29.3.13

ROAD TO JAPAN: Yohei Toyoda


Bentornati a l'ennesimo numero di "Road To Japan", la rubrica tramite la quale vi pubblicizzo i migliori talenti del Sol Levante. Oggi parleremo di una prima punta dal gol facile, cosa più unica che rara in Giappone: esulta sempre come l'"aeroplanino" Montella e, in effetti, le sue medie realizzative delle ultime stagioni fanno gridare al giocatore pronto per il salto definitivo. Un suo allenatore, per la sua vicinanza a Drogba nello stile di gioco, lo rinominò addirittura "Toyoguba". Ci ha messo molto ad esplodere, ma - a quasi 28 anni - Yohei Toyoda può forse dirsi maturo: lui gioca nel Sagan Tosu, club arrivato in J-League da un anno.

SCHEDA
Nome e cognome: Yohei Toyoda (豊田 陽平)
Data di nascita: 11 Aprile 1985 (27 anni)
Altezza: 1.85 m
Ruolo: Prima punta
Club: Sagan Tosu (2010-?)



STORIA
Nato a Komatsu, nella prefettura di Ishikawa, Toyoda arriva ad incrociarsi - durante le scuole superiori - con una delle star dell'attuale calcio giapponese: Keisuke Honda. Infatti, i due frequentano entrambi la Seiryo H.S. ed entrambi verranno acquistati dal Nagoya Grampus. Se Honda farà la carriera che tutti conosciamo, le cose non vanno altrettanto bene all'attaccante: Toyoda gioca poco (30 presenze in tre anni) e così chiede alla società di andare prestito, per scendere in campo con maggiore frequenza.
Ad accoglierlo è il Montedio Yamagata, squadra di J-League 2, categoria dove Toyoda dimostrerà di essere al di sopra della media. L'attaccante va in prestito per due anni: nel primo si adatta al calcio professionistico, nel secondo (con 13 gol) aiuta la squadra a raggiungere la prima e storica promozione in J-League. Non è comunque un periodo privo di problemi: il ragazzo è fumantino e gestirlo non è semplice. Nel 2007, viene squalificato per sei turni per un calcio in faccia ad un avversario durante una gara in J2; nel 2008, invece, subisce la rottura della gamba destra e rientra in tempo giusto per le Olimpiadi di Pechino. Insomma, nonostante i gol, il Montedio non trattiene il ragazzo ed il Nagoya non ne vuole più sapere di lui: il Kyoto Sanga, allora, ne preleva il cartellino per il 2009, sperando che Toyoda si ripeta sulle stesse prestazioni.
Purtroppo per l'attaccante, la sua forma non è la stessa e realizza appena un gol: l'ennesima occasione nella massima serie è sprecata e Toyoda ricomincia da Tosu, nel sud del Sol Levante. Il Sagan - tra i membri fondatori della J2 nel 1999 - è la squadra con la striscia più ampia di stagioni consecutive nella categoria: un destino che cambierà con Toyoda in squadra. Il ragazzo comincia a segnare a ripetizione: nel 2010 segna 13 reti, l'anno dopo 23. Una quota che porterà il Sagan Tosu alla promozione e Toyoda al titolo di capocannoniere della J2: il ragazzo si conferma, quindi, l'uomo delle "prime volte". Intanto, nell'inverno, il Gamba Osaka e lo Shimizu S-Pulse lo cercano, ma lui decide di rimanere a Tosu.
E' la scelta giusta: l'anno scorso, al primo anno da titolare nella massima serie, Toyoda è stato vice-capocannoniere con 16 gol in 30 presenze; il Sagan, oltretutto, è arrivato quinto, sfiorando la zona Champions. Rendimento che gli è valso anche la presenza nella top-11 stagionale: a quel punto, lo Shanghai Shenhua lo ha cercato per riempirlo di soldi; ma lui ha rifiutato un'altra volta, rimanendo alla corte di Yoon Jong-Hwan, allenatore sudcoreano dal calcio spregiudicato. Che l'uomo dal paradenti rosso (ormai utilizzato anche dai dentisti di Tosu) possa diventare il "9" che sta cercando la nazionale?

CARATTERISTICHE TECNICHE
Il pregio migliore ed il difetto peggiore sono in comune: Toyoda è un giocatore molto bravo con una squadra dietro. Basti vedere come si dispone il Sagan Tosu: una compagine che riesce ad essere una vera e propria cooperativa sul piano dell'impostazione del gioco e Toyoda ne è il fine rifinitore. Tuttavia, se la squadra non ci fosse dietro di lui, sarebbe un problema: non è una torre o un giocatore pesante, capace di creare gol da solo. Deve essere sostenuto: se c'è questo presupposto, è capace di timbrare almeno 15 volte in stagione. Del resto, dal punto di vista tecnico-tattico, è molto bravo: la sua capacità di trovarsi al posto giusto nel momento giusto e di difendere il pallone negli ultimi 20 metri lo hanno reso il miglior centravanti giapponese dell'ultimo anno.

STATISTICHE
2004 - Nagoya Grampus: 4 presenze, 0 reti
2005 - Nagoya Grampus: 22 presenze, 5 reti
2006 - Nagoya Grampus: 9 presenze, 1 rete
2007 - → Montedio Yamagata*: 30 presenze, 7 reti
2008 - → Montedio Yamagata*: 25 presenze, 13 reti
2009 - Kyoto Sanga: 29 presenze, 2 reti
2010 - → Sagan Tosu*: 35 presenze, 16 reti
2011 - → Sagan Tosu*: 38 presenze, 23 reti
2012 - Sagan Tosu: 33 presenze, 17 reti
2013 (in corso) - Sagan Tosu: 4 presenze, 3 reti
* = in J-League 2 | → = in prestito

NAZIONALE
La nazionale è argomento doloroso per Toyoda: essendo esploso tardi e nella seconda serie, non ha mai avuto una seria chance con la prima squadra. L'unica esperienza risale alle Olimpiadi di Pechino del 2008. Il Giappone, inserito nel girone con Nigeria, Olanda e Stati Uniti, uscì mestamente al primo turno; nonostante la presenza di Honda, Nagatomo, Uchida, Yoshida, Okazaki e Kagawa - tutti "samurai blue" di oggi - la squadra andò incontro a tre sconfitte. Un solo gol realizzato, proprio da Toyoda, nel 2-1 subito dalla Nigeria: quella è l'unica esperienza del bomber con la maglia del Giappone. Tuttavia, si vocifera che il 28enne attaccante potrebbe essere chiamato da Zaccheroni per la Confederations Cup, visti i suoi gol con il Sagan Tosu: se son rose, fioriranno.

LA SQUADRA PER LUI
Come chiarito anche nella parte sulle sue caratteristiche tecniche, l'ideale sarebbe una squadra di medio-bassa classifica (se parliamo di grandi campionati), capace di giocare un calcio propositivo e corale. Purtroppo, il calcio si sta trasformando e poche compagini impostano le proprie tattiche in questa maniera: in Italia, l'esempio potrebbe essere il Catania, in cui Toyoda figurerebbe bene come centravanti nel 4-3-3. Chiaro, l'adattamento è un passaggio importante: anche Miura arrivò in Italia, al Genoa, a 27 anni e fallì miseramente perché non fu né capito, né aspettato. Anche qui, la Francia o l'Olanda rappresenterebbero un ottimo approdo, in grado di dargli quei sei-sette mesi d'adattamento necessari. Il giocatore è in là con l'età, ma è al massimo della sua maturazione e costa solo 800mila euro (valore transfermarket.co.uk): un pensierino lo farei anche io.



27.3.13

Il paradosso di Arsène.

