest'anno si è anche preso il "10", dato che Junya Osaki si è trasferito al Renofa Yamaguchi e lui - seppur infortunato nelle ultime gare - promette benissimo.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Non è solo bardato con il "10" da quest'anno, ma è un diez a tutti gli effetti: Sugimoto preferisce spaziare sulla trequarti, muoversi liberamente per poi concludere l'azione o magari trovare lo spazio giusto per servire un compagno. Ha delle capacità tecniche fuori dal comune (specialmente nel corto) e rappresenta alla perfezione il classico fantasista nipponico.
Fisicamente e atleticamente, deve ovviamente migliorare, specie se dovesse decidere un giorno di scavallare il continente e trasferirsi in Europa. Per il modo di giocare, è uno di quei giocatori che mi piacerebbe forse vedere di più in Sud America, magari in qualche club del calcio brasiliano. Persino la Nike si è accorta di lui...

STATISTICHE
2014 - Kashima Antlers: 4 presenze, 0 reti /  J. League U-22 Selection: 6 presenze, 0 reti
2015 - Kashima Antlers: 3 presenze, 1 rete
2016 - Kashima Antlers: 21 presenze, 2 reti
2017 - Tokushima Vortis: 41 presenze, 6 reti
2018 -  Tokushima Vortis (in corso): 9 presenze, 1 rete

NAZIONALE
La sfortuna è che non sarà disponibile - se non come fuori-quota - per le Olimpiadi di Tokyo 2020, dato che è nato nel dicembre '96 (quattro giorni out!). Nel frattempo, però, Sugimoto ha attratto l'attenzione delle nazionali giovanili: ha giocato il Mondiale U-17 nel 2013 ed è stato il miglior giocatore del campionato asiatico U-16 nel 2012.
Forse è un peccato non averlo visto con l'U-23 in questi anni, visto che il suo talento era già visibile. Quando lo potremo vedere in nazionale maggiore? Semmai questo dovesse accadere, tutto passerà dal ritorno in J1. Se sarà con il Tokushima Vortis o rientrando ai Kashima Antlers, questo potrà dircelo soltanto il futuro.

LA SQUADRA PER LUI
Chiunque abbia a disposizione uno scout concentrato sul mondo del Sud-Est asiatico, dovrebbe buttare un occhio sul ragazzo. Che è un classe '96, ma ha già diversa esperienza tra i professionisti ed è stato cresciuto da una delle scuole di calcio migliori in Giappone, ovvero quella residente a Ibaraki, dove sfornano professionisti con la P maiuscola.
Dove potrebbe andare Sugimoto? La Portuguese Liga sarebbe la destinazione migliore. Se c'è una lezione che ci hanno lasciato le avventure di Kanazaki e Nakajima al Portimonense - entrambi giocatori con un notevole QI calcistico -, è che quella lega lascia spazio al talento, libero di crescere. Proprio ciò che serve a Taro.

22.5.18

La Muralla.

Ci saranno due esordienti al prossimo Mondiale di Russia 2018. Se dell'Islanda sappiamo parecchio grazie alla recente partecipazione a Euro 2016 (e l'hype non li ha mai veramente abbandonati), diverso è il discorso per Panama. La qualificazione dei centro-americani ha raggiunto tutti grazie soprattutto al gol decisivo, siglato dal simbolo e capitano Román Torres.

Román Torres e la gioia incontrollabile dopo la qualificazione a Russia 2018.

