30.4.15

Davide ha vinto.

A Carpi saranno dispiaciuti per Lotito. Nonostante le speranze del patron laziale, gli emiliani sono in Serie A. La festa è partita dopo il pareggio interno contro il Bari. Un brutto 0-0, ma che è valso la promozione. Il giusto risultato per una stagione straordinaria, forse una delle vere sorprese della Serie B da qualche anno a questa parte.

Fabrizio Castori, 60 anni, allenatore del Carpi dei miracoli.

Un evento che qualche anno fa sarebbe stato impensabile. In 106 anni di storia, il Carpi Football Club non era mai arrivato così in alto. Nel 1996-97, il club aveva sfiorato per la prima volta la B, perdendo uno storico spareggio contro il Monza sul neutro di Ferrara. In quella squadra militavano Marco Materazzi e Matteo Pivotto, poi venduti a metà stagione. La società ha avuto alcune difficoltà finanziarie negli anni 2000, ma la fusione con la Dorando Pietri nel 2009 ha rimesso il Carpi sulla mappa dei professionisti nel 2010.
La B viene sfiorata nuovamente due anni dopo, quando il Carpi perde la finale dei play-off contro la Pro Vercelli al Braglia di Modena. L'esito finale sarà ben diverso nella stagione successiva: il Carpi torna nuovamente all'ultimo dei play-off, ma stavolta affronta la corazzata Lecce. I salentini sono i favoriti d'obbligo, ma nell'andata hanno la meglio gli emiliani, vittoriosi per 1-0. L'eroe è Mehdi Kabine, che segna il gol-vittoria e regala anche il pareggio al Via del Mare. La festa può partire per un'insperata promozione in B: è la prima volta del Carpi in cadetteria.
Dopo l'esordio al 12° posto, il 2014-15 del club biancorosso ha detto ben altro. Altra girandola di allenatori: se Fabio Brini aveva portato il Carpi in B e Beppe Pillon l'ha condotto alla salvezza, alla fine è arrivato Fabrizio Castori. Il tecnico sembrava fuori dal giro, invece ha fatto volare la squadra emiliana fin dalle prime giornate. Il Carpi ha il secondo miglior attacco (57 reti realizzate, solo dietro al Pescara), la miglior difesa (25 incassate) e ha fatto una striscia positiva di 13 risultati utili consecutivi tra ottobre e dicembre 2014.
E pensare che Fabrizio Castori non ha questa carriera scintillante alle spalle. Nonostante sia stato un allenatore vincente in C1 e tra i Dilettanti e ora venga incensato da chiunque, vanno ricordati i risultati di Castori nell'ultimo decennio. Dopo aver raccolto otto promozioni tra Serie C1 ed Eccellenza, il tecnico arriva finalmente in B. Se escludiamo il miracolo Carpi, l'unica esperienza positiva di Castori dell'ultimo decennio è il sesto posto a Cesena nel 2005-06. Nelle ultime otto stagioni, Castori ha registrato ben sei esoneri (tutti in B).
Tuttavia, ora è arrivato il suo momento di gloria e nessuno glielo toglierà. Famosa una sua frase che inquadra bene la difficoltà dell'emergere in provincia: «L'allenatore è come un sarto: deve cucire un abito con la stoffa che ha». Cultore del 4-4-2 e del 4-3-3, si ispira a due allenatori che hanno segnato la sua generazione: Arrigo Sacchi e Zdenek Zeman. Il suo Carpi si schiera con il 4-4-1-1, attento e pronto a partire in contropiede.
Classico modulo di chi deve salvarsi, ma non tutti hanno Jerry Mbakogu davanti e Lorenzo Lollo alle sue spalle. Quando il Carpi si abbassa di trenta metri, il nigeriano è pronto ad affondare le difese avversarie con la sua velocità. Lollo è stato finora un onesto mediano, ma Castori l'ha spostato a trequartista dopo la squalifica di Concas e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: è la miglior stagione della sua carriera.


Il tutto con buona pace di Claudio Lotito, al centro di una grande polemica per l'eventuale salita in A di due formazioni di provincia (fa i nomi di Carpi e Frosinone), il presidente della Lazio sperava nella promozione del Bologna piuttosto che di qualche realtà minore. E la toppa è venuta peggio del buco. Ma con buona pace del numero uno della Lazio e consigliere oscuro della Lega, è stato già spiegato come sia inutile incentrare il futuro della Serie A sui diritti tv prima di migliorare lo spettacolo.
Strano ma vero, i paragoni con l'Inghilterra si sprecano. Non so se sono stato l'unico a notarlo, ma il font dei numeri e dei nomi sulle maglie del Carpi è lo stesso che appare sulle casacche delle compagini di Premier League. La loro storia è particolare, una vera e propria fairytale alla inglese: se stessimo parlando di un club arrivato alla finale di League Cup (vedi il Bradford 2013), staremmo già sprecandoci in complimenti. Inoltre il passato di Castori rimanda a personaggi di cui è piena la storia del calcio inglese.
E c'è anche lo stadio, piccolo come quello di una formazione di Conference Premier (quinto livello del calcio britannico). C'è chi pone problemi per la casa del Carpi, il Sandro Cabassi, che può ospitare solo 4164 persone. Per fare un paragone proprio con le formazioni della Conference Premier, solo tre delle 24 partecipanti hanno uno stadio più piccolo di quello degli emiliani. Lo stadio verrà ampliato di 3000 posti nei prossimi due anni, ma è probabile che il Carpi torni a giocare al Giglio di Reggio Emilia per il 2015-16, oggi conosciuto come Mapei Stadium. La formazione biancorossa vi è già stata ospite durante il 2011-12, quando il Cabassi era in ristrutturazione.
La rivalità calcistica in Emilia-Romagna è molto forte. La Serie A ha visto molte formazioni da quella regione disputare il massimo campionato italiano. Con il Parma in fallimento e il Bologna forse incapace di tornare in A dalla porta principale, il Carpi fa notizia. E se il Sassuolo si mantiene in A brillantemente e si fa comporre da Nek il nuovo inno del club, il Carpi si rivolge a Paolo Belli e punta a stupire tutti nella prossima stagione. Le due squadre della provincia di Modena si sono già sfidate nell'estate scorsa: finì 2-0 per i biancorossi con una doppietta di Mbakogu.
La storia del Carpi insegna comunque che in provincia si può ancora fare calcio in una certa maniera. Questa promozione non è frutto solo del lavoro di Castori e dei suoi ragazzi, ma anche del presidente Caliumi, del d.s. Giuntoli e di tutta la gente che ha fatto così bene in Emilia quest'anno. Ora Davide - oltre ad aver sconfitto Golia (Bologna, Catania e compagnia bella) - è pronto a sfondare in Serie A. Chi ha detto che sono già spacciati? Il miracolo Chievo non vi ha insegnato nulla?

Jerry Mbakogu, 22 anni, a segno per 14 volte in questa Serie B.

28.4.15

ROAD TO JAPAN: Ryota Oshima

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Road to Japan", la rubrica che vi consiglia i migliori prospetti cresciuti nel paese del Sol Levante. Oggi ci spostiamo nella prefettura di Kanagawa e precisamente a Kawasaki, città situata poco più a sud di Tokyo. Lì giocano i Frontale, che hanno in squadra un ragazzo dal futuro assicurato: Ryota Oshima, professione centrocampista.

SCHEDA
Nome e cognome: Ryota Oshima (大島 僚太)
Data di nascita: 23 gennaio 1993 (età: 22 anni)
Altezza: 1.68 m
Ruolo: Centrocampista centrale, trequartista
Club: Kawasaki Frontale (2011-?)



