11.7.12

Smobilitazione o rinascita?

C'è un fenomeno nuovo nel calcio italiano. Un fenomeno che si muove sotterraneo e che trova nella Serie A l'epicentro: parlo della nuova aria che si respira nel nostro mondo pallonaro. E' notizia di oggi il tentativo del Paris Saint-Germain di comprare Thiago Silva ed Ibrahimovic dal Milan, per la cifra totale di 60 milioni di euro: sarebbe l'ennesimo colpo dei parigini (che hanno già preso Lavezzi) e una delle tante partenze che caratterizza negli ultimi anni il nostro calcio. Ma è davvero così strano? Da quando siamo diventati una patria di esportatori, quando negli anni '90 compravano campioni su campioni? Ed è un fenomeno irreversibile?

Innanzitutto, va illustrata la situazione: da un paio d'anni, il calcio italiano soffre molto sul mercato; da qualcuno in più, prende illustri mazzate in Europa, se escludiamo l'Inter che vinse la Champions nel 2010 e qualche miracolo isolato, come la Fiorentina che si arrese solo nelle semifinali della Coppa UEFA 2007/2008 o il Napoli dell'ultima stagione che, per il suo potenziale, ha fatto vedere buone cose e si è dovuto inchinare solamente alla squadra che sarebbe diventata campione d'Europa, ovvero il Chelsea di Roberto Di Matteo.
Per il resto, il panorama è desolante: escludendo il caso dei nerazzurri, la media dei risultati delle italiane in Europa è deludente. Sul bilancio, pesa sopratutto il rendimento delle nostre squadre in Europa League, competizione che dà meno soldi, meno ricavi e - quindi - merita meno attenzione. Ragionamento poco romantico e molto concreto; ma con il fair-play finanziario che bussa alle porte, è inutile fare i sentimentalismi. La UEFA dovrebbe porre rimedio a tutto ciò, ma intanto le italiane scivolano nei ranking europei ed il sorpasso della Germania è cosa fatta da un anno, tanto che le tedesche in Champions saranno quattro nella prossima stagione, mentre le italiane saranno tre. Ovvio che bisognerà attendere l'esito dei preliminari per giudicare, ma intanto la Germania ci ha surclassato negli ultimi anni: tre finali per le squadre teutoniche (due di Champions per il Bayern ed una per il Werder Brema nell'ultima edizione della vecchia Coppa UEFA), una per le squadre italiane. Vero che le squadre tedesche le hanno perse tutte, ma andando a spulciare le squadre che più sono andate avanti nelle due competizioni europee, si capisce come mai il ranking italiano crolli: negli ultimi cinque anni, lo Schalke 04 ha raggiunto una semifinale di Champions, mentre il Bayern e l'Amburgo (due volte) sono arrivate in semifinale nell'altra competizione europea; per le italiane, solo Inter e Fiorentina (rispettivamente, in Champions ed in Coppa UEFA) sono riuscite a farcela. Insomma, una debacle.

L'Inter di Mourinho conquista la Champions League 2009/2010: 
l'ultimo trofeo di una squadra italiana in Europa.


