12.12.13

WITNESSING TO CHAMPIONS: 2013 Edition

Un altro anno di calcio è passato e quante stelle abbiamo visto. Tuttavia, troppe volte ci si ferma su quelle più luminose e poche, invece, si guarda a coloro che hanno già fatto la storia del calcio e che stanno per lasciare. In tal proposito, come l'anno passato, "Witnessing to Champions" si preoccupa di ricordare la storia di cinque giocatori che hanno scritto, a modo loro, pagine di storia. E' stato difficile sceglierne cinque. Si potrebbe citare la straordinaria carriera con la maglia del Liverpool di Jamie Carragher, la parabola vincente di Dejan Stankovic a tinte italiane e l'indistruttibilità di Paul Scholes, tornato dopo un primo e parziale ritiro. Purtroppo, il mio sguardo si circoscriverà a soli cinque casi e quindi ho scelto quelli che mi sembravano ancora più significativi.


  • Anderson Luís de Souza, detto "Deco" (trequartista, Fluminense | São Bernardo do Campo, 27 agosto 1977 | Corinthians, Alverca, Salgueiras, Porto, Barcellona, Chelsea, Fluminense)

Un concentrato di classe ed eleganza: questo è stato "Deco". L'uomo che doveva essere il nuovo che avanza nel Benfica e che, invece, fu improvvidamente venduto al Porto di José Mourinho, il tecnico che lo ha fatto conoscere al mondo. Spesso si pensa a quella squadra, che vinse Coppa UEFA e Champions tra il 2002 ed il 2004, e si crede che la stella fosse proprio lo Special One. No, la stella era proprio il brasiliano: lui fu l'MVP della finale a Gelsenkirchen nel 2004. Sembrava tutto fatto perché Mou se lo portasse al Chelsea, nel quale arriverà con quattro anni di ritardo. Lui, invece, preferì il Barcellona, che per altro lo strappò al Porto con un accordo molto conveniente: 20 milioni di euro più l'allora talento Ricardo Quaresma. Il brasiliano fece anche bene in blaugrana: vinse un'altra Champions nel 2006. Con il Portogallo, Deco è stato uno dei casi brasiliani che preferiva i lusitani al verdeoro: la finale dell'Europeo casalingo del 2004 è stato il massimo risultato con la nazionale per il fantasista. Chiusura proprio sul 2004: in quell'anno, il Pallone d'Oro - per come è stato assegnato negli anni - sarebbe dovuto andare a lui, vincitore della Champions da protagonista e finalista all'Europeo. Invece, andò a Shevchenko: nessuno mette in dubbio le capacità dell'ucraino, ma quelle dei giudicanti sì. Nel 2010, è tornato in Brasile a giocare per la Fluminense: anche qui tante vittorie e la sensazione che il suo talento sia stato addirittura sottostimato. Si è ritirato per usura: i continui infortuni muscolari hanno rischiato di rovinargli più delle carriera e così Deco ha detto basta. Ci mancherà la sua classe, non c'è dubbio. Il Portogallo di oggi avrebbe ancora bisogno della sua inventiva.




  • David Beckham (esterno destro, Paris Saint-Germain | Leytonstone, 2 maggio 1975 | Manchester United, Preston North End, Real Madrid, Los Angeles Galaxy, Milan, Paris Saint-Germain)

Sul piano del curriculum vitae, c'è poco da dire: Beckham s'è più che divertito. Non tutti hanno giocato con alcune delle maggiori squadre di quattro campionati diversi, tra i più importanti in Europa. Tuttavia, il dubbio rimarrà sempre: grande giocatore o icona mediatica? Se qualcuno ricorda i tempi di un decennio fa, quando prima passò al Real e poi li lasciò per i Galaxy, la domanda è più che lecita. La sua bacheca è piena di trofei nazionali, ma di una sola Champions. L'impressione è che il meglio l'abbia dato proprio a Manchester, sotto la guida di Alex Ferguson. A Madrid, non è spuntato per meriti tra i mille "galacticos" di Ramon Calderon. I prestiti al Milan sono stati un'occasione per ricordarlo al mondo. Tuttavia, la macchia sulle avventure con la nazionale inglese rimangono: neanche lui, l'icona pop del calcio dell'inizio degli anni 2000, è riuscito a fare molto con la nazionale dei Tre Leoni. Inoltre, per lui rimarrà il rimpianto di non aver giocato il Mondiale sudafricano, che sarebbe stato il quarto della sua carriera. Se sul campo avrebbe potuto far di più, nulla da dire sulla sua persona. Lui stesso ha detto dopo la sua ultima gara nel maggio 2013: "Mi piacerebbe essere ricordato come un duro lavoratore, come qualcuno che ha dato il massimo ogni volta che è sceso sul campo da gioco. Probabile che sia così, ma chissà quanto avrebbe potuto fare con quel destro magico.




