29.3.16

ROAD TO JAPAN: Yuki Kobayashi

Buongiorno a tutti e benvenuti al terzo numero del 2016 di "Road to Japan", la rubrica che ci consente di scoprire i migliori talenti che si stanno affermando nel calcio giapponese. Oggi ci spostiamo a Shizuoka, dove Yuki Kobayashi - nonostante la giovane età - è uno dei punti di riferimenti del neo-promosso Júbilo Iwata.

SCHEDA
Nome e cognome: Yuki Kobayashi (小林 祐希)
Data di nascita: 24 aprile 1992 (età: 23 anni)
Altezza: 1.82 m
Ruolo: Trequartista, regista di centrocampo
Club: Júbilo Iwata (2012-?)



STORIA
Nato nella città di Higashimurayama (nell'area urbana di Tokyo), Yuki Kobayashi viene svezzato nelle giovanili del Tokyo Verdy fin dalla giovane età di 13 anni. All'epoca il club non era ancora una nobile decaduta e aveva appena prodotto uno dei giovani più interessanti dell'epoca, quel Takayuki Morimoto passato anche in Italia con le maglie di Catania e Novara.
La crescita è talmente notevole che la squadra giovanile del Tokyo Verdy trionfa nel trofeo dell'area metropolitana di Tokyo: è l'unica vittoria del club nella storia del torneo. Inevitabile che avvenga la promozione in prima squadra dal 2011, dopo aver giocato qualche partita di seconda divisione e di Coppa dell'Imperatore l'anno precedente.
La personalità di Kobayashi è tale che il tecnico Ryoichi Kawakatsu lo promuove al ruolo di capitano della squadra! I progressi vengono notati anche in prima divisione, dove il Júbilo Iwata lo preleva in prestito a metà stagione nel 2012. Bastano pochi mesi e il club di Shizuoka decide di assicurarsi il giovane regista a titolo definitivo.
Purtroppo il 2013 è una stagione maledetta per Kobayashi: il Júbilo disputa un pessimo campionato e retrocede, mentre lui gioca appena 55' in tutto l'anno, figli di qualche infortunio e di un difficile rapporto con i vari tecnici succedutisi in quell'annata (su tutti Sekizuka). Una volta retrocesso in seconda divisione, il Júbilo fa un repulisti generale e decide di puntare su Kobayashi.
Il 2014 è stato un anno positivo dal punto di vista personale, ma il club ha perso la promozione ai play-off contro il Montedio Yamagata, deludendo tutti. Ben diverso il 2015: Kobayashi è persino riuscito a mettere il suo nome nella storia del club, segnando il gol decisivo sul campo dell'Oita Trinita.
La rete del 2-1 nei minuti finali della gara è valsa il ritorno in J. League dopo due anni di purgatorio. Ora starà a Kobayashi dimostrare che la fiducia di Hiroshi Nanami - suo tecnico ed ex leggenda al Júbilo - è ben ripagata anche nella massima divisione.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Piede mancino ben dotato, Kobayashi ha una buona visione del gioco e riesce a esser decisivo dai calci piazzati, sia per la conclusione in porta che per l'assist al compagno. Deve migliorare un pochino dal punto di vista fisico, perché in Europa di sicuro i contrasti con gli avversari potrebbero metterlo a dura prova.
Dal punto di vista tattico, Kobayashi nasce come regista, ma pian piano è stato valorizzato anche negli altri due ruoli del centrocampista centrale: prima box-to-box, poi anche trequartista, in modo da giocare più vicino alla porta e sfruttare al meglio le occasioni di tiro che si creavano. Dai venti metri, spesso il numero 4 del Júbilo va alla conclusione.

STATISTICHE
2010 - Tokyo Verdy: 5 presenze, 0 reti
2011 - Tokyo Verdy: 36 presenze, 3 reti
2012 - Tokyo Verdy: 24 presenze, 4 reti
2012 - → Júbilo Iwata: 14 presenze, 1 rete
2013 - Júbilo Iwata: 2 presenze, 0 reti
2014 - Júbilo Iwata: 39 presenze, 2 reti
2015 - Júbilo Iwata: 41 presenze, 6 reti
2016 - Júbilo Iwata (in corso): 4 presenze, 0 reti

NAZIONALE
In questo momento, è un peccato che Kobayashi non rientri - per pochi mesi - nella generazione che potrebbe andare a Rio quest'estate. Oltre a un rinforzo in attacco, l'U-23 di Teguramori potrebbe affiancare (o alternare) uno come Kobayashi accanto a Ryota Oshima, grande promessa del calcio giapponese con la maglia dei Kawasaki Frontale.
Kobayashi ha militato in tutte le rappresentative giovanili del Giappone, dall'U-15 all'U-23 prima di Londra 2012. La verità è che andare in nazionale in questo momento non è facile, dato che Halilhodzic sta facendo ruotare quasi sempre gli stessi giocatori. Si spera che le amichevoli possano essere un'occasione buona per il regista del Júbilo.