Avere i soldi o la gloria? Un duello che perseguita l'uomo da secoli e secoli. Ce ne è poi uno che, su questo dilemma, s'interroga da almeno un decennio. Cioè da quando, nel 2005, il suo club ha vinto l'ultimo trofeo che si ricordi, dopo un'epopea straordinaria, merito anche della sua gestione. Di chi parlo? Ovviamente di Arsène Wenger, ancora titubante sul da farsi in estate. Intanto, però, il mercato vocifera di altre cessioni, nonostante la voglia di tornare grandi; quest'ultima è possibile anche grazie al "tesoretto" accumulato dall'Arsenal negli anni, che gli permetterà di essere una delle voci forti sul mercato di quest'anno.

1996: Wenger arriva sulla panchina dell'Arsenal dopo l'esperienza giapponese.

Wenger arrivò all'Arsenal nel 1996, dopo una carriera decennale a tinte chiaroscure. In patria, egli aveva condotto il Monaco a due trofei; poi, era andato in Giappone per due anni, vincendo anche lì con il Nagoya Grampus Eight. L'arrivo del tecnico a Londra fu strano: mai nessuno avrebbe pensato a lui come nuovo allenatore, visto che il favorito era un certo Johan Cruyff. Così sconosciuto che fece titolare all'Evening Standard: «Arsène who?».. eppure, Wenger ha avuto modo di far ricredere gli scettici. Nella sua seconda stagione, l'Arsenal completa il "double": F.A. Cup più campionato, un evento accaduto per la seconda volta nella storia del club. Grazie a quella stagione, i "gunners" da leggenda cominciarono a prendere vita: quanti giocatori biancorossi hanno influenzato la nostra crescita da tifosi? Dai rudi Adams e Keown ai fuoriclasse Bergkamp e Pires, dall'istrionico Ljungberg al fuoriclasse che risponde al nome di Thierry Henry. Insomma, Wenger ha avuto modo, negli anni, di centrare numerosi traguardi, come un altro double nel 2002 alla stagione degli invincibili del 2004, quando i "gunners" riuscirono a vincere la Premier League da imbattuti: una cosa riuscita solo al Preston North End ben 115 anni prima. Mica male per chi, come diceva Tony Adams, «non sembrava capire molto di calcio, venendo dalla Francia».
Certo, le delusioni non sono mancate, sopratutto in campo europeo. All'Arsenal manca un trofeo continentale, vinto solo nel 1994 con la Coppa della Coppe. Con Wenger, la squadra è arrivata in finale di Coppa UEFA nel 2000 e di Champions League nel 2006: tuttavia, in entrambi i casi, andò male, prima contro il Galatasaray di Terim, poi contro il Barcellona di Rijkaard. E, dal 2005, le cose non vanno: l'Arsenal si qualifica sempre per la Champions, ma non mette paura a nessuno in campionato e non vince neanche più le coppe nazionali. L'ultima delusione è stata nel 2011, quando i "gunners" persero la finale di League Cup contro un Birmingham che sarebbe poi retrocesso alla fine della stagione. A questo, vanno aggiunte le partenze "fisse", che avvengono da qualche anno a questa parte; tra l'altro, spesso, l'Arsenal ci guadagna meno di quanto ci si aspetta. Dall'arrivo nel nuovo impianto - l'"Emirates Stadium" - a lasciare Londra sono stati Fabregas, Nasri, Adebayor, Ashley Cole, più lo stesso Henry. E le entrate non sono state di gran livello, magari anche ad un prezzo che non ha poi corrisposto a prestazioni continue sul campo: Mertesacker, André Santos, Gervinho, Koscielny, Arshavin. L'ultima estate è stato l'esempio massimo: partiti Van Persie e Song, due colonne della ricostruzione, sono arrivati giocatori che non potevano minimamente essere comparati ad essi. Podolski, Cazorla, Giroud e Monreal sono un po' poco per riparare, specie se sono costati - in totale - ben 60 milioni di euro. Nessuna nega la bontà singola di questi giocatori, ma forse si è persa un po' la mano nello scoprire giocatori a costi minimi: ricordate quando Wenger prese un giovane Fabregas a costo zero? O quando prelevò Clichy dal Cannes e Touré dall'ASEC Mimosas? Per i tre, il tecnico spese in totale 500mila euro: li ha rivenduti, anni dopo, per un ammontare di poco sotto i 70 milioni di euro. La tattica, finché ha funzionato, ha fruttato un enorme fatturato interno all'Arsenal.

2005: Wenger alza l'ultimo trofeo vinto dall'Arsenal, la F.A. Cup.

Attenzione ai "gunners", perché in estate potrebbero rivoluzionare la squadra, specie se il verdetto stagionale fosse amaro (vedi esclusione dalla Champions League, dopo ben 15 partecipazioni consecutive). Il 63enne manager è un po' che non ne imbrocca una giusta, sopratutto in campo; tuttavia, anche la politica societaria che costringe l'Arsenal alla cessione estiva non aiuta: si compra il giocatore, quest'ultimo esplode e la società - a quel punto - si ricorda che il suddetto ha solo un anno di contratto o sta addirittura andando in scadenza (vedi caso Walcott). Certo, nel frattempo - attraverso stadio, merchandise e ricavi - l'Arsenal è la quarta società più ricca del mondo, con un valore di 1.3 miliardi di dollari; tuttavia, alla ricchezza non corrispondono i risultati, che vedono la squadra del distretto di Holloway non vincere nulla da otto anni. Qualche occasione c'è stata, ma in realtà è andata sprecata. Le stagioni passano, ma forse la pazienza dei tifosi non dura per sempre, specie se vendi qualsiasi talento ti stia crescendo tra le mani: l'ultimo della lista potrebbe essere Jack Wilkshere, tifoso e giocatore dei "gunners" avvicinato dal Barca di Vilanova. Eppure, adesso, i soldi per trattenere certi top-player, come il centrocampista inglese, ci sono; anche la durata del contratto (fino al 2018) dovrebbe scoraggiare qualunque cessione. Ed i soldi non ci sono solo per lui: negli ultimi tempi, non è stato raro vedere l'Arsenal affiancato a numerose operazioni di mercato in entrata, quasi come fosse una rivoluzione (Florentino Perez-style). Già, perché in estate 70 milioni di euro saranno a disposizione per rifondare l'Arsenal  (si parla di Cavani e Jovetic). Ma non è detto che l'allenatore dei "gunners" sia Wenger: infatti, al PSG, si sarebbero stancati di Ancelotti e sarebbero pronti a riportare il tecnico in patria. Sul banco c'è anche un'offerta di rinnovo per altri due anni, fino al 2016, ma il tecnico di Strasburgo sta riflettendo: del resto, i tifosi non sono entusiasti. La stagione dell'Arsenal è stato un mezzo disastro sin qui: in campionato, la Champions si allontana a favore degli odiati rivali del Tottenham; in F.A. Cup è arrivata l'eliminazione per mano di una squadra di Championship, il Blackburn. Peggio ancora è andata in League Cup, dove - ai quarti di finale - l'Arsenal è stato eliminato dalla favola Bradford, squadra di quarta categoria. E l'Europa? Tutto come previsto: i "gunners" passano il girone, arrivano agli ottavi e si squagliano contro il Bayern, nonostante una bella vittoria all'"Allianz Arena". 
Insomma, non il massimo. Adesso per Wenger c'è un dilemma: restare dopo una stagione in chiaroscuro per rilanciare l'Arsenal, con molti soldi da spendere, oppure tentare una nuova avventura dopo 17 anni? Sarebbe strano se il tecnico rimanesse dopo un'annata deludente, con i tifosi non più contenti di lui come una volta: più che di un dilemma, si potrebbe parlare di paradosso.