STORIA
Nato a Shizuoka nel dicembre 1993, Ryota Oshima si fa notare per la prima volta alla Prince Takamado Cup, la competizione che vede le migliori formazioni U-18 e U-15 sfidarsi tra loro. Nell'edizione del 2010, Oshima gioca con la maglia della Shizuoka Gakuen School, la scuola nella quale il ragazzo si è iscritto. La formazione scolastica fa un sacco di strada, arrivando fino alle semifinali, perse contro l'U-18 dei Sanfrecce Hiroshima. Tra i migliori centrocampisti del torneo, accanto a due "illustri sconosciuti" come Gaku Shibasaki e Yoshinori Muto, c'è anche Oshima.
Dovrebbe andare all'università, ma in realtà le squadre di J-League l'hanno già adocchiato e lui così deve subito scegliere quale sarà il club per il suo esordio da professionista. La spuntano i Kawasaki Frontale, desiderosi di trasformarlo nel riferimento del club. Nei Frontale, Oshima ha il piacere di imparare da due mostri sacri della storia recente del calcio giapponese come Kengo Nakamura e Junichi Inamoto.
Nel suo anno da rookie, Naoki Soma lo schiera più del dovuto e alla fine sono 14 le presenze stagionali di Oshima. Non male, ma si può coinvolgerlo di più. Lo capisce Yahiro Yazama, che è il nuovo allenatore dei Frontale dopo la cacciata di Soma nell'aprile 2012. Con lui si gioca un calcio offensivo, più votato all'attacco, quello che si è portato dietro dall'università di Tsukuba. Un 4-3 e fantasia, dove i tre davanti si spostano continuamente, non dando dei veri punti di riferimento agli avversari.
Nel 2012 arriva anche il primo gol da professionista contro lo Jùbilo Iwata. Da lì, la strada è in discesa: Oshima cresce insieme alla squadra, tanto che i Kawasaki arrivano terzi nella J-League 2013, ad appena tre punti dal titolo. Gli infortuni hanno condizionato quella stagione per Oshima, ma alla fine i miglioramenti non si sono fermati. Con l'occasione di partecipare alla Champions League asiatica l'anno scorso (con il Kawasaki eliminato agli ottavi di finale), il centrocampista si è preso anche la ribalta continentale.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Ciò che gli manca in termini fisici lo colma con una visione del campo di altra categoria. Seppur abbia solamente 22 anni, Oshima ha già avuto modo di accumulare parecchia esperienza con la sua squadra. E giocare accanto a un mostro del centrocampo come Kengo Nakamura - che con gli anni ha lasciato la posizione di mezzala e si è trasformato in una sorta di metodista - lo aiuterà certamente nel proseguo della sua carriera.
Credo sia indicativo il fatto che i tifosi dei Frontale l'abbiano rinominato Kengo II: per il suo gioco, Oshima assomiglia molto al suo capitano, con l'eccezione che atleticamente il giovane Ryota sembra avere doti migliori rispetto a Kengo. Centrocampista creativo, è capace con la sua visione di gioco di aprire il campo come pochi altri in Giappone. L'ha dimostrato nella sua ultima stagione (dati Football Lab: è il primo della graduatoria).
Può giocare anche da esterno destro, come gli ha fatto fare Soma nel suo primo anno da professionista. O a sinistra, dove ogni tanto l'ha impiegato Kazama. Tuttavia, lasciarlo in mezzo al campo a creare gioco è la soluzione migliore.

STATISTICHE
2011 - Kawasaki Frontale: 14 presenze, 0 gol
2012 - Kawasaki Frontale: 26 presenze, 3 gol
2013 - Kawasaki Frontale: 17 presenze, 0 gol
2014 - Kawasaki Frontale: 41 presenze, 2 gol
2015 - Kawasaki Frontale (in corso): 9 presenze, 0 gol

NAZIONALE
Se Hasebe e Shibasaki sono il meglio che il Giappone ora possa mettere in campo per la sua coppia di centrocampo, per il futuro ci sono Oshima e colui che lo completa meglio, ovvero quel Wataru Endo capitano dello Shonan Bellmare (ne parlai qui). Una chiamata nella Nippon Daihyo del nuovo ct Halihodzic (o nel Dzic Japan, come lo chiamano ora) non andrà forzata.
Non ce n'è bisogno, anche perché Oshima sarà una delle colonne dell'U-23 di Teguramori, che sta cercando la qualificazione per l'Olimpiade di Rio 2016. Se il Giappone sarà presente in Brasile, Oshima sarà certamente chiamato. Ma il futuro è in mano sua. E poi il centrocampista dei Frontale ha già fatto tutta la trafila giovanile: U-18, U-19 e U-22.

LA SQUADRA PER LUI
In questo momento, rimanere a casa Frontale è per lui la cosa migliore. Specie perché un talento del genere non nasce spesso e va cullato. Un intero 2015 in Giappone rappresenta la scelta più giusta. Poi qualche club potrebbe farsi venire l'acquolina in bocca prima che parta l'Olimpiade di Rio, magari comprando Oshima e lasciandolo in J-League fino al torneo olimpico.

26.4.15

Il maestro e l'allievo.

Titoli di coda, anche se non proprio inaspettati. Jürgen Klopp ha annunciato qualche giorno fa il suo addio al Borussia Dortmund dopo un ciclo molto proficuo al Westfalen, durato sette anni. Il club giallonero ha anche annunciato il suo successore, quel Thomas Tuchel che è considerato la prosecuzione naturale del lavoro di Kloppo.


Klopp ha deciso di salutare la gente di Dortmund. La crisi del settimo anno non è solo un mantra per alcuni matrimoni della vita reale, ma anche per quelli calcistici: il BVB quest'anno è stato per lunghi tratti del suo campionato in zona retrocessione. Addirittura i gialloneri erano ultimi alla pausa invernale della Bundesliga. In Europa le cose sono andate bene nel girone, poi nel doppio confronto con la Juventus sono uscite tutte le pecche di una squadra ormai un po' logora e che forse ha già dato il meglio in questa versione.
L'ha spiegato lo stesso Klopp nella conferenza stampa dove ha annunciato la sua partenza: «Ho sempre detto che quando avrei creduto di non esser più l'allenatore perfetto per questa squadra, l'avrei detto. Penso che la decisione sia quella giusta. Questo club merita di esser guidato dal manager più adatto». Al rientro dalla pausa invernale, il Borussia è passato dall'ultimo al nono posto, ma Klopp ritiene concluso il suo ciclo vincente a Dortmund.
E ora? La stagione del 2015-16 BVB è delineata, ma il futuro prossimo è tutto da definire. I gialloneri cercano una rincorsa difficile all'Europa: con sole quattro partite di Bundesliga da disputare, i tre punti da recuperare alla coppia formata dall'Augsburg e dai cugini dello Schalke 04 potrebbero esser troppi per la banda di Klopp. Possibile che il Dortmund cerchi l'Europa anche tramite la DFB-Pokal: chiudere una vittoria sarebbe il massimo per il tecnico.
Lo scontro con il Bayern Monaco di martedì sera sarà importantissimo per il BVB. Certo, battere il Bayern di questi tempi non è facile (vedi l'ultimo quarto di finale in Champions). Tuttavia Klopp sa come battere i bavaresi e sa come mettere in difficoltà Guardiola. In questi due anni tedeschi di Pep, il bilancio per Klopp di è tre vittorie e quattro sconfitte. Due DFL-Supercup sono arrivate con successi in gara secca contro i bavaresi (2-0 nel 2014, 4-2 nel 2013). Con una vittoria in coppa, il club potrebbe giocare l'Europa League del prossimo anno direttamente dai gironi.
Al posto di Klopp, arriverà Thomas Tuchel, una sorta di allievo per Kloppo. Tuchel è da tempo considerato in Germania il successore di Klopp, ma solo nei giorni scorsi è stato ufficializzato il passaggio al Borussia Dortmund: il contratto sarà fino al giugno 2018. Il tecnico aveva lasciato il Mainz a maggio 2014 dopo un piazzamento in Europa League, nonostante ci fosse un altro anno di contratto. A Magonza non hanno voluto liberarlo e così Tuchel è rimasto un anno fermo. Dopo esser stato cercato con insistenza dallo Schalke 04, ora finirà sull'altra sponda della Ruhr.

Jürgen Klopp, 47 anni, lascia il BVB dopo sette stagioni.

