28.1.15

Finché c'è Coppa non c'è speranza.

Triste il destino della Coppa Italia: in questi giorni si giocheranno i quarti di finale, ma come al solito né le società né gli spettatori hanno avuto voglia di seguirla allo stadio. Meglio la tv, anche perché la Rai ne ha l'esclusiva. Non bisogna però dare loro torto: per come è organizzata attualmente, la coppa nazionale è solamente un incubo. Mal gestita, con una formula incomprensibile e con quella voglia (neanche lontanamente soddisfatta) di assomigliare alla F.A. Cup.

Il modello da seguire è la F.A. Cup. Forse...

Le presenze di questi giorni sono deludenti. Ieri per Milan-Lazio allo stadio San Siro c'erano ben 9672 spettatori paganti. Uno scenario deprimente per una coppa che di strada ne ha fatta tanta. La Coppa Italia negli anni '80 e '90 ha rappresentato un momento importante di sviluppo per molte squadre. Penso al Parma dei Tanzi oppure al magico Vicenza di Guidolin. O alla Sampd'oro, che vinse tre coppe nazionali prima di lanciarsi nella conquista dello scudetto e nello stupire l'intera Europa (Koeman permettendo).
Oggi non è più così, perché la Coppa Italia è vissuta come un fastidio prima di tutto dagli stessi club. Ogni tanto qualcuno se ne esce con la frase: «La Coppa Italia è il nostro scudetto/la nostra Champions» (case in point), ma alla fine non è mai così. Questo è dovuto anche alla formula della competizione. Dal 2010-11 è solo la Lega di Serie A (e non più la Lega Nazionale Professionisti) a gestire la competizione. E non è un caso che le presenze stiano colando a picco da quando c'è stato questo cambio di management.
Gli unici cambiamenti positivi avuti nell'ultimo decennio sono stati l'inserimento delle squadre di Lega Pro e Serie D, nonché la creazione della finale unica con sede nella capitale (per altro presente in altre competizioni da parecchio tempo). Con la cancellazione della Coppa delle Coppe, la Coppa Italia ha perso però importanza: non sei più proprietario di un potere esclusivo, bensì solo una delle tante squadre che va in Europa League. Eppure si continua a blaterare di modelli esteri.
Il sogno è l'F.A. Cup, dove però giocano anche le squadre dilettantistiche. Dove delle volte le grandi vanno sui campi di periferia, cosa che invece qui non capita praticamente mai. Ce la vedete la Juventus a Bra o il Napoli a Torre Annunziata? Sembra impossibile in Italia. Anche in Spagna e Francia c'è questa pratica. Meno in Germania, dove però la DFB-Pokal regala qualche emozione. Ci sono delle sorprese: il Duisburg in finale nel 2010-11, il Wigan vincitore nel 2012-13 o i dilettanti del Quevilly che sfiorano il trofeo nel 2011-12. Invece in Italia la coppa non è uscita dal triangolo Napoli-Roma-Milano dal 2002, quando il Parma collezionò l'ultimo trofeo dell'epoca Tanzi prima di esser travolta dal crac Parmalat.

Marek Hamsik, 27 anni, l'ultimo capitano ad alzare la Coppa.

Eppure qualche punto positivo c'è. La Coppa Italia è in grado di regalare qualche storia: anche nella formula che ormai regna da un decennio, è stata creata la rivalità Roma-Inter. Il Palermo e la Samp sono riuscite ad arrivare in finale, mentre il Napoli ha riabbracciato i trofei grazie alla competizione nazionale. E il derby romano del 2013 è stato un media event per il calcio italiano, con effetti che ancora oggi si fanno sentire: vivendo a Roma, ve lo posso confermare. Per cui la Coppa Italia ha effettivamente del potenziale.
Le soluzioni sono possibili, ma non sono in mano solo alla Federazione Italiana. L'Uefa dovrebbe innanzitutto riportare in auge la Coppa delle Coppe. Mi dispiace dirlo, ma l'Europa League così larga interessa fino a un certo punto. Qualcuno mi dirà: come si fa con la Supercoppa Europea? Ora si giocano il trofeo i vincitori dell'Europa League e quelli della Champions. La risposta è semplice: diventa un triangolare disputato in una sola serata con sede da stabilire ogni anno. Stile Trofeo Moretti, ma con un vero premio e con tre super-squadre (in teoria) a giocarselo.
Cosa può fare l'Italia? Qualcosa ci sarebbe. Innanzitutto è inutile parlare di F.A. Cup se poi certi scenari sono impossibili: bisogna cominciare a dare il vantaggio del campo alle squadre più deboli nel ranking del sorteggio. Un modo anche per far incassare più soldi alle società meno abbienti. Esempio: quest'anno c'è stata Lazio-Bassano Virtus al 3° turno nell'agosto scorso. Risultato: 7-0 per i biancocelesti. Paganti in tribuna: 9534. Pochini. Forse spostare la partita in casa del Bassano avrebbe portato una percentuale di presenze più alta. Certo, i supporters laziali stanno ancora protestando contro Lotito. Allora prendiamo come esempio - nello stesso turno - Virtus Lanciano-Genoa 0-1: con gli abruzzesi padroni di casa, 3116 presenze sulle 4600 che lo Stadio Biondi poteva contenere. Una grande percentuale di presenti.
Come ha riportato "La Gazzetta dello Sport" dopo il quarto turno, il dato sulle presenze è deludente. Perché gli stadi italiani sono vecchi. Perché le squadre non sono interessate alla competizione. E sopratutto perché la rassegna non è valorizzata affatto. Basta vedere il confronto con le cifre delle altre coppe nazionali (qui). Cosa resta da dire? Forse c'è da ricordare quello che disse un famoso allenatore del Milan nel gennaio 2008 dopo un'eliminazione con il Catania agli ottavi: «Sarebbe stato fastidioso andare avanti». Parole di Carlo Ancelotti, allenatore della squadra che all'epoca era campione del mondo. Siamo senza speranze.

Uno striscione dei tifosi Samp nello scorso dicembre.

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