Già, Román. Una leggenda assoluta, chiamato La Muralla dai suoi tifosi: un nomignolo piuttosto azzeccato, se pensiamo che il centrale panamense abbina 188 centimetri d'altezza e un corpo che è largo probabilmente il doppio. Statuario, pieno di muscoli e tatuaggi, Torres sembra uno di quei guerrieri che difendevano le terre centro-americane in una vita passata.
E pensare che non era scontata la presenza di Torres a questi livelli: la sua carriera è iniziata grazie al Chepo Fútbol Club, un club che oggi non esiste più e che ha avuto una vita di appena 17 anni. Fondato nel '99, il Chepo FC venne chiamato anche Proyecto 2000, con lo scopo di sviluppare giovani giocatori per il calcio di Panama.
Non è un caso che diversi giocatori visti in nazionale negli ultimi anni abbiano iniziato proprio dai Tigrillos: per Torres, dopo un breve passaggio al San Francisco Fútbol Club, la vera occasione arriva nel 2006, quando il centrale firma per il Cortuluá, squadra colombiana. Basta un anno perché un altro trasferimento, quello più importante.
Nel 2007, infatti, il difensore firma per La Equidad, club di Bogotà. Non è una società tra quelle più importanti del panorama locale, ma Torres vince una coppa nazionale e ha anche più occasioni di partecipare alla Copa Sudamericana. Non solo, perché qualche prestito lo porta anche in altre squadre, sempre legate all'America Latina.
Dopo ben otto anni di contratto con gli Aseguradores - intervallati dai prestiti all'Atlético Junior, all'Atlético Nacional e a uno strano triennio con i Millionarios, ma non come giocatore di proprietà -, Román spicca finalmente il volo all'estero. Alcune squadre inglesi si erano interessate a lui, ma gli affari non erano mai andati in porto.
Invece, il 2015 è l'anno buono per lasciare il continente latino. A 29 anni, Torres si trasferisce ai Seattle Sounders in Major Soccer League. Lo fa ad agosto, nel bel mezzo della stagione, ma ci mette poco a integrarsi in un calcio superiore, ma sempre in via di sviluppo come quello americano. Anzi, farà molto di più.
Dopo appena un mese, Torres si rompe il crociato anteriore e deve sostanzialmente rimanere fuori dal campo per ben nove mesi, rientrando solo nel giugno 2016. Meglio però, perché un suo rigore - nella lotteria dei penalty contro il Toronto FC, nella finale della MLS Cup - regala il titolo a Seattle e ai Sounders, capaci di vincerla per la prima volta. 

Leyenda.

Se raccontassimo però solo la carriera di club di Torres, saremmo riduttivi. Il centrale è infatti il simbolo della nazionale panamense, che può contare su un gruppo esperto - Blas Pérez, Luis Tejada, Jaime Penedo, Gabriel Gómez e Felipe Baloy, per fare qualche nome - pronto a prendersi una meritata ricompensa, partecipando al prossimo Mondiale.