Due personaggi comparabili, sopratutto in campo. Le tattiche differiscono, ma i percorsi e i risultati sono stati simili. Klopp è un amante del 4-2-3-1, mentre Tuchel è più malleabile e preferisce adattarsi all'avversario che si trova di fronte. La curiosità che li unisce è che entrambi sono arrivati a 41 anni sulla panchina giallonera: chissà che non possano esser legati anche dagli stessi successi. Far meglio di Klopp (cinque trofei e una finale di Champions persa) sarà dura. Il manager del BVB è arrivato con un club sull'orlo del fallimento e l'ha portato in tre anni alla vittoria in campionato con un gran gioco.
I due sono legati anche da un passato comune al Mainz 05. Klopp è un simbolo del club, visto che ha vestito unicamente quella maglia dal 1989 al 2001: nato attaccante, concluse la sua carriera come difensore. Appena ritiratosi, è divenuto l'allenatore del club, guidandolo all'esordio in Bundesliga e a una qualificazione europea. Quando nel 2008 Klopp ha lasciato Magonza, Tuchel è stato nominato allenatore delle giovanili, ma è stato assunto come guida della prima squadra solo nel giugno 2009. Da lì, due qualificazioni europee e cinque salvezze consecutive prima di dirsi addio.
Inutile dire che le prospettive del Borussia Dortmund passano dal mercato: quest'anno i nuovi acquisti hanno toppato clamorosamente. Kagawa non sembra più quello del primo periodo al Westfalen. Immobile si è rivelato inadatto a sostituire Lewandowski, specie in campionato, dove ha segnato solo tre gol (contro i sette delle coppe). Inoltre, Nuri Şahin non ha dato molto e Kevin Kampl deve ancora integrarsi con i compagni.
Preoccupa sopratutto l'involuzione di Adrián Ramos, arrivato quest'estate dall'Hertha Berlino e che ha giocato solo 56' dalla pausa invernale della Bundesliga. Alcuni lasceranno Dortmund - leggi Hummels e Gündoğan - mentre gente come Reus e Aubemeyang potrebbero rimanere per far ripartire il BVB sotto la guida di Tuchel. Sarà fondamentale recuperare l'entusiasmo: lo stadio è sempre pieno, ma persino Weidenfeller è stato convocato dai suoi tifosi sotto la curva quest'anno dopo l'ennesima sconfitta.
Ora il maestro tenta di superare l'allievo. Il futuro di Klopp è tutto da definire: non si prenderà un anno sabbatico, ma per ora molte panchine importanti sono occupate. Il suo sogno sarebbe allenare il Manchester United, ma è possibile che l'altro lato della città lo cerchi in estate. E attenzione a quel furbone di Tuchel, perché non è detto che non riesca a fare meglio del suo maestro. Visti i miracoli realizzati con il Mainz, aspetterei a piangere se fossi un tifoso del Borussia Dortmund.

Thomas Tuchel, 41 anni, allenerà il Borussia Dortmund dal 2015-16.

23.4.15

Troyes bien.

La matematica non dà ancora nessuna certezza, ma ci siamo quasi. A sei partite dalla fine, il Troyes conserva 10 punti di vantaggio sulla seconda e 16 sulla quarta, la prima delle non-promosse. In Ligue 2 non c'è stata storia: i Troyens sono stati per tutto il campionato in zona promozione e ora sono vicini a tornare in Ligue 1 a soli due anni dall'ultima retrocessione.

Benjamin Nivet, 38 anni, capitano e simbolo del Troyes.

Merito di un club che ha saputo rimanere unito nei momenti difficili. Da poco il Troyes è nell'élite del calcio francese, ma negli ultimi 15 anni si è abituato a fare l'ascensore tra la prima e la seconda divisione. La squadra è vicina a ottenere la quarta promozione dalla fine degli anni '90, quando si affacciò per la prima volta in Ligue 1. Tuttavia, la storia del club parla anche di partecipazioni europee e momenti di gloria.
Nato in una città da 60 mila abitanti, il Troyes è molto giovane: la data di fondazione risale all'agosto 1986. Nel 1900 viene creata l'Union Sportive Troyenne, poi trasformatasi nell'Association Sportive Troyenne nel 1931. A metà degli anni '60 il club fallisce e bisogna ricominciare da capo. Arriva una seconda era con una nuova denominazione: nasce il Troyes Aube Football, che torna per cinque stagioni in Ligue 1. Tuttavia, nel 1979 arriva l'ennesimo fallimento per bancarotta e Troyes rimane nuovamente senza un club.
La svolta vera arriva nel 1986, quando Maurice Cacciaguerra e Angel Masoni fondano insieme ad altri l'Association Troyes Aube Champagne, ovvero il club che ancora oggi calca i campi francesi. All'epoca c'è stato un contenzioso con chi aveva riallocato il club altrove, ma Masoni e soci si riprendono quanto volevano. Al momento in cui scrivo, è Daniel - figlio di Angel - il presidente del Troyes. Si riparte dalla sesta serie, ma la risalita è veloce.
Nel 1999 il Troyes è tornato in Ligue 1 dopo 21 anni, quando vi giocò sotto altra denominazione. Il merito è stato di Alain Perrin, oggi ct della Cina ma per quasi un decennio allenatore dei Troyens. Dopo una prima salvezza faticosa, arrivano due settimi posti, che portano il Troyes in Intertoto. Lì il club francese elimina addirittura il Newcastle con uno storico 4-4 al St. James' Park, prima di esser eliminato al secondo turno dal Leeds United. Quando le notti europee finiscono, arriva la prima retrocessione. Dopo aver evitato l'ennesimo fallimento, il club ha un'altra risalita nel 2005 e una seconda discesa nel 2007.
Il club è sceso persino in terza divisione nel 2010. Dopo l'ennesimo ascensore tra il 2011 e il 2013, il Troyes non ha cambiato molto. Si è puntato sulla stabilità: ha tenuto lo stesso allenatore, ha confermato - dove ha potuto - lo stesso blocco di giocatori. Un anno di esperimenti, di attesa, con il 10° posto del 2013-14. Poi l'affermazione di questa stagione: il Troyes ha il miglior attacco (48 reti segnate), la miglior difesa (17 incassate) e il maggior numero di vittorie (20). Non c'è che dire: la squadra si sta stra-meritando questa promozione. Tutto ciò nonostante nei primi 20 della classifica cannonieri ci siano solo due giocatori del Troyes (Jean e capitan Nivet).


L'uomo che sta dietro alla vicina risalita del club è certamente Jean-Marc Furlan, al terzo mandato da tecnico del Troyes. Prima di arrivare nell'Aube, l'allenatore si era messo in luce con il Libourne Saint-Seurin: all'epoca Furlan - ex giocatore professionista da 420 gare - aveva aperto un negozio di articoli sportivi e sembrava accontentarsi di accompagnare il figlio a calcio. Invece, la sua squadra fa penare parecchi nella Coupe de France 2001-02, eliminando tra l'altro due formazioni di Ligue 1 come Metz e Lens. Ai quarti la corsa si fermò, ma nessuno l'ha dimenticata.
Il Troyes lo nota e lo chiamerà per tre volte alla guida del club. Nel primo mandato, Furlan porta la squadra per la seconda volta in Ligue 1, con un calcio spettacolare e offensivo. È lui a far esordire nella massima serie francese giocatori come Gomis e Matuidi. Tuttavia, quando il Troyes scende nuove in Ligue 2, lui prova nuove avventure. Purtroppo le esperienze con Strasburgo e Nantes sono dei fallimenti. E così torna a Troyes, dove conduce ancora l'Estac in Ligue 1. Stavolta rimane nonostante la retrocessione e ha pure raggiunto le semifinali di Coupe de la Ligue nella scorsa stagione.
In tutto questo, lanciare un gruppo giovane è stato fondamentale. Furlan è uno scopritore di talenti e non è detto che alcuni dei suoi ragazzi tra qualche anno non si ritrovi in qualche squadra importante. Tuttavia, l'esperienza di un giocatore come Benjamin Nivet è stata fondamentale. Il capitano dei Troyens aveva già giocato allo Stade de l'Aube dal 2002 al 2007, con il numero 10 sulle spalle. Lo stesso che si è ripreso quando è tornato al club tre anni fa, dopo un quinquennio al Caen. Conosce benissimo Furlan e ora si prepara con i suoi compagni ad affrontare la Ligue 1 alla veneranda età di 38 anni. E pensare che nel 2012 aveva firmato un contratto annuale con opzione per un rinnovo di un altro anno. Invece Benjamin non molla mai.
Nelle ultime settimane è partito il conto alla rovescia per la promozione. Con 16 punti di vantaggio sulla quarta, basta una vittoria nel prossimo turno: domani l'Estac sarà di scena sul campo del Nancy, ancora in corsa per i primi tre posti. Per altro, il Troyes si prepara a migliorare ulteriormente i suoi record: le tre promozioni precedenti sono arrivate tutte tramite un terzo posto. Quest'anno, invece, l'Estac può vincere il campionato e presentarsi alla Ligue 1 2015-16 come una mina vagante. Trés bien. Anzi, Troyes bien.