LA SQUADRA PER LUI
Prima di buttarsi in un'avventura europea, è fondamentale che Kobayashi possa confermarsi con il Júbilo Iwata anche in prima divisione. La personalità non gli è mai mancata, la continuità sì. Una volta acquistata questa dote, partire da un campionato europeo di seconda fascia potrebbe rivelarsi la scelta giusta.

24.3.16

L'immortale.

Sembrava ormai incamminato verso un lento ritiro, con il suo club in difficoltà e ormai senza trofei da un po' di tempo. Invece la vita è cambiata nuovamente per Oleksandr Shovkovskiy, la cui carta d'identità recita 41 anni compiuti da poco. La Dinamo Kiev è tornata grande in patria e in Europa; lui, dal canto suo, non sembra aver voglia di smettere.

Shovkovskiy in azione ai Mondiali 2006, dove sconfigge la Svizzera da solo ai rigori.

Sono trent'anni che Shovkovskiy vive con la maglia della Dinamo addosso: era il 1986 quando il club più in voga dell'ex Unione Sovietica tesserò questo ragazzo di 11 anni, nato proprio a Kiev. Per lui c'è voluto un po' di tempo per emergere: sette anni tra la seconda e la terza squadra, prima di esordire a soli 18 anni in una partita di campionato.
Con l'Unione Sovietica in dissoluzione e la nascita dell'Ucraina, Shovkovskiy è stato uno dei punti di riferimento della neonata nazione. Non ha mai nascosto le sue visioni politiche, come quando si rivolse all'Uefa chiedendo (e ottenendo) un minuto di silenzio per la situazione dell'Euromaidan in Ucraina, con la crisi politica e la brutale violenza scatenatasi nel paese.
Nonostante abbia vissuto in un paese mai realmente stabile, Shovkovskiy ha sempre avuto un solo amore calcistico: la Dinamo. Nella squadra che ha vinto per nove anni consecutivi il campionato ucraino, trova spazio anche quest'emergente portiere, che pian piano si prende i galloni da titolare per non mollarli fino alla veneranda età di 41 anni.
Nella Dinamo Kiev di Valeriy Lobanovskyi, il portiere è uno dei cardini della squadra che arriverà alla semifinale di Champions League nel 1999. Solo un ottimo Bayern Monaco elimina gli ucraini in un serrato doppio confronto. Da quel momento, la Dinamo vende la maggior parte dei suoi gioielli e vede il suo dominio in Ucraina contrastato.
A un certo punto, i bei tempi sembravano passati: dopo la vittoria nel 2009, la Dinamo Kiev non ha più vinto il campionato per sei anni, arrivando terza nel 2013 e persino quarta nel 2014! Non c'era risposta al dominio dello Shakhtar Donetsk. Poi però è arrivata la guerra e allora il club campione d'Ucraina ha dovuto abdicare per cause di forza maggiore.
Con la guerra civile e lo spostamento dello Shakhtar da Donetsk a Leopoli, i nero-arancio ha perso il loro strapotere e diversi giocatori. Di contro, la Dinamo Kiev si è rafforzata, superando di nuovo il Dnipro nelle gerarchie e vincendo nuovamente il campionato. L'arrivo in panchina di Sergey Rebrov - ex compagno di Shovkovskiy negli anni '90 - ha fatto il resto.

Vent'anni non si dimenticano.