La sua carriera con Los Canaleros è iniziata da lontano: Torres era infatti tra i ragazzi che parteciparono al Mondiale U-20 del 2005, quello in cui Messi si fa conoscere al mondo. La nazionale guidata allora da Victor Mendieta viene eliminata nel girone con Cina, Ucraina e Turchia, ma per Torres è l'inizio di una grande avventura.
Panama si fa notare soprattutto nella Gold Cup. La Marea Roja ha centrato il secondo posto nel 2005 e nel 2013, perdendo in entrambi i casi la finale contro gli Stati Uniti. Sono però due storie molto diverse: nel 2005, Torres è giovanissimo e Panama conta ancora su Jorge Dely Valdés, con i suoi che perdono solo ai rigori.
Diversamente va nel 2013, quando Panama elimina il Messico in semifinale e perde la finale per 1-0. E poi c'è il 2015 e il roblo, ovvero il furto della semifinale del 2015: un gol di Torres porta avanti Panama, ma un rigore inesistente - fischiato per un presunto fallo del capitano, con tanto di rissa e sospensione - porta la gara ai supplementari, dove il Messico vincerà.
E i Mondiali? Panama è cresciuta, ma è arrivata da lontano. Pensate che, nelle qualificazioni per Germania 2006, Los Canaleros arrivano ultimi nel girone finale, l'Hexagonal, con appena due punti conquistati. Nel percorso per Sudafrica 2010, Panama esce addirittura al primo turno, perdendo la doppia sfida con El Salvador per 3-2.
Nelle qualificazioni a Brasile 2014, invece, arriva un'altra beffa: con Stati Uniti, Costa Rica e Honduras già qualificate, Panama può qualificarsi per lo spareggio intercontinentale con una serie di risultati. Un Messico in crisi sta perdendo in Costa Rica, mentre Panama va in vantaggio contro gli USA con un gol di Tejada.
Sembra tutto fatto grazie alla differenza reti, se non fosse che Klinsmann e i suoi ragazzi hanno altre idee. Le reti di Zusi e Johansson spostano gli equilibri e mandano Panama all'inferno, mentre il Messico supererà agilmente la Nuova Zelanda in 180'. Il Mondiale sembrava maledetto per Panama, ma qualcosa è cambiato nell'ultimo percorso di qualificazione.
La crisi degli Stati Uniti ha rimesso in discussione certi equilibri. Mentre Messico e Costa Rica hanno veleggiato verso la Russia, USA, Panama e Honduras si sono giocati l'ultimo posto all'ultima giornata. Gli USA stanno perdendo in Trinidad, mentre Honduras stava facendo il suo battendo il Messico in casa.
E Panama? Sotto in casa contro la selezione costaricana. Il pareggio è arrivato con un gol-fantasma di Pérez, convalidato seppur la palla non avesse passato la linea. All'88' è ancora tutto fermo e ci vuole un miracolo: quel miracolo ha la forma e le sembianze di un guerriero, lanciatosi all'attacco. Torres realizza un gol storico e porta Panama in Russia.
Torres ha recentemente ricordato le emozioni che prova in vista dell'evento estivo in Russia: «Ho lavorato duro e ho sacrificato tante cose per essere al Mondiale, voglio esserci senza alcun dubbio». Del resto, una Coppa del Mondo con Panama, ma senza il suo capitano e leader, la sua Muralla, sarebbe riduttiva.