Jean-Marc Furlan, 57 anni, vicino alla sua terza promozione con l'Estac.

20.4.15

Argentina, amore mio.

L'Argentina è una nazione legata a doppio filo all'Italia. Sarà per l'invasione di nostri connazionali che attraversò l'Atlantico a cavallo tra '800 e '900 per andare in Sud America. Oppure perché il nostro calcio è stato colonizzato dagli argentini. Un legame che continua anche in questa Serie A: tra i primi cinque della classifica cannonieri, quattro vengono dall'Albiceleste.

Duello tra nueve: Paulo Dybala, 21 anni, contro Mauro Icardi, 22.

Quattro personaggi, quattro giocatori diversi. Il primo è Mauro Icardi, arrivato alle cronache calcistiche da qualche anno, ma che ha attirato molta più attenzione fuori (vedi Wanda Nara). Il campo parla però di 21 gol stagionali, nonostante l'Inter versi a metà classifica e sia ormai fuori da tutto. Di questi, 16 sono stati realizzati in 29 partite di Serie A. Nell'ottobre 2014 è arrivato anche il tanto atteso esordio con la nazionale argentina, dopo che Icardi aveva flirtato con Prandelli e l'Italia all'inizio del 2013, quando giocava ancora con la Sampdoria.
Un nome nuovo è quello di Paulo Dybala, letteralmente esploso in questa stagione. Acquistato dal Palermo nell'estate 2012 per 12 milioni di euro dall'Instituto, Zamparini l'aveva dipinto come un fenomeno. Tuttavia, le sue prime due annate italiane - una in A, l'altra in B - hanno visto un giocatore capace di segnare solo otto reti e terribilmente discontinuo. Tutto cambiato nel 2014-15: siamo a 13 reti e 10 assist, l'unico a realizzare una doppia-doppia in Italia. E ieri si è distinto nuovamente nella gara contro il Genoa (un assist e mezzo). Dybala sogna l'esordio in nazionale e ieri c'era pure il ct argentino Martino in tribuna al Barbera.
Se vogliamo parlare di super-star della Serie A, due su tre sono argentine (l'altra è Pogba). Gonzalo Higuaín è arrivato a Napoli per sostituire Cavani, L'argentino è valso per ora una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, più un ottimo rendimento europeo (13 reti in 22 partite tra Champions ed Europa League). In quasi due anni di Napoli, siamo a 48 gol segnati in 94 match con la maglia azzurra. Giovedì Higuaín si è distinto anche a Wolfsburg, dove una sua rete ha aperto il 4-1 dei partenopei in Germania. Nonostante i tanti impegni europei, siamo a 13 marcature in A. Ora sotto il Vesuvio si sogna di vincere un'altra coppa con El Pipita.
Infine, Carlos Tévez è diventato il punto di riferimento della Juventus. Lui è il capocannoniere della Serie A 2014-15: 18 reti, di cui due su rigore. Anche nella vittoria con la Lazio è stato importante, nonostante non abbia segnato. Si vocifera molto del suo futuro: il sogno di Carlos è tornare a vestire la maglia del Boca Juniors, primo amore della sua carriera. Ma intanto il suo score alla Juventus è impressionante: Tévez ha segnato 47 gol in 87 partite con la Vecchia Signora,. L'argentino ha migliorato di parecchio la sua media-gol rispetto alla prima annata italiana grazie ai gol in Europa. Ed è l'altra superstar di un campionato sempre più povero come il nostro.

Gabriel Batistuta e Hernan Crespo: due cannonieri della Serie A 2000-01.

Si potrebbe fare un paragone con il 2000-01, quando la Serie A conobbe lo stesso movimento di argentini in area di rigore. A comandare quella classifica cannonieri fu Hernan Crespo, 26 gol con la maglia della Lazio. Gabriel Batistuta ne segnò 20 al suo primo con la Roma: reti che gli valsero il primo scudetto della sua carriera. Non andò male neanche El Pampa Roberto Sosa, che ha segnato in quella stagione il maggior numero di gol in una stagione di A (14, senza rigori). Infine, Julio Cruz alle prese con la sua prima annata a Bologna: sette le marcature realizzate nella massima serie, 11 in stagione.
A gennaio 2015, ci si è ritrovati nella straordinaria situazioni di quattro argentini a occupare le prime posizioni della classifica cannonieri: mai successo in Serie A. E se escludiamo gli attaccanti di casa nostra, quelli argentini sono quelli che più spesso hanno vinto la classifica cannonieri della Serie A: è accaduto ben otto volte (davanti alla Svezia, a quota 7). L'ultima volta avvenne proprio con Crespo nel 2000-01. Ed è possibile che quest'anno la coincidenza abbia di nuovo luogo.
Da questo ragionamento, per altro, rimangono esclusi attaccanti comunque straordinari come Abel Balbo (117 reti in A), Ezequiel Lavezzi (gran contropiedista), Diego Milito (due stagioni da 46 gol in A) e Claudio López (segnato dagli infortuni nei quattro anni alla Lazio). E l'Italia? Il miglior marcatore di casa nostra è quel ragazzo di 38 anni chiamato Luca Toni, 15 reti con un derelitto Hellas Verona. Ecco qua la nostra crisi: non abbiamo grandi bomber e colui che ha vinto la classifica capocannonieri l'anno scorso - Immobile, con il Torino - soffre la panca al Borussia Dortmund. Ma che ci frega? Meglio l'Argentina.

Star argentine: Carlos Tévez, 31 anni, contro Gonzalo Higuaín, 27.

16.4.15

Il romanticismo non è morto.

Finalmente protagonista, come forse solo aveva sognato. Nella quarta vittoria consecutiva del Crystal Palace, spunta la tripletta di Bolasie e i meriti vanno a Pardew, ma c'è qualcuno che può gioire. Glenn Murray è al sesto gol nelle ultime sei gare di Premier e ora può prendersi i meritati applausi. Se oggi le Eagles festeggiano una quasi-salvezza, lo devono a lui.

Murray con la maglia del Reading: solo quattro mesi al Madejski.

