10.5.18

C'è speranza per la middle class.

Ci sono due storie da raccontare. La prima riguarda le top 5 leghe in Europa, dove l'alternanza è ormai bandita nella vittoria finale (se escludiamo quella ricca eccezione che è la Premier League). La seconda riguarda alcuni campionati medi, dove il calcio non è ancora governato dall'incoerenza dell'Uefa ed è possibile avere delle sorprese. 

L'AEK Atene è tornato sul trono di Grecia dopo 24 anni.

Per nessuna di queste storie c'è stata una prima assoluta, ma la Superleague greca racconta la favola più bella di tutte. Non è la prima volta che su questo blog si menzionano le sorti dell'AEK Atene, sparito dopo una tragica annata (quella 2012-13, con la retrocessione) nei meandri del calcio greco. Eppure, un lungo lavoro ha riportato i gialloneri sul trono nazionale.
Un titolo importante non solo per la lunga assenza sulla bacheca dell'AEK (che ne ha vinti 12 e l'ultimo era datato 1994), ma anche perché nelle ultime 23 edizioni della Superleague greca l'Olympiacos aveva trionfato 19 volte. E nelle altre quattro, il titolo era andato ai diretti rivali del Panathinaikos, ora in disgrazia.
In questo scenario, sono dispiaciuto che il PAOK Salonicco non abbia approfittato della storica occasione, con il suo presidente - Ivan Savvidis, russo ma con origini greche - sceso in campo con una pistola per protestare contro un episodio arbitrale. In una stagione con Olympiacos e Panathinaikos ai margini, la conseguente deduzione di punti per il PAOK è stata fatale.
All'AEK Atene è bastato crescere gradualmente: non solo fuori (il nuovo impianto, l'Agia Sophia Stadium, sarà pronto per il 2019), ma anche in campo, dove l'AEK - appena tornato in prima divisione, nel 2015 - si è subito portato a casa la coppa nazionale. Poi è tornato in Europa e infine ha vinto il campionato grazie al tecnico Manolo Jiménez.

Se l'AEK ha atteso parecchio, allo Young Boys han dovuto aspettare ancora di più: 32 anni erano passati dall'ultimo titolo nazionale, conquistato in uno scenario calcistico ben diverso (per dire: il campionato svizzero all'epoca si giocava con 16 squadre). La squadra di Berna non è proprio un volto nuovo per il calcio europeo, ma è comunque una sorpresa.
Li abbiamo intravisti ogni tanto in Europa League. Io stesso me li ricordo giocare un preliminare di Champions League contro il Tottenham nell'estate 2010, quando in squadra avevano gente come Senad Lulic e in panchina Vladimir Petkovic. Ne è passato di tempo, ma alla fine qualcuno è riuscito a spezzare l'egemonia del Basilea.
Da otto anni, infatti, il titolo elvetico era in mano al Basilea, capace di vincere 11 delle ultime 15 edizioni della Swiss Super League, creando di fatto una dinastia. Tuttavia, il lavoro di Adi Hütter - tecnico austriaco, formato e lanciato dalla Red Bull in quel di Salisburgo - è stato fondamentale per ribaltare le carte.
Già all'inizio della primavera, tutto sembrava pronto per una sorpresa. Il Basilea è rimasto lontano dalla testa, concentrato sulla Champions League. In campo, invece, non c'è stato qualcuno che sia emerso nettamente: già avere quattro giocatori in doppia cifra - rivelazioni come Assalé e Nsame, accanto a sempreverdi come Hoarau e Sulejmani - ha aiutato Berna a riassaporare il titolo.

Per il primo campionato vinto in 32 anni, lo Young Boys non ha badato a spese nel celebrare la vittoria in campionato.