Román Torres, 32 anni, con la maglia dei Seattle Sounders.

18.5.18

UNDER THE SPOTLIGHT: Viktor Tsyhankov (Виктор Цыганков)

Buongiorno a tutti e benvenuti al quinto numero di "Under the Spotlight", la rubrica che prova a farvi conoscere i talenti che si aggirano per l'Europa. Oggi ci spostiamo in Ucraina e precisamente alla Dinamo Kiev, che tenta come può di giocarsi il campionato con lo Shakhtar Donetsk. Tra le sue fila, c'è un ragazzo interessante che risponde al nome di Viktor Tsyhankov.

SCHEDA
Nome e cognome: Viktor Vitaliyovych Tsyhankov (Виктор Цыганков)
Data di nascita: 15 novembre 1997 (età: 20 anni)
Altezza: 1.77 m
Ruolo: Ala, centrocampista esterno
Club: Dinamo Kiev (2016-?)



STORIA
La curiosa storia di Tsyhankov inizia non in Ucraina, bensì in Israele: infatti Viktor è nato nel settembre '97 a Nahariya, piccola città dello stato israeliano, collocata nel nord del paese, quasi al confine con il Libano. Il motivo? Il padre Vitaliy, anche lui giocatore (un portiere), stava in quel momento militando nel campionato locale.
Finita la carriera del padre, la famiglia Tsyhankov torna a Vinnycja, in Ucraina. Lì il piccolo Viktor può crescere nelle giovanili della società locale, il FC Nyva-V Vinnytsia. Gli allenatori delle giovanili lo formano come esterno, prima a destra, poi sul settore mancino del campo. Gli osservatori dei grandi club ucraini - Dinamo e Shakhtar - osservano il ragazzo.
A Donetsk sono insistenti, ma alla fine Viktor decide di andare a Kiev. Un primo passo lo compie il d.s. delle giovanili, Olexandr Ishchenko, che è decisivo per la carriera del ragazzo, come ricorda il padre Vitaliy: «Lo facevano giocare da mediano, ma fu il d.s. a cambiargli ruolo e a rimetterlo esterno: è stato un cambio fondamentale».
Persino quando le giovanili della Dinamo non fanno una gran figura, Tsyhankov si mette in mostra: lo fa in un torneo per U-17 a Mosca, dove ci sono anche i pari-età di grandi club come Barcellona, Tottenham e Benfica. Se la Dinamo arriva ultima, lui vince il premio di miglior centrocampista del breve torneo.
Il celeberrimo scout della Dinamo Kiev, Andriy Biba, prima lo sposta in un gruppo di un anno più grande (per testarlo maggiormente), poi lo promuove nella seconda squadra della Dinamo, allenata dal compianto Valyantsin Byalkevich. Nell'estate 2014, arriva anche la prima chiamata per un training camp estivo con la prima squadra in Austria.
Intanto, però, Tsyhankov respira un po' d'aria europea con la UEFA Youth League giocata nel 2015-16: il ragazzo segna il gol decisivo contro il Maccabi Tel Aviv per il passaggio ai play-off, poi persi contro il Middlesbrough. Tuttavia, sembra ormai chiaro che il suo avvento in prima squadra sia solo questione di tempo.
E infatti l'esordio da professionista arriva nella stagione successiva. Dopo esser comparso in panchina per una sfida dell'agosto 2014, due anni più tardi Tsyhankov gioca la sua prima partita nel campionato locale contro il PFK Stal (13' in trasferta). Il ragazzo si rivela anche in Europa, dove mette un assist contro il Napoli e segna al Besiktas.
Di fatto, Tsyhankov si è preso il posto da titolare, diventando una colonna nel 2017-18: quest'anno, infatti, il classe '97 ha giocato ben 39 gare e si è preso pure la fascia di capitano nelle ultime gare. Nominato in tale posizione da Alyaksandr Khatskevich, il ragazzo ha guidato il club al secondo posto e a un buon cammino europeo (la Dinamo è uscita per mano della Lazio in Europa League).

CARATTERISTICHE TECNICHE
Quando il suo nome ha cominciato a circolare tra gli addetti ai lavori ucraini, qualcuno ha parlato di un paragone con Serhiy Rebrov, l'allenatore che poi l'ha lanciato tra i grandi. Tatticamente parlando, l'esterno è la posizione che preferisce, specie se può giocare da ala: ha imparato a esser schierato su entrambe le fasce, ma la destra è quella che probabilmente preferisce.
Suo padre, così diversi scout alla Dinamo Kiev, vi direbbero che è schierabile anche da "10", ma è indubbio come Tsyhankov sprigioni il meglio delle sue possibilità sull'out esterno. Bisognerà fare attenzione ai diversi infortuni che l'hanno tormentato, probabilmente dovuti ai tanti tornei giovanili giocati da piccolo.
I suoi modelli sono Lionel Messi e Mario Götze: soprattutto con il tedesco, ci sono delle similitudini. Il punto sarà formare Tsyhankov tatticamente e fisicamente, perché le doti tecniche e l'atletismo non sembrano mancare al giovane esterno ucraino.

STATISTICHE
2016/17 - Dinamo Kiev: 29 presenze, 5 reti
2017/18 - Dinamo Kiev (in corso): 39 presenze, 17 reti

NAZIONALE
Comparso in tutte le Under possibili, Tsyhankov ha potuto debuttare in nazionale maggiore nel novembre 2016: Andriy Shevchenko, c.t. ucraino, gli ha fatto fare una comparsata contro la Finlandia e poi l'ha schierato titolare contro la Serbia, in due gare vinte. Fermo per ora a cinque presenze con l'Ucraina, Tsyhankov potrebbe rappresentare il futuro, seppur in un ruolo già pieno di star (Yarmolenko e Konoplyanka, tanto per dirne due).

LA SQUADRA PER LUI
Tsyhankov ha un contratto fino al giugno 2023 con la Dinamo Kiev, che si è saggiamente tutelata per evitare di perdere il ragazzo per due spicci. Penso che quest'estate avrà mercato, perché non è un momento storico facile per l'Ucraina e dove si può, si cerca di monetizzare. Sarebbe curioso vedere una squadra italiana su di lui.