Con il Sunderland il gigante del Palace ha segnato ancora e ha fornito due assist a Bolasie. Tutto va bene, ma il clima d'amore di Murray con il Crystal Palace è ricominciato da poco. Il centravanti - classe '83 - è esploso tardi dopo aver fatto la cosiddetta gavetta: varie squadre l'avevano tesserato tra i dilettanti, ma la vera consacrazione è arrivata con la maglia del Rochdale a 25 anni. Acquistato dal Brighton (nel quale formò una coppia d'oro con Craig Mackail-Smith in League One), dopo tre anni e mezzo è arrivato finalmente in Championship a 28 anni con le Eagles.
Giunto a parametro zero, Murray si è tolto più di una soddisfazione al Salhurst Park. Il primo impatto con la categoria è duro: il numero 17 segna solo sette gol in 44 presenze alla sua prima stagione con il Crystal Palace. Ma tra questi c'è la rete che porta il club in semifinale di League Cup: un gol che elimina il Manchester United di Alex Ferguson ai supplementari. Il suo primo allenatore al Palace, Dougie Freedman, dirà spesso: «Mi fido di Glenn: è il giocatore che serviva a questa squadra». Una volta presa confidenza con questo livello del calcio inglese, nulla sarà come prima.
Nel 2012-13 la metamorfosi: si passa allo score di 31 reti in 45 presenze e il Crystal Palace - giunto 17° la stagione precedente - torna in Premier League tramite i play-off. Un mostro, tanto che solo per poco Murray non viene nominato miglior giocatore di quell'anno in Championship. In panchina c'è Ian Holloway, che gioca con un 4-3-3 spregiudicato e vede in quel ragazzone di 188 centimetri il terminale ideale per il suo gioco. Purtroppo, un infortunio lo mette fuori gioco per diversi mesi e così l'esordio di Glenn in Premier League passa inosservato (un gol in 14 presenze).
Il Palace si salva con quel miracle-man chiamato Tony Pulis, ma quando inizia la stagione 2014-15 per Murray non c'è più spazio. Il centravanti deve andarsene, anche perché Neil Warnock punta sul ritorno di Andy Johnson (che però ha 34 anni) e sul prestito di Kevin Doyle dal Wolverhampton. Il primo gioca una gara sola in League Cup, il secondo fa un gol in sei partite e poi torna ai Wolves. In questo scenario, Frazier Campbell segna a intermittenza e Marouane Chamakh ha la stessa concretezza di sempre (nulla).
Esonerato Warnock, arriva Alan Pardew. Ex calciatore delle Eagles, il manager ordina il ritorno immediato di Murray, che intanto si sta divertendo con il Reading in Championship (otto gol in 18 gare con i Royals). Richiamato a gennaio al Selhurst Park, ecco il rinnovo di contratto fino al 2017 e l'immediata maglia da titolare. Finora Pardew non è rimasto deluso: Murray ha segnato sei reti e fornito tre assist dal suo ritorno al Crystal Palace. Un anno di apprendistato in Premier League è bastato, se è vero - com'è vero - che Murray ha già impallinato Manchester City e West Ham (due volte).


Guardando Murray, viene in mente l'exploit avuto da Grant Holt nel 2012-13: una volta gommista a Carlisle, il numero 9 del Norwich City - al suo esordio assoluto in Premier League - confezionò una stagione straordinaria da 15 reti. Tra le sue vittime, Chelsea, Manchester United e Arsenal. E in quell'estate del 2012, qualcuno lo propose anche per la convocazione a Euro 2012 con la maglia dell'Inghilterra. Murray non è alla prima stagione nella massima serie inglese, ma è come se lo fosse.
Storia diversa quest'anno, anche se non ha ancora un'intera stagione attiva alle spalle in Premier League. Come confermano i dati Squawka, in Inghilterra solo Giroud dell'Arsenal e Benteke dell'Aston Villa hanno seguito la sua media-gol da quando è tornato al Palace. Nelle cinque migliori leghe europee, è ottavo. Pardew ha ammesso di esserne innamorato dal punto di vista calcistico: «Ha dovuto cambiare un pochino il suo gioco, ma lo fece anche Alan Shearer quando tornò dopo un serio infortunio con il Newcastle. Quegli infortuni l'hanno reso più forte. L'ho sempre ammirato e ho spesso pensato che mi sarebbe piaciuto averlo in squadra».
Lo stesso Murray ha pensato che con Warnock la sua avventura al Palace fosse finita: «Non avevo nessuna esperienza con lui, ma in tre-quattro giorni ero stato mandato via. Sembrava fosse una cosa permanente, ma poi sono tornato... è un gioco strano questo». Anzi, se Pardew non fosse arrivato sulla panchina delle Eagles, probabilmente Murray si sarebbe trasferito a titolo definitivo al Reading, dove stava facendo molto bene.
Invece oggi Murray sogna la chiamata di Roy Hogdson. C'è chi assicura che il ct inglese stia attentamente monitorando i progressi del centravanti. In fondo, Jay Bothroyd ha avuto una chance. Rickie Lambert ce l'ha avuta. Perché Murray dovrebbe esser escluso dalla corsa alla maglia della nazionale? Se escludiamo Rooney, Kane e Sturridge, un posto per lui potrebbe anche esserci. L'Inghilterra non ha più il centravanti di sfondamento e la media-gol di Murray in questo momento potrebbe far comodo.
Se fosse nato una trentina di anni fa, sarebbe il titolare fisso - nonché riferimento avanzato - di un Inghilterra dura e resistente. Il calcio è cambiato, ma alcune favole hanno ancora la possibilità di esistere. Del resto, oggi Murray forma lo stesso tridente della promozione di due anni fa (con Zaha e Bolasie). I tifosi del Palace non l'hanno mai dimenticato. Murray non deve più sognare: oggi è tutto reale e il romanticismo non è morto (per nostra fortuna).

Glenn Murray, 31 anni, condottiero del Crystal Palace.

13.4.15

L'altro gemello.

Poteva essere un Enyinnaya per Cassano, invece sembra esser un più dignitoso Pippen per Jordan. Marco Reus ha lasciato Mönchengladbach e il Borussia quasi tre anni fa in Champions League. Ora la squadra di Lucien Favre può tornare dalla porta principale della massima competizione europea grazie al gemello di Reus in quegli anni, ovvero quel Patrick Herrmann che sembra ormai esploso.

Herrmann e Reus, la coppia d'oro del Gladbach nel 2011-12.

L'occasione migliore per rivedersi è capitata sabato scorso, quando il Gladbach ha travolto il Dortmund per 3-1 in casa. Un altro risultato di prestigio in una stagione fantastica, con il numero 7 dei Fohlen che ha messo l'assist per il momentaneo 2-0 e ha partecipato anche al vantaggio dopo 28 secondi. Il Dortmund, già. La squadra proprio di Marco Reus. Una delle vittime in una delle risalite più gloriose del club, quando nel 2010-11 la compagine di Favre si assicurò i playout proprio con una vittoria casalinga per 1-0 sui gialloneri.
A distanza di quattro anni, la carriera di Herrmann è cambiata parecchio. Nato a Saarbrücken, il giovane Patrick cresce nelle giovanili del club locale, fino all'offerta del Borussia Mönchengladbach nel 2008. All'epoca Herrmann ha 18 anni e tanto da imparare. Lo conferma anche nelle sue prime apparizioni in Bundesliga: Frontzeck lo fa esordire contro il Bochum nel gennaio 2010 e un minuto dopo mette l'assist per l'1-1. Il club si salverà alla fine di quella stagione, ma Herrmann si fa spazio gradualmente in prima squadra e ottiene un nuovo contratto fino al 2014.
Il merito va a Lucien Favre, il tecnico principale che il numero 7 del Gladbach abbia avuto nella sua (breve) carriera. Arrivato nel gennaio 2011 al Borussia Park, ad agosto scorso avevo già lodato il lavoro dell'allenatore svizzero. Capire che questo Gladbach sarebbe andato lontano non era difficile: i segnali c'erano già l'anno scorso. Ma il lavoro che il manager elvetico ha fatto su Herrmann è stato straordinario: gli ha dato il tempo di crescere e in questo 2014-15 si stanno raccogliendo i risultati di una dote spesso dimenticata, la pazienza.
Il 2011-12 è l'anno della quasi-esplosione: con Reus forma una coppia straordinaria (24 gol, 21 assist) e i due si somigliano anche come tipo di gioco. Tuttavia, una volta che il biondo lascia Mönchengladbach per tornare a Dortmund, Herrmann non dà seguito a quanto fatto vedere l'anno precedente. Tutto dimenticato in questa stagione: il Borussia Mönchengladbach è al terzo posto, a +2 sul Bayer Leverkusen e a +12 sullo Schalke 04, quinto in classifica. Insomma, la Champions League sembra ampiamente alla portata: bisogna solo capire se sarà raggiunta tramite preliminari o direttamente.