Arsène Wenger, 63 anni, è alla guida dell'Arsenal da 17 anni: sarà l'ultimo?

22.3.13

Più forte di Messi.

Oggi parliamo di qualcuno che ha lasciato da parte il genio molto tempo fa e adesso si prodiga nel fare molte cose, ma non il calciatore. Un po' per colpa del club (con un presidente testardo), un po' per colpa sua: Mauro Zárate, pizzicato dalla Lazio alle Maldive, è un problema? L'argentino aveva ricevuto un permesso di quattro giorni, ma non per andare a divertirsi: è solo l'ultimo di una serie di scontri tra l'attaccante e il club.

Zárate e la Lazio, un rapporto decollato nel primo anno a Roma.

Mauro Zárate è stato sempre oggetto di discussione da quando è in Italia, specie a Roma, dove i tifosi laziali l'hanno coccolato, salvo rimanere delusi negli ultimi tempi. Cresce nelle giovanili del Vélez, dove esplode prepotentemente; era così forte che non poteva giocare con i pari-età, così a 17 anni è già in prima squadra. Ci rimane per tre anni, segnando 22 gol e contribuendo alla vittoria del Clausura 2005. 
Chiunque potrebbe prenderlo, ma Zárate e il Vélez scelgono l'offerta milionaria dell'Al-Sadd: 16 milioni di euro per trasferirsi in Qatar. L'argentino dura solo sei partite prima di voler cambiare; il Birmingham lo preleva per i primi sei mesi del 2008, attraverso un prestito con eventuale diritto di riscatto. Le prestazione dell'attaccante sono discrete (4 gol in 14 gare), ma il club retrocede e non lo riscatta.
E così, all'improvviso, arriva la Lazio. Il club di Lotito lo prende in prestito con diritto di riscatto dal Qatar: 3 milioni per la stagione 2008/09, 17 per il riscatto. Sembra una cifra improponibile, eppure Lotito e Delio Rossi credono nel ragazzo. L'argentino ripaga la fiducia: il suo primo anno in Italia è una sorpresa continua.
Gli si potrebbe additare poco altruismo, ma i 16 gol stagionali valgono la vittoria in Coppa Italia e quella che sembra la consacrazione. Inoltre, i gol segnati nel derby di aprile e in finale di coppa sono fonte di gioia per i tifosi: non tenerlo sembra una mossa suicida. Lotito paga addirittura 20 milioni per il suo riscatto e all'Al-Sadd quasi non ci credono.
Tuttavia, è un fuoco di paglia, perché si sa come i calciatori vadano valutati nel secondo anno in Serie A, quando ti conoscono e devi diversificarti per emergere. Nella stagione successiva, la Lazio rischia la B e Zárate brilla solo in Europa League, dove comunque i biancocelesti escono molto presto. Non solo: il ragazzo casca anche nella trappola del "saluto romano", salvo difendersi malissimo: «Non sa chi siano Mussolini o Hitler», disse il suo agente. Ouch.
Nel 2010/11 sembra riprendersi e i dati sono incoraggianti: 9 gol e 8 assist in un anno in cui la Lazio sfiora i preliminari di Champions. Tuttavia, il rapporto tra lui e Reja è difficile: l'argentino sembra impegnarsi poco, il tecnico goriziano non gradisce e viene addirittura ripreso dai tifosi, troppo affezionati all'attaccante per dargli contro.
I due non si amano, tanto che Zárate va in prestito all'Inter nell'estate del 2011: l'argentino è convinto, tramite il periodo in nerazzurro, di dimostrare a Reja che si sbaglia sul suo conto. Ma Zárate rimane deluso: l'Inter capita in uno degli anni più neri della sua recente storia e l'attaccante non emerge. L'ex Vélez realizza tre gol in tutta la stagione e sembra destinato al ritorno a Roma, nonostante voglia rimanere a Milano.

Zárate e i motivi per cui i tifosi della Lazio lo adorano.

Nonostante questo, il club di Moratti non ha intenzione di riscattarlo: troppi i 15 milioni di euro richiesti. Così, Zarate si auto-smentisce e torna a Roma, dove Reja non c'è più, ma i problemi rimangono: le punte sono troppe e lui non vuole saperne di andarsene. Petkovic lo valuta in ritiro e l'argentino vuole riprendersi il posto, parlando anche di prolungamento del contratto
Tuttavia, il ragazzo non sembra impegnarsi molto in allenamento, tanto che Petkovic gli preferisce Floccari, Kozak e Klose, mentre Zárate ha collezionato sette presenze, di cui solo una in Serie A. La rottura si è consumata a dicembre, quando l'argentino ha rifiutato la convocazione del tecnico per la gara contro l'Inter. Da quel momento, Zárate è un corpo estraneo nella Lazio e fa parte dei "fuori-rosa", insieme a Cavanda e Diakité.
Lotito è un presidente molto difficile, ma l'attaccante non ha mai fatto mancare dubbi sulla sua condotta professionale. Tanti gli esempi: dall'insulto omofobo a un tifoso romanista su Twitter al «pastore di Formello per un anno», frase che ha fatto infuriare la dirigenza biancoceleste. Per non parlare poi dei balletti del suo agente sulla sua permanenza, tra un «impossibile che lasci la Lazio» e un «dobbiamo cambiare assolutamente aria».
Adesso questa bravata potrebbe essere la pietra tombale sulla sua carriera, quanto meno su quella ad alti livelli: già, perché l'argentino aveva ricevuto qualche offerta da club che giocavano la Champions (Galatasaray, Fenerbahce e Dinamo Kiev), oltre che dal Genoa. Tuttavia, tra le sue richieste esose d'ingaggio (due milioni di euro quello attuale) e le pretese assurde di Lotito, era impossibile trovare un accordo. 
La situazione è complicata, ma a giugno le strade si separeranno. Ricordo quel tifoso dopo la finale di Coppa Italia del 2009 e una conversazione sulle abilità tecniche di Zárate: «Ma stai scherzando? Guarda che Zarate è un fenomeno... è più forte persino di Messi!». La verità è che l'argentino è un buon giocatore, ma non eccezionale. Di meteore il calcio è pieno, forse ha ardentemente voglia di farne parte.

Mauro Zárate, 25 anni: l'argentino ha militato anche con l'Inter.

20.3.13

Parigi (o Parole?) Senza Gloria.

«Se sei abbastanza fortunato da vivere a Parigi quando sei giovane, allora, dovunque andrai per il resto della tua vita, il ricordo di Parigi resta con te». A dirlo, in una delle sue opere, fu Ernest Hemingway, uno dei più grandi autori del Novecento, vissuto nella capitale francese per una serie di anni. Eppure, Zlatan Ibrahimovic deve pensarla in maniera differente: nonostante la residenza a Versailles, uno stipendio da 15 milioni di euro (ritenuto indecente persino dal Ministro del Bilancio francese) e la considerazione di un re. No, allo svedese tutto questo non basta. E così ripartono i famosi "mal di pancia": ricorrenti quanto le "cassanate", ogni tanto spunta la voglia del centravanti di cambiare qualcosa, di sparare a tutti i costi una sentenza.

Svezia-Inghilterra 4-2, ottobre 2012: Ibra ha appena segnato un gran gol.