10.5.18

C'è speranza per la middle class.

Ci sono due storie da raccontare. La prima riguarda le top 5 leghe in Europa, dove l'alternanza è ormai bandita nella vittoria finale (se escludiamo quella ricca eccezione che è la Premier League). La seconda riguarda alcuni campionati medi, dove il calcio non è ancora governato dall'incoerenza dell'Uefa ed è possibile avere delle sorprese. 

L'AEK Atene è tornato sul trono di Grecia dopo 24 anni.

Per nessuna di queste storie c'è stata una prima assoluta, ma la Superleague greca racconta la favola più bella di tutte. Non è la prima volta che su questo blog si menzionano le sorti dell'AEK Atene, sparito dopo una tragica annata (quella 2012-13, con la retrocessione) nei meandri del calcio greco. Eppure, un lungo lavoro ha riportato i gialloneri sul trono nazionale.
Un titolo importante non solo per la lunga assenza sulla bacheca dell'AEK (che ne ha vinti 12 e l'ultimo era datato 1994), ma anche perché nelle ultime 23 edizioni della Superleague greca l'Olympiacos aveva trionfato 19 volte. E nelle altre quattro, il titolo era andato ai diretti rivali del Panathinaikos, ora in disgrazia.
In questo scenario, sono dispiaciuto che il PAOK Salonicco non abbia approfittato della storica occasione, con il suo presidente - Ivan Savvidis, russo ma con origini greche - sceso in campo con una pistola per protestare contro un episodio arbitrale. In una stagione con Olympiacos e Panathinaikos ai margini, la conseguente deduzione di punti per il PAOK è stata fatale.
All'AEK Atene è bastato crescere gradualmente: non solo fuori (il nuovo impianto, l'Agia Sophia Stadium, sarà pronto per il 2019), ma anche in campo, dove l'AEK - appena tornato in prima divisione, nel 2015 - si è subito portato a casa la coppa nazionale. Poi è tornato in Europa e infine ha vinto il campionato grazie al tecnico Manolo Jiménez.

Se l'AEK ha atteso parecchio, allo Young Boys han dovuto aspettare ancora di più: 32 anni erano passati dall'ultimo titolo nazionale, conquistato in uno scenario calcistico ben diverso (per dire: il campionato svizzero all'epoca si giocava con 16 squadre). La squadra di Berna non è proprio un volto nuovo per il calcio europeo, ma è comunque una sorpresa.
Li abbiamo intravisti ogni tanto in Europa League. Io stesso me li ricordo giocare un preliminare di Champions League contro il Tottenham nell'estate 2010, quando in squadra avevano gente come Senad Lulic e in panchina Vladimir Petkovic. Ne è passato di tempo, ma alla fine qualcuno è riuscito a spezzare l'egemonia del Basilea.
Da otto anni, infatti, il titolo elvetico era in mano al Basilea, capace di vincere 11 delle ultime 15 edizioni della Swiss Super League, creando di fatto una dinastia. Tuttavia, il lavoro di Adi Hütter - tecnico austriaco, formato e lanciato dalla Red Bull in quel di Salisburgo - è stato fondamentale per ribaltare le carte.
Già all'inizio della primavera, tutto sembrava pronto per una sorpresa. Il Basilea è rimasto lontano dalla testa, concentrato sulla Champions League. In campo, invece, non c'è stato qualcuno che sia emerso nettamente: già avere quattro giocatori in doppia cifra - rivelazioni come Assalé e Nsame, accanto a sempreverdi come Hoarau e Sulejmani - ha aiutato Berna a riassaporare il titolo.

Per il primo campionato vinto in 32 anni, lo Young Boys non ha badato a spese nel celebrare la vittoria in campionato.