Con la doppietta realizzata nel 4-1 sul campo dell'Hoffenheim dieci giorni fa, Herrmann è arrivato in doppia cifra in stagione. Un traguardo raggiunto per la prima volta in carriera, sia in campo nazionale che comprendendo le reti nelle coppe. Ben 15 le reti segnate quest'anno in tutte e tre le competizioni giocate dal Borussia, quasi le stesse di quelle realizzate nell'ultimo triennio (18). Tra queste, c'è anche una delle reti più lente nella recente storia del calcio, quella contro il Paderborn. E poi Herrmann è un talismano: quando segna lui, il Mönchengladbach vince sempre.
Il tutto giunge a una settimana dal rinnovo di contratto: Herrmann si è infatti legato al Gladbach fino al giugno 2019. Meglio, perché le sirene del Manchester United gravitano sul ragazzo e a Louis van Gaal piacerebbe tanto avere Herrmann all'Old Trafford. L'ala del Borussia ha una clausola rescissoria da 20 milioni di euro, ma a 15 si potrebbe trovare un accordo. E poi già l'anno scorso David Moyes - oggi alla Real Sociedad - aveva chiesto qualche parere sui progressi del tedesco.
E ora cosa manca? La convocazione con la Germania. O meglio, l'esordio. Joachim Loew ha avuto il merito di chiamare moltissimi giocatori in un decennio alla guida della Nationalmannschaft, ma Herrmann non ha avuto ancora il piacere di esordire. Anche perché la Germania è piena di interpreti sulla trequarti offensiva. Lui tuttavia aspetta, come ha ripetuto a novembre: «Se esordissi con la nazionale, sarebbe una grande esperienza per me». E allora diamola una chance a questo ragazzo, che una volta forse si pensava sarebbe passato alla storia come spalla dimenticata. Oggi, invece, il palcoscenico è tutto suo.

Patrick Herrmann, 24 anni, stella del Borussia Mönchengladbach.

10.4.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Ondrej Duda

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Under the Spotlight", la rubrica che vi mostra i migliori talenti in giro per il calcio europeo. Oggi ci trasferiamo in Polonia, dove il Legia Varsavia ha ritrovato un po' di gloria continentale nelle ultime due stagioni. A contribuirvi ci ha pensato anche Ondrej Duda, trequartista slovacco dei Wojskowi.

SCHEDA
Nome e cognome: Ondrej Duda
Data di nascita: 5 dicembre 1994 (età: 20 anni)
Altezza: 1.83 m
Ruolo: Trequartista, seconda punta
Club: Legia Varsavia (2014-?)


STORIA
Nato a Snina nel dicembre '94, Duda cresce nelle giovanili del club della sua città natale. Con il MFK Snina, club che oggi milita in terza divisione dopo una promozione. In quella squadra era cresciuto anche Ján Mucha, ex numero uno della nazionale slovacca. Ben presto, però, Duda viene notato da uno dei migliori club del paese, ovvero il Košice (che ha all'attivo anche una partecipazione alla Champions League nel 1997-98). Dopo aver scalato le giovanili, arriva anche l'esordio in prima squadra alla tenera età di 17 anni.
La sua stella è in ascesa e il Košice vorrebbe rinnovargli il contratto. Tuttavia, il giovane trequartista rifiuta la proposta del club e nasce la necessità di cederlo prima di perderlo a parametro zero. Così Duda passa nell'inverno del 2014 al Legia Varsavia per appena 300 mila euro: contratto fino al giugno 2019. All'epoca, il club polacco è guidato da Henning Berg, nuovo tecnico dopo la cacciata di Jan Urban. Il norvegese - giocatore fondamentale per la sua nazionale negli anni '90 - vede in Duda un giocatore importante per la sua squadra.
Così Berg inserisce Duda in prima squadra e il Legia bissa il titolo di campione nazionale dopo quello del 2013. Lo slovacco gioca un po' ovunque, ma alla fine viene scelto come trequartista e i suoi tre gol nella prima stagione in Polonia fruttano almeno quattro punti. Nel 2014-15, dopo sei mesi di ambientamento, le cose potevano solo andar meglio. Finora la stagione è stata positiva, con otto reti e dieci assist all'attivo. Duda si è fatto notare sopratutto in Europa League: tre reti, più i due assist nei preliminari di Champions League. E ora il Legia punta al terzo titolo consecutivo.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Il fatto che i tifosi del Legia l'abbiano rinominato Ondrej Di Marìa dovrebbe inquadrare il tipo di giocatore con cui abbiamo a che fare. Magari non è ancora tempo di vederlo impiegato come mezz'ala, ma un discreto destro e una velocità di gambe (e di pensiero) notevole gli consentono di esser accostato all'argentino dello United. In patria lo chiamano anche Dudinho, sebbene questo gli dia terribilmente fastidio: «Sono slovacco, non brasiliano».
Dal punto di vista tattico, Duda è ormai inquadrato come trequartista, tanto che in nazionale slovacca lo paragonano a Hamsik. Con il capitano del Napoli condivide sopratutto un tratto: la capacità di inserirsi negli spazi che altri non vedono. Tuttavia, Duda è in grado di giocare anche come seconda punta (quasi indifferente) ed esterno destro.

STATISTICHE
2012/13 - Košice: 17 presenze, 1 gol
2013/14 - Košice: 21 presenze, 5 gol
2013/14 - Legia Varsavia: 12 presenze, 3 gol
2014/15 - Legia Varsavia (in corso): 35 presenze, 8 gol

NAZIONALE
Il ragazzo è una delle nuove stelle della Slovacchia che si sta facendo spazio verso Euro 2016. Addirittura nel suo esordio - in amichevole contro la Finlandia nel novembre scorso - Duda è entrato al posto del simbolo e capitano Marek Hamsik. A lanciarlo con la nazionale maggiore è stato Ján Kozák, lo stesso tecnico che aveva fatto esordire Duda nel Košice. Un legame che farà bene al giovane talento slovacco, tanto che quest'ultimo ha segnato il primo gol con la Repre nell'ultima amichevole contro la Repubblica Ceca.

LA SQUADRA PER LUI
Duda sta crescendo così velocemente che non saprei effettivamente dire un suo limite. L'Ekstraklasa sembra stargli stretta, ma se il Legia continuerà a qualificarsi per l'Europa nel 2015-16 è giusto che rimanga lì. Altrimenti, seguirà il cuore. Del resto, in tanti l'hanno cercato: molti club inglesi (tra cui Arsenal e Tottenham), nonché il Napoli. E lui candidamente ha ammesso: «So che molti club mi hanno cercato, ma rimarrò al Legia almeno fino all'estate prossima». E così sarà.

7.4.15

Il latino di Zurigo.

Da calcio piazzato, come sempre. Uno di rigore, l'altro su punizione immacolata. Ricardo Rodríguez si riprende il Wolfsburg e lo fa nella maniera migliore: doppietta allo Stoccarda e vittoria casalinga per 3-1. I verdi sono sempre più vicini alla qualificazione diretta alla Champions, ma lo svizzero rimane una delle punte di diamante di una squadra molto interessante.

Rodríguez con la maglia della Svizzera: 29 presenze per lui. 

A novembre 2014 vi ho parlato della banda Hecking, ma Rodríguez già dall'anno scorso ha dimostrato di esser un giocatore sopra la media. Arrivato alla Wolkswagen Arena per nove milioni di euro nel gennaio 2012 (una cifra enorme per l'epoca), il terzino ha dimostrato col tempo di valere tutti quei soldi. Quando il Wolfsburg l'ha preso, era uno dei giocatori svizzeri più promettenti. Oggi è una realtà: colonna della nazionale di Petkovic, ha già disputato un Mondiale ed è pronto a fare il salto definitivo di qualità.
A Zurigo era talmente apprezzato che è stato convocato per la prima squadra a soli 16 anni, quando è tra i panchinari di una gara di Champions League. Bernard Challandes e Urs Fischer sono gli allenatori che l'hanno cresciuto calcisticamente. Da quel luglio 2009 di tempo ne è passato: Rodríguez esordisce a 17 anni, segna il primo gol a 18 e poi affronta anche il Bayern in un altro preliminare di Champions League. È quel viaggio in terra tedesca a farlo conoscere a tutti. La curiosità è che Rodríguez è stato votato giocatore dell'anno dai tifosi dello Zurigo nel 2011-12, nonostante abbia disputato solo metà stagione con il club elvetico.
Nonostante sia l'ennesimo caso di quasi-oriundo elvetico (padre spagnolo e madre cilena), il suo rapporto con la Svizzera è molto forte (con tanto di rap). Rodríguez avrebbe potuto scegliere di giocare con le Furie Rosse o con la Roja, ma non ha mai dimenticato di esser svizzero dentro. Nato e cresciuto a Zurigo, il mancino è stato una dei titolari dell'U-17 di Ryser che vince il Mondiale del 2009 (con tre gol segnati). Ha giocato le Olimpiadi di Londra del 2012 ed è stato il terzino sinistro della Svizzera al Mondiale 2014, il suo trampolino definitivo verso il mondo.
Il presente parla di uno dei migliori mancini che il mondo calcistico attualmente conosca. Dopo l'assist e il gol segnato contro il Friburgo, Rodríguez si è ripetuto nell'ultima gara casalinga. Ora il Wolfsburg vola a quota 57 punti, a -10 dal Bayern primo e a +7 dal Gladbach terzo. Un modo per tenere aperta la Bundesliga e non mollare quel secondo posto che varrebbe la gloria della Champions League dopo cinque anni. E pensare che, quando arrivò al Wolfsburg di Magath, Rodríguez sarebbe dovuto essere il vice-Schäfer, allora capitano della squadra. Invece era talmente talentuoso che scavalcò il più esperto compagno e divenne subito titolare. Un predestinato.


Certo, ci sono cose su cui Rodríguez può migliorare. Gran terzino per gli affondi e per i calci piazzati, lo svizzero è ancora deficitario in difesa, dove può far di meglio. Se guardate Svizzera-Francia dello scorso Mondiale, ve ne accorgerete. Molti l'hanno criticato, ma il suo tecnico - Dieter Hecking - lo difende a spada tratta, tanto da definirlo «il miglior terzino sinistro dell'intera Bundesliga». E se togliamo qualche mostro come Alaba o Lahm (che poi siamo sicuri siano ancora definibili come terzini e basta?), allora sì, Hecking ha ragione.
Del resto, l'abilità dello svizzero sui calci piazzati lo rende una variabile pericolosa nelle aree avversarie. Rigorista del Wolfsburg, Rodríguez si prende la responsabilità anche dei calci da fermo e spesso mette in difficoltà gli avversari. Nel 2013-14 si era fermato a sette gol e dieci assist, ma quest'anno siamo a nove reti e quattro assist. Forse perché davanti c'è tanta abbondanza e non c'è più stretto bisogno delle sue traiettorie. Tuttavia, secondo i dati Squawka, Rodríguez è il secondo difensore più prolifico delle cinque migliori leghe europee (insieme al suo compagno di squadra Naldo) e il miglior nel performance score offensivo per gara.
In un mondo calcistico dove i buoni terzini scarseggiano, Rodríguez è una rarità. Spesso viene paragonato a Leighton Baines dell'Everton, ma i due sembrano leggermente diversi: in comune hanno solo un gran mancino e la capacità dai calci da fermo. L'inglese è più ordinato difensivamente, mentre lo svizzero è di gran lunga superiore negli affondi offensivi. Inoltre, il Wolfsburg è in una botte ferro rispetto ai futuri assalti di mercato: Rodríguez ha allungato il suo contratto con Die Wölfe fino al giugno 2019.
Il d.s. Allofs ha spiegato la situazione del terzino e schivato le ipotesi che lo danno lontano dalla Germania: «Le voci di mercato sono una cosa normale per un giocatore così forte, ma Ricardo è molto felice al Wolfsburg». Il rinnovo è una buona mossa per trattenere il calciatore svizzero del 2014, riconoscimento arrivato dopo una carriera ancora da scrivere, ma già a buon punto. Il latino di Zurigo non vuole fermarsi, come le sue cavalcate sulle fascia.

Ricardo Rodríguez, 22 anni, una delle colonne del Wolfsburg.

4.4.15

Memo, dove sei?

Nel mese di giugno, lui e Keylor Navas (un altro che non se la sta passando bene, ma al Real Madrid) avevano il mondo ai piedi. Insieme a Neuer, sono stati senza dubbio i migliori portieri del Mondiale 2014. Eppure, oggi Guillermo Ochoa passa il tempo a far panchina al Malaga e ha giocato solo sei gare stagionali, tutte in coppa. Com'è stato possibile?

Ochoa con il Messico all'ultimo Mondiale: fu una saracinesca.

Memo ha una storia importante alle spalle: classe '85, Ochoa è un prodotto del vivaio dell'América di Città del Messico, una delle più forti compagini messicane. Viene lanciato in prima squadra da Leo Beenhakker a soli 18 anni e si dimostra uno dei migliori prospetti nazionali nel ruolo. Tuttavia, quando Oscar Ruggieri diventa il tecnico del club, decide di comprare un altro portiere, quel Saja già visto al Brescia. Tuttavia, critica e tifosi stanno dalla parte di Ochoa, che alla fine torna titolare e giocherà ben 292 partite con la maglia de Las Águilas.
Il 2011 è l'estate giusta in cui partire. C'è tanta attenzione su di lui: "Metro" riporta che il Manchester United avrebbe un accordo con l'América. Ma in realtà l'estremo difensore sceglie una meta più tranquilla: l'Ajaccio, appena promosso in Ligue 1. In Corsica l'apporto di Ochoa sarà fondamentale per tenere il club nella massima divisione francese: un 16°, un 17° posto e la retrocessione dell'anno scorso in tre anni passati allo Stade François Coty. Il messicano saluta la Francia, ma il club corso gli dedica una lettera dal titolo "Adios, amigo". Insomma, Guillermo ha lasciato il segno nel cuore dei tifosi dell'Ajaccio.
Il 2013-14 di Ochoa è stato pazzesco: vero che YouTube fa passare giocatori normali per fenomeni, ma ci sono anche dati che aiutano a contestualizzare la grande annata del portiere messicano. Secondo i dati Squawka relativi alla scorsa stagione, Ochoa è stato uno dei migliori portieri in Europa. Si ricorda la sua prestazione contro il PSG di Blanc al Parco dei Principi: se l'Ajaccio strappa un pareggio contro i campioni uscenti in quella gara, il merito va solo al messicano.
A questo si aggiunge il rendimento all'ultimo Mondiale. Il Messico ha fatto bene, stoppato il Brasile sullo 0-0 e passato il girone con sette punti. Negli ottavi contro l'Olanda, El Tri era sull'1-0 fino a due minuti dalla fine. Poi qualche ingenuità e una sassata di Sneijder hanno cambiato la gara in favore degli Oranje. Al terzo Mondiale, Memo è stato promosso a titolare. La grande tradizione dei portieri messicani - Oswaldo Sánchez e Óscar Pérez - non gli ha permesso di giocare prima, ma si è preso una rivincita con gli interessi. Man of the match contro Brasile e Olanda, Ochoa è stato persino nei trending topic di Twitter durante quelle gare.
Quando ha dovuto scegliere la squadra in cui andare, Ochoa ha aspettato: è stato a lungo un free agent, finché ad agosto 2014 non ha deciso di trasferirsi in Spagna. Al Málaga avevano bisogno di un sostituto dopo la partenza di Caballero verso il Manchester City. Ottimo acquisto per gli andalusi, perché il rubinetto dei soldi qatarioti è stato chiuso e intuizioni del genere aiutano. Tuttavia, il tecnico del Málaga, Javi Gracia, ha sempre preferito l'esperto ma discontinuo Kameni al Memo. E così Ochoa a oggi ha solo sei presenze con Los Boquerones, tutte in Copa del Rey. In Liga nemmeno un minuto, nonostante sembra il campionato più adatto per le sue capacità.


Questa esclusione influisce anche sulle possibilità di Ochoa in nazionale, perché ora sullo sfondo spunta l'ennesimo contender per il posto da numero 1 nella Tri. Stavolta tocca a Jesús Corona, forse il migliore sfidante di Ochoa in questi anni. Personalmente lo ricordo alle Olimpiadi di Londra 2012, dove il Messico vinse l'oro e l'apporto dell'esperto Corona (fuori quota a quel torneo) fu fondamentale. Ora il portiere del Cruz Azul vuole approfittare delle difficoltà di Ochoa in Spagna e ha tirato fuori una prestazione fenomenale contro l'Ecuador in amichevole.
Tuttavia, Memo è abituato alle difficoltà. Nonostante nel 2014 sia stato decretato dall'Iffhs il settimo miglior portiere al mondo, il messicano ora è ai margini. Come lo è stato all'América nei suoi inizi. Oggi però la cosa non avviene nel prato di casa, ma in Spagna. In un ambiente che sembra per altro molto ostile. E neanche con il collega Kameni le cose vanno benissimo. Come ha spiegato il camerunense a "So Foot": «Non c'è nessuna relazione tra noi. Dalla seconda partita non ci siamo più scambiati una parola».
Ora il messicano spera che La Rosaleda non diventi una prigione. E che nessuno si dimentichi di lui dopo quello straordinario Mondiale. Il ct del Messico Herrera si è lamentato del suo poco minutaggio e il Liverpool aveva pure fatto un'offerta, ma Ochoa - descritto come uno straordinario professionista in Spagna - non molla. Non vuole mollare. Viene da dire però che in Italia uno così farebbe comodo a 3/4 della Serie A. Spero tra qualche mese di non parlare di un Memo scomparso: in fondo, a luglio c'è la Gold Cup con il Messico. Si spera.

Guillermo Ochoa, 29 anni, e la scelta sbagliata del Málaga.

1.4.15

L'ultima corsa.

World Cup Stadion di Seoul, Corea del Sud. È il minuto numero 43 dell'amichevole contro la Nuova Zelanda. Il ct Stielike chiama un cambio: dentro Kim Chang-soo, fuori Cha Du-ri. Ed è il momento degli applausi. Cha si è già ritirato dalla nazionale dopo la finale dell'ultima Coppa d'Asia, ma questa gara è il definitivo canto del cigno. E il pubblico si alza per tributargli il giusto applauso.

Cha Du-ri con la maglia sudcoreana al Mondiale 2002: arrivarono quarti.

A nessuno importa della vittoria finale per 1-0. La straordinaria carriera di Cha non è finita qui, ma uno dei simboli della Corea del Sud dà l'addio alla nazionale, alle lunghe trasferte e a un mondo dal quale ha ricevuto meno di quanto abbia dato. Lo score finale è di 76 presenze e quattro gol (l'ultimo nel 2004!), ma forse questi freddi numeri non danno la giusta caratura alla carriera del ragazzo nato a Francoforte con la sua nazionale.
Tutto è iniziato con il Mondiale 2002. All'epoca, Cha era un ragazzo della Korea University di Seoul. Lo nota il ct Guus Hiddink durante una partita d'allenamento: Cha gioca a livello amatoriale, ma il tecnico olandese vede qualcosa in quel profilo dalla corsa continua e instancabile. Un profilo adatto per la sua nazionale in vista del 2002: così, nella Coppa del Mondo giocata in casa e conclusa al quarto posto, Cha Du-ri c'è.
Da lì parte il viaggio per la Germania: il sudcoreano prova a trasformarsi in terzino, ma un primo tentativo fallisce. Cha veste le maglie di Bayer Leverkusen, Arminia Bielefeld, Eintracht Francoforte, Mainz (conosce un certo Jurgen Klopp), Koblenz e Friburgo, sempre a cavallo tra la Bundesliga e la Zweite. A trent'anni lo cerca il Celtic di Glasgow e così ha anche l'occasione per giocare in Champions League. Poi un breve ritorno in Germania con il Fortuna Dusseldorf e la decisione di spostarsi a casa: ancora oggi Cha è il terzino titolare dell'F.C. Seoul. A soli 33 anni, è arrivata la sua prima esperienza nella K-League.
I legami con la Germania sono infiniti: al di là della carriera e del padre star in terra tedesca, fa sorridere il fatto che Cha abbia chiuso con la nazionale nello stesso stadio nel quale ha perso la semifinale Mondiale del 2002 con la Corea del Sud. Avversario - manco a farlo apposta - la Germania di Ballack (match-winner di quella gara) e Kahn, avversari che ritroverà in Bundesliga con la maglia del Bayern Monaco.
Cha ha avuto invece fortune alterne con i Taeguk Warriors. Se l'olandese Guus Hiddink l'ha fatto esordire a 21 anni, i suoi connazionali Advocaat e Verbeek lo vedono poco. Cha rimane fuori dai convocati per il Mondiale 2006 e anche dalla lista per la Coppa d'Asia del 2007. Sotto Huh Jung-moo e Cho Kwang-rae, l'esterno diventa terzino e viene nuovamente convocato, giocando i Mondiali del 2010. Cha è nella top 11 della Coppa d'Asia di sei mesi più tardi, ma i numerosi cambi tecnici alla guida della Corea del Sud lo mettono nuovamente fuori squadra. Persino Hong Myong-bo - suo ex compagno nella cavalcata del 2002 e ct per un anno - lo lascia fuori dal Mondiale brasiliano. Se ne pentirà, visto che con Stielike nell'ultima Coppa d'Asia Cha Du-ri ha tirato fuori la miglior performance della sua carriera in nazionale.


La domanda però viene spontanea: perché qualcuno con "sole" 76 presenze in nazionale è così amato? Non è solo il Mondiale del 2002 ad avergli dato questa notorietà: ragionando così, alcuni di quegli eroi sarebbero ancora oggi ricordati dai tifosi sudcoreani. E invece Cha è l'unico a esser ancora in nazionale nel 2015, a correre su e giù per il campo accompagnato dal calore dei suoi tifosi. Altri cinque giocatori sono in attività con i rispettivi club, ma nessuno di loro veste più la maglia della Corea del Sud da diverso tempo.
La sua carriera è stata ottima anche perché il terzino è figlio di Cha Bum-kun. leggendario attaccante della Corea del Sud negli anni '70 e '80 e capocannoniere all-time dei Taeguk Warriors con 55 reti in 121 presenze. Cha Bum-kun ha speso un decennio glorioso speso in Germania con le maglie di Darmstadt (appena una presenza), Eintracht Francoforte (dove il figlio è nato) e Bayer Leverkusen (dove il figlio ha iniziato la sua carriera da professionista).
La cosa più impressionante è come Cha sia arrivato al top della sua carriera quando ormai aveva già passato i trent'anni. Un episodio parla per tutti: quarti di finale dell'ultima Coppa d'Asia, il 22 gennaio la Corea del Sud affronta l'Uzbekistan. Una gara difficile, che si trascina ai supplementari. Lì Cha sfodera una corsa di 70 metri, un tunnel a Denisov e poi mette a Son Heung-min l'assist per il 2-0 finale. Il commentatore della SBS, Bae Seong-jae, commenta così: «Com'è possibile che uno così in Brasile stesse facendo il commentatore?».
Non è un caso che i tifosi sudcoreani l'abbiano soprannominato Chaminator. Perché quel ragazzo nato in Germania è indistruttibile, come l'amore dei suoi fan. La sua carriera lo dimostra. E in fondo è un personaggio godibile, anche molto divertente (vedi qui). Viene in mente il coro dei tifosi del Celtic quando il sudcoreano giocava a Glasgow sulle note di una canzone delle Pussycat Dolls: «Don't Cha wish your full back was Cha Du-Ri?». In Asia sicuramente molti vorrebbero uno così, ma l'ultima corsa è terminata.

Cha Du-ri, 34 anni, alla sua ultima gara con la Corea del Sud.