Il ritorno della Dinamo Kiev si è visto anche in Europa: l'anno scorso gli ucraini hanno eliminato l'Everton e hanno fatto soffrire la Fiorentina nei quarti di Europa. Nella Champions 2015-16, la squadra di Rebrov ha fatto nuovamente bene: eliminato il Porto nel girone, il club ucraino è uscito agli ottavi, strappando però uno 0-0 sul campo del Manchester City.
Se la Dinamo è ancora adesso la maglia del cuore, per Shovkovskiy l'Ucraina è stata una tappa lunga e importante. La nazionale ha avuto campioni del calibro di Shevchenko e Rebrov, ma è riuscita a disputare solo un Mondiale e un Europeo (per altro da padroni di casa). Se quest'ultimo si è concluso nel 2012 con l'eliminazione al girone, di gran meglio andò in Germania.
Nel 2006, infatti, l'Ucraina passa il girone con due vittorie ai danni di Tunisia e Arabia Saudita. Negli ottavi c'è la sfida apertissima con la Svizzera, conclusasi ai calci di rigore: Shovkovskiy è strepitoso, visto che gli elvetici non segnano neanche uno dei quattro rigori calciati. L'Ucraina di Blokhin va avanti ed esce solo ai quarti contro l'Italia, poi campione del Mondo.
Il ritiro dalla nazionale è arrivato dopo l'Europeo di casa (saltato per infortunio), facendo spazio a Pyatov e Boyko. Che strano: l'ha fatto proprio quando sulla panchina della nazionale si è seduto Mykhaylo Fomenko, l'allenatore che aveva lanciato Shovkovskiy proprio ai tempi della Dinamo Kiev.
Ora Shovkovskiy ha il contratto in scadenza a giugno prossimo: chissà se vorrà continuare. In fondo, ha già in tasca il record di presenze con la maglia della Dinamo Kiev. Ma gli immortali non si pongono queste domande: continuano semplicemente a lavorare.

Oleksandr Shovkovskiy, 41 anni, ancora a difendere i pali della Dinamo.

20.3.16

Medellín Calling.

Nonostante la sua nazionale sia una delle migliori al momento in Sud America, la Colombia fatica da qualche tempo con le squadre di club. Sono lontani gli anni '90 e la super-nazionale di Maturana, con le squadre della Colombia a farla da padrone. Una di queste è stata l'Atlético Nacional, oggi rivelazione della Copa Libertadores 2016 e unica squadra a essersi già qualificata per gli ottavi.

Juan Carlos Osorio, 54 anni, ha fatto le fortune dell'AN.

A Medellín forse non si aspettavano un avvio del genere: dopo il 4-0 ottenuto in trasferta sul campo del derelitto, ma prestigioso gigante urugayano del Peñarol, Los Verdolagas hanno ottenuto il pass per la fase a eliminazione diretta. Un traguardo raggiunto spesso negli ultimi anni, dove però non si è mai riusciti ad andare oltre i quarti di finale.
Eppure qualche squadra colombiana ha vinto la Libertadores negli ultimi vent'anni: l'Once Caldas riuscì incredibilmente ad alzare il trofeo nel 2004, nonostante una doppia finale contro un Boca Juniors stellare, vinta solamente ai rigori. Era il Boca di Carlos Bianchi, con Abbondazieri, Schiavi, Burdisso e soprattutto Tevez in squadra.
L'altra squadra colombiana a vincere la Copa è stata proprio l'Atlético Nacional, capace nel 1989 di battere il ? con una squadra di giocatori interamente provenienti dal proprio paese: da qui il soprannome Puros Criollos. La vittoria fu importante non solo perché fu la prima volta per la Colombia, ma anche per una squadra che affacciasse sull'Oceano Pacifico.
Se oggi però l'Once Caldas è lontano dai fasti di un decennio fa (nonostante Juan Carlos Henao sia ancora l'eroe da quelle parti...a 44 anni!), Los Verdolagas sono sempre sul pezzo. Dai tempi di Maturana ne sono passati di anni, ma sono comunque arrivati ben 15 titoli, due coppe nazionali e diverse partecipazioni alla Copa.
La finale persa nel 1995 contro il Grêmio rimane un mezzo rimpianto, ma il materiale per riemergere c'è. Il paese sembra ripartito nel calcio (come si è visto agli ultimi Mondiali) e all'Estadio Atanasio Girardot diversi giocatori sono partiti per l'Europa: l'ultimo è stato Juan Fernando Quintero, partito per Pescara e ancora oggi in attesa di mostrare il suo vero potenziale.
Gli ultimi anni sono stati gloriosi soprattutto grazie a un uomo: Juan Carlos Osorio, oggi commissario tecnico del Messico. Osorio ha fatto benissimo in patria, allenando anche i Millionarios e l'Once Caldas, mentre ha fatto molta fatica all'estero: tra New York, Chicago e Puebla, solo l'ultima breve esperienza al San Paolo è stata buona.
Durante la sua gestione, Osorio ha registrato una percentuale di vittorie con l'Atlético Nacional del 57,8%! Ha vinto quattro titoli nazionali e ha sfiorato anche la vittoria in Copa Sudamericana nel 2014, perdendo solo nella doppia finale contro il River Plate di Gallardo. Ma cosa rendeva speciale Osorio? Un particolare sistema.
Il trucco di Osorio stava nel ruotare spesso gli uomini: non si sapeva chi erano gli effettivi titolari dell'Atlético Nacional. Ciò nonostante, sono arrivati tanti trofei e i tifosi si sono affezionati al loro tecnico, tanto da lasciarlo in lacrime alla sua ultima gara prima dell'addio: «Abbiamo dato un gran contributo al calcio colombiano: mi auguro di far bene in Brasile».