Altri ritorni si sono visti anche nel resto d'Europa. Mi viene da menzionare la Danimarca, che è stata spesso oggetto di scambio tra diversi club nella vittoria del campionato, ma che quest'anno ha visto un grande ritorno di un'antica decaduta: il Brøndby è vicino alla riconquista della Superliga danese dopo 13 anni.
AaB, Midtjylland e Nordsjælland hanno vinto a sorpresa, ma di fatto una padrona del campionato c'è ed è il FC Copenhagen, vittorioso in otto delle ultime 12 edizioni della Superliga. Allenato da un manager tosto come Ståle Solbakken e aiutato dalla presenza di giocatori come Kvist e Fischer, il Copenhagen sembrava favorito per la vittoria finale.
Il Brøndby, invece, ha fatto la voce grossa fino a metà anni 2000, sparendo poi di fatto dall'albo d'oro: l'ultimo alloro risaliva al 2006. Per altro, la rivalità con il Copenhagen è segnata anche da una differenza d'età: il Brøndby è un club nato a metà degli anni '60, mentre il FC Copenhagen ha appena 25 anni di vita.
Nonostante un pronostico sfavorevole, Alexander Zorniger ha saputo guidare fino a qui. Già, proprio l'ex allenatore del RB Lipsia, quello che ha portato il club dalla quarta divisione tedesca alla Zweite Bundesliga in tre anni. In un campionato dove il Copenhagen ha mollato (-22 dal Brøndby!), il Brøndby si gioca tutto nelle ultime due giornate, tentando di conservare un margine di appena tre punti sul Midtjylland.

Chi invece può già festeggiare perché i giochi sono fatti è la Lokomotiv Mosca, che si è ripresa la Premier League russa dopo 14 anni. Un successo inaspettato, sebbene le gerarchie del calcio russo stiano ormai cambiando: dopo anni di dominio in tandem tra CSKA Mosca e Zenit San Pietroburgo, le grandi della capitale stanno tornando.
L'anno scorso è stato lo Spartak Mosca di Massimo Carrera a vincere il titolo; nel 2017-18, invece, è toccato alla Lokomotiv, che alza il suo terzo trofeo nazionale da quando esiste la nuova Russian Premier League (quindi dal 1992). Il tutto con una giornata d'anticipo, battendo in casa proprio lo Zenit San Pietroburgo di Roberto Mancini.
Alla guida dei Zheleznodorozhniki, Yuri Semin ha conquistato il campionato, replicando gli altri due titoli nazionali, vinti con il club nel 2002 e nel 2004. Proprio perché Vico c'aveva visto giusto, il 71enne tecnico è tornato alla Lokomotiv per il suo quarto stint da head coach, vincendo ancora (l'anno scorso aveva alzato la coppa nazionale).
Tra i protagonisti del successo, potremmo menzionare tanti nomi: dal portiere naturalizzato Guillherme al capitano Igor Denisov, passando per i fratelli Miranchuk, l'esperienza di Ćorluka e i gol dei lusitani Manuel Fernandes ed Eder (sì, quello della finale di Euro 2016). Ma uno che va certamente ricordato è Jefferson Farfán.
Il calciatore peruviano ha costruito una carriera ricca e soddisfacente in Europa, legandosi soprattutto a due realtà: PSV Eindhoven e Schalke 04. Ha firmato poi per l'Al Jazira nel 2015, sperando di godersi gli ultimi giorni da calciatore in una pensione dorata. Poi c'è stato qualche ripensamento e allora, nel gennaio 2017, la Lokomotiv ha puntato su di lui.
Inattivo da tempo e fuori dal gioco, Farfán si è ripreso e ha trascinato la squadra al titolo. Non solo, perché lo vedremo ancora in campo quest'estate. Sempre in Russia, sì, ma con la maglia del Perù, anch'esso bisognoso delle sue giocate. La lezione è che la middle class europea regala emozioni e novità, a differenza di chi regna sulla vetta.

Jefferson Farfán, 33 anni, festeggia il titolo nazionale vinto dalla Lokomotiv Mosca.

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