  • Alessandro Nesta (difensore centrale, Montreal Impact | Roma, 19 marzo 1976 | Lazio, Milan, Montreal Impact)

Beh, qui il discorso è simile a quello di Becks, ma radicalmente diverso. Nesta è stato uno dei più grandi giocatori del calcio italiano ed uno dei migliori difensori europei degli ultimi anni. Gli infortuni lo hanno pesantemente penalizzato, spesso nei momenti più importanti della sua carriera. E' raro trovare un giocatore che abbia disputato tre Mondiali e sia riuscito ad infortunarsi in ognuno di essi: Nesta conserva questo sfortunato record. Certo, nel 2006 questo si trasformò in un vantaggio per l'Italia, con Materazzi protagonista, ma poco importa. La storia di Nesta parla di tante vittorie, sia con la società che lo ha fatot conoscere (la Lazio, un sodalizio durato dal 1985 al 2002) che con il club con cui è stato per un decennio (il Milan). I problemi finanziari della squadra biancoceleste lo costrinsero a lasciare il club nell'estate del 2002, sebbene Nesta non volesse affatto andarsene da Roma. Capitano ed idolo della Curva Nord, Nesta salutò la capitale per trasferirsi a Milano, sponda rossonera. Grazie a lui, il club di via Turati ha vinto molto e forse avrebbe potuto vincere anche di più, se gli infortuni alla schiena degli ultimi anni non l'avessero perseguitato. Poi è arrivata la chiamata dal Canada e la voglia di fare un'esperienza a Montreal con i suoi compagni italiani (Di Vaio, Corradi e Ferrari). L'MLS lo ha celebrato a chiusura di una straordinaria carriera e Nesta ora vorrebbe cominciarne un'altra: quella da allenatore. Vedremo se sarà bravo come in quella da esperto difensore sul campo da gioco.




  • Michael Owen (attaccante, Stoke City | Chester, 14 dicembre 1979 | Liverpool, Real Madrid, Newcastle United, Manchester United, Stoke City)

Se pensi a Owen, il primo flash che hai inevitabilmente è quello del gol all'Argentina negli ottavi di finale del Mondiale francese del 1998. In quella calda serata di giugno, tutti si accorsero che stava nascendo un fenomeno, capace magari di oscurare anche quelli dell'epoca. Per un certo periodo di tempo, il "Golden Boy" inglese c'è anche riuscito: nel quadriennio tra quel Mondiale e quello successivo, Owen ha rappresentato il meglio del calcio ad alti livelli. L'attaccante era il Messi di ieri: era capace di vincere alcune partite da solo. Non per nulla, Owen vinse il Pallone d'Oro del 2001, dopo aver aiutato il Liverpool a vincere cinque trofei in quell'anno. Così come per Beckham, la rovina è arrivata paradossalmente nel momento in cui sembrava che la sua carriera dovesse continuare in gloria. Il passaggio al Real Madrid lo ha messo da parte e non è stato più in grado di raggiungere certi apici. Tornato in Inghilterra, al Newcastle United, è stato importante ma non decisivo, tanto che i "magpies" sono retrocessi in Championship nonostante la sua presenza in squadra. Rovinato da molti infortuni, Sir Alex Ferguson lo prese comunque sotto la sua ala e lo fece stare a Manchester per tre anni, con qualche lampo di vita da parte dell'attaccante. Infine, l'ultimo anno allo Stoke City: nel match finale della sua carriera, ha ricevuto applausi da tutto lo stadio. Anche su questa carriera, c'è l'incognita nazionale: nonostante tanta classe, Owen non è riuscito nell'impresa di far vincere qualcosa alla sua Inghilterra. Ripenso sopratutto all'Europeo del 2004: era l'occasione migliore per Owen e compagni, specie perché lui formava la coppia d'attacco con un giovanissimo Wayne Rooney. La rottura del crociato anteriore al Mondiale del 2006 rimarrà la sua croce. Che dire: sarà per un'altra volta.




  • Stiliyan Petrov (centrocampista, Aston Villa | Montana, 5 luglio 1979 | CSKA Sofia, Celtic, Aston Villa)

La vita è stata dura con il centrocampista bulgaro: Stiliyan Petrov, qualche tempo fa, scopre di avere la leucemia. Quando viene a sapere della notizia è il marzo 2012: Petrov è il capitano dell'Aston Villa, squadra da cui milita da sei anni, dopo tre stagioni al CSKA Sofia ed altre sette splendide con la maglia del Celtic di Glasgow. Qualcuno paventa la possibilità che si ritiri, ma in realtà il bulgaro non molla: lotta per la propria vita e vince questa battaglia, quando nell'agosto dello stesso anno si scopre che il bulgaro si sta riprendendo. Durante tutta la scorsa stagione, Petrov è stato visto al Villa Park per seguire la sua squadra: ora, con la vita di nuovo nelle sue mani, il bulgaro è diventato il coach dell'Under 21 del club. Così potrà proseguire il suo incredibile legame con questo sport. In fondo, la battaglia più importante l'ha già vinta. E il bulgaro ha avuto modo anche di chiudere la carriera in un modo incredibile: non tutti hanno l'onore di vedersi cantare dal Celtic Park "You'll never walk alone". I migliori auguri gli vanno da parte mia per il proseguo della sua carriera, speriamo da allenatore.

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