L'era di Juan Carlos Osorio a Medellín.

La società ha scelto molto attentamente il suo successore, puntando su Reinaldo Rueda, l'uomo che ha portato l'Honduras ai Mondiali del 2014 e l'Ecuador a quelli brasiliani del 2014. I risultati finora stanno dando ragione al club, visto che l'Atlético Nacional ha conquistato il Finalización 2015 e la Superliga Colombiana nel 2016.
Non solo: come detto, il rendimento dell'Atlético Nacional in Libertadores è stupefacente e in campionato la corsa è aperta per la riconferma come campioni nazionali. A questo, bisogna aggiungere il fatto che la squadra è formata quasi per la sua totalità da giocatori colombiani e quindi rappresenta una potenziale risorsa anche per i Cafeteros di Pekerman.
Non è un caso che la Colombia - in vista delle prossime gare di qualificazione al Mondiale 2018 - abbia diversi elementi del Siempre Verde inseriti in rosa. Il principale è quel Victor Ibarbo che ha fatto bene a Cagliari, ma che tra Roma e Watford ha giocato appena 72 minuti in stagione. Naturale a gennaio il tentativo di tornare in prestito all'Atlético, dove tutto è iniziato.
Assieme a lui, ci sono altri tre giocatori dell'AN, tutti ancora senza presenze con i Cafeteros. Il primo è Farid Díaz, terzino sinistro che potrebbe esordire a 32 anni. Il secondo è Sebastián Pérez, centrocampista classe '93 e un provino con l'Arsenal alle spalle: Wenger non lo prese perché a Pérez non fu concesso il permesso di lavoro necessario per giocare in Premier.
Ma il terzo è forse quello più atteso. In un momento così difficile per gli attaccanti - Falcao è in tribuna, Muriel fatica alla Samp, Martinez è finito in Cina e Gutierrez non è stato nemmeno convocato - potrebbe essere il turno di Marlos Moreno, classe '96 capace di realizzare già tre gol in quattro partite di Copa Libertadores.
E questo senza contare i tanti giocatori già presenti con la Colombia: il portiere Bonilla, i difensori Bocanegra e Sánchez, nonché i mediani Torres e Mejía (quest'ultimo convocato al Mondiale 2014). Il futuro può solo sorridere all'Atlético Nacional, la mina vagante di questa Libertadores 2016: Medellín chiama, vedremo cosa accadrà da qui ad agosto.

Víctor Ibarbo, 25 anni, è tornato recentemente a casa.

15.3.16

UNDER THE SPOTLIGHT: Dhurgham Ismail

Buongiorno a tutti e benvenuti a un nuovo numero di "Under The Spotlight", la rubrica che ci consente di scoprire i talenti sparsi per tutto il globo. Oggi ci spostiamo in Turchia, dove il Çaykur Rizespor sembra di casa per i talenti iraniani. Dopo aver lanciato Ali Adnan, a Rize ci provano anche con Dhurgham Ismail, giovane esterno e talento iracheno.

SCHEDA
Nome e cognome: Dhurgham Ismail (ضرغام اسماعيل داوود القريشي)
Data di nascita: 23 maggio 1994 (età: 21 anni)
Altezza: 1.78 m
Ruolo: Terzino, esterno di centrocampo
Club: Çaykur Rizespor (2015-?)