Viene da chiedersi dove nasca questo divario. Eppure, negli anni '90, il calcio italiano regnava. Anzi, sfogliando qualche almanacco del calcio, ci si accorge che il divario era netto e si poteva afferamare che la Serie A era il campionato più competitivo del mondo. Basta guardare i titoli vinti dalle squadre italiane in quegli anni: in Champions, Milan (2) e Juventus vincono la Champions League, mentre la Sampdoria, gli stessi rossoneri (altre due volte) ed i bianconeri di Torino (due volte anche loro) raggiungono la finale; va ancora meglio in Coppa UEFA, dove la Juventus (2), il Parma (2) e sopratutto l'Inter (3) vincono il trofeo, con Fiorentina, Juventus, Torino, Inter e Lazio che raggiungono la finale senza trionfare. Considerando anche la defunta Coppa della Coppe (allora riservata ai vincitori delle Coppe nazionali), il bilancio cresce ulteriormente: Sampdoria, Lazio e Parma ne vincono una, con i gialloblu che perdono un'altra finale. Un trionfo, proprio mentre le squadre tedesche fanno molta più fatica, tanta da portare a casa "solo" una Champions con il Borussia Dortmund, due Coppe UEFA con Schalke 04 e Bayern Monaco ed una Coppa delle Coppe con il Werder. Il risultato è impietoso: 13 trofei a 4. Un conto ribaltatosi negli anni Duemila: 3 a 1 per i trofei, ma i tedeschi hanno dalla loro le sei finali contro le cinque delle nostre squadre.
Il confronto viene spontaneo con la Germania perché è il paese che più ha recuperato il divario calcistico che ci separava da loro: i club inglesi sono sempre stati vincenti, mentre quelli spagnoli sono cresciuti durante gli anni '90, non solo attraverso Real e Barcellona.. i nomi di Deportivo La Coruna, Valencia, Villareal e Siviglia diranno certo qualcosa a molti. Beh, quel bilancio è cambiato. Non siamo più il campionato che accoglie un anno Zinedine Zidane, l'anno dopo Ronaldo, che ha giocatori come Batistuta, Rui Costa, Nedved, Shevchenko, Vieri. No, i tempi delle "sette sorelle", quando a contendersi il campionato erano sette squadre (le milanesi, le romane, Juventus, Parma e Fiorentina), sono finiti. Da un pezzo.

Il Parma vince la Coppa UEFA 1998/1999: l'ultimo trionfo
di una squadra italiana in questa competizione.


Cosa hanno fatto i tedeschi per migliorarsi in questa maniera? Semplice. Hanno lavorato su ciò che gli regala le maggior fortune in nazionale: i giovani. L'Italia ha sempre avuto una grandissima tradizione di giovani, con un Under-21 che negli anni '90 ha vinto di tutto. Ma c'è sempre la paura di rischiare, che il ragazzo possa bruciarsi dopo una stagione negativa, che al primo passaggio sbagliato verrà fischiato: ecco, è questo il motivo del nostro fallimento. Già. Perché se può reggere la scusa del marketing per i club inglesi o delle tasse molto più basse sugli ingaggi dei club spagnoli, il discorso regge meno per i club tedeschi. Certo, sfruttano il vantaggio di stadi straordinari, ma sono un gap recuperabile, se verrà impostato un certo corso basato sui giovani in tutti i club, anche quelli più grandi, e se verrà fatta una legge seria che permetterà la costruzione di impianti sportivi di proprietà.
Le sorelle non sono più sette e non solo per colpa della crisi: a giocarsela sono sempre le stesse, ovvero le due milanesi e la Juventus, che si è ripresa quest'anno proprio con un programma simile (alla lontana) a quello dei club tedeschi, premiato con la conquista dello scudetto. Ma quanto c'è voluto per arrivarci..
E adesso forse è il turno anche degli altri: il Milan non spende più un euro, comprando quasi sempre parametri zero e rischiando la cessione di due dei suoi pilastri proprio in queste ore; l'Inter ha mandato via quasi tutti gli eroi del Triplete, risparmiando sugli ingaggi e facendo un programma impostato su una squadra giovane, sulla stessa linea verde dell'allenatore; il Napoli ha ceduto Lavezzi per un'ottima cifra e adesso ripartirà dalla leggerezza di Lorenzo Insigne, talentino azzurro; la Roma spende più di tutti questi club, ma ha puntato sopratutto su giovani da far consacrare. Insomma, la strada maestra pare tracciata. Non bisogna vergognarsi di esser diventati esportatori: significa che qualcuno apprezza ancora il calcio italiano. Il problema, semmai, è un altro: ripartire.
E si può ripartire solo facendo giocare questi giovani, facendo capire al mondo che non c'è smobilitazione, ma semplicemente il calcio italiano sta rinascendo; del resto, sono prodotti buoni, altrimenti Verratti non sarebbe con un piede a Parigi per 14 milioni di euro. Prandelli agli Europei ha già dato una mano, ora tocca ai club dimostrare che il nostro mondo si può riprendere e dare una lezione a tutti. Altrimenti, continueremo a guardare altri che alzano coppe. E sarà un peccato, perché il potenziale c'è.

Lorenzo Insigne, 21 anni: uno dei giovani talenti su cui può contare l'Italia del futuro.

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