Altri ritorni si sono visti anche nel resto d'Europa. Mi viene da menzionare la Danimarca, che è stata spesso oggetto di scambio tra diversi club nella vittoria del campionato, ma che quest'anno ha visto un grande ritorno di un'antica decaduta: il Brøndby è vicino alla riconquista della Superliga danese dopo 13 anni.
AaB, Midtjylland e Nordsjælland hanno vinto a sorpresa, ma di fatto una padrona del campionato c'è ed è il FC Copenhagen, vittorioso in otto delle ultime 12 edizioni della Superliga. Allenato da un manager tosto come Ståle Solbakken e aiutato dalla presenza di giocatori come Kvist e Fischer, il Copenhagen sembrava favorito per la vittoria finale.
Il Brøndby, invece, ha fatto la voce grossa fino a metà anni 2000, sparendo poi di fatto dall'albo d'oro: l'ultimo alloro risaliva al 2006. Per altro, la rivalità con il Copenhagen è segnata anche da una differenza d'età: il Brøndby è un club nato a metà degli anni '60, mentre il FC Copenhagen ha appena 25 anni di vita.
Nonostante un pronostico sfavorevole, Alexander Zorniger ha saputo guidare fino a qui. Già, proprio l'ex allenatore del RB Lipsia, quello che ha portato il club dalla quarta divisione tedesca alla Zweite Bundesliga in tre anni. In un campionato dove il Copenhagen ha mollato (-22 dal Brøndby!), il Brøndby si gioca tutto nelle ultime due giornate, tentando di conservare un margine di appena tre punti sul Midtjylland.

Chi invece può già festeggiare perché i giochi sono fatti è la Lokomotiv Mosca, che si è ripresa la Premier League russa dopo 14 anni. Un successo inaspettato, sebbene le gerarchie del calcio russo stiano ormai cambiando: dopo anni di dominio in tandem tra CSKA Mosca e Zenit San Pietroburgo, le grandi della capitale stanno tornando.
L'anno scorso è stato lo Spartak Mosca di Massimo Carrera a vincere il titolo; nel 2017-18, invece, è toccato alla Lokomotiv, che alza il suo terzo trofeo nazionale da quando esiste la nuova Russian Premier League (quindi dal 1992). Il tutto con una giornata d'anticipo, battendo in casa proprio lo Zenit San Pietroburgo di Roberto Mancini.
Alla guida dei Zheleznodorozhniki, Yuri Semin ha conquistato il campionato, replicando gli altri due titoli nazionali, vinti con il club nel 2002 e nel 2004. Proprio perché Vico c'aveva visto giusto, il 71enne tecnico è tornato alla Lokomotiv per il suo quarto stint da head coach, vincendo ancora (l'anno scorso aveva alzato la coppa nazionale).
Tra i protagonisti del successo, potremmo menzionare tanti nomi: dal portiere naturalizzato Guillherme al capitano Igor Denisov, passando per i fratelli Miranchuk, l'esperienza di Ćorluka e i gol dei lusitani Manuel Fernandes ed Eder (sì, quello della finale di Euro 2016). Ma uno che va certamente ricordato è Jefferson Farfán.
Il calciatore peruviano ha costruito una carriera ricca e soddisfacente in Europa, legandosi soprattutto a due realtà: PSV Eindhoven e Schalke 04. Ha firmato poi per l'Al Jazira nel 2015, sperando di godersi gli ultimi giorni da calciatore in una pensione dorata. Poi c'è stato qualche ripensamento e allora, nel gennaio 2017, la Lokomotiv ha puntato su di lui.
Inattivo da tempo e fuori dal gioco, Farfán si è ripreso e ha trascinato la squadra al titolo. Non solo, perché lo vedremo ancora in campo quest'estate. Sempre in Russia, sì, ma con la maglia del Perù, anch'esso bisognoso delle sue giocate. La lezione è che la middle class europea regala emozioni e novità, a differenza di chi regna sulla vetta.

Jefferson Farfán, 33 anni, festeggia il titolo nazionale vinto dalla Lokomotiv Mosca.