STORIA
Dhurgham Ismail cresce nelle giovanili del Naft Maysan, club di Amarah: il suo segretario introduce il ragazzo all'allenatore dell'Al-Shorta, una delle maggiori squadre irachene. Ma non è Ismail del Naft Maysan, bensì un giocatore delle giovanili dall'Al-Sadr City. La storia è che difficilmente l'Al-Shorta avrebbe accettato un ragazzo fuori da Baghdad.
Con questo piccolo inganno, Ismail firma un contratto di cinque anni per l'Al-Shorta nel 2010. Nel club non c'è troppa stabilità (ben nove allenatori diversi tra il 2010 e il 2015!), ma Ismail si conquista il ruolo di terzino quando il club decide di cedere il titolare, Ahmad Kadhim Assad, all'Al-Naft. Da lì in poi, la sua crescita è innegabile.
Nonostante la giovane età, Ismail è una delle colonne dell'Al-Shorta che vince due campionati nazionali, una coppa della città di Baghdad e partecipa anche ai preliminari della Champions League asiatica. Il suo contributo diventa talmente importante che il terzino viene persino inserito nella Hall of Fame del club, nonostante abbia solo vent'anni.
Quando il contratto sta per scadere, Ismail decide di rinnovare per un altro anno, ma ormai l'Europa segue i suoi progressi con attenzione. Il Girona - club di seconda divisione spagnola - ci prova, così come gli iraniani del Persepolis. Ad avere la meglio è però il Çaykur Rizespor, squadra della Super Lig turca, non lontana dalla sua terra.
I paragoni con Ali Adnan - per carriera e percorso in nazionale - si sprecano: l'aver giocato nel Çaykur Rizespor, il ruolo fondamentale nell'Iraq nonostante la giovane età, lo stesso numero 53 nell'avventura turca. Arrivano anche i grandi club: si è persino parlato di alcuni scout del Liverpool a osservarlo.
Per ora il tecnico Hikmet Karaman - un'istituzione a Rize, alla terza avventura con il club - sta usando Ismail con discreta continuità: 18 presenze in tutte le competizioni e persino un gol in coppa. Ora l'iracheno si sta riprendendo da un infortunio alla caviglia che l'ha tenuto fuori nell'ultimo mese, mentre il Çaykur Rizespor è a +7 sulla zona retrocessione.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Tatticamente, le somiglianze con Ali Adnan continuano. Buon passo sulla corsia mancina, Ismail può giocare da terzino o da esterno di centrocampo, anche nel 4-2-3-1. A differenza di Adnan, però, Ismail può contare su una maggiore attenzione in fase difensiva. Anche per questo, vederlo in azione da terzino è la scelta migliore.
Dotato di un buon tiro, Ismail è soprattutto in grado di macinare la fascia diverse volte e mettere diversi palloni interessanti in mezzo. Un classico terzino, con talento anche per la fase offensiva. C'è chi ci vede un altro Gareth Bale iracheno: si è già fatto questo paragone con Ali Adnan, direi di smetterla...

STATISTICHE
2010/15 - Al-Shorta: 115 presenze, 22 reti
2015/16 - Çaykur Rizespor (in corso): 18 presenze, 1 rete

NAZIONALE
Non è da tutti avere quasi 22 anni e aver giocato già una trentina di partite con la nazionale. Il tutto è spiegabile con la splendida generazione U-20 che al Mondiale di categoria del 2013 stupì il mondo, giungendo quarta e arrivando a un passo dall'eliminare l'Uruguay (vittorioso solo ai rigori). In quell'Iraq, c'era proprio Ismail.
Non solo: è stato protagonista anche della cavalcata dell'U-22 alla vittoria del titolo continentale nello stesso anno. Il salto di categoria è stato normale, quasi fisiologico per molti di quei ragazzi. Tra i più pronti, c'era il prospetto dell'Al Shorta, fatto esordire con i grandi da Hakeem Shaker, lo stesso che lo aveva allenato all'Al-Shorta e nell'U-23, nonché ct ad interim per quattro mesi.
Capace di guadagnarsi il posto da titolare in squadra, l'Iraq ha visto altri quattro allenatori succedersi dall'esordio di Ismail (più un altro ritorno di Shaker). Protagonista in Coppa d'Asia nel 2015 (nella top-11 come terzino), Ismail si è rivelato uno dei migliori esterni mancini del continente. Nella nazionale oggi guidata da Yahya Alwan, è uno dei punti di riferimento.