Del resto, Zlatan Ibrahimovic è fatto così: prendere o lasciare. Non c'è modo di considerarlo in maniera neutra, perché lui è uno di quei personaggi che divide. Oltretutto, questa tendenza va acuendosi: partito da Milano in direzione Parigi, lo svedese non ha fatto altro che accentuare tutti i pregi ed i difetti che lo contraddistinguono. Capitolo pregi: parliamo di uno dei giocatori più forti del pianeta, sicuramente tra i primi 10. C'è chi lo paragona a Messi e Cristiano Ronaldo. Personalmente ritengo più decisivo qualcun'altro, specie in campo europeo, ma Ibra sta facendo progressi: all'Europeo ha fatto sfaceli, nell'ottobre scorso ha realizzato il gol più bello del 2012 e sta salendo di rendimento. Anzi, l'andare in Francia - abbassando quindi il livello della concorrenza - ha fatto emergere ancor di più le sue immense qualità: 31 gol e 9 assist in questa stagione, numeri impressionanti se consideriamo che siamo in marzo. Infine, lo svedese ha anche settato un nuovo record: a settembre, è diventato il primo giocatore a segnare con sei maglie diverse in Champions League (Juve, Inter, Milan, Ajax, Barcellona e PSG). C'è, quindi, di che andar fieri sotto il piano delle prestazioni.
Tuttavia, il personaggio impone che ci sia un rovescio della medaglia, altrimenti non sarebbe Zlatan Ibrahimovic. Infatti, così come le prestazioni si sono portate ad un livello forse mai visto prima, al tempo stesso le intemperanze stanno aumentando, nonostante i 31 anni d'età. In metà stagione ne abbiamo viste tante. Al suo arrivo a Parigi, non contento dell'ingaggio faraonico ed in barba al rispetto del gruppo, ha subito chiesto la 10; piccolo problema, Nené non voleva dargliela. Così, Ibra non ha fatto altro che fare pressioni, fino a prenderla quando il brasiliano - capocannoniere della scorsa Ligue 1 - si è trasferito in Arabia. A livello di comunicazione, lo svedese non si è fatto mancare nulla: desideri di trasferimento («mi piacerebbe giocare in Germania») e giudizi tanto sommari quanto istantanei («Balotelli? Lo vedrei bene al Barca. Un giocatore mediocre per una squadra mediocre»). Buttiamoci dentro anche le espulsioni ed i "fallacci", come quelli su Ruffier del Saint-Etienne e Lovren del Lione, costatogli in totale due giornate di squalifica e tante reprimende. Insomma, "classic Ibra".
Anche i nuovi compagni ci hanno pensato a confermare il profilo da Dr. Jekyll e Mr. Hyde: Lucas Moura, arrivato dal San Paolo a gennaio, ha commentato nei scorsi giorni come lo svedese sia un grandissimo giocatore, ma si arrabbi facilmente e si inalberi se non gli si passa la palla. Manie di grandezze, queste conosciute.

Ibra e lo scontro con Ruffier, portiere del St. Etienne: squalificato per 2 giornate.

Si arriva così all'ultima sparata: i sostenitori del PSG lo hanno fischiato ogni tanto, a causa delle difficoltà della super-compagine di casa nello sbloccare le partite. Ibra ha risposto sul campo, a suon di gol, ma non si è trattenuto: «Non c'era nulla prima di me». Parole che hanno letteralmente fatto "sbroccare" non solo i tifosi del PSG, ma anche alcuni esponenti del movimento calcistico transalpino come Roche e Guerin. Certo, i parigini sono tornati a livelli importanti in Europa, raggiungendo i quarti di Champions League dopo 18 anni; tuttavia, un giudizio del genere è ingeneroso da parte dello svedese: il PSG ha vinto solo due campionati, ma anche 13 coppe nazionali ed una Coppa delle Coppe. Non sembra un curriculum vuoto, piuttosto spoglio in tempi in cui Ibra non era neanche nato. Oltretutto, se il PSG è competitivo quest'anno, non è solo per l'acquisto del centravanti, ma anche perché il gruppo ha un anno di esperienza in più e non sta commettendo gli stessi errori dell'anno passato, quando finì con zero titoli ed Ancelotti riuscì nell'impresa - difficile, onestamente - di consegnare il titolo al miracolo Montpellier.
Ibrahimovic è un grandissimo giocatore, ma nessuno - neanche Pelé in persona - dovrebbe avere la facoltà di sparare a zero su tutto e tutti. Chiaro, i tifosi del PSG dovrebbero imparare l'arte della pazienza, ma lo svedese non ha rispettato certi equilibri. E chissà che a fine anno non riparta: non si sa dove possa andare, ma Parigi sembra stargli stretta, sopratutto dal punto di vista calcistico. Per lui - parafrasando la sigla del club - c'è una Parigi Senza Gloria; onestamente, anche le sue parole sembrano senza gloria; tuttavia, i quarti con il Barcellona in Champions dimostreranno dove può andare questa squadra. Ricconi poco vincenti fuori dai confini nazionali (stile Man City) o finalmente al centro dell'Europa? Ad Ibra l'ardua sentenza.

Zlatan Ibrahimovic, 31 anni: scontento, ma dominante in quel di Parigi.

15.3.13

UNDER THE SPOTLIGHT: Viktor Fischer

Olanda, terra di tulipani, ma anche di talenti. Oggi, nel consueto spazio di "Under The Spotlight", metteremo in luce un giocatore di cui molti di voi avranno sentito parlare; già, perché quest'ala dell'Ajax sta spopolando nel territorio "orange" e cresce a velocità doppia. Anzi, mi sbilancio: se c'è un potenziale fenomeno che possa paragonarsi ai vari Messi, Cristiano Ronaldo e compagnia bella, è lui. Un danese che stupirà il mondo nei prossimi anni: il suo nome è Viktor Fischer, giovincello di 18 anni che imperversa nell'Ajax allenato da Frank De Boer e, da sempre, società creatrice di molteplici talenti.


SCHEDA
Nome e cognome: Viktor Fischer
Data di nascita: 9 giugno 1994 (18 anni)
Altezza: 1.80 m
Ruolo: Ala sinistra, trequartista, prima punta
Club: Ajax Amsterdam (2011-?)



STORIA DI UNA STELLA
La nascita del nuovo fenomeno del calcio danese parte da Aarhus, Danimarca, il 9 giugno del 1994: ci sono in vista i Mondiali del 1994, ma il baby-portento Fischer deve ancora imparare del suo feeling con il pallone. Nella città che ha dato i natali a colonne della nazionale danese come Jorgensen, Rieper e Toefting, il ragazzo cresce per imparare l'arte del pallone: lo fa prima con il Lyseng, poi con l'AGF, squadra della sua città. Tuttavia, il suo procuratore Soren Lerby (famoso per aver curato gli interessi anche di Wesley Sneijder) attiva una clausola che permette a Fischer di firmare per l'F.C. Midtylland nel 2009, quando ha 15 anni ed è in età per firmare un contratto con una nuova società, senza chiedere nulla a quella precedente. L'episodio è increscioso, ma il passaggio alla squadra di Herning è fondamentale per la sua carriera: schierato nelle giovanili, gioca il Torneo di Viareggio nel 2011, segnando anche un gol nella partita contro il Taranto.
Così, invece che i club italiani, lo nota l'Ajax, che lo prende per pochi spiccioli dai danesi e lo porta nelle sue giovanili, famose per aver creato alcuni dei talenti più limpidi degli ultimi anni: Suarez, Ibrahimovic, Van der Vaart, Chivu e compagnia bella. Se la prima squadra è ancora off-limits, la stagione 2011/2012 segna la sua consacrazione a livello giovanile: il ragazzo è decisivo nella Champions League delle squadre Primavera, dove l'Ajax viene sconfitta in finale dall'Inter. Intanto, però, il danese è capocannoniere con sette reti, grazie anche alla doppietta in casa del Barca e la tripletta realizzata in semifinale con il Liverpool. Così, de Boer capisce che è il momento di prenderlo in considerazione per i grandi: il risultato è ottimo. Fischer si sta pian piano conquistando spazio e galloni da titolare, con 29 presenze in tutte le competizioni. L'Ajax è primo in campionato ed il danese ha collezionato 8 gol e 6 assist.

CARATTERISTICHE TECNICHE
La verità è che il ragazzo è un universale: sa fare quasi tutto. Certo, a 18 anni difetta in continuità, però bisogna dargli tempo e l'Ajax è il posto giusto per crescere. Dotato di un buono scatto, di un tiro dalla distanza discreto, le sue forze sono però nell'assist e nei continui tagli nel campo, che fanno impazzire i difensori avversari. Insomma, paradossalmente, è più forte quando la palla non ce l'ha: in questo, con il dovuto rispetto, ricorda vagamente Andres Iniesta. Lo ricorda così tanto da chiedersi come si inserirebbe nel tridente blaugrana..

STATISTICHE
2012/2013 - Ajax (in corso): 29 presenze, 8 gol

NAZIONALE
Il legame tra Fischer e la sua nazionale, la Danimarca, è destinato ad essere duraturo. Il ragazzo ha già giocato in tutte le categorie, da quelle giovanili alla prima squadra. In particolare, con l'Under-17 ha fatto sfracelli, tanto da rimaner basiti solo a leggere i dati: 20 gol in 30 presenze tra il 2009 ed il 2011. Quindi, a 15 anni, già giocava con quelli due anni più grandi di lui: se non è questo un fenomeno.. intanto, ha scalato la vetta, raggiungendo prima l'U-21 (da cui sarà convocabile per altri due anni) e poi anche la nazionale maggiore. La Danimarca vive un momento contraddittorio: dopo un pessimo Mondiale, la squadra riuscì a rilanciarsi, tanto da costringere il Portogallo ai play-off per l'accesso agli Europei. In Ucraina e Polonia, però, la nazionale ha avuto un girone di ferro ed è uscita subito. Ora proverà rilanciarsi anche grazie a talenti come Fischer, sebbene per ora sia quinta nel girone di qualificazione per il Mondiale del 2014. Fischer, intanto, ha già esordito a 18 anni, subentrando al 66' nel match contro la Turchia di novembre. Tutti si attendono che diventi la nuova stella della nazionale e che guidi la Danimarca a posizioni migliori di quella attuale.

LA SQUADRA PER LUI
Intanto, l'Ajax si è giustamente tutelato: il rinnovo firmato fino al 2017 consente al club di guardare al futuro anche con Fischer, senza che il ragazzo si senta turbato da eventuali sirene di mercato. Anche perché il mondo non sta a guardare: anche quando non giocava ancora in prima squadra, l'Ajax era già pressato dal Manchester United. La situazione è simile ad ora, visto che il Barcellona sta puntando il danese per rinforzare l'attacco, in vista delle probabili partenze di Sanchez e Villa. Insomma, viene da dire che il ragazzo potrebbe semplicemente giocare ovunque, ma Barca e Man Utd sembrano le migliori destinazioni: potrebbe essere il vice-Iniesta o l'erede futuro di Ryan Giggs. Tutto può essere con questo funambolico predestinato. Tuttavia, l'augurio è che il ragazzo rimanga almeno un'altra stagione all'Ajax, perché il club di Amsterdam e l'Eredivisie sono il posto ideale per crescere.



11.3.13

La rivincita degli "incompetenti".

«I presidenti sono così strani, sarebbe meglio evitarli sempre.. e non pensare d'aver ragione, perché la ragione non sempre serve». Parafrando una famosa canzone dei Tiromancino, molti allenatori si ritrovano in questa situazione: il capo parla e pensa di aver l'ultima parola su tutto. Zamparini, Lotito, il vecchio Gaucci appartengono a questa categoria; un altro esemplare - anche su scala nazionale - è sicuramente Silvio Berlusconi, proprietario del Milan. Qualche settimana fa si era lasciato andare su Allegri, durante una visita a sfondo politico in Veneto: «El no capisse un casso..»: dopo qualche settimana, viene da chiedersi se il presidente rossonero abbia sbagliato l'ennesima previsione. Massimiliano Allegri sta mettendo insieme la miglior stagione calcistica da quando è allenatore.

Zlatan Ibrahimovic, 31 anni, e Thiago Silva, 28, ceduti al PSG quest'estate.

Non era facile, viste le premesse iniziali. Allegri, al Milan dal 2010, perde in estate Ibrahimovic, Thiago Silva, Pato e Cassano: un depotenziamento mica male, pensando anche alle parole di Galliani e Berlusconi dopo le prime avances del PSG («Ibra e Thiago restano al 99,9%»). Mettiamoci anche l'addio di molti senatori (Nesta, Gattuso, Inzaghi, Zambrotta, Seedorf e Van Bommel) più i mancati riscatti di Aquilani e Maxi Lopez e si capisce come la situazione fosse fumantina. A peggiorarla, durante l'estate, arrivano cocenti sconfitte, seppur in amichevole: su tutte, il 5-1 subito dal Real Madrid in una gara giocata a New York è la goccia che fa traboccare il vaso già colmo. A prendersela con Allegri ci pensa subito la società, con Galliani che azzarda uno scomodo paragone tra il Milan e la Solbiatese; insomma, la situazione è pessima, nonostante la gran parte della colpa sia della società, rea di aver lasciato andare giocatori fondamentali, senza adeguatamente rimpiazzarli.
Alla voce "arrivi", infatti, c'è il minimo sindacale: Acerbi, Zapata, De Jong, Bojan, Niang. I più sicuri del lotto sono Montolivo e Pazzini: il primo arrivato a parametro zero, il secondo attraverso un folle scambio cittadino con Cassano. Le conferme dell'esistante Constant e del giovane El Shaarawy non aiutano i tifosi, esasperati e sull'orlo di un crollo nervoso, specie visti i primi risultati in campionato: il Milan, nelle prime otto giornate, colleziona solo sette punti e si ritrova velocemente nella zona bassa della classifica. E su Allegri partono le critiche più facili, tra cui una su tutte: «Lo schema di Allegri è: palla ad Ibra e vediamo che succede».
Ben presto, i tifosi dovranno felicemente ricredersi: il periodo nero finisce a fine ottobre, ma i supporters rossoneri non sanno che ne sta per iniziare un altro, molto più felice. Infatti, il Milan ha perso solo quattro partite da novembre in poi: una di Champions (ininfluente), i quarti di Coppa Italia e due in campionato. Per il resto, i rossoneri hanno un ruolino di marcia spaventoso: nelle ultime venti giornate, la squadra di Allegri ha fatto ben 44 punti. Nessuno può dire altrettanto, ma la sensazione è che il Milan abbia trovato un suo equilibrio; inoltre, è riuscito a passare il girone di Champions e a sorprendere il Barcellona, vincendo 2-0 a Milano, con la buona possibilità di giocarsela nella partita di ritorno del "Camp Nou". Tutto questo contro i marziani del calcio, che avranno qualche anno in più, ma sono sempre i migliori.

Kevin Constant, 27 anni, uno dei simboli della rinascita milanista.

E' giusto quindi parlare di rinascita? Abbastanza, anche se bisognerà vedere quanto questo ruolino verrà tenuto in considerazione. L'obiettivo minimo del Milan è il terzo posto, quello che garantirebbe l'ingresso - seppur tramite preliminari - alla Champions; ma il Napoli è a due punti, mentre la Juve è troppo lontana, nonostante i proclami di rimonta da parte di Balotelli. Ma la rinascita è merito della società? Viene da dire "no", anche perché l'acquisto di Balotelli è solo un parziale risarcimento delle cessioni estive; inoltre, il trasferimento di "SuperMario" dal City ai rossoneri è stato facilitato da un pessimo rapporto tra lui e Mancini. Insomma, il Milan è sempre molto bravo (ai confini del furbo, anzi) a valutare le situazioni a danno degli altri e ad approfittarne, anche grazie all'aiuto di Mino Raiola. Inoltre, nonostante lo straordinario rendimento di Balotelli, il Milan stava già rimontando in precedenza. Grazie a Pazzini, vituperato durante tutta l'estate, ma ripresosi a Milano, con 13 gol già piazzati in campionato; grazie ai giovani, come Niang e De Sciglio, oltre che al già noto El Shaarawy. Giovani lanciati da Allegri, costretto dalla società ad inventarsi qualcosa e che ha saputo rimediare in maniera adeguata con il materiale a disposizione. L'esempio più grande, se mi permettete, arriva da Kevin Constant: frutto dei soliti scambi bizzarri tra il Genoa ed il Milan, Constant nasce come mezz'ala a centrocampo. L'anno scorso, al Genoa, sembrava un giocatore inutile; quest'anno, vista la pochezza nel ruolo di terzino sinistro, Allegri l'ha spostato in quella posizione. E' risultata la mossa più intelligente dal punto di vista tattico: Constant garantisce equilibrio, rapidità e ha un discreto piede, permettendo così al Milan di dormire sonni tranquilli. Questo non significa che il club non dovrà fare qualche mossa in estate, ma se si può permettere di sopravvivere, lo deve alla gestione delle risorse da parte del tecnico.
Adesso, i rossoneri si godono un periodo d'oro proprio grazie ad Allegri. Perché il ringiovanimento, la valorizzazione di alcuni giocatori dipende da lui più che dalla società: quest'ultima non è stata mai chiara, non ha mai affermato pubblicamente - prima delle cessioni a valanga - «iniziamo un rinnovamento forzato». Detto questo, l'allenatore del Milan ha un contratto fino al giugno 2014 e finora ha fatto bene: uno scudetto, una Supercoppa ed un quarto di finale in Champions, che in epoca attuale è un risultato ottimo per un'italiana. Ora si attende il ritorno con il Barcellona, con il Milan che ha due gol di vantaggio. E pensare che, all'andata, Berlusconi consiglio di giocare con tre punte, mentre Allegri giocò con Boateng dietro El Shaarawy e Pazzini; insomma, la rivincita degli "incompetenti" può andare avanti.

Massimiliano Allegri, 45 anni: il Milan è sopravvissuto anche grazie a lui.

7.3.13

Fällen des lebens.

Poi dici che ci sono i "casi della vita": c'è chi pensa di essere arrivato e, all'improvviso, perde tutto. René Adler aveva tutto: simbole ed eroe del Bayer Leverkusen, titolare della nazionale tedesca e portiere più importante nel periodo dopo il ritiro di Oliver Kahn. Eppure, il destino ha voluto che Adler perdesse tutto questo nel giro di pochi mesi, senza neanche rendersene conto: è passato molto tempo da quella svolta negativa, ma adesso sembra che il portiere di Lipsia si sia ripreso lo scenario che aveva faticosamente conquistato. E chissà che la Germania non gli dia un'occasione anche in nazionale..

Adler con la maglia della nazionale tedesca: tre anni fa, era il titolare.

René Adler nasce nella vecchia Germania dell'Est, il 15 gennaio del 1985, e cresce nelle giovanili del Lipsia, squadra della sua città natale. I suoi progressi sono importanti e, a 15 anni, viene ingaggiato dal Bayer Leverkusen, ormai in ascesa nelle gerarchie del calcio tedesco. Nel club delle "aspirine", si alterna tra le giovanili e la seconda squadra del Bayer, che milita in quarta divisione. Nella regione più popolosa di tutta la Germania, il giovane Adler trova il modo di emergere nel 2006: Butt, storico portiere (quello che batteva anche i rigori, tanto per intenderci), è squalificato e così subentra il rampante secondo. La "riserva" gioca una partita straordinaria contro lo Schalke e si guadagna i galloni da titolare, costringendo Butt al trasferimento al Benfica. A quel punto, la crescita di Adler è continua e non subisce alcuno stop, tanto che il Bayer può contare su di lui al 100%; lo nota anche il C.T. Loew, che non esita a chiamarlo per far parte della spedizione che andrà ad Euro 2008, dove la Germania perde solo la finale con la Spagna.
E' un punto cruciale della carriera di Adler: sicuro del posto a Leverkusen, il ragazzo comincia un duello a distanza per la maglia da titolare con Robert Enke, portiere dell'Hannover. Kahn si è ritirato dalla nazionale nel 2006, Lehmann compie lo stesso gesto dopo l'Europeo, perciò la competizione è aperta. Tuttavia, Adler si prende il posto di primo portiere, consolidato anche dopo il brutto episodio del suicidio di Enke, travolto dalla depressione.
Sembra tutto perfetto, ma i guai sono pronti a colpirlo. Innanzitutto, c'è un portiere che si sta facendo strada in Germania: il suo nome è Manuel Neuer ed è un prodigio. Gioca nello Schalke 04, ma Loew decide comunque di confermare Adler come titolare, vista la maggior esperienza dell'estremo difensore del Bayer. Tuttavia, un infortunio alla costola lo mette fuorigioco a due mesi dal Mondiale del 2010, costringendolo a rimanere in disparte. La storia, poi, la conosciamo tutti: la Germania gioca un calcio spettacolare e Neuer fa' un'ottima impressione, togliendo così il posto ad Adler; i miracoli del portiere dello Schalke nella successiva Champions League confermano la bontà della scelta.
Ma non finisce qui: al ritorno a Leverkusen, passa un'altra stagione ed il Bayer arriva secondo in Bundesliga. Nonostante le beghe per il rinnovo contrattuale (in scadenza nel giugno 2012), Adler potrebbe esordire in Champions; purtroppo per lui, arriva l'ennesimo infortunio grave, che lo tiene fuori ben otto mesi. Nel frattempo, per sostituirlo, le "aspirine" prendono Bernd Leno, prospetto interessante, ma terzo portiere dello Stoccarda; l'accordo prevede un prestito secco. Manco a farlo apposta, Leno - titolare nell'U-19 tedesca - tira fuori l'annata della vita e letteralmente costringe il Bayer a comprarlo già a metà stagione. Quando Adler ritorna ad aprile, il suo posto è in panchina o nella seconda squadra.

Adler con il Bayer, la squadra che lo ha fatto conoscere in Germania.

Insomma, in due anni, Adler ha perso il posto in nazionale e nel club a causa degli infortuni; c'è mancato poco - come ha ammesso lo stesso giocatore - che perdesse anche la voglia di giocare, come è successo durante la riabilitazione dall'ultimo infortunio. Addirittura, il portiere ha lasciato intendere come egli stesse per buttarsi nello studio.. fortunatamente, qualche club era alla porta per portarlo con sé. All'inizio si è parlato dello Schalke, che ha cambiato tre portiere nel post-Neuer, ma non se ne è fatto nulla; poi è arrivato l'Amburgo, da anni in difficoltà tecniche e voglioso di rinascere, come testimoniato anche dall'acquisto di Van der Vaart. Adler è ripartito da lì e, sinora, il suo contributo è stato ottimo: solo sei reti inviolate, ma intanto l'ex Bayer è celebrato in patria, grazie alla sua ritrovata esplosività tra i pali. Oltretutto, anche il discorso nazionale si è riaperto: a causa delle sue prestazioni dubitanti, l'estremo difensore aveva perso anche il posto nei 23 chiamati da Loew, visto che all'ultimo Europeo non c'era. Questo non solo a causa degli infortuni, ma anche perché il movimento calcistico tedesco sta creando molti portieri validi: Ter-Stegen, Zieler, il sopracitato Leno. Perciò, il rientro di Adler in nazionale sembrava lontano; invece, nel novembre del 2012, il portiere è stato richiamato per un'amichevole con l'Olanda. Chiaro, non si parla di fare il titolare, ma forse questa è già una grandissima soddisfazione per Adler, capace di rinascere dopo aver toccato il fondo. Oltretutto, egli ha recentemente affermato di voler chiudere la carriera con l'Amburgo. Vedi i "casi della vita"?

La grinta di René Adler, 28 anni: è rinato con la maglia dell'Amburgo.

4.3.13

A thousand miles.

Attenzione, signori: domani sera si farà (probabilmente) la storia in quel di Manchester. All'"Old Trafford", si assisterà ad un momento da ricordare, che si potrà raccontare ai nipoti e a coloro che non c'erano. Tra qualche anno, potremmo ripensare a quel martedì 5 marzo 2013, quando un "mago" del calcio faceva 1000. Già, mille, come le presenze da professionista che Ryan Giggs potrebbe toccare in serata. Ci sarà il ritorno degli ottavi di Champions contro il Real Madrid, ma è probabile che i tifosi potrebbero far cadere la loro attenzione su altro, specie se il mancino di Cardiff scenderà in campo..

Giggs con la maglia del Galles, di cui è stato stella indiscussa.

Del resto, Vanessa Carlton cantava qualche anno fa: «'Cause you know I'd walk a thousand miles, if I could just see you tonight..». Era il lontano 2002 e la cantautrice americana non pensava certo a Ryan Giggs, allora 29enne e nel pieno dell'attività agonistica. Tuttavia, il pensiero potrebbe girare tra i tifosi nel vedere il loro beniamino raggiungere l'ambito traguardo. Se poi parliamo di uno degli assi dell'attuale mondo calcistico, l'evento è ancor più rumoroso ed è possibile che il pienone dell'"Old Trafford" sia tutto per lui.
Non è difficile fare una piccola cronistoria del "mago gallese", specie pensando alla ricchezza di momenti che l'hanno popolata. Cresciuto nelle giovanili del Manchester City e con un passato giovanile da rugbista, fu strappato dallo United nel giorno del suo 14esimo compleanno, quando lo stesso Sir Alex Ferguson - da un anno allenatore dei "red devils" - si presentò a casa sua. Fu uno dei primi pezzi dello splendido puzzle messo insieme da Sir Alex, che portò il Manchester United ai fasti conosciuti negli anni '60. Giggs, infatti, fa parte dei "Fergie's Feldglings", quei ragazzi che Ferguson e gli osservatori scoprirono per rilanciare lo United: tra loro, anche Beckham, Butt, i fratelli Neville e Scholes, per fare qualche nome. Dopo l'esordio nel 1991 con la maglia del Manchester, l'ascesa fu rapida: eletto "miglior giovane" della Premier League nelle due stagioni successive, Giggs ebbe successo anche fuori dal campo, tanto da condurre addirittura un programma televisivo, in modo da diffondere il marchio della Premier anche fuori dai confini britannici.
Se il suo volto era telegenico, i suoi piedi erano magici. Il talento era così tanto da far dire a George Best: "un giorno, si potrà dire che ero un altro Ryan Giggs". Parole pesanti, che però non hanno mai spiazzato il gallese; infatti, il "mago" continuava ad incantare in campo, con gol spesso scelti come i più belli tra quelli di fine anno. Su tutti, la sua serpentina contro l'Arsenal nel replay della semifinale di F.A. Cup del 1999 rimane forse il più bello fra tutti. E mentre Del Piero diceva di piangere quando vedeva giocare Giggs, il gallese continuava la sua scalata, vincendo anche la prima Champions League nella finale di Barcellona del 1999; grazie a questo trionfo, il Manchester centrò il "triplete".
Con il passare degli anni, Giggs ha sempre mantenuto una certa costanza di rendimento, anche grazie alla sua forma invidiabile, frutto dei tanti allenamenti e dello yoga, che lo ha tenuto sano e pronto per ogni battaglia. Oltretutto, nella sua maturazione, Ferguson è stato bravissimo: vedendo i tanti nuovi arrivi all'"Old Trafford" (Cristiano Ronaldo, Nani, Anderson ed altri), il tecnico scozzese ha spostato il gallese a centrocampo, in mezzo, a costruire gioco con la sua immensa classe. In tal modo, avrebbe dovuto correre di meno e - al tempo stesso - poteva partecipare alla manovra in maniera più efficace. In effetti, la mossa funziona: nel 2009, Giggs vince il premio di "miglior giocatore" in Premier, più quello di "personalità dell'anno" per la BBC. Nel frattempo, egli continua a stupire come se avesse dieci anni di meno, firmando rinnovi di un anno, per non essere un peso per lo United.

Giggs e Ferguson nel 1992: sembra passata un'era geologica.

Molto scalpore ha fatto il rammarico che Giggs non abbia potuto giocare per l'Inghilterra: nonostante i tanti vissuti lì, l'ala ha sempre manifestato la volontà di giocare per il Galles. Nonostante la sua longevità e l'esordio in tenera età (16 anni), Giggs ha smesso di giocare per i "dragoni" nel 2007, dopo 16 anni di attività. Peccato, perché egli chiuse con 64 presenze e 12 gol, dopo aver giocato anche con Ian Rush nei suoi primi anni in nazionale; oltretutto, per gli appassionati, rimane il dispiacere per non aver mai visto il "mago" in un Europeo o in un Mondiale. Non sarebbe stato male vedere l'ala in una competizione del genere, vista la sua grande esperienza. Una piccola rivincita è arrivata con la chiamata per le Olimpiadi, da giocare con la maglia della Gran Bretagna: l'eliminazione ai quarti è stata scottante, ma almeno Giggs ha potuto assaporare il calcio internazionale con una nazionale, seppur allargata.
Adesso, il tempo dei record è arrivato: è il primo di sempre per presenze con lo United in tutte le competizioni, così come è ottavo nella classifica di gol segnati per il club di Manchester. E non è detto che non migliori tali risultati, visto che il gallese ha addirittura prolungato il suo contratto, che scadeva nel giugno di quest'anno; invece, di accordo con Sir Alex, Giggs ha rimandato l'appuntamento con la panchina, visto che ha allungato l'accordo fino all'estate del 2014, quando avrà ormai quarant'anni e mezzo. Più leggenda di così, si muore. Dopo 21 anni e 33 trofei vinti con i "red devils" (quasi 34, visto come sta andando la Premier di quest'anno..), i record non si contano più sulle dita di una mano. E' l'unico ad aver giocato almeno una partita a stagione nella storia della Premier, nonché ad aver segnato in almeno una di esse; è il giocatore che ha segnato in più stagioni di Champions (16), oltre che il più vecchio ad aver realizzato almeno una rete; infine, va a segno da 23 stagioni consecutive.
Perciò, sarà facile dire che mille è il numero di Ryan Giggs: come le sue folate sulla fascia, i suoi passaggi smarcanti, ma sopratutto le sue presenze. Indimenticabili, indelebili, ma sopratutto insuperabili. Finché non arriverà qualcun'altro e dirà di non essere come lui.

Ryan Giggs, 39 anni: 1000 presenze e rinnovo con il Man Utd fino al 2014.

2.3.13

Ma che lamenti.

Ieri ha avuto luogo la partita più attesa in Serie A da un po' di tempo a questa parte: il Napoli ha ospitato la Juventus, nello scontro diretto che avrebbe potuto riaprire questo campionato. In realtà, l'1-1 finale certifica il fatto che i bianconeri sono ancora più forti degli azzurri, che potrebbero forse riprovarci l'anno prossimo, quando avranno più continuità. Ma la cosa incredibile è stato il pre-partita: discussioni che avrebbero potuto vertere su milioni di temi tecnico-tattici si sono ridotti a cosa? Alle lamentele per i pochi giorni di riposo per il match-scudetto. Quando parlo di pochi, mi riferisco a quattro giorni per la Juve e tre per il Napoli: i primi hanno vinto contro il Siena domenica scorsa, i secondi hanno pareggiato a Udine lunedì sera. Ma la situazione è veramente così tragica?

Antonio Conte, 43 anni, e Walter Mazzarri, 51: il duo delle lamentele in Serie A.

Si sarebbe potuta giocarla di sabato? No, perché la Juve avrà il ritorno di Champions contro il Celtic martedì: nonostante la pratica sia quasi portata a casa, i bianconeri vogliono avere tutto il vantaggio possibile, per il proprio prestigio e per quello del calcio italiano, che ha portato poche squadre ai quarti di finale negli ultimi anni. Così come oggi il Milan anticiperà al sabato per preparare al meglio la sfida di ritorno contro il Barcellona; allo stesso modo, le italiane in Europa League hanno giocato anche di lunedì per recuperare al meglio. Tutto ok, benissimo: la Lega prova a fare del suo meglio per evitare la stanchezza alle nostre rappresentanti in Europa. Risultato? Lamentele a non finire. C'è chi tenta di mantenere un profilo basso, come Allegri e Stramaccioni, che hanno spesso provato a giustificare brutte prestazioni con i loro errori tattici, più che attribuire risultati negativi alla stanchezza. Ogni tanto c'hanno provato, ma per lo più si sono appellati ad altre cause, come gli infortuni.
Se è per questo, la classifica di Serie A rispecchia anche quella dei lamenti: Juventus e Napoli sono in testa con netto distacco sulle altre. Non per nulla, le due società si sono scelte degli interpreti "doc" nella contestazione: Antonio Conte e Walter Mazzarri. Il primo è stato poco lungimirante: l'anno scorso, si osservava spesso come la Juve si giovasse della mancanza di impegni europei nella competizione per lo scudetto. Il tecnico ne è sempre stato cosciente, ma ha puntualizzato come non potesse essere il motivo principale per la vittoria bianconera; quest'anno, invece, la situazione si è capovolta. L'allenatore della Juventus non ha mai fatto mancare critiche per la gestione della stanchezza: ultimo caso, la sconfitta di Roma. Se Torino piange, Napoli non ride: Walter Mazzarri è uno specialista nei reclami, dopo anni di "gavetta". Se il tecnico di San Vincenzo è molto preparato sul campo, non disdegna certi siparietti neanche fuori: i continui richiami alle perdite di tempo, al campo, ai viaggi per l'Europa. Insomma, la stanchezza è sempre pronta a tirarti fuori dai guai. La stanchezza sta a Conte e Mazzarri come gli extracomunitari agli italiani spaventati: c'è sempre un motivo per tirarli fuori come motivi validi di preoccupazione, anche quando in realtà non hanno nessuna colpa.
L'unico che sta emergendo in controtendenza è Vladimir Petkovic: sarà perché è un signore di altri tempi, sarà perché è cresciuto in una realtà avulsa dal nostro mondo (fatto di lamentele e giustificazioni continue), ma il tecnico della Lazio si è raramente appellato alla stanchezza per giustificare il periodo d'appannamento che i biancocelesti hanno recentemente vissuto. Anzi, ha puntualizzato come - per chi vuole competere in Italia ed in Europa - tutto questo è normale.

Vladimir Petkovic, 49 anni, tecnico della Lazio: l'unico a fare una sana autocritica..

Eppure, guardando nel resto d'Europa, le chiacchere stanno a zero. C'è un'altra "cultura", come si dice in gergo: anche squadre inglesi, francesi, spagnole e tedesche giocano in Europa League (la competizione europea più gravosa in termini di recupero), ma non stanno a piangersi addosso come noi. Guardate sopratutto l'esempio germanico: il Borussia Moenchengladbach, ad esempio, ha sempre avuto un massimo di due giorni di riposo dopo l'Europa League durante il girone di qualificazione. Risultato? Cinque vittorie più un pareggio e tanti saluti alla scusa della stanchezza. Diverso il ruolino di marcia del Bayer Leverkusen, anch'esso soggetto a "soli" due giorni di stop dopo l'impegno europeo: due pareggi, due sconfitte e due vittorie. Tuttavia, tra queste, c'è anche quella contro il Bayern capolista e le "aspirine" viaggiano serene al terzo posto, a -1 dal Borussia Dortmund. Addirittura, il Bayer ha dovuto giocare con un solo giorno di riposo alle spalle dopo l'andata dei sedicesimi di finale contro il Benfica: ha vinto contro l'Ausgburg.
Cambi paese, ma le usanze rimangono le stesse: il Tottenham, prossimo avversario dell'Inter, si è potuto fregiare di due giorni di riposo, eppure è agli ottavi di Europa League ed è terzo in campionato. Andando in Spagna, l'Atletico Madrid è uscito a sorpresa nei sedicesimi di finale, ma aveva infilato sei vittorie su sei in campionato dopo l'impegno in Europa League, pur avendo solo due giorni di riposo. E, nel frattempo, i "colchoneros" riescono a stare davanti anche ai cugini del Real, avvicinandosi sempre più al sogno di tornare in Champions League, magari anche per tenere Falcao. Volendo concludere la carrellata, si può riportare l'esempio dell'Anzhi: saranno miliardari, ma sono più abituati alla fatica. Discorso che va approfondito, anche perché i russi hanno dovuto affrontare tre turni preliminari prima del gironcino: a luglio e agosto, la squadra di Eto'o ha usufruito - su sei partite di qualificazione - di un solo giorno (!) di riposo in quattro occasioni. Eppure, l'Anzhi è secondo in campionato ed è agli ottavi di Europa League, rischiando oltretutto di essere una possibile vincitrice della competizione.
Insomma, l'italica lamentela non attacca: a noi il riposo, agli altri le vittorie. Da cosa deriva questa incompatibilità tra il giocare il giovedì ed il sabato o la domenica? Da nulla, in realtà. Basterebbe usare in maniera sana il turn-over: un presidente non dovrebbe pagare 25-30 giocatori per schierarne 15 per due mesi intensi, in cui le energie vanno centellinate. Nonostante ciò, molti si appellano alla stanchezza; intanto, il ranking italiano non compie grandi passi in avanti. Le tedesche si stanno suicidando, ma vedremo quanto le squadre italiane riusciranno a colmare il gap in questa stagione: male che vada, c'è sempre la fatica a cui appellarsi.. parafrasando una canzone di Daniele Silvestri: «Lo so che non ti piacciono le situazioni in bilico, le cose che succedono.. e succedono lo so.. ma che lamenti, sei tu che butti sempre tutto giù; ma che lamenti, nel dubbio che poi non funzioni più, così fai tu».

Samuel Eto'o, 31 anni, capitano dell'Anzhi, possibile sorpresa in EL.