LA SQUADRA PER LUI
Un anno fa, anticipai in parecchi su Ali Adnan, perché era un giocatore decisamente interessante. Oggi cerca di conquistarsi un posto all'Udinese, ma io credo che - per margini di crescita - Ismail possa arrivare anche più lontano. Perché tatticamente è più poliedrico, perché ha qualche anno in meno e perché sembra ben disposto verso il prendersi le responsabilità.
Un passaggio in un campionato secondario - al di là di quello turco - sarebbe l'ideale. E poi la Premier, perché no? Già il suo compagno di nazionale Yaser Kasim milita oggi per lo Swindon Town, in League One (anche se Kasim è cresciuto nelle giovanili del Tottenham). Non è una strada impossibile: basta perseverare con quest'intensità.

10.3.16

Maturità.

Qualcuno potrebbe definirlo d'impatto un goleador nato. Tardi, ma goleador dentro. Perché Lee Dong-gook ce ne ha messo di tempo per esplodere nel calcio sud-coreano. Tuttavia oggi è una leggenda. E continuerà a esserlo, visto che la sua voglia di segnare e stupire gli appassionati del calcio asiatico è ancora presente in lui.

Lee Dong-gook ha giocato per la Corea del Sud per 16 anni.

Ne è passato di tempo dagli inizi a Pohang, dove Lee Dong-gook è cresciuto con la maglia degli Steelers, esordendo nel 1998 sotto la guida di Park Sung-hwa. All'epoca la K-League - nonostante i suoi 15 anni di vita - era un campionato diverso. Lo sapeva anche l'attaccante sud-coreano, che decide di cogliere l'improvvisa occasione arrivata dall'Europa.
Lo vogliono a Brema, dove il Werder lo terrà in prestito per un anno. La squadra va bene (settima in Bundesliga), ma Schaaf non lo vede troppo. Lee gioca appena sette partite nel campionato tedesco, poi torna in K-League, di nuovo a Pohang. L'impressione, però, è che sia destinato a non consacrarsi come attaccante prolifico.
Non è un caso che nelle sei stagioni successive trascorse nel campionato locale Lee Dong-gook vada in doppia cifra solo una volta, nel 2003: 11 reti in 27 partite con la maglia del Gwangju Sangmu FC, con cui l'attaccante ha intervallato due parentesi con gli Steelers. Eppure l'Europa torna a bussare alla sua porta, stavolta nell'estate 2006 dall'Inghilterra.
Il Middlesbrough dà a Lee una seconda chance europea, stavolta in Premier League. Il Boro è arrivato l'anno prima in finale di Coppa Uefa e vuole rinforzare il reparto avanzato. L'allenatore è Gareth Southgate, ma i risultati non saranno granché: 29 partite totali e due gol, realizzati nelle coppe. In Premier, il sud-coreano non andrà mai a segno.
Tornato in patria, stavolta sembra finita. A trent'anni, chi mai vorrà credere in un giocatore andato in doppia cifra UNA SOLA VOLTA nella sua intera carriera? Ci prova il Jeonbuk Hyundai Motors, che accoglie Lee dopo che il giocatore ha finito la stagione 2008 con la maglia del Seongnam FC. Nessuno sa che sarà la mossa che cambierà la storia del club.
La squadra della Hyundai aveva in bacheca tre coppe nazionali e addirittura una Champions League asiatica (vinta nel 2006), ma non aveva mai vinto la K-League sotto la guida di Choi Kang-hee. Nel 2009, alla prima stagione con i Noksekjunsa, Lee Dong-gook segna 26 gol in tutte le competizioni: la somma è maggiore delle reti realizzati nei cinque anni precedenti.
Così arriva il primo titolo nazionale, la consacrazione definitiva e la consapevolezza di aver trovato il giusto posto per esprimersi. I premi individuali sono tutti suoi: miglior giocatore dell'anno, capo-cannoniere e miglior atleta della K-League secondo i fan (un riconoscimento ottenuto ben quattro volte, un record assoluto).
Lee Dong-gook ha poi vinto altre tre campionati (l'ultimo nel 2015), assicurandosi a ogni alloro il premio di MVP. Ha sfiorato un'altra Champions League, perdendo solo in finale contro i qatarioti dell'Al-Sadd, ma ottenendo i riconoscimenti di capo-cannoniere e MVP della manifestazione. A gennaio 2012, è anche diventato il top-scorer nella storia della K-League.

Non è che il 2015 sia stato malvagio, eh...

A 37 anni ormai compiuti, ci si può chiedere cosa sia rimasto da conquistare a uno così. Un signore che nelle prime due gare della Champions League asiatica 2016 ha già timbrato per due volte, che alla sua età fa ancora questi gol. Un punto di riferimento per la Corea del Sud calcistica. Beh, qualche rimpianto c'è: per esempio in nazionale.
Lee Dong-gook ha militato per 16 anni in nazionale, con diversi allenatori e in ere calcistiche differenti. Dopo esser stato il rookie dell'anno nella K-League 1998, l'attaccante va al Mondiale 1998 con la sua nazionale. LDG viene convocato anche per la Coppa d'Asia di due anni più tardi, dove diventa persino capo-cannoniere con sei reti.
Eppure la sua storia con la nazionale sta per cambiare: nel Mondiale di casa del 2002, Guus Hiddink non lo chiama, perché necessita di giocatori iper-energetici per il suo modulo. I tifosi chiamano Lee "lazy genius" (il genio pigro), perché non sembra sfruttare al massimo il suo potenziale. L'attaccante ha poi ammesso di non aver visto una singola gara di quel Mondiale: troppa l'amarezza.
Anche quando i ct lo vedevano di buon occhio - vedi Dick Advocaat per il Mondiale 2006 - è la sfortuna a mettersi di traverso: un infortunio costringe Lee a saltare l'appuntamento tedesco. Le cose non vanno meglio un anno più tardi, quando viene rivelato come Lee sarà escluso per un anno dalla nazionale dopo esser stato pizzicato a bere con tre compagni (tra cui il capitano Lee Woon-jae) durante la Coppa d'Asia 2007.
Nonostante le prestazioni con il Jeonbuk, Lee ha giocato un solo Mondiale, quello del 2010. Nel 2014 sarebbe stato arruolabile, ma il ct Hong Myung-Bo l'ha bellamente ignorato e la Corea del Sud ha fatto una figura barbina in Brasile. Tornato al gol nella prima partita post-Mondiale con la nazionale, probabilmente la sua storia è finita con un gol al Venezuela.
Già, perché la maturità Lee non l'ha raggiunta solo in campo, ma anche fuori. Il bomber della Hyundai è padre di cinque figli ed è stato protagonista in una puntata di "The return of Superman", un famoso show sud-coreano che vede i padri alle prese con i propri figli senza la madre. L'episodio con Lee è stato un successo, tanto da esser premiato ai KBS Entertainment Awards.
Cosa può riservare il futuro per un signore del genere? Intanto l'immortalità nel calcio sud-coreano è già assicurato. Magari anche un futuro da entertainer in tivù, ma per ora Lee pensa soprattutto a segnare. Non è un caso che abbia firmato un nuovo contratto con il Jeonbuk fino al dicembre 2017: quando arrivi alla maturità, pensi prima alle cose importanti.

Lee Dong-gook, 37 anni, ancora a segno con la forza di un ragazzino.

2.3.16

Contro il tempo.

Di lui disse una volta Johan Cruyff: «Averlo in squadra sarebbe per chiunque una benedizione. Se si dovesse pesare la sua importanza in campo, bisognerebbe ricorrere all'oro». E no, non parlava di uno dei tanti fuoriclasse Oranje, bensì di Dirk Kuyt. L'uomo che di strada ne ha fatta tanta (e continua a farne) dal piccolo villaggio di Katwijk aan Zee.

Kuyt ha collezionato 104 presenze e 24 gol con l'Olanda.

Quando era più giovane, suo padre avrebbe voluto che entrasse nell'azienda di famiglia. Invece il piccolo Dirk ha sempre preferito il campo da calcio al mare: «Volevo essere come mio padre, che faceva il pescatore, ma a 11 anni decisi di giocare a pallone. Lui mi disse che andava bene così, l'importante è che fosse una decisione presa da me».
Già, perché Kuyt è sempre apparso responsabile anche in campo, concentrato sull'obiettivo da perseguire. Lo è stato fin dai tempi dei Quick Boys, la squadra di Hoofdklasse (quarta divisione olandese) dov'è cresciuto per 13 anni, prima di passare all'Utrecht nell'estate del 1998. In cinque anni, le prime trasformazioni cominciano a notarsi.
All'inizio viene usato come ala destra, ma è il manager Foeke Boey a spostarlo nella posizione di "centravanti ombra", una sorta di seconda punta. L'esperimento funziona, tanto che Kuyt vive nel 2003-04 la sua prima stagione da 20 gol in Eredivisie: non sarà l'ultima. E l'attaccante saluta Utrecht anche con la vittoria della KNVB Cup.
Saluta perché il Feyenoord lo vuole per sostituire Pierre van Hooijdonk, diretto in Turchia. La scelta è saggia: Kuyt segna 83 gol in 122 partite con il club di Rotterdam ed esordisce anche in nazionale. Impossibile non notarlo, con quel work-rate che l'ha caratterizzato ben oltre i gol segnati (176 gare consecutive giocate tra il marzo 2001 e l'aprile 2006!).
Dopo il Mondiale di Germania, arriva l'opportunità della Premier League: un sogno che Kuyt realizza con una delle maglie più suggestive non in Inghilterra, ma nel mondo, ovvero quella del Liverpool. Non c'è bisogno che elenchi per filo e per segno il suo rendimento nelle sei stagioni ad Anfield, ma vi lascio solo qualche riflessione.
Kuyt diventa uno Scouser in tutto e per tutto, adorato dalla Kop per la sua dedizione ai Reds e il suo impegno a tutto tondo. Benitez lo schiera ala destra nel 4-2-3-1 e lui ripaga il Liverpool con grandi prestazioni. L'unico peccato è che alzi un solo trofeo a Liverpool, la League Cup del 2012, vinta ai rigori contro il Cardiff City. Anche se Kuyt l'aveva decisa nei supplementari...
Dopo sei anni d'amore e con Rodgers in arrivo, Kuyt ha salutato anche Liverpool per trasferirsi al Fenerbahce. Il triennio trascorso al Şükrü Saracoğlu Stadium ha portato altrettante stagioni in doppia cifra, un campionato, una coppa nazionale e una supercoppa. Non male come bilancio finale, in attesa del ritorno più importante.
Alla naturale scadenza del contratto con i turchi, Kuyt ha deciso di tornare dov'era stato importante: il Feyenoord l'ha riaccolto a braccia aperte nella gestione dei ritorni targata Giovanni van Branckhorst. La squadra di Rotterdam naviga in zona europea, con Kuyt a quota 15 gol in campionato e il Feyenoord terzo in classifica (ma a -22 dall'Ajax!).

Il ritorno di Dirk Kuyt a Rotterdam.

La cosa strana che ha caratterizzato la carriera di Kuyt è che si è tolto molte soddisfazioni personali, ma alla fine non ha alzato tanti trofei. Una coppa nazionale in Olanda, il trio di allori in Turchia e la League Cup a Liverpool: poco, troppo poco per chi meritava di più. E anche con la nazionale la traiettoria è stata strana
Kuyt ha giocato con l'Olanda per dieci anni, rendendo gli Oranje una delle squadre più forti del panorama europeo. Particolarmente commovente è stata la sua performance nell'ultimo Mondiale, dove Louis van Gaal l'ha schierato da esterno destro nel 3-5-2 e Kuyt ha eseguito alla grande il compito datogli, senza fare una piega.
Sarà un caso, ma nonostante tanti fuoriclasse e un terzo posto al Mondiale alle spalle, l'Olanda non sarà a Euro 2016 nella prima volta della competizione a 24 squadre. Senza gente come Kuyt - con lo stesso spirito di sacrificio e abnegazione - l'Olanda fa fatica. E sarà sempre un caso, ma l'ultima Olanda pre-Kuyt era quella che aveva fallito l'accesso al Mondiale 2002.
Intanto Dirk si gode la tranquillità di Rotterdam: ha firmato un annuale con il Feyenoord, ma non sappiamo se a giugno 2016 vorrà smettere. Con l'estate libera (si era comunque ritirato dall'Olanda nell'ottobre 2014), potrebbe decidere di continuare per riconquistare quel titolo di Eredivisie che manca da 17 anni. Contro il tempo, ma sempre a modo suo.

Dirk Kuyt, 35 anni, capitano e bandiera del